I borghesi gridano: Abbasso lo straniero!

I proletari rispondano: Non abbiamo patria!

(«il comunista»; N° 113; Luglio 2009)

 

Proletari!

Dopo tanto parlare di «sicurezza» da garantire ai «cittadini italiani» minacciati dallo «straniero» e di «tolleranza zero» nei confronti degli stranieri che entrano o vogliono entrare in Italia spinti da tragedie inenarrabili generate dalla miseria, dalle persecuzioni, dalla fame, dalle guerre, il governo italiano ha deciso di infischiarsene della Convenzione di Ginevra, della Dichiarazione dei diritti umani, delle risoluzioni dell’Onu e del Parlamento europeo in materia di rifugiati, asilo politico e protezione della vita umana da torture e persecuzioni. Il governo italiano è passato alle maniere forti: «respingimento a mare», così lo hanno definito, già nelle acque internazionali, dei barconi zeppi di disperati che fuggono dalle tragedie dei loro paesi.

Gli accordi segreti tra Italia e Libia evidentemente prevedevano che la Libia accettasse di «riprendersi» gli immigrati che, «senza le carte in regola», perciò «irregolari» anche in Libia, partivano dalle sue coste per raggiungere l’Italia.

Giovedì 7 maggio, 238 migranti, con donne e bambini, intercettati da imbarcazioni militari maltesi e italiane, bloccati nel Canale di Sicilia per una giornata intera in cui si svolgeva l’ennesimo braccio di ferro tra Italia e Malta per stabilire a chi competesse il tratto di mare in cui i barconi erano stati trovati, vengono «soccorsi» da tre motovedette italiane che li hanno raccolti e riportati a Tripoli per riconsegnarli nelle mani dei soldati di Gheddafi. La sorte che attende questi migranti nelle mani degli aguzzini libici sarà ancor più drammatica di quel che hanno dovuto passare per raggiungere le coste libiche, imbarcarsi e dirigersi verso quelle che appaiono ancora ai loro occhi le coste della possibile speranza di vita, della salvezza.

Il ministro di polizia italiano Maroni, sostenuto da tutto il governo, esulta per il successo dell’operazione e dichiara che i «respingimenti a mare» continueranno fino a quando non cesseranno… i viaggi della disperazione! Il capo del governo, Berlusconi, rincara la dose: noi non vogliamo un’Italia multietnica!

Sabato 9 maggio, 162 migranti, con donne e bambini, intercettati anch’essi in acque internazionali dalla nave da guerra italiana Spica, vengono respinti verso la Libia. Il caso di giovedì non era un episodio, fa parte di una politica ben precisa, tanto che il governo italiano intende portarla come esempio in Europa.

I migranti, che la disperazione spinge a sopportare ogni fatica e ogni sacrificio, anche quello di morire nei viaggi della speranza come è successo a molti, per il solo fatto di mettersi nelle mani dei mercanti di uomini e di scafisti senza scrupoli, evidenziano la loro condizione di proletari, di senza riserve, di uomini e donne che affrontano ogni specie di rischio e di pericolo pur di dare a se stessi e ai propri figli un futuro meno disperato. Cercano aiuto, solidarietà, lavoro; trovano speculatori, trafficanti di uomini, ladri, criminali e, quando riescono a sbarcare in Italia, i centri di identificazione e di espulsione, i vecchi cpt, veri e propri lager a cielo aperto; oggi, in mare, vengono espressamente fermati dalle navi da guerra.

 

Proletari!

In questi atti e in quelle parole, sta tutto l’odio di classe che la borghesia prova nei confronti dei proletari. Oggi questo odio viene diretto contro i proletari dei paesi più deboli e in crisi dai quali cercano di fuggire; domani lo stesso odio si rivolgerà anche verso i proletari italiani nella misura in cui tenteranno di alzare la propria schiena per impugnare i mezzi della lotta di classe a difesa delle proprie condizioni di sopravvivenza. Oggi questo odio viene diretto contro gli immigrati, l’albanese, il rumeno, il marocchino, il tunisino, l’«arabo» o il «negro» di turno. Domani lo stesso odio si rivolgerà anche contro i proletari italiani che lotteranno contro la sopraffazione, la miseria, lo sfruttamento bestiale, la repressione borghese e contro la chiamata alle armi per una delle tante guerre imperialiste che devastano il mondo.

I proletari italiani sono chiamati a reagire contro la propria borghesia che calpesta la dignità elementare degli esseri umani, ogni diritto che lei stessa ha codificato in legge, ogni elementare solidarietà con coloro che fuggono dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla fame e dalla miseria. I proletari italiani appaiono agli occhi dei proletari d’Africa, del Medio Oriente o dell’Europa dell’est come «privilegiati» perché hanno un lavoro, una famiglia, una casa, mandano i figli a scuola e vivono in un paese non martoriato dalla guerra e dalle persecuzioni. La borghesia dominante italiana fa parte del famoso G7, del consesso delle borghesie imperialiste che sfruttano e soffocano il proletariato di tutti i paesi del mondo, e in specie il proletariato dei paesi più poveri! I «vantaggi» di cui godono i proletari italiani rispetto ai proletari etiopi, eritrei, iracheni o tunisini non sono soltanto il frutto dello sfruttamento specifico che la borghesia italiana esercita sul proprio proletariato nazionale, ma sono soprattutto il frutto dello sfruttamento bestiale di cui hanno lungamente sofferto e soffrono i proletari africani, orientali, latinoamericani.

La condizione di estrema disperazione dei proletari dei paesi più poveri, oggi, è toccata con mano: ogni proletario italiano la vede, la conosce, ne è coinvolto quotidianamente perché quella disperazione ha raggiunto le nostre coste, le nostre fabbriche, i nostri campi, le periferie di ogni città. Ma quella disperazione è destinata a diffondersi in tutto il corpo proletario, senza distinzione di razza, di nazionalità, di provenienza, di cultura, di religione, di grado di istruzione, di tradizioni, perché la crisi provocata dal sistema economico capitalistico come non conosce confini fra gli Stati tanto meno conosce confini tra razze o etnie. La dichiarazione di Berlusconi sul non volere un’Italia multietnica dimostra tutta la sua idiozia di fronte alla circolazione multinazionale dei capitali: il capitale, e quindi il profitto capitalistico, non conoscono confini, conoscono soltanto la convenienza di mercato, non importa attraverso quale banca, quale industria, quale affare si realizzi, e soprattutto, non può esimersi dallo sfruttamento del lavoro salariato sotto qualsiasi cielo!

Capitale e lavoro salariato sono talmente legati uno all’altro che non esiste alcuna possibilità pratica di tenerli separati, tanto meno invocando il colore della pelle del proletario o del borghese o la nazionalità temporanea dell’uno o dell’altro.

Il nazionalismo, e quindi il suo sottoprodotto, il razzismo, non sono che categorie ideologiche con le quali ogni borghesia tende ad influenzare le grandi masse per esercitare con più efficacia il suo dominio di classe sulla società, e in particolare sul proletariato. Attraverso il nazionalismo, e il gretto campanilismo tipico del provincialismo italiano, la borghesia alimenta la concorrenza fra proletari allo scopo di sfruttarli più intensamente per ricavare dal loro lavoro più profitto possibile.

Ecco perché i proletari italiani non hanno alcun interesse a condividere le posizioni espresse dalla propria borghesia; perché la condizione di proletari non cambia, anzi, con la crisi, peggiora. E più aumenta la concorrenza fra proletari italiani e proletari immigrati, più ci perdono i proletari in generale che si vedono abbassare il livello generale dei salari ed aumentare l’incertezza di vita e di lavoro.

L’interesse proletario sta tutto nel combattere in ogni luogo e in ogni momento la concorrenza che i borghesi frappongono tra proletari; l’interesse proletario è quello di opporsi con forza al peggioramento inevitabile delle sue condizioni di vita e di lavoro e perciò è quello di tendere ad unificare la lotta di sopravvivenza che ogni strato operaio è spinto a fare.

 

Proletari!

I borghesi hanno una patria, una nazione, da difendere perché con la patria e la nazione essi difendono i confini dei loro specifici privilegi, della loro proprietà privata, essi difendono i loro capitali e le condizioni sociali di sfruttamento del lavoro salariato. I proletari, proprio perché non hanno privilegi in questa società borghese, proprio perché questa società li obbliga, da quando nascono, ad una vita di sofferenza, di fatica, di sfruttamento e di miseria, non hanno nulla da difendere ma tutto da combattere: i proletari per emanciparsi da questo regime di violenza, di sfruttamento, di morte non hanno che da spezzare le catene che li tengono imprigionati alla condizione di proletari.

I proletari non hanno alleati in questa società, se non i proletari di tutti gli altri paesi. Ecco perché non hanno patria, ecco perché per un proletario di un paese il proletario di un altro paese non è uno straniero ma un fratello di classe!

 

- La lotta di classe proletaria non ha confini!

- I proletari di un paese possono contare soltanto sulla forza dei proletari degli altri paesi!

- I proletari migranti non sono stranieri, non sono clandestini: sono fratelli di classe!

- No al reato di clandestinità! No al controllo dell’immigrazione!

- Stessi diritti, stesso lavoro, stesso salario a tutti i proletari senza distinzione di razza, di nazionalità o di sesso!

 

10 maggio 2009

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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