A quarant’anni dalla morte di Amadeo Bordiga

Amadeo Bordiga, nel cammino della rivoluzione

(«il comunista»; N° 117; Giugno 2010)

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Il 23 luglio del 1970 il compagno Amadeo ci lasciava definitivamente; il suo fisico logorato da lunga malattia non sostenne più quella formidabile macchina di guerra di classe che Amadeo fu per quasi sessant’anni, da quando nel 1912 iniziò la sua militanza nelle file della gioventù socialista. Fin da allora fece parte di quell’avanguardia marxista che diede i natali alla corrente della Sinistra comunista e che, in perfetta corrispondenza con le tesi bolsceviche, fondò, poi, nel gennaio 1921, il Partito Comunista d’Italia. Il comunismo, in Italia, nacque adulto: le forze che lo rappresentavano svilupparono in modo coerente col marxismo, ma in modo autonomo dalla vasta opera restauratrice di Lenin, la formazione teorica, programmatica, politica tattica e organizzativa di un partito che fu l’unico, nell’Occidente capitalistico sviluppato, a portare al movimento comunista internazionale un apporto all’altezza del bolscevismo. Ed è in forza di queste origini, e della continuità teorica e di prassi che la Sinistra Comunista d’Italia dimostrò storicamente di possedere, che fu possibile solo ad essa il tirare tutte le lezioni dalla controrivoluzione e mettere mano alla restaurazione della dottrina marxista e dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, dopo il tremendo tracollo del movimento comunista internazionale sotto i colpi convergenti della controrivoluzione borghese (democratica e fascista, contemporaneamente) e dello stalinismo.

Ripetiamo ciò che disse Amadeo, nel 1924, nel suo discorso in morte di Lenin. Non seguiremo la falsariga delle commemorazioni ufficiali, né faremo una biografia dell’ing. Amadeo Bordiga, né tanto meno ci dedicheremo alla raccolta di aneddoti e di pettegolezzi sulla sua vita pubblica o privata, né andremo a scomporre gli apporti di Amadeo alla restaurazione teorica del marxismo e alla ricostituzione dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, in parti che alcuni pretendono siano «aggiornamenti» del marxismo e parti che altri pretendono di «abbandonare» col pretesto che lo sviluppo del capitalismo e la persistenza della sconfitta proletaria e comunista rispetto alla rivoluzione avrebbero presentato novità storiche non interpretabili col vecchio metodo marxista e con la ferrea intransigenza teorica di Lenin e di Amadeo.

L’occasione del quarantesimo dalla morte di Amadeo Bordiga la cogliamo per ritracciare in alcuni capitoli (senza pretendere di scrivere nuove tesi) i punti di riferimento essenziali attraverso i quali si possono riconoscere i tratti fondamentali dell’attività di un’organizzazione politica che sia degna di chiamarsi comunista e di rivendicare le sue origini nel solco della sinistra marxista internazionale. Questi i capitoletti del nostro lavoro: 1. Teoria marxista, corpo unico e indivisibile – 2. Il programma del partito – 3. L’azione del partito e la sua organizzazione – 4. Partito bolscevico, pianta di ogni clima – 5. Sinistra Comunista d’Italia, bussola per ogni tempesta – 6. Sul filo del tempo delle battaglie di classe – 7. Opportunismo nelle sue mille varianti: bestia nera di ogni comunista rivoluzionario – 8. Partito Comunista Internazionale, ieri, oggi e domani.  

La grandezza del militante rivoluzionario Amadeo sta tutta nella sua irreprensibile coerenza teorica e pratica, nella sua dirittura morale e di comportamento, nel non aver mai ceduto di fronte alle lusinghe del politicantismo personale ed elettoralesco. Ed anche quando, in fin di vita, accettò forzatamente di rispondere ad interviste che giornalisti, in cerca di scoop per ingrossare i propri curriculum vitae, gli fecero, non si lasciò mai trascinare sul terreno del personalismo e del «personaggio» in cerca di notorietà. 

Il nostro intento non è mai stato, né nel partito di ieri né nell’organizzazione odierna, di trasformare il militante comunista rivoluzionario più coerente e retto che abbiamo conosciuto, fin dagli anni Sessanta del secolo scorso, in un mito, in una icona inoffensiva a differenza di quel che  hanno fatto molti ex militanti del vecchio partito comunista internazionale come, ad esempio, coloro che parteciparono direttamente alla costituzione della Fondazione Amadeo Bordiga, che è il condensato di tutto ciò che Amadeo odiava di più, l’elevazione dell’individuo a personaggio storico! Abbiamo imparato da Amadeo che la «proprietà intellettuale» è una delle più insidiose proprietà commerciali che il capitalismo usa per inchiodare gli uomini alla loro individuale proprietà privata, e per propagandare le delizie del capitalismo facendo passare il «diritto di proprietà privata» come un diritto «naturale». L’individuo, d’altra parte, con la sua «coscienza individuale» e la sua «libertà di scelta», non è forse l’alfa e l’omega dell’idealismo borghese e, quindi, della democrazia borghese?

La pretesa che la storia, che muove forze sociali e materiali nel loro anonimo e materialistico determinismo, possa essere modificata, variata o addirittura indirizzata grazie all’intervento dei cosiddetti grandi uomini, è una delle mistificazioni adoperate dalle classi dominanti per continuare ad opprimere le classi lavoratrici. Battersi contro questa pretesa, non solo dal punto di vista dei principi ma anche della prassi, è parte integrante della battaglia di classe dei comunisti rivoluzionari che sanno che «il comunismo non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi» ma «il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente», il movimento reale delle classi sociali che, nella società divisa in classi, lottano tra di loro, da un lato, per conservare più a lungo possibile il potere politico e il vecchio modo di produzione e, dall’altro lato, per abbattere il potere politico che rappresenta il vecchio modo di produzione ed instaurare il nuovo potere politico che rappresenta il modo di produzione superiore. Con il capitalismo e il suo sviluppo universale, semplificando la divisione in classi nell’antagonismo tra due classi principali, la borghesia e il proletariato, la storia delle società umane ha raggiunto l’ultimo stadio in cui lo sviluppo delle forze produttive può avvenire in una società divisa in classi, la classe che detiene la proprietà dei mezzi di produzione e della produzione e la classe che possiede esclusivamente la forza lavoro che viene applicata ai mezzi di produzione e che con il proprio sfruttamento offre alla classe capitalistica la base sociale del proprio dominio. Il capitalismo, proprio perché si basa sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e dei prodotti e sviluppa se stesso attraverso lo sfruttamento del lavoro salariato e l’estensione dell’economia mercantile all’ennesima potenza, ha bisogno di mistificare i rapporti sociali: non si discosta dal concetto di proprietà privata individuale che definisce l’esistenza del capitalista singolo, ma estende anche alle classi non possidenti lo stesso concetto come «potenzialità», come libertà per ogni individuo della società borghese a privatizzare una proprietà,  anche se in precedenza era comune, e una ricchezza, che è sociale, come di fatto è la produzione capitalistica. Non è un caso che la borghesia abusi del termine libertà, e libertà individuale in particolare; la classe borghese sa perfettamente che questa sua libertà serve esclusivamente a giustificare la sua libertà di accaparrare ricchezze e patrimoni un tempo delle vecchie classi aristocratiche vinte e proprietà un tempo delle comunità contadine. Si chiama, d’altra parte, proprietà privata perché altri sono privati dell’uso libero di beni sociali, dell’uso libero delle ricchezze prodotte dalle forze produttive sociali, ricchezze di cui la stragrande maggioranza degli uomini è privata con la forza. Come tutto nella società borghese è trasformato in merce, e quindi in valore di scambio, così anche le idee, le opinioni, i voti, le passioni, le fedi sotto il capitalismo sono merci: tutto ha un prezzo. La teoria del comunismo rivoluzionario in quanto teoria della futura società senza classi, senza capitale, senza merci e senza valori di scambio, non può contenere categorie, concetti e definizioni che discendono dalle categorie della società borghese, della società del capitale, di una società nella quale si può anche cambiare mille volte le forme e i nomi alle cose ma, mantenendo fermo il suo contenuto mercantile e capitalistico, non si fa che rafforzarne l’esistenza. Ciò che Marx ed Engels odiavano di più era il commercio dei principi, ed è un odio condiviso da tutti i comunisti rivoluzionari. Ecco perché i rinnegati alla Kautsky sono i peggiori nemici che il proletariato rivoluzionario possa incrociare nel suo cammino; ecco perché l’attenzione anche alle sfumature nella teoria, nel programma o nelle indicazioni tattiche (gli esempi si trovano  fin dal Manifesto del Partito Comunista e dalla Critica al Programma di Gotha) che la Sinistra Comunista d’Italia ebbe fin dalle prime discussioni sul «parlamentarismo rivoluzionario», sulle «condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista» - per non parlare della tattica del «fronte unico politico», delle «fusioni» con i vecchi tronconi riformisti dei partiti socialisti o socialdemocratici, del «governo operaio» e, peggio «operaio e contadino», fino ai «fronti popolari» e al «partigianismo» - non era per atteggiamento settario o astrattamente intransigente, ma aveva una funzione pratica fondamentale poiché, come ripeté Lenin continuamente e dimostrò praticamente, allontanarsi dalla teoria rivoluzionaria significava togliere al partito di classe, e quindi al proletariato, l’unica vera bussola in grado di indicare con sicurezza la rotta da seguire anche nelle tempeste sociali più tremende, come certamente sono le guerre e le rivoluzioni.  

Nel 1924, alla morte di Lenin, Amadeo fu incaricato dal Partito Comunista d’Italia di tenere una conferenza pubblica a Roma su Lenin. «Lenin nel cammino della rivoluzione», era il titolo di quella conferenza, titolo che riprendiamo aggiungendo che in quel cammino - oltre ai grandi rivoluzionari marxisti che con Lenin formarono l’imbattibile centro dirigente del partito bolscevico negli anni della rivoluzione d’Ottobre, della guerra civile contro le armate bianche, della costituzione dell’Internazionale Comunista - c’è sempre stato anche Amadeo Bordiga in quanto maggiore e più coerente rappresentante di quella Sinistra Comunista d’Italia che sola, alla prova della storia, ha raggiunto, nell’Occidente capitalistico sviluppato e democratico, le vette teoriche cui giunse Lenin. Il primo punto toccato da Amadeo nella conferenza del 1924 su Lenin ha questo titolo: Il restauratore teorico del marxismo. E’ esattamente il compito che lo stesso Amadeo si assumerà di svolgere insieme al piccolo gruppo di compagni della sinistra comunista d’Italia con cui iniziò fin dal 1943 quella «dura opera di restauro della dottrina e dell’organo rivoluzionario» (come scritto fin dalla primissima versione nel 1952 del «distingue il nostro partito») che caratterizzò il lavoro di decantazione politica delle poche ma determinate forze rivoluzionarie che si ricollegavano al marxismo non adulterato attraverso l’esperienza del Partito Comunista d’Italia e delle tesi della Sinistra Comunista d’Italia fino al 1926.

Non c’è bisogno di dire che l’apporto di Lenin al movimento rivoluzionario del proletariato mondiale e al movimento comunista internazionale è inestimabile e che, proprio per l’influenza decisiva che la sua opera ebbe sul proletariato mondiale, la borghesia fece di tutto per falsificarne e sconvolgerne i tratti fondamentali. Come avvenne per Marx ed Engels, successe anche a Lenin: la potente propaganda borghese non poté esimersi dal mistificare il marxismo in quanto teoria della rivoluzione proletaria e della fine storica del capitalismo; ma, dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre e il pericolo corso in tutta Europa di perdere il potere politico a causa di un movimento proletario che aveva finalmente trovato nell’Internazionale Comunista la sua guida rivoluzionaria, le classi borghesi dominanti scovarono nel loro patrimonio storico di dominio politico e sociale due armi di grande efficacia: il fascismo, come metodo di governo degli Stati più pericolosamente attaccabili dal movimento proletario rivoluzionario (all’epoca, Italia e Germania) e lo stalinismo, come metodo di governo della distruzione delle conquiste politiche e teoriche rivoluzionarie dall’interno stesso del movimento comunista russo e internazionale.

Il fascismo giungeva dopo che le forze socialdemocratiche avevano spezzato l’ascesa del movimento proletario, deviandolo sulle illusorie tappe di progresso sociale e politico attraverso le elezioni democratiche, per dare il colpo di grazia ad un movimento rivoluzionario e ad un partito che avrebbe potuto guidarlo con successo; il suo compito fu duplice: ridare fiducia alla borghesia nazionale attraverso il massimo di centralizzazione possibile e piegare il proletariato alle esigenze di ricostruzione postbellica e di sviluppo del capitalismo nazionale distruggendone l’autonomia politica e sindacale ma concedendo riforme che ne avrebbero tacitato le esigenze immediate più importanti.

Lo stalinismo, basandosi sulle reali difficoltà di tenuta del potere bolscevico in un paese arretrato economicamente, logorato da 3 lunghissimi anni di guerra civile e isolato internazionalmente, lavorò per rafforzare il processo di sviluppo capitalistico in Russia per il quale aveva bisogno di uno sforzo titanico da parte sia del proletariato che del contadiname russo: la «genialità» dello stalinismo fu di far passare ogni progresso capitalistico come una «tappa ulteriore» di «costruzione del socialismo in Russia» per la quale pretendere qualsiasi sacrificio proletario, e tutto ciò fu giustificato con un’operazione di mistificazione del marxismo che nessuna forza opportunista in precedenza era riuscita ad attuare: a questa mistificazione del marxismo fu dato il nome di «leninismo»!

Lenin, all’inizio del suo «Stato e rivoluzione», sentì il bisogno di affermare che: «Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con implacabili persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l’odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a consolazione e a mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce» (1).

Lo stalinismo, per primo, dopo aver deposto le spoglie di Lenin in un mastodontico mausoleo di fronte al Kremlino, non fece che cingere con una aureola di gloria il suo nome, ma svuotando completamente del contenuto la dottrina marxista di cui era il maggiore rappresentante. E non solo; lo stalinismo non si limitò a svuotare il contenuto della dottrina marxista, ma la falsificò da cima a fondo utilizzando le stesse armi che il movimento comunista rivoluzionario aveva utilizzato, distorcendole a favore delle forze capitaliste e borghesi in Russia e fuori di Russia: partito comunista, Stato proletario, dittatura proletaria esercitata dal partito, armata rossa, Internazionale Comunista. Con la teoria del «socialismo in un solo paese», lo stalinismo raggiunge l’apice dell’attacco alle fondamenta teoriche del marxismo e con la «bolscevizzazione» dei partiti aderenti all’Internazionale Comunista, lo stalinismo piega tutti i partiti alla Ragion di Stato russa, aprendo così le porte alle «vie nazionali»…al socialismo, dunque alla revisione completa del marxismo e alla distruzione dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe a livello internazionale, per l’appunto.

Questa cocente sconfitta del movimento proletario rivoluzionario non arrivò improvvisamente. Lo stesso Lenin, con i suoi sistematici interventi (ad esempio sull’Imposta in natura, o sulle due metà spaiate del socialismo - vittoria politica in Russia, economia capitalistica avanzata in Germania), ammoniva il partito bolscevico che, di fronte a rapporti di forza sfavorevoli alla rivoluzione in quegli anni negli altri paesi, il potere politico comunista in Russia avrebbe dovuto resistere considerando anche «vent’anni di buoni rapporti con i contadini» (e Trotsky, lanciando la sfida a Stalin, parlerà addirittura di cinquant’anni). Ma perché il primo baluardo russo di dittatura proletaria vittoriosa potesse resistere per così lungo tempo, ci voleva l’apporto teorico e pratico di tutto il movimento comunista internazionale, e in particolare dei partiti comunisti europei più importanti, come quelli tedesco e francese. Invece, l’apporto teorico e pratico più coerente e consistente a livello internazionale non venne da questo partiti, venne dal solo Partito Comunista d’Italia e, più precisamente, dalla corrente della sinistra marxista, che all’epoca non poteva contare su un’influenza determinante all’interno dell’Internazionale Comunista.

Gli apporti teorici e tattici di fondamentale importanza, sia per la definizione delle condizioni di ammissione all’Internazionale Comunista, sia per la definizione della tattica dell’Internazionale valida per tutti i partiti di qualsiasi paese, sia per la valutazione più precisa del fascismo e della lotta proletaria contro qualsiasi metodo di governo adottasse la borghesia (democratico, costituzione, fascista), in verità furono dati in modo intransigentemente coerenti col marxismo solo dalla Sinistra Comunista d’Italia. Basti a dimostrazione di quanto detto citare le tesi della frazione comunista astensionista del 1920, gli interventi dei rappresentanti della Sinistra comunista d’Italia al congresso dell’IC del 1920, le Tesi di Roma del PCd’I del 1922, le Tesi del PCd’I sulla tattica dell’Internazionale del 1922, i rapporti Bordiga sul fascismo del 1922 al IV congresso dell’IC e del 1924 al V congresso dell’IC, le Tesi di Lione del 1926. Nessun partito comunista europeo è riuscito a dare all’Internazionale Comunista e al Partito Bolscevico una continuità così decisa con il marxismo come la sinistra comunista d’Italia. Ma questo significativo apporto teorico e politico dato dalla Sinistra comunista d’Italia, se non bastò allora, come avvenne purtroppo, per indirizzare la tattica internazionale comunista in modo più efficace nell’aera del capitalismo più sviluppato, servirà successivamente quando le forze rivoluzionarie che non si piegarono alla pressione dello stalinismo tessero nuovamente, nel finire del secondo macello imperialistico mondiale e nel secondo dopoguerra, la rete organizzativa di partito intorno ad un  programma del comunismo rivoluzionario intatto e rafforzato dai bilanci dinamici tratti dalla storia stessa della controrivoluzione stalinista e borghese.

Come affermato da Amadeo nella conferenza pubblica del 1924 sopra richiamata, Lenin difende l’insieme della dottrina marxista, su tutti i piani: sul piano cosiddetto filosofico, contro i revisionisti idealistici e mistici della concezione materialista e dialettica del marxismo, riaffermando che «non vi può essere una dottrina socialista e proletaria su basi spiritualiste, idealiste, mistiche, morali»; sul piano delle valutazioni economiche e della critica del capitalismo, dimostrando, marxismo alla mano, che «i fenomeni moderni del capitalismo: i monopoli economici, la lotta imperialista per i mercati coloniali, siano perfettamente interpretabili per la scienza economica marxista senza dover modificare nessuna delle sue teoriche fondamentali sulla natura del capitalismo, sulla accumulazione dei suoi profitti a mezzo dello sfruttamento dei salariati». Col suo libro sull’Imperialismo, ultimo stadio del capitalismo, Lenin offre elementi decisivi nella stessa «lotta contro l’opportunismo» (ad esempio, le teorie del superimperialismo alla Kautsky, ieri, o dell’imperialismo unitario alla «Lotta Comunista», oggi) e contro «la bancarotta dei vecchi capi nella guerra mondiale» (dunque contro il socialsciovinismo che, ieri, di fronte alla prima guerra imperialista caratterizzò i traditori della causa proletaria e dell’internazionalismo socialista e contro il socialimperialismo che, poi, di fronte all’avanzata del movimento rivoluzionario internazionale e di fronte alla seconda guerra imperialista caratterizzò l’ulteriore generazione di traditori della causa proletaria e dell’internazionalismo comunista). Difendere l’«insieme della dottrina marxista», come affermava Amadeo nella conferenza del 1924, vuol dire difendere l’invarianza storica del marxismo come riaffermò Amadeo nel 1952 quando stava per rinascere, sulle basi dottrinarie e programmatiche invarianti del marxismo e sui bilanci dinamici della controrivoluzione staliniana, il partito di classe ricostituito scindendosi dalla tendenza che continuerà a scivolare sempre più nell’opportunismo degli «aggiornatori del marxismo», come si rivelò allora, e ancor più chiaramente in seguito, il gruppo di «battaglia comunista».

Con la tesi dell’invarianza storica del marxismo si combatte precisamente la «banale idea che il marxismo è una teoria in “continua elaborazione storica” e che si modifica col corso e la lezione degli eventi» (2). Invariabilmente, continua il testo, «è questa la giustificazione di tutti i tradimenti le cui esperienze si sono accumulate, e di tutte le disfatte rivoluzionarie». Perciò, tutti coloro che negano, falsificano o aggiornano il marxismo vanno considerati nemici della causa dell’emancipazione del proletariato e, quindi, del comunismo. Noi li combattiamo tutti e, come nel 1952, riteniamo che gli aggiornatori siano i peggiori di tutti.

«Proprio le dottrine del capitalismo, giustificando le rivoluzioni sociali del passato fino a quella borghese, asserivano che da quel punto la storia avrebbe proceduto per una via di graduale elevamento e senza altre catastrofi sociali, in quanto i sistemi ideologici avrebbero con una graduata evoluzione assorbito il flusso di nuove conquiste del sapere puro ed applicato; ed il marxismo dimostrò la fallacia di tale visione del futuro» (3). E la dimostrazione del fallimento della visione borghese del futuro della società è facilmente e da tutti riconoscibile: basta guardare la tremenda sequenza di crisi e di guerre che ha punteggiato la storia della classe dominante borghese e della sua società, o la progressiva e crescente miseria in cui masse sempre più numerose di uomini vengono precipitate per effetto di un capitalismo che ormai non sviluppa più, ma distrugge sistematicamente,  forze produttive e progresso economico all’altare del profitto capitalistico e del mercato.

D’altra parte, lo stesso marxismo, ribadisce il testo citato, non può essere una dottrina che si rattoppa di volta in volta con la sostituzione di pezzi, o di «pezze», col pretesto di nuove e impreviste situazioni: il modo di produzione che costituisce le fondamenta della società capitalista non è cambiato, è sempre quello e il suo sviluppo, previsto dal marxismo che ne ha scoperto le leggi fondamentali e storiche, non fa che confermare la sua forza ma anche i suoi limiti, accrescendone le contraddizioni e i contrasti sociali. Il marxismo è, storicamente, l’ultima delle dottrine che sono «arma di una classe dominata e sfruttata e che deve capovolgere i rapporti sociali», classe rivoluzionaria che «assolverà il suo compito in quanto si muoverà usando una dottrina e un metodo che restino stabili e siano stabilizzati in un programma monolitico, in tutto il volgere della tremenda lotta – variabilissimo restando il numero dei seguaci, il successo delle fasi e degli scontri sociali» (4). La validità della teoria marxista non è quindi misurabile col numero dei militanti che compongono nelle diverse fasi storiche il partito di classe (che, in determinate fasi può anche subire la distruzione fisica completa, come nella storia è successo all’epoca di Marx ed Engels, all’epoca di Lenin e di Bordiga, ma sussistere come teoria rivoluzionaria, come partito storico), né col successo, temporaneo o prolungato nel tempo, dell’azione rivoluzionaria. I tempi della storia coi quali si muovono le forze sociali e si svolge la lotta fra le classi non sono riducibili alla vita di una o più generazioni di uomini, né tanto meno sono accelerabili o rallentabili secondo la volontà di capi politici o partiti. Come il comunismo non è «un ideale da instaurare», ma lo sbocco storico necessario della lotta mondiale finale nello scontro sociale fra la classe del proletariato e la classe della borghesia, così la rivoluzione proletaria non si scatena «a comando», ma scoppia per la combinazione di fattori oggettivi (condizioni economiche internazionali critiche, estesa combattiva ed esperta organizzazione classista delle masse proletarie,  condizioni di debolezza del potere borghese, lotta di classe del proletariato prolungata e duratura nel tempo) e soggettivi (preparazione, presenza e influenza determinante del partito di classe e della sua azione nelle file proletarie), per quel fenomeno storico-sociale che Amadeo chiamò polarizzazione di classe

E’ del tutto sbagliato, quindi, considerare la tesi dell’invarianza storica del marxismo come un dogma religioso da accettare senza dimostrazione scientifica, ma solo per fede. Come Lenin nei suoi poderosi studi di economia, di filosofia, di politica, così Amadeo e il piccolo ma determinato gruppo di militanti che lo affiancarono nella dura opera restauratrice del marxismo e del partito di classe, dimostrarono la piena validità del marxismo non solo come metodo di interpretazione dei fatti economici o storici, ma soprattutto come teoria della rivoluzione emancipatrice del proletariato e, quindi, dell’umanità intera. Il marxismo è la teoria della rivoluzione proletaria che apre la storia della società umana alla società senza classi, al comunismo: una teoria scientifica che non poteva nascere prima dell’affermazione del modo di produzione capitalistico come quello che rispondeva meglio allo sviluppo delle forze produttive e che necessitava, per imporsi in tutto il mondo, della distruzione di tutti i vincoli politici, ideologici e sociali che ne impedivano il libero e potente sviluppo. La rivoluzione borghese è servita esattamente a questo scopo. Ma è anche la teoria scientifica che, svolto il suo compito storico rivoluzionario a livello mondiale e non avendo più la necessità di essere applicata per una rivoluzione sociale già avvenuta – essendo sparite le classi sociali ed estinto lo Stato – perderà il suo carattere di necessità storica per diventare semplicemente la base delle scienze umane future. Ma fino ad allora, il sistema di principi stabili e di indirizzo programmatico che la caratterizza come teoria della rivoluzione proletaria e comunista non può che essere invariante per tutto il corso storico che sboccherà nella vittoria della rivoluzione proletaria nel mondo. Si può leggere ancora nelle tesi di partito del 1952:

«La negazione materialista che un “sistema” teorico sorto a dato momento (e peggio ancora sorto nella mente e ordinato nell’opera di un dato uomo, pensatore o capo storico o tutte e due le cose insieme) possa contenere tutto il corso del futuro storico e le sue regole e principi in modo irrevocabile, non va capita nel senso che non vi siano sistemi  di principi stabili per un lunghissimo corso storico. Anzi la loro stabilità e la loro resistenza ad essere intaccati e perfino ad essere “migliorati” è un elemento principale di forza della “classe sociale” a cui appartengono e di cui rispecchiano il compito storico e gli interessi» (3). E ciò vale per ogni classe sociale che nella storia della successione delle forme di produzione ha espresso compito storico e interessi generali in grado di rappresentare lo sviluppo effettivo delle forze produttive ed una loro più  adeguata organizzazione sociale. Vale tanto più per il proletariato che è l’unica classe sociale che nella società capitalistica non possiede nulla, se non la forza lavoro, e che perciò dalla rivoluzione non ha nulla da perdere se non le proprie catene, ma ha un mondo da guadagnare, il mondo della libera espressione dei bisogni di ciascuno e della libera soddisfazione dei bisogni di tutti, il mondo in cui ciascuno darà secondo le proprie capacità ed avrà secondo i propri bisogni, in cui nessun gruppo umano avrà la necessità di vivere sull’oppressione di altri gruppi umani e nel quale il concorso di tutti gli uomini ad un piano razionale della produzione e dell’uso delle risorse naturali sarà espressione dell’armonica attività umana nella quale la maggior parte del tempo e delle energie sociali sarà dedicata alla conoscenza, alle scienze, alle arti, al gioco, all’ozio.

Il marxismo nega, d’altra parte, l’idea che nella storia vi sia progresso continuo e graduale attraverso il quale, a piccoli passi, con modeste ma continue conquiste da parte delle classi oppresse all’interno dell’involucro sociale esistente, sia possibile rivoluzionare la vecchia società. Nella storia delle società umane non esiste il «parto dolce» della nuova società, non esiste un avvicinamento per gradi, e tanto meno pacifico, alla nuova società. Secondo la stessa «scienza sociale» borghese, la storia delle società umane è una storia di lotte fra classi antagoniste, è storia di guerre e di rivoluzioni; ma la borghesia pretende, in virtù delle grandi parole con cui ha mosso le grandi masse contadine e proletarie a sostegno della sua rivoluzione: Libertà, Eguaglianza, Fraternità, di aver creato una società in grado di rimediare per virtù propria ai propri guasti, una società in grado di raggiungere sempre, grazie alla civiltà dei diritti sorretta dal continuo progresso tecnico ed economico, la conciliazione degli interessi di classe contrapposti.

La realtà non solo economica, ma sociale e politica, della società capitalistica non fa che confermare sistematicamente la tesi fondamentale del marxismo: il contrasto profondo dell’economia capitalistica che appare chiaramente nella concorrenza tra capitalisti e tra gruppi e trust capitalisti per il predominio sul mercato, va cercato nel suo modo di produzione che funziona soltanto grazie allo sfruttamento da parte del capitale del lavoro salariato cui sono costrette le grandi masse proletarie. Senza questo specifico sfruttamento del lavoro salariato il capitale non avrebbe alcuna funzione sociale, non sarebbe una forza produttiva; perciò l’emancipazione del proletariato dal lavoro salariato può avvenire solo con la distruzione del capitalismo, con la distruzione della società che si basa sul modo di produzione capitalistico rappresentato politicamente e socialmente dalla classe borghese che è classe dominante in quanto classe che detiene il potere economico, la proprietà dei mezzi di produzione e si appropria l’intera produzione sociale caratterizzando il proletario come un senza riserve, un «proprietario» della personale forza lavoro che può vivere e riprodursi solo alla condizione di essere impiegata nelle aziende del capitale.

Emanciparsi da questa condizione sociale e storica significa rivoluzionare l’intera società, distruggere il suo attuale modo di produzione e la sua attuale organizzazione politica e sociale liberando le forze produttive umane dalla prigione delle forme capitalistiche di proprietà e di dominio.

 

Continuità nel tempo e nello spazio del partito di classe, organo fondamentale dell'attuazione della teoria marxista

 

Riprendiamo, dunque, il filo del discorso mettendo un punto fermo sulla questione teorica centrale per i comunisti: il partito politico della classe del proletariato – il partito comunista – che svolge effettivamente i suoi compiti nei diversi periodi storici e nelle diverse situazioni soltanto agendo con continuità nel tempo e nello spazio e contemporaneamente sui diversi piani: teorico-programmatico, politico, tattico e organizzativo. Questa continuità dottrinale e organizzativa del partito di classe, di tutta la sua attività teorica e pratica coerente con i dettami della teoria marxista che altro non sono se non i risultati delle esperienze positive e negative delle lotte di classe del proletariato, rappresenta la sua più grande forza rivoluzionaria. Spezzare questa continuità è stato, è e sarà sempre l’obiettivo delle forze della conservazione borghese e di tutte le forze opportuniste. Difendere questa continuità, anche se ridotti a piccolo gruppo compatto, tenendoci con forza per mano sapendo perfettamente di camminare per una strada ripida e difficile (Lenin, Che fare?), è la nostra missione principale. La continuità dottrinale è intesa come partito storico, la continuità organizzativa è intesa come partito formale; nello spazio-tempo storico, la fusione di queste due metà spaiate del comunismo rivoluzionario è l’obiettivo principale della lotta delle forze produttive contro le forme capitalistiche della produzione che, in termini politici si condensa nella lotta del proletariato per la propria emancipazione dal lavoro salariato e, quindi, dal capitale. Tutta l’opera di Lenin, restauratore della teoria marxista contro le prime ondate opportuniste che portarono al tradimento della causa proletaria di fronte alla prima guerra imperialistica mondiale, e tutta l’opera di Amadeo Bordiga negli anni della vittoria della controrivoluzione staliniana, dedicata alla difesa dell’insieme della dottrina marxista e alla sua restaurazione, vanno nella stessa direzione, si fondono nel comune obiettivo di salvare e rafforzare la più grande forza rivoluzionaria del partito di classe, la sua continuità dottrinale e organizzativa. A questo compito siamo, oggi, ancora strettamente legati.

 

La teoria marxista, corpo unico e indivisibile

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Intendiamo per teoria marxista – o del comunismo rivoluzionario – ripetiamolo, l’unione organica dei risultati storici della lotta fra le classi, e in particolare della lotta fra la classe del proletariato e la classe borghese, a livello mondiale, collegati allo sbocco storico della lotta fra le classi nella più profonda rivoluzione sociale attraverso la quale ogni divisione della società in classi sarà superata e cancellata per sempre. La teoria marxista è il complesso di concetti che definiscono sinteticamente il comunismo in questo modo: «Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente»; il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente è il movimento delle forze produttive che si liberano delle forme della produzione e dello scambio che ne limitano la libera e completa espressione storica, impedendo alla società di possedere e utilizzare le sue risorse materiali e spirituali secondo un piano generale al fine di soddisfare i bisogni di vita sociale dell’umanità; in questo sta il salto dell’umanità dal regno della necessità al regno della libertà.

La teoria marxista è il risultato dialettico, e storico, «di tutto ciò che l’umanità ha creato di meglio durante il secolo XIX: la filosofia tedesca, l’economia politica inglese e il socialismo francese» (Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, Lenin, 1913).

La filosofia del marxismo è il materialismo dialettico e storico: la principale conquista della filosofia tedesca è la dialettica, «cioè la dottrina dello sviluppo nella sua espressione più completa, più profonda e meno unilaterale, la dottrina della relatività delle conoscenze umane, riflesso della materia in perpetuo sviluppo», è il contrario di ogni forma di idealismo. Il materialismo storico è teoria scientifica integrale e armonica che mostra come da una forma di vita sociale, in seguito all’accrescimento delle forze produttive, si sviluppi un’altra forma più elevata (ad esempio, dal feudalesimo al capitalismo). Come la conoscenza dell’uomo riflette la natura, che esiste indipendentemente da lui, cioè la materia in sviluppo, così la conoscenza sociale dell’uomo (ossia le diverse concezioni e le dottrine filosofiche, ecc.) riflette il regime economico della società. Le istituzioni politiche sono una soprastruttura che si erige sulla base economica» (Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, Lenin, 1913); da qui discende la formula di Amadeo Bordiga del determinismo economico.

L’economia marxista sviluppa in modo coerente e su rigorosa base scientifica (vedi Il Capitale di Marx) la teoria borghese secondo cui il valore deriva dal lavoro, dimostrando che «il valore di ogni merce è determinato dalla quantità di lavoro socialmente necessario, ovvero dal tempo di lavoro socialmente necessario alla sua produzione». «Là dove – afferma ancora Lenin (Tre fonti e tre parti integranti del marxismo) – gli economisti borghesi vedevano dei rapporti tra oggetti (scambio di una merce con un’altra), Marx scoprì dei rapporti tra uomini». Nel capitalismo tutto è merce, tutto è trasformato in valore di scambio, in denaro; lo è la stessa forza lavoro dell’uomo che viene venduta ai proprietari dei mezzi di produzione e di distribuzione, terra, fabbriche, strumenti di produzione e mezzi di comunicazione e distribuzione. «L’operaio impiega una parte della giornata di lavoro a coprire le spese del mantenimento suo e della sua famiglia (col salario), e l’altra parte a lavorare gratuitamente, creando per il capitalista il plusvalore, fonte del profitto, fonte della ricchezza della classe dei capitalisti». Il tempo di lavoro dell’operaio viene così  suddiviso in due parti: tempo di lavoro necessario alla riproduzione della sua forza lavoro, pagato con il salario, e tempo di lavoro non pagato all’operaio ma necessario al capitalista perché è il pluslavoro da cui deriva il plusvalore, il guadagno reale del capitalista che, in questo modo, estorce dal lavoro salariato il plusvalore.«La dottrina del plusvalore è la pietra angolare della teoria economica di Marx. Il capitale, creato dal lavoro dell’operaio, opprime l’operaio, rovinando i piccoli proprietari e creando un esercito di disoccupati (…) Il capitale, prendendo il sopravvento sulla piccola produzione, porta a un aumento della produttività del lavoro e crea una situazione di monopolio per le associazioni dei più grandi capitalisti. La produzione stessa diventa sempre più sociale: centinaia di migliaia e milioni di operai sono legati a un organismo economico sottoposto a un piano regolare, ma un pugno di capitalisti si appropria del prodotto del lavoro comune. Crescono l’anarchia della produzione, le crisi, la corsa sfrenata alla conquista dei mercati, l’incertezza dell’esistenza per la massa della popolazione. Accrescendo la dipendenza degli operai di fronte al capitale, il regime capitalistico crea la grande forza del lavoro unito (…) Il capitalismo ha vinto in tutto il mondo, ma questa vittoria non è che il preludio della vittoria del lavoro sul capitale» (Tre fonti e tre parti integranti del marxismo).

Col socialismo scientifico (o marxismo) si supera irreversibilmente il socialismo primitivo, il socialismo utopistico.

«Il socialismo utopistico non poteva indicare una effettiva via d’uscita. Non sapeva spiegare l’essenza della schiavitù del salario sotto il capitalismo, né scoprire le leggi del suo sviluppo, né trovare la forza sociale capace di divenire la creatrice di una nuova società» - «la base, la forza motrice di ogni sviluppo è la lotta di classe» - caratteristica tipica ed esclusiva del marxismo è «la dottrina della lotta di classe» - «Fino a quando gli uomini non avranno imparato a discernere, sotto qualunque frase, dichiarazione e promessa morale, religiosa, politica e sociale, gli interessi di queste o di quelle classi, essi in politica saranno sempre, come sono sempre stati, vittime ingenue degli inganni e delle illusioni. I fautori delle riforme e dei miglioramenti saranno sempre ingannati dai difensori del passato, fino a quando non avranno compreso che ogni vecchia istituzione, per barbara e corrotta che essa sembri, si regge sulle forze di queste o quelle classi dominanti. E per spezzare la resistenza di queste classi vi è un solo mezzo: trovare nella stessa società che ne circonda, educare e organizzare per la lotta forze che possano – e che per la loro situazione sociale debbano – spazzar via il vecchio ordine e crearne uno nuovo» (Tre fonti e tre parti integranti del marxismo, Lenin, 1913)- Queste forze sociali sono rappresentate dal proletariato che, attraverso la sua lotta di classe in difesa dei suoi interessi di classe e attraverso la guida nella lotta sul terreno immediato come, e soprattutto, sul terreno politico generale, da parte del suo partito di classe (vera e unica coscienza delle finalità della lotta di classe, e quindi della rivoluzione proletaria), assume il compito storico di spazzar via la vecchia società capitalistica e creare le condizioni per la nuova società comunista, la società di specie.

Nello sviluppo storico delle forze produttive si impone la divisione del lavoro non più spontanea, «naturale», caratteristica della produzione individuale e feudale, quindi senza un piano, ma la divisione del lavoro secondo un piano, quale era organizzata nella singola fabbrica: accanto alla produzione individuale comparve la produzione sociale; il proprietario dei mezzi della produzione sociale diventa proprietario della produzione sociale, dunque si appropria del prodotto non più del suo proprio lavoro ma del lavoro altrui, del lavoro sociale (Il socialismo, dall’utopia alla scienza, Engels, 1882). Il modo di produzione capitalistico rivoluziona il modo di produzione feudale, del servaggio, ma mantiene il precedente modo di appropriazione dei prodotti, quello privato. «In questa contraddizione – produzione sociale, appropriazione privata della produzione – che conferisce al nuovo modo di produzione il suo carattere capitalistico, risiede già in germe tutto il contrasto del nostro tempo. Quanto più il nuovo modo di produzione divenne dominante in tutti i campi decisivi della produzione e in tutti i paesi di importanza economica decisiva, e conseguentemente soppiantò la produzione individuale sino ai suoi residui insignificanti, tanto più crudamente doveva apparire l’inconciliabilità della produzione sociale e dell’appropriazione capitalistica» - questa «contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica si presentò come antagonismo tra proletariato e borghesia» (Il socialismo, dall’utopia alla scienza, Engels, 1882). Si tratta quindi di «eliminare il modo di produzione capitalistico, conservando però la produzione sociale» (Il Capitale, Libro III, Marx); nello stesso tempo, «il comunismo  si distingue da tutti i movimenti finora esistiti in quanto rovescia la base di tutti i rapporti di produzione e le forme di relazione finora esistite e per la prima volta tratta coscientemente tutti i presupposti naturali  come creazione degli uomini finora esistiti, li spoglia del loro carattere naturale e li assoggetta al potere degli individui uniti» (L’ideologia tedesca, Marx,  1846).

Il progresso della produzione industriale ha permesso la vittoria completa del capitalismo in tutto il mondo, assoggettando tutti i paesi, anche quelli economicamente arretrati, alle stesse leggi del capitale e dello scambio di mercato che governano i paesi più avanzati industrialmente. Ma la contraddizione tra produzione sociale e appropriazione privata capitalistica si presenta ora come antagonismo tra l’organizzazione della produzione nella singola fabbrica e l’anarchia della produzione nel complesso della società: la produzione di merci risponde alla legge del valore e dello scambio, ogni produzione della singola azienda tende a immettere nel mercato – che nel frattempo si è allargato da nazionale a mondiale – i propri prodotti-merci al prezzo più competitivo possibile non tenendo conto preventivamente, ma solo a produzione avvenuta, della concorrenza delle altre singole aziende e della effettiva ricettività del mercato (ossia della possibilità di vendita della quantità di prodotti-merci immessi di volta in volta nel mercato). L’antagonismo tra organizzazione della produzione nella singola fabbrica e anarchia della produzione nella società fa da base alla lotta di concorrenza tra aziende, gruppi d’ aziende, Stati nel mercato mondiale, ma «l’espansione dei mercati non va di pari passo con quella della produzione» che è molto più veloce, per cui la «collisione diviene inevitabile e poiché non può presentare nessuna soluzione sino a che non manda in pezzi lo stesso modo di produzione capitalistico, diventa periodica»; la produzione capitalistica genera periodicamente la crisi che, con lo sviluppo del capitalismo, diventa crisi di sovrapproduzione. «Nelle crisi la contraddizione tra produzione sociale e appropriazione capitalistica perviene allo scoppio violento. La circolazione delle merci è momentaneamente annientata; il mezzo della circolazione, il denaro, diventa un ostacolo per la circolazione; tutte le leggi della produzione e della circolazione delle merci vengono sovvertite. La collisione economica raggiunge il punto culminante: il modo della produzione si ribella contro il modo dello scambio» (Il socialismo, dall’utopia alla scienza, Engels).

Con la crisi capitalistica diventano più evidenti le condizioni di soggezione e di vera e propria schiavitù salariale in cui è costretto a vivere il proletariato. E’ la forza motrice dell’anarchia sociale della produzione che trasforma sempre più la grande maggioranza degli uomini in proletari; a loro volta sono le masse proletarie che metteranno fine, a condizioni storiche mature, all’anarchia della produzione. La concorrenza capitalistica spinge i capitalisti a perfezionare le macchine della grande industria generando una continua rincorsa per ogni capitalista a perfezionare le proprie macchine che, in realtà, significa rendere superfluo una certa quantità di lavoro umano. «Se l’introduzione e l’aumento del macchinario significa soppiantare milioni di operai manuali con pochi operai addetti alle macchine, il miglioramento del macchinario significa soppiantare un numero sempre crescente di operai, essi stessi addetti alle macchine, e in ultima analisi creare una massa di salariati disponibili superiore alla quantità media di unità che il capitale ha bisogno di occupare: creare cioè un vero esercito di riserva industriale disponibile per i tempi in cui l’industria lavora ad alta pressione, gettato sul lastrico nella crisi che necessariamente segue. In tutti i tempi,  palla di piombo al piede della classe operaia nella sua lotta per l’esistenza col capitale, regolatore che serve a tener il salario a quel basso livello che è adeguato alle esigenze dei capitalisti» (Il socialismo, dall’utopia alla scienza, Engels).

La classe dei capitalisti non ha alcuna possibilità di modificare il modo di produzione capitalistico che funziona e agisce socialmente secondo leggi di sviluppo storico in forza delle quali l’espansione delle forze produttive si scontra periodicamente con la più limitata espansione delle forme della produzione e dello scambio; le crisi economiche e sociali di sovrapproduzione (sovrapproduzione di prodotti-merci, sovrapproduzione di capitali, sovrapproduzione di forza lavoro salariata) che si ripetono ciclicamente, con sempre più forza distruttiva e a livello mondiale, dimostrano il fallimento economico, politico e intellettuale della borghesia che, dipendendo essa stessa dalle leggi del mercato capitalistico che dominano l’intera società come fossero leggi «naturali» (la produzione capitalistica si rivolge esclusivamente a coloro che hanno risorse in denaro per acquistare i prodotti-merci, ossia ai «consumatori»), «è impotente davanti alla assurda contraddizione che i produttori non hanno niente da consumare perché mancano i consumatori» (Il socialismo, dall’utopia alla scienza, Engels).

Riassumendo, dal testo di Engels:

-   1. Con il capitalismo, la produzione è diventata un atto sociale, mentre l’appropriazione (dei mezzi di produzione e dei prodotti) rimangono atti individuali, atti del singolo come era nelle società precedenti, feudale, asiatica, schiavistica: il prodotto sociale se lo appropria il capitalista singolo, direttamente o attraverso le società per azioni, i trust o lo Stato centrale. Questa è la contraddizione fondamentale da cui sorgono tutte le contraddizioni della società borghese e che gli sviluppi della grande industria, della concentrazione e della centralizzazione capitalistica non fanno che mettere ancor più in evidenza.

-   2. Separazione del prodotto dai mezzi di produzione, e condanna dell’operaio, del proletario moderno, del senza-riserve, al lavoro salariato per tutta la vita. Lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitalista consiste nell’estorsione del pluslavoro (tempo di lavoro non pagato) che origina il plusvalore (contenuto nelle merci messe in vendita) e che genera il profitto capitalistico. Da questo rapporto tra forza lavoro costretta al lavoro salariato e appropriazione privata del prodotto da parte dei capitalisti nasce l’antagonismo di classe tra proletariato e borghesia.

-   3. Lo sviluppo dell’economia capitalistica, che si basa sulla forma aziendale della produzione e dello scambio, genera la lotta di concorrenza sui mercati, prima a livello nazionale e poi a livello mondiale, lotta che, con l’espansione economica e finanziaria del capitalismo, si fa sempre più sfrenata e acuta, mettendo in evidenza la contraddizione tra l’organizzazione sociale nella singola azienda e l’anarchia sociale nel complesso della produzione. E’ il mercato, ossia la possibilità di vendita dei prodotti-merci, la società delle merci, la società dei consumatori, che «decide» quantità, qualità e varietà della produzione vendibile, e non le necessità di vita della società umana. La «domanda del mercato» si scontra con «l’offerta delle aziende».

-   4. Lo sviluppo del capitalismo rivoluziona costantemente tecnica e macchinari della produzione, e la concorrenza costringe ogni singolo capitalista ad adeguare il suo apparato produttivo con perfezionamenti successivi; tale adeguamento, soprattutto di fronte alle crisi di mercato, equivale a sempre crescente licenziamento di operai: a fianco dell’esercito di forza lavoro salariata impiegato nella produzione e nella circolazione delle merci si forma l’esercito industriale di riserva, l’esercito dei disoccupati. L’estensione illimitata della produzione capitalistica si scontra con la limitazione del mercato dei consumatori: sviluppo inaudito delle forze produttive, eccedenza dell’offerta sulla domanda, sovrapproduzione, ingorgo dei mercati, crisi: qua eccedenza di mezzi di produzione e di prodotti, là eccedenza di operai senza occupazione e senza mezzi di sussistenza. Questa sovrapproduzione di merci e sovrapproduzione di operai mette ciclicamente in crisi la società capitalistica, dimostrando così come la classe dominante borghese è incapace di continuare a dirigere le proprie forze produttive sociali. La contraddizione rivela che il modo di produzione capitalistico si ribella contro la forma dello scambio capitalistico, contraddizione che la borghesia cerca di contrastare col mezzo della distruzione delle eccedenze di mercato: merci prodotte in eccesso rispetto alla domanda di mercato, forza lavoro in eccesso rispetto ai bisogni della produzione capitalistica, dunque, alla fine del ciclo delle crisi, la guerra che è l’unica «soluzione» per permettere ai cicli di produzione capitalistica di riprendere il loro corso. «Con quale mezzo la borghesia supera le crisi? Da un lato, con la distruzione coatta di una massa di forze produttive; dall’altro, con la conquista di nuovi mercati e con lo sfruttamento più intenso dei vecchi. Dunque, con quali mezzi? Mediante la preparazione di crisi più generali e più violente e la diminuzione dei mezzi per prevenire le crisi stesse» (Manifesto del Partito Comunista, Marx-Engels, 1848).

-   5. Lo sviluppo delle contraddizioni del capitalismo, lo sviluppo della lotta di concorrenza fra capitalisti, porta la classe dominante borghese a riconoscere almeno parzialmente il carattere sociale della produzione, e quindi delle forze produttive. Le aziende si associano per affrontare la concorrenza da posizioni più forti, nascono le società per azioni, i trust; infine, lo Stato centrale interviene direttamente nei settori economici più importanti e decisivi. In questo modo la borghesia dimostra di essere una classe superflua, una classe parassitaria, dato che tutte le funzioni sociali nella produzione, nella circolazione delle merci, nell’amministrazione aziendale e statale sono compiute da impiegati stipendiati.

-   6. La classe borghese ha dimostrato storicamente di non essere in grado di risolvere le contraddizioni della propria società, anzi, ha dimostrato di acutizzarle in una spirale sempre più stretta. La classe borghese, dalla sua prima fase rivoluzionaria nella lotta contro la vecchia società feudale o asiatica è passata, attraverso la conquista capitalistica del mondo intero, alla fase conservatrice e riformatrice, per poi giungere alla sua fase reazionaria. Il capitalismo, nelle sue differenti fasi di sviluppo, è giunto alla sua fase ultima, al suo ultimo stadio, l’imperialismo, ossia la fase in cui le forze produttive mondiali vengono sempre più concentrate sotto il dominio di pochi centri economico-finanziari che estendono i propri interessi in tutti i continenti assoggettando ai propri interessi sia centri statali sempre più militarmente organizzati a difesa di quegli interessi, sia masse sempre più vaste di proletari di tutti i paesi. Il capitalismo, e gli Stati che ne difendono l’esistenza e gli interessi, si ergono di fronte al proletariato, in tutti i paesi, come l’antagonista cui assoggettarsi o contro cui combattere una guerra per la vita o per la morte.

-   7. La classe borghese non può sopravvivere nei privilegi e nel dominio sociale se non sfruttando sempre più intensamente la forza lavoro salariata, se non creando condizioni di crisi più profonde e violente ogni volta che tenta di superare le crisi cicliche cui il suo modo di produzione è storicamente condannato. Il proletariato, costretto al lavoro salariato, a vivere nella miseria crescente, ad essere gettato sul lastrico ogni volta che «il mercato non tira più», non sopravvive se non lotta contro la pressione e la repressione dei singoli capitalisti e della classe dominante borghese nel suo complesso che, attraverso la forza dello Stato borghese centrale, mantiene il proletariato soggiogato alle sue leggi. Il proletariato non sopravvive se non lotta ogni giorno contro i capitalisti; ma questa lotta, che ad un certo grado di sviluppo diventa lotta della classe proletaria contro la classe borghese, pone storicamente la possibilità di risolvere tutte le contraddizioni sociali condensate nella società capitalistica. E la soluzione è nella conquista del potere politico centrale per mezzo della rivoluzione: come la borghesia ha conquistato il potere, abbattendo quello feudale,  per eliminare tutti i vincoli politici e sociali che non permettevano all’economia capitalistica di espandersi liberamente in tutto il mondo, decretando in questo modo il proprio dominio sull’intera società piegata ai suoi interessi di classe, così il proletariato dovrà esso stesso conquistare il potere politico per permettere alle forze produttive sociali di espandersi liberamente non più costrette dai vincoli delle forme della produzione e dell’appropriazione privata dei prodotti da parte della classe borghese, e volgere la finalità della produzione sociale e della circolazione dei prodotti non più verso il mercato, ma verso la soddisfazione dei bisogni di vita e di sviluppo materiale e spirituale della specie umana.

-   8. Il movimento di classe del proletariato, attraverso avanzate e rinculi, sviluppi accelerati e indietreggiamenti dalle posizioni conquistate in forza di rapporti di forza sfavorevoli, tende in ogni caso, storicamente, a porre il problema della conquista del potere politico. Tale conquista non può avvenire che attraverso la rivoluzione proletaria con la quale il proletariato, organizzato e diretto dal partito di classe, il partito comunista rivoluzionario, esclude dal potere le classi borghesi, le mezze classi e i residui delle vecchie classi sociali, abbatte lo Stato borghese e distrugge tutte le istituzioni borghesi centrali e periferiche, instaura la dittatura proletaria che viene esercitata dal partito comunista rivoluzionario, trasforma i mezzi di produzione sociale in proprietà pubblica nella prospettiva di trasformare il modo di produzione capitalistico in modo di produzione socialista e, poi, comunista. In questo modo i mezzi di produzione e i prodotti vengono liberati dal carattere di capitale che essi avevano e si dà al loro carattere sociale la piena libertà di esplicarsi; i mezzi di produzione e i prodotti perdono il loro valore di scambio e acquisiscono pienamente soltanto il loro valore d’uso. Lo stesso sviluppo della produzione sociale non più vincolata al carattere di merce, e quindi di capitale, rende anacronistico, del tutto superfluo l’ulteriore esistenza di classi sociali distinte e antagoniste. Nella misura in cui scompare l’anarchia della produzione sociale viene meno anche l’autorità politica dello Stato che si estingue perché è diventato del tutto inutile: quando non vi è più una classe dominante e classi dominate, non vi è più la necessità di un organismo di dominio,di repressione, che centralizzi la forza per difendere il dominio di una classe su tutte le altre. La società si caratterizza quindi non come società di merci, di capitali, di consumatori, non più come società divisa in classi, ma come società di specie, in cui i rapporti armonici fra gli uomini si prolungano in rapporti armonici  con la natura; la produzione sociale sarà conforme ad un piano prestabilito organicamente collegato alle esigenze di vita e di sviluppo della società umana e in rapporto con le forze della natura che finalmente l’uomo conoscerà e dominerà. Gli uomini, finalmente padroni della forma loro propria di organizzazione sociale, diventano perciò ad un tempo padroni della natura, padroni di se stessi, liberi.

-   9. Compiere questa azione di liberazione universale è la missione storica del proletariato moderno, è il risultato storico della lotta per l’emancipazione del proletariato dalla condizione di schiavo salariato. Studiare a fondo le condizioni storiche e conseguentemente la natura stessa e dare così alla classe, oggi oppressa e chiamata all’azione, la coscienza delle condizioni e della natura della sua propria azione è il compito del socialismo scientifico, espressione teorica del movimento proletario.

 

La situazione presente di perdurante assenza della lotta di classe proletaria, di inesistente organizzazione classista delle masse proletarie sul terreno della difesa economica e sociale immediata, di incontrastato dominio dispotico del potere borghese, ha portato e porta molte tendenze che si richiamano al comunismo e al marxismo a dubitare fortemente della validità dell’insieme della dottrina marxista. Rivendicarne l’invarianza appare come posizione astratta, se non settaria, come una posizione che invece di «guardare avanti», verso il futuro, rivolga lo sguardo «al passato» rimpiangendo con nostalgia il tempo ormai andato.

Tutto l’enorme lavoro di interpretazione dei fatti storici di Russia – nodo centrale indiscutibile per qualsiasi tendenza politica che voglia cimentarsi con il comunismo rivoluzionario – e dello sviluppo del capitalismo mondiale attraverso le sue crisi cicliche, le sue guerre, i suoi contrasti di carattere economico e imperialistico, fatto dal nostro partito di ieri al quale ha contribuito in modo decisivo il compagno Amadeo Bordiga, dimostra in realtà che il metodo marxista è l’unico in grado di leggere la storia, di prevedere lo sviluppo del capitalismo e delle sue crisi, di prevedere nello stesso tempo l’andamento necessario della lotta di classe fra il proletariato e la borghesia. A noi, comunisti rivoluzionari, basta questa dimostrazione per rafforzare la nostra certezza nello sbocco rivoluzionario al quale inevitabilmente il corso storico delle lotte sociali condurrà.

Il tempo delle rivoluzioni, come quello delle controrivoluzioni, non è misurabile in decenni, anche se i comunisti rivoluzionari hanno sempre «visto» la rivoluzione più vicina di quel che poi la storia delle contraddizioni sociali e delle lotte fra le classi effettivamente decretava. In realtà, i fattori economici oggettivi – che costituiscono la base della società divisa in classi – sono già giunti ad una loro maturazione storica tale da non essere più in grado di generare progresso economico per la stragrande maggioranza delle popolazioni che abitano la terra, e che perciò storicamente sono reazionari; essi hanno già espresso il massimo di progresso sociale possibile sotto il capitalismo e la loro persistenza – dovuta al solo ed esclusivo dominio politico e militare della classe borghese a livello internazionale – corrisponde soltanto ad una sempre più acuta oppressione da parte borghese delle masse proletarie del mondo, ad un sempre più esteso e profondo depauperamento delle energie sociali e naturali.

Ma le forze sociali reagiscono storicamente con movimenti repentini, determinati da un accumulo di energia sociale che, ad un certo punto di tensione delle contraddizioni sociali, esplode rimettendo in discussione tutti i fattori di dominio economico e politico che fino a quel momento mantenevano quelle formidabili forze sotto controllo. Il partito di classe è l’organo rivoluzionario che conosce in anticipo lo sbocco politico e sociale di quelle esplosioni, e si prepara di lunga mano a quell’appuntamento storico affinché la forza che il movimento proletario metterà in campo, in quei rari ma decisivi svolti storici, sia indirizzata verso lo sbocco rivoluzionario. Il compito del partito di classe, nella sua critica teorica e nelle sue battaglie di classe contro le variegate tendenze opportuniste – attività che svolge in tutto il lungo periodo di controrivoluzione e di depressione della lotta di classe – è di farsi trovare pronto, come lo fu il partito bolscevico di Lenin nel 1917, alla guida del movimento rivoluzionario del proletariato. Questo non succederà mai se il partito di classe cede sul fronte della continuità dottrinale e se corteggia la democrazia borghese inserendone concetti e prassi nel suo programma, nella sua tattica e nei suoi principi organizzativi.

E’ logico che, nella sconfitta del suo movimento di classe, il proletariato sia soggiogato dalle forze opportuniste e della conservazione sociale e che il partito di classe sia ridotto a pochissimi elementi. Ma non saranno mai le posizioni legalitarie, democratiche, operistiche o nazionalcomuniste, che indubbiamente hanno più facilità di influenza sulle masse proletarie sconfitte che non le posizioni intransigentemente comuniste rivoluzionarie, a facilitare il riavvicinamento dei proletari alla loro ripresa di classe nella lotta immediata come nella lotta politica più generale. La rottura con tutto ciò che rappresenta la conservazione sociale e la collaborazione di classe col nemico borghese è l’unico segnale che può indicare la ripresa della lotta di classe proletaria e, quindi, la possibilità reale di influenza da parte del partito proletario che non abbia ceduto sul fronte della continuità dottrinale marxista e organizzativa.

Fa parte della teoria marxista «tutto quanto riguarda l’ideologia del partito, la natura del partito e i rapporti tra il partito e la sua propria classe proletaria, che si riassumono nella ovvia conclusione che solo col partito e con l’azione del partito il proletariato diventa classe per se stesso e per la rivoluzione» (Considerazioni sull’attività organica del partito quando la situazione generale è storicamente sfavorevole,  A. Bordiga, 1965).

La teoria marxista contiene, nello stesso tempo, il fine storico del rovesciamento rivoluzionario del potere politico della borghesia e del suo Stato da parte del proletariato attraverso «la lotta politica ed un organo politico della classe rivoluzionaria, il partito comunista (…) la guerra civile e la insurrezione armata con cui una classe rovescia il potere della opposta classe dominante e istituisce il proprio» (Considerazioni, 1965) – «lotta che non può avere successo senza essere diretta dalla organizzazione del partito di classe» -  l’instaurazione della dittatura di classe del proletariato e dello Stato proletario esercitata apertamente e unicamente dal partito di classe, la lotta rivoluzionaria mondiale del proletariato contro la classe borghese ed ogni residuo delle vecchie classi a difesa del potere politico conquistato e in lotta per conquistarlo in tutto il mondo, la trasformazione economica della società capitalistica in società socialista e, successivamente, in società comunista, la sparizione delle classi e l’estinzione dello Stato per aprire alla società umana la strada della società senza classi, della società di specie.

Per il suo contenuto del tutto originale ed unico, la teoria marxista è completamente diversa da qualsiasi altra teoria esistita finora, filosofica, economica, politica, storica o scientifica. La teoria marxista è la scienza delle società umane nel loro accidentato e millenario corso di sviluppo storico che collega «l’ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell’uomo sociale» (Considerazioni, 1965).

La teoria marxista presiede ogni linea programmatica, politica, tattica e organizzativa del partito di classe che ha il compito di diffonderla ed «importarla» (Lenin) nel movimento proletario agendo sui diversi piani della critica teorica e politica, della propaganda, dell’attività di intervento nelle lotte parziali e immediate del proletariato, del proselitismo.

 

(1. continua)

 


 

(1)   Vedi Lenin, Stato e rivoluzione, 1917, cap. I, § 1, p. 59, Ed. Riuniti, Roma 1970.

(2)   Cfr. Riunione di Milano, 7 settembre 1952, I. La «invarianza» storica del marxismo, pubblicato nella rivista Sul filo del tempo, maggio 1953. Ora in Per l’organica sistemazione dei principi comunisti, n. 6 dei testi del partito comunista internazionale. Ivrea 1973, p. 19.

(3)   Ibidem, p. 20.

(4)   Ibidem, p. 20.

(5)   Ibidem, p. 19.

 

 

Partito comunista internazionale

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