Ennesimo incidente ferroviario

I morti di Crevalcore, come quelli che li hanno preceduti, vanno messi in conto alla vampiresca sete di profitto delle aziende capitalistiche

(«il comunista»; N° 93-94; Febbraio 2004)

 

 

Un ennesimo scontro sui binari: scontro frontale fra due treni, un treno merci e un interregionale sulla linea Bologna-Verona. 7 gennaio, ore 13, alla stazione in disuso della Bolognina, frazione di Crevalcore. I morti immediatamente accertati sono 13, fra i quali un capotreno e tre macchinisti, e un’ottantina i feriti, due dei quali ancora gravi; il 10 gennaio, nel momento in cui scriviamo queste righe, i morti salgono a 17.

 

«Il peggior incidente ferroviario degli ultimi 25 anni», si può leggere il giorno dopo ne «Il Sole 24 Ore»; «Strage sui binari: 13 morti» e «Il disastro annunciato», ne «la Repubblica»; «Scontro e strage sul binario unico», nel «Corriere della sera». Il disastro è talmente annunciato che è sufficiente ad ogni redazione tirar fuori le schede degli incidenti ferroviari per preparare in una mezzora i pezzi che andranno a riempire le prime pagine dei giornali.

Naturalmente fra le prime “ipotesi” sulle cause dell’incidente viene avanzata quella relativa all’errore dei macchinisti: non hanno visto il semaforo rosso, non hanno regolato la loro marcia secondo le indicazioni ricevute, si sono distratti, ecc. Ma poi, visto che siamo in Italia dove se c’è il martello manca il chiodo o viceversa, cosa ormai assodata per ogni fesso che abita in questo paese, non possono mancare le ipotesi su automatismi che non hanno funzionato, scambi rotti, scarse manutenzioni o altro che con “l’errore umano” non c’entra nulla.

Sta di fatto che i risparmi di ieri dell’unica azienda delle Ferrovie dello Stato, si sono accumulati ai risparmi delle aziende privatizzate successive: RFI, Trenitalia, Grandi Stazioni. La rete ferroviaria italiana è obsoleta, a manutenzione al di sotto di qualsiasi minimo accettabile (5.000 operai addetti alla manutenzione della rete sono stati licenziati). Di più, quanto a sistemi automatici di segnalazione e di sicurezza, le ferrovie italiane sono lontanissime dall’aver attrezzato in modo adeguato l’intero comparto; sembra che soltanto 4500 chilometri di linee siano dotati di un sistema di sicurezza chiamato “blocco automatico banalizzato” che funziona a due riprese, bloccando il treno automaticamente se il macchinista non ha tenuto conto della segnalazione acustica inviata in precedenza in cabina con la quale viene segnalato appunto il semaforo rosso.

Il 60,5% della rete è a binario unico: 9.667 chilometri su 15.964. Andiamo per un momento nel dettaglio, e ci si accorge che la situazione in certe regioni si presenta drammatica: in Val d’Aosta non c’è un solo chilometro a doppio binario sugli 81 esistenti; in Abruzzo di chilometri a doppio binario ce ne sono 96 su 541; in Molise 23 su 266; in Basilicata 24 su 368; in Sicilia 146 su 1.387. Questo non significa che non vi siano progetti di raddoppio soprattutto nelle tratte ritenute principali, ma il problema è il solito: una volta che il progetto sia stato accettato, quanto tempo passa perché sia realizzato? Un esempio? Eccolo: la linea Bologna-Verona è una linea nazionale, importante sia per quantità di merci che di passeggeri che vi transitano, una linea di collegamento fra il Nord Europa e la Calabria e la Sicilia; ogni giorno su questa linea viaggiano 80 treni (tre ogni ora) alla velocità di 140 km orari. Ebbene, nel 1981 il governo di allora decise i lavori del raddoppio, interviene il famoso scandalo delle «lenzuola d’oro» (giro di mazzette miliardarie) e tutto si ferma per un decennio. Tra il 1994 e il 1998 erano stati stanziati 1.300 miliardi di vecchie lire per modernizzare la rete ferroviaria, e il raddoppio della tratta Bologna-Verona doveva essere ultimato tra il 2006 e il 2008. Campa cavallo… Nel 1997, dopo il deragliamento del Pendolino Milano-Roma alle porte di Piacenza (8 morti, 29 feriti) furono promessi interventi e controlli; ma tutto continuò come prima. Nel 1998 deragliò in provincia di Firenze il Pendolino Roma-Bergamo, 1 morto e 30 feriti; Cimoli, l’amministratore delle Ferrovie, promise di dotare almeno 7.000 chilometri di rete ad alta densità di traffico di un sistema di sicurezza chiamato ATC (automatic traffic control); quando nel luglio 2004 il sig. Cimoli se ne va dalle Ferrovie all’Alitalia i chilometri dotati di ACT erano ben… 240, su 7.000! Le lumache vanno di sicuro più veloci.

I più recenti disastri? Eccoli:

20 luglio 2002, il treno Palermo-Venezia deraglia a Rometta Marea (Messina): 8 morti; sotto accusa i lavori di manutenzione della linea (mancavano i bulloni che fissano le rotaie alle traversine).

27 gennaio 2003, sulla linea Ventimiglia-Cuneo, a 15 km dal confine con la Francia, scontro tra il regionale Torino-Taggia e un treno francese: 2 morti 4 feriti gravi.

20 marzo 2004, vicino a Stresa, sulla linea del Sempione, scontro tra due treni, l’Euronight Roma-Parigi e il Parigi-Roma: muore un’anziana signora, 37 i feriti.

13 settembre 2004, sulla linea Torino-Cuneo un treno pendolari deraglia a Madonna dell’Olmo, a pochi km dalla stazione d’arrivo: 2 morti, 34 feriti.

22 settembre 2004, nella stazione di Lagopesole (Potenza), sulla Potenza-Foggia, si scontrano due carrelli motrice: muoiono 2 operai che lavoravano sulla linea.

Tutti provocati da “errore umano”, da leggerezza da parte del personale di macchina? NO, tutti provocati dal mancato adeguamento dei sistemi di sicurezza, dalla scarsissima manutenzione delle linee ferroviarie, dall’aumento verticale di traffico ferroviario su linee estremamente inadeguate a sostenerlo sia per quantità che per velocità. Certo, un aspetto che non va sottaciuto riguarda, il generale peggioramento delle condizioni di lavoro del personale delle ferrovie, a partire dai macchinisti, obbligati a turni massacranti perché l’azienda risparmia sul «costo del lavoro»! L’errore umano va sicuramente calcolato, perché per stanchezza, per un malore, per un incidente fortuito il macchinista, o il capostazione, o l’addetto allo scambio possono incorrere in un errore: ed è per questo che devono esistere sistemi di sicurezza ad alta affidabilità. Sono costosi? E’ sicuro che costano molto, perché nella società capitalistica tutto ciò che riguarda la prevenzione e la sicurezza costa molto. Gli è che, per fare profitto, perché le aziende delle ferrovie siano redditizie, non possono sperare di guadagnare soltanto sul prezzo dei biglietti venduti; devono risparmiare su tutti i costi fissi! Se poi si scontrano treni, si danneggiano binari, o altri impianti fissi? Benissimo: è capitale costante da rimpiazzare! Ci scappano dei morti? Condoglianze alle famiglie, e a funerali avvenuti ci si dimentica di tutto!

I capitalisti non ragionano col cuore, ma col portafoglio. Ogni lacrima spesa per le vittime dei disastri ferroviari (o qualsiasi altro disastro) è più falsa di quelle del coccodrillo che, non avendo alcun interesse mercantile da difendere e alcun problema di “immagine” da salvare, può permettersi di spurgare dalle ghiandole collocate sotto gli occhi le lacrime dopo aver ingurgitato la preda per il pasto. I morti in questi disastri non sono dovuti alla fatalità, alla sfortuna, o alla svista di un macchinista: sono provocati dal sistema capitalistico del profitto, dalla spasmodica ricerca di profitto a scapito del lavoro vivo, degli uomini, non importa se lavorano, hanno lavorato o devono ancora lavorare nelle ferrovie o in altre aziende. La civiltà borghese moderna si vanta per i grandi traguardi che raggiunge continuamente in fatto di innovazioni tecniche e tecnologiche, e si vanta di aver superato di gran lunga tutte le civiltà barbariche e selvagge che l’hanno preceduta sia in termini culturali che sociali: ma, indiscutibilmente, si nutre, molto più delle civiltà antiche, di sacrifici umani! E anche se fosse solo per questo, essa va disprezzata e combattuta.

Il minimo che dovevano fare i ferrovieri era di scendere in sciopero contro gli attacchi all’occupazione portati sistematicamente dalle aziende, e per rivendicare sistemi di sicurezza adeguati.

Lo sciopero di 24 ore indetto per il 16-17 gennaio è una risposta forte ad una campagna di denigrazione che le aziende delle ferrovie lanciano tutte le volte che avvengono incidenti e disastri che le riguardano; è una risposta forte contro i grandi sindacati tricolore che hanno per l’ennesima volta dimostrato il loro scarsissimo interesse per le condizioni di vita e di lavoro del personale ferroviario; è una risposta forte contro l’azienda ferroviaria che continua risparmiare sulla pelle dei lavoratori mettendo così in costante percolo anche la pelle di tutti i proletari che viaggiano sui treni.

A questa lotta tutti i proletari sono interessati, portando la loro solidarietà e prendendo esempio dai ferrovieri oggi, come ieri dagli autoferrotranvieri, nell’osare finalmente a scendere in lotta per difendersi apertamente contro gli attacchi del padronato e contro la latitanza e l’opera nefasta e distruttrice dei sindacati collaborazionisti.

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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