I partiti nazionalcomunisti alla prova dei fatti

(«il comunista»; N° 117; Giugno 2010)

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Il nazionalcomunismo, noto anni addietro come stalinismo, ha già abbondantemente dimostrato, fin dagli anni dell'estrema tensione rivoluzionaria in Europa e nel mondo - gli anni che seguirono la prima guerra imperialista mondiale, la vittoria rivoluzionaria in Russia del bolscevismo, la costituzione dell'Internazionale Comunista, la vittoria nella guerra civile in Russia sbaragliando gli eserciti controrivoluzionari sostenuti e foraggiati da tutte le potenze imperialiste del mondo -, di aver svolto l'indispensabile compito controrivoluzionario al fine di sbaragliare il movimento comunista internazionale e deviare il movimento operaio mondiale dalla rotta della rivoluzione proletaria. La controrivoluzione borghese non avrebbe sconfitto così duramente il movimento proletario e comunista internazionale senza il contributo decisivo dello stalinismo che, come ogni tendenza opportunista, lavorò dal di dentro del movimento operaio e comunista.

La teoria del «socialismo in un paese solo», contraria in tutto e per tutto ad ogni proposizione marxista, condensava la completa falsificazione della teoria del comunismo rivoluzionario su tutti i piani, teorico, programmatico, politico, tattico e organizzativo. La lenta, ma inesorabile, degenerazione dell'Internazionale Comunista e dei partiti che vi aderivano, il cedimento inevitabile del partito bolscevico dalle ferree posizioni marxiste di Lenin alle sempre più decise posizioni opportuniste e, infine, controrivoluzionarie, delle correnti centriste e di destra del comunismo di allora, diedero allo stalinismo il segnale che poteva decapitare il movimento comunista rivoluzionario in Russia e nel mondo a favore dello sviluppo capitalistico in Russia e dell'imposizione al movimento proletario mondiale della Ragion di Stato borghese. La spaventosa carneficina di militanti bolscevichi fedeli alla tradizione rivoluzionaria marxista da parte dello stalinismo, che raggiunse con le tristemente famose "purghe" del 1936 la più violenta messinscena dell'arroganza tipica del cannibalismo borghese (che già si era distinto nel massacro dei comunardi di Parigi nel 1871), aprì la strada all'alleanza di guerra che di lì a qualche anno avrebbe visto la Russia capitalista corteggiare, prima, la Germania nazista per dividersi la Polonia e, successivamente, gli Stati imperialisti che facevano capo all'alleanza fra Inghilterra e Francia cui si aggregarono, a seconda guerra imperialista iniziata, gli Stati Uniti, per spartirsi l'Europa e il mondo.

Ebbene, affondando le proprie "radici" politiche nell'opportunismo stalinista, i partiti stalinizzati, dopo aver contribuito a portare il proletariato dei diversi paesi a partecipare alla guerra imperialista a fianco degli imperialismi cosiddetti democratici, hanno  condiviso il colossale bagno di sangue  a favore esclusivamente del ringiovanimento di un capitalismo che aveva ancora una volta dimostrato di essere giunto al suo ultimo stadio, l'imperialismo (come definito Lenin), nel quale la pace non sarebbe stata nient'altro che una tregua più o meno lunga tra una guerra e l'altra.

Riferirsi perciò alle radici staliniste, che si propagarono, come la gramigna, nel mondo non solo dei paesi industrializzati ma anche nei paesi storicamente spinti a superare l'arretratezza economica e politica di modi di produzione precapitalistici - come furono la Russia nel 1917 e la Cina non solo nel 1927 ma anche nel 1949 - significa, di fatto, caricarsi sulle spalle il compito di dare continuità alla funzione antiproletaria e controrivoluzionaria già svolta nel periodo storico precedente la seconda guerra imperialista. Il maoismo non fu che la versione «terzomondista» dello stalinismo e, se possibile, più arretrata ancora, visto il peso che si è voluto dare ai contadini.

Nell'arco di tempo che ha visto la ricostruzione postbellica, l'espansione economica delle economie più forti, l'emergere di  giovani capitalismi spinti ad accelerare ognuno la propria conquista dei mercati in un processo di mondializzazione dell'economia capitalistica già previsto da Marx, e una successione di crisi cicliche di sovrapproduzione caratteristiche del capitalismo sviluppato, i partiti, che un tempo assicuravano alla classe dominante borghese il consenso operaio alla "stabilità democratica" del paese - leggi alla permanenza del capitalismo e dello sfruttamento del lavoro salariato senza il quale il capitalismo non esiste - si sono inevitabilmente logorati, come si logora la stessa democrazia borghese. Nel tempo, la finzione democratica, l'inganno di un'eguaglianza inesistente di diritti e di doveri da parte di "tutti", la falsa prospettiva di un progressivo benessere economico e sociale per "tutti", la mezognera sfilza di dichiarazioni di pace che la "democrazia" dovrebbe garantire a tutti i popoli, svelano la loro inconsistenza e la loro vera funzione sociale: rincoglionire le masse proletarie in tutti i paesi con l'illusione che la civiltà democratica sia l'unico vero bene al quale esse si possono e si devono aggrappare per continuare a sperare in un miglioramento delle loro condizioni di esistenza.

Quello che lo stalinismo un tempo chiamava «democrazia popolare», o «nuova democrazia», come fossero «nuove vie» per raggiungere il benessere economico e la pace, si è visto che fine ha fatto: non ha portato pace ma ha alimentato le guerre di rapina imperialistica, non ha portato benessere economico ma ha ingigantito la miseria delle masse sempre più schiavizzate sotto il tallone di ferro della dittatura capitalistica rivestita di una democrazia che appare, ormai anche agli occhi delle masse più arretrate, sempre più blindata e guerrafondaia.

Tutto l'impianto ideologico e propagandistico dello stalinismo stava miseramente crollando molto prima del crollo del muro di Berlino nel 1989  e molto prima dell'implosione dell'impero russo. Già con la crisi di sovrapproduzione capitalistica mondiale del 1975, la «tenuta» dell'imperialismo russo, nel delicato equilibrio mondiale post-seconda guerra mondiale, assicurato dal condominio russo-americano, stava mostrando crepe irreparabili. La crisi capitalistica non si faceva arginare dalla «cortina di ferro»; presto o tardi sarebbe passata a chiedere il conto, e lo fece tra il 1989 e il 1991.

La prosopopea stalinista si è sfracellata al suolo insieme all'implosione dell'impero russo. E, con essa, tutti i partiti legati a Mosca, per quanto da Mosca autonomi e distaccati, hanno perso il sostegno materiale e quindi ideologico, entrando irreversibilmente in crisi. Il loro ruolo di ingannatori prediletti dalle forze borghesi democratiche perse smalto e presa sul proletariato; le leggi del mercato dei voti e del consenso elettorale decretavano il definitivo tramonto delle loro ideologie e la necessità di un adeguamento molto più dichiaratamente popolare e parlamentare ad una nuova stagione del consenso popolare.

Ciò non ha significato, però, la fine definitiva delle teorie di un falso socialismo in salsa russa (leggi stalinista) o cinese (leggi maoista) o in salse derivate come il castrismo o il socialismo vietnamita di Ho Chi Minh. La propaganda borghese della conservazione sociale, con il passare del tempo, si è resa sempre più sofisticata tanto da lasciare a frange più modeste e marginali di nostalgici dello stalinismo lo spazio per continuare a tener viva la fiamma dell'ideologia bastarda di un socialismo infetto e corrotto dai residui di un afflato di democrazia liberale gettata nella spazzatura della storia dalla stessa borghesia dominante.

Ecco, dunque, gruppi politici di novelli opportunisti che si preoccupano di rinnovare le vecchie posizioni resistenziali e bloccarde che hanno già dato chiarissimamente dimostrazione non solo di fallire completamente di fronte alle reali necessità della lotta di classe proletaria e della sua maturazione in lotta rivoluzionaria per il potere politico centrale, ma di svolgere una funzione politica e sociale di ingabbiamento del proletariato nelle logiche e nelle pratiche di un impotente parlamentarismo dando anche il loro contributo ad alimentare  l'inganno democratico che imprigiona il proletariato nei rapporti politici e sociali della conservazione capitalistica.

Sempre l'opportunismo,di qualunque colore sia e a qualunque corrente appartenga, ha cavalcato il mito del popolo, il mito delle «masse popolari»; nel «popolo», in realtà, si confondono tutti gli strati di piccola borghesia più o meno rovinati o favoriti dalle crisi capitalistiche e vi si confonde la massa proletaria in generale. Chi invoca il popolo invoca l'indeterminatezza, la poltiglia ideologica borghese, e in particolare piccolo borghese, alla quale si rifanno le classi medie, classi che non hanno storia, non hanno programmi storici autonomi e che - unica velleità che le distingue - perseguono gli obiettivi di conciliare gli interessi borghesi con gli interessi proletari, smussare l'antagonismo di classe, diffondere nel movimento proletario la propria impotenza storica accodandolo ai diktat della grande borghesia. Inutile dire che, in tempo di «pace», il terreno preferito dai raggruppamenti politici che si richiamano al popolo è quello democratico ed elettorale, perché su questo terreno hanno le maggiori possibilità di sentirsi «vivi», di sentirsi «protagonisti».

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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