Amadeo Bordiga nel cammino della rivoluzione

(«il comunista»; N° 118; Ottobre 2010)

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Il 23 luglio 1970 moriva, a Formia, Amadeo Bordiga.

I vecchi compagni che l'hanno conosciuto ed hanno diviso con lui il tenace sforzo nell'opera di restaurazione teorica del marxismo e della ricostituzione del partito quale organo indispensabile non solo per la preparazione rivoluzionaria del proletariato, ma per guidarlo nella rivoluzione, nella conquista del potere politico, nell'instaurazione e nell'esercizio del potere della dittatura proletaria e nel sostegno della rivoluzione proletaria in tutti i paesi del mondo, hanno ricevuto oggettivamente nelle proprie mani una consegna: dare continuità a quel formidabile lavoro militante al quale sono chiamati tutti i compagni - pochi, pochissimi o tanti, a seconda delle fasi storiche della lotta fra le classi - che, spinti materialisticamente da forze sociali e storiche che oltrepassano la meschina vita individuale di ogni uomo,  si mettono a disposizione di un processo storico rivoluzionario che obbliga a "rinnegare, strapparsi dalla mente e dal cuore la classificazione in cui lo iscrisse l'anagrafe di questa società in putrefazione, e vede e confonde se stesso in tutto l'arco millenario che lega l'ancestrale uomo tribale lottatore con le belve al membro della comunità futura, fraterna nella armonia gioiosa dell'uomo sociale". Questa definizione del compagno militante comunista e rivoluzionario che ricaviamo da uno dei tanti testi di partito vergati dalla mano di Amadeo ma prodotti da un lavoro militante della collettività-partito, rappresenta perfettamente quel che è stato Amadeo fin dai suoi primi passi nel Circolo Marx di Napoli, nel lontano 1912, caratterizzati dalla lotta contro la guerra italiana in Libia, contro il culturalismo attraverso il quale il PSI subiva l'influenza ideologica degli intellettuali borghesi, contro la massoneria, l'elettoralismo e il bloccardismo con i quali il PSI dissipava le potenzialità rivoluzionarie del proletariato italiano.

La corrente politica "di sinistra", in un primo periodo "socialista" (identificata poi con l'astensionismo) e poi "comunista", è la corrente che svolgeva in Italia l'attività di partito più intransigente sulla linea del marxismo, con saldezza teorica e coerenti linee politiche e tattiche che giustamente fecero affermare in seguito a Bordiga che il comunismo, in Italia, nacque adulto. Ciò diede la possibilità pratica alla Sinistra comunista d'Italia, nel primo dopoguerra, di trovarsi perfettamente allineata, pur senza essere ancora entrati in contatto fra di loro, con  col bolscevismo nelle posizioni fondamentali sul partito, sulla guerra, sulla rivoluzione, sulla dittatura proletaria e nella lotta spietata contro ogni variante opportunista.

Amadeo Bordiga, insieme a molti altri compagni militanti della Sinistra comunista d'Italia meno noti, ha proseguito nel filo del tempo a rappresentare una continuità di teoria e di prassi con il marxismo e con le esperienze storiche del movimento proletario e comunista internazionale, negli anni gloriosi della rivoluzione d'Ottobre e del primo periodo dell'Internazionale Comunista, negli anni della costituzione del Partito Comunista d'Italia e della sua direzione, negli anni dei grandi dibattiti sulle tesi politiche e tattiche che dovevano armare teoricamente, politicamente, tatticamente e organizzativamente i partiti comunisti aderenti alla più alta conquista politica che la storia del movimento proletario e marxista poteva in quel periodo permettere: l'Internazionale Comunista come partito comunista mondiale.

La controrivoluzione borghese a livello mondiale, attraverso l'opportunismo socialdemocratico e, successivamente, lo stalinismo, prima riuscì a fermare l'ascesa rivoluzionaria del proletariato europeo, in Germania, in Ungheria, in Italia, in Francia e dal 1926-27 in Inghilterra e in Cina, e poi a far rinculare il movimento proletario nelle forme più spregevoli del riformismo e del nazionalismo nelle quali si innestò il fascismo come risposta borghese e imperialistica più netta ed efficace al pericolo rivoluzionario occorso nei lunghi anni del primo dopoguerra aperto dalle formidabili lotte del proletariato tedesco e dalla vittoriosa rivoluzione bolscevica in Russia. Ma non bastò il fascismo per piegare e schiacciare le forze proletarie e i giovani partiti comunisti europei. Ci volle l'esperienza accumulata nei cinquantenni di sviluppo capitalistico dalla democrazia borghese, vecchia baldracca sempre in grado di rinnovarsi, per riconsegnare il proletariato europeo e americano alle illusioni di emancipazione da ottenere attraverso politiche e metodi riformisti di volta in volta vestiti da "comunisti", "rivoluzionari", "progressisti" e, naturalmente, sempre "nuovi". Democrazia borghese, liberale e parlamentare da una parte, fascismo e nazionalsocialismo da un'altra parte e stalinismo da un'altra parte ancora: le forze di classe del proletariato furono alla fine vinte perché sottoposte ad una guerra di classe che la borghesia mondiale ha sferrato contemporaneamente su tutti i piani e da tutti i lati: economico, sociale, ideologico, politico, organizzativo, militare.

La borghesia non cederà mai il potere pacificamente né accetterà la sconfitta se il potere lo perde in qualche paese perché le forze proletarie rivoluzionarie lo abbattono sostituendolo col proprio. Trostsky, quando era a capo dell'Armata rossa, sosteneva che la borghesia, in situazione di grave pericolo e sconfitta storica, è in grado di decuplicare le proprie forze di resistenza e di contrattacco in quanto, pur avendo il proletariato vinto la rivoluzione, conquistato il potere politico e iniziato - attraverso la dittatura di classe esercitata dal partito comunista rivoluzionario - ad intervenire dispoticamente su tutte le sovrastrutture della società, la struttura economica, cioè il modo di produzione sociale capitalistico non può essere sostituito di colpo col nuovo modo di produzione socialista e, successivamente, comunista; ciò materialmente fornisce costantemente la base perché si ricrei una rete di interessi borghesi che preme sullo stesso potere proletario, e fa da punto d'appoggio per l'attacco al nuovo Stato proletario da parte delle borghesie ancora al potere nel resto del mondo. Motivi, questi, sufficienti per giustificare la necessità della ferrea disciplina della dittatura proletaria, della salda coesione politica del partito comunista rivoluzionario, dell'uso di tutta la necessaria violenza, anche terroristica, nei confronti delle classi  borghesi vinte, dell'internazionalismo proletario come risposta alla controrivoluzione borghese.

E' proprio in collegamento con l'esperienza storica delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni che l'opera di restaurazione teorica intrapresa dalla Sinistra comunista d'Italia non poteva non mettere al centro della critica marxista la democrazia borghese e le diverse varianti dell'opportunsimo che hanno infestato il movimento proletario mondiale deviandolo per molti decenni dalla giusta rotta storica della lotta per l'emancipazione dal lavoro salariato e dal capitale. Amadeo animò questo lavoro come nessun altro non appena gruppi e compagni singoli provenienti dalla Sinistra comunista e forzatamente dispersi, sparpagliati e confusi a causa della schiacciante vittoria controrivoluzionaria del fascismo e dello stalinismo, riuscirono a porsi sulla linea che da Marx-Engels va a Lenin, alla fondazione dell'Internazionale Comunista e del Partito Comunista d'Italia del 1921; sulla linea che dalle battaglie di classe della Sinistra comunista contro la degenerazione dell'Internazionale, contro la teoria del socialismo in un paese solo e la controrivoluzione stalinista, contro i fronti popolari e i blocchi partigiani e nazionali, va alle battaglie di classe per la restaurazione del marxismo autentico in tutta la sua monolitica dottrina e per la ricostituzione dell'organo rivoluzionario per eccellenza - il partito di classe - a stretto contatto con la classe operaia e fuori del politicantismo personale ed elettoralesco (vedi il Distingue il nostro partito, che ha sintetizzato fin dal 1952 la continuità della linea politica dell'organizzazione cui apparteniamo).

Sulla controrivoluzione staliniana e sui continui assalti dell'opportunismo alla teoria e al programma politico del marxismo, Amadeo diede voce, sia nelle riunioni generali di partito che negli scritti pubblicati nella stampa di partito, prima in italiano e poi in francese, ad un bilancio dinamico e critico che abbiamo sempre considerato indispensabile per tracciare la rotta che il partito avrebbe dovuto seguire dalla sua costituzione organizzativa, omogenea e unitaria, in poi.

I riferimenti che potremmo elencare sono davvero molti, e spesso l'abbiamo fatto. Qui basterà ricordare - rimandando in ogni caso al filo initerrotto delle battaglie di classe rintracciabile in tutti gli scritti di Amadeo dal 1912 alla costituzione del PCdI nel 1921, dai molteplici interventi e contributi dati per le Tesi di Roma del 1922 e di Lione del 1926 come per le Tesi sulla tattica dell'Internazionale e sul fascismo - alcuni testi del secondo dopoguerra come  il Tracciato d'impostazione, le Lezioni delle controrivoluzioni, le Tesi caratteristiche del partito, la Struttura economica e sociale della Russia d'oggi, il Corso del capitalismo mondiale nell'esperienza storica e nella dottrina di Marx e, non ultima, la lunga serie degli articoli di critica alle più diverse varianti dell'opportunismo intitolata Sul filo del tempo.

Indiscutibilmente, l'apporto di Amadeo Bordiga a ritracciare la giusta rotta marxista dopo la catastrofe della controrivoluzione staliniana, è stato decisivo. La funzione del capo, che Amadeo ha così ben tratteggiato nei confronti di Lenin nella Conferenza del 1924 commemorandone la morte e mettendone in evidenza soprattutto l'inflessibile integrità dottrinaria e la grande capacità dialettica, vale anche per lui.

Nel prossimo numero del giornale riprenderemo il seguito degli articoli della serie: Amadeo Bordiga nel cammino della rivoluzione, ma qui ora vogliamo riprodurre  l'articolo che uscì subito dopo la sua morte, nel n. 14 del 31 luglio 1970 dell'allora giornale di partito "il programma comunista", intitolato appunto Una milizia esemplare al servizio della rivoluzione. In questo articolo, scritto di getto e appassionato, si riconobbe tutto il partito, senza eccezioni. Vogliamo, nello stesso tempo, ricordare che questo articolo fu scritto da Bruno Maffi che, con grande responsabilità, prese in mano, a nome del partito, la consegna che Amadeo trasferiva alle generazioni più giovani affinché il lavoro di partito non andase perduto e potesse, invece, essere effettivamente la base non solo di teoria ma anche di prassi per il partito potente e compatto di domani.

Il partito, in quegli stessi anni, stava subendo la pressione di posizioni devianti che sfoceranno in una grave crisi interna, nel 1973, detta "crisi fiorentina" perché innestata dalle posizioni metafisico-volontariste espresse dalla maggioranza di quella sezione; ed altri assalti opportunistici contro le corrette posizioni della Sinistra comunista e contro il partito caratterizzeranno tutto il decennio degli anni Settanta fino a sfociare nella più grave e profonda crisi interna del 1982-84 che mandò in frantumi l'intera rete organizzativa internazionale.

Non sono né la inesistente "coscienza di classe" dei singoli militanti, magari più dotati e preparati teoricamente, né la loro personale volontà a "garantire" la continuità delle posizioni del marxismo e della Sinistra comunista, ma è la costante partecipazione al lavoro di partito, svolto nella continuità delle posizioni e difeso su questa rotta, a dare ai singoli compagni la forza di resistere ai cedimenti opportunistici - soprattutto in un periodo prolungato di grande depressione del movimento di classe del proletariato.

Ribadendo questo, mentre ricordiamo la grande dedizione e il grande contributo che Bruno ha dato al lavoro di partito, nella responsabilità centrale di direzione del partito, a fianco di Amadeo finchè in vita, non possiamo non ribadire la più ferma critica delle posizioni dapprima oscillanti e poi del tutto deviate e deviazioniste dalla linea del partito sopra ricordata, che Bruno assunse e rappresentò durante e dopo la crisi interna del 1982-84, capeggiando il gruppo che si impossesserà della testata del partito "il programma comunista"con un'azione legale.

Questo gruppo teorizzerà 1) la crisi di partito come risultato dell'infiltrazione di una "cricca" che aveva lo scopo di distruggere il partito, 2) l'impossibilità di fare un bilancio delle crisi di partito a crisi appena avvenuta, denunciando anzi la sua dannosità e 3) la volontaria limitazione dell'attività del gruppo nei confini nazionali italiani allo scopo di "rafforzarsi" numericamente e politicamente per poi "espandersi" all'estero!

La caduta di questo gruppo nel personalismo e in posizioni lontane anni luce dalla tradizione della Sinistra comunista, era evidente. Gli errori del partito non andavano addossati ad una pretesa "cricca" di liquidazionisti entrata per distruggerlo, e non andavano addossati al capo di turno, Bruno o altri compagni del Centro.

Il bilancio degli errori e, soprattutto, delle crisi del partito è una necessità vitale per il partito rivoluzionario, e la dimostrazione la diedero nel corso del tempo proprio la Sinistra comunista e lo stesso Amadeo (che cosa sono le Tesi del partito se non un continuo bilancio della sua azione, della sua prassi e della sua coerenza e omogenità rispetto alla teoria marxista e al programma del comunismo rivoluzionario?); negare validità al bilancio delle crisi del partito significa negare al partito la possibilità di correggere i propri errori. Limitare poi l'attività politica del partito comunista internazionale ad una sola "nazione", in questo caso l'Italia - eretta arbitrariamente a sede privilegiata della Sinistra comunista - abbandonando i legami e le responsabilità politiche nei confronti dei compagni di altri paesi colpiti dalla stessa crisi interna, è decretare la liquidazione definitiva del partito facendosi inghiottire dal localismo e dal campanilismo, queste sì caratteristiche tipicamente italiane.  

Come già successe nel 1952, all'epoca della prima grande scissione dalla quale nacque il nostro partito, che si identificò nella nuova testata "il programma comunista" perché la vecchia testata "battaglia comunista" fu carpita al partito con un'azione legale vantando una fittizia  propietà commerciale che vale solo per gli imprenditori borghesi, nella crisi del 1982-84 Bruno e il suo gruppo ripercosero gli stessi errori ai quali non si poteva rispondere che con le stesse parole del 1952: far valere contro il partito, contro la sua continuità ideologica ed organizzativa e contro il suo giornale, e beninteso dopo averla carpita, una fittizia proprietà commerciale esistente solo nella formula burocratica che la legge impone, equivale a far sì che quelli che se ne sono avvalsi non potranno più venire sul terreno del partito rivoluzionario.

Ed ora, l'articolo del 1970.

 

 

 

Una milizia  esemplare al servizio della rivoluzione

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Tradiremmo il gigantesco patrimonio teorico e di milizia pratica che Amadeo Bordiga ci ha trasmesso con dedizione eroica, riportandolo giorno per giorno alla luce dalla vena di puro diamante del marxismo e da un solco continuo di ciclopiche battaglie proletarie, se a queste prime e povere righe in sua memoria scritte nel tormento per la sua scomparsa dessimo il carattere del panegirico verso la persona, per quanto di rara statura, o dell’omaggio fugace all’uomo, per quanto legato a noi da vincoli molto più tenaci di quelli che si forgiano nel breve arco di una vita. Il suo insegnamento è stato ben diverso e ben più alto - e ci è venuto dalla sua stessa vita di severa rinunzia a tutto ciò che uscisse da quella vena e si discostasse da quel solco; ci viene perfino dalla sua morte sommessa di militante che chiude la sua lunga e diuturna battaglia avendo dato tutto e non avendo mai chiesto nulla.

Egli stesso nel 1924, commemorando Lenin ha dettato non la orazione funebre a se stesso, ma le parole che ad ogni militante, grande o piccola che sia stata la sua funzione nel movimento, devono essere rivolte quando l’inesorabile legge della vita e della morte l’abbia stroncato. Diamogli ancora una volta la parola, come gliel’abbiamo data in tanti anni affidandoci a lui come a quella che egli amava impersonalmente chiamare «la sonda», e ben sapendo che dovevamo affidarci ad essa perché era la voce di un passato luminoso in uno squallido presente; diamogliela per sentirci ancora una volta tutti uniti - come nelle riunioni generali ch’egli inaugurò e condusse avanti fino a spendervi l’ultima goccia di energia -, tutti uniti dal vincolo ininterrotto fra lo ieri, l’oggi e il domani, alla cui salvaguardia egli ha sacrificato tutta la vita cercando di insegnarci che solo esso vale, perché è di una forza che non ha nome di persona, non appartiene individualmente a nessuno, non ha e non deve avere i segni infami della proprietà, vive e deve vivere al di là del cerchio angusto dell’io.

«Il colosso, e non da ieri, ha abbandonato l’opera sua. Che cosa significa questo per noi? Qual è il posto della funzione dei capi nell’insieme del nostro movimento e del modo con cui lo giudichiamo?» si domandava nella conferenza del 1924, pensando a Lenin da poco scomparso; e rispondeva: «Per noi un individuo non è una entità, una unità compiuta e divisa dalle altre, una macchina per se stante, o le cui funzioni siano alimentate da un filo diretto che la unisca alla potenza creatrice divina o a quella qualsiasi astrazione filosofica che ne tiene il posto (...)  La manifestazione e la funzione del singolo sono determinate dalle condizioni generali dell’ambiente e della società e della storia di questa. Quello che si elabora nel cervello di un uomo ha avuto la sua preparazione nei rapporti con altri uomini, e nel fatto, anche di natura intellettiva, di altri uomini. Alcuni cervelli privilegiati ed esercitati, macchine meglio costruite e perfezionate, traducono ed esprimono e rielaborano meglio un patrimonio di conoscenze e di esperienze che non esisterebbe se non si appoggiasse sulla vita della collettività. Il capo, più che inventare, rivela la massa a se stessa, e fa si che essa si possa riconoscere sempre meglio nella sua situazione rispetto al mondo sociale e al divenire storico, e possa esprimere in formule esteriori esatte la sua tendenza ad agire in quel senso di cui sono poste le condizioni dai fattori sociali, e il cui meccanismo, in ultimo, si interpreta partendo dall’indagine degli elementi economici. La più grande portata del materialismo storico, come soluzione geniale del problema della determinazione e della volontà umana, sta nell’averne tolto la analisi dal circolo vizioso dell’individuo isolato dall’ambiente e averla riportata allo studio sperimentale della vita delle collettività (...)

Il cervello del capo è uno strumento materiale funzionante per legami con tutta la classe e il partito; le formulazioni che il capo detta come teorico e le norme che prescrive come dirigente pratico non sono creazioni sue, ma precisazione di una coscienza i cui materiali appartengono alla classe-partito e sono prodotti di una vastissima esperienza. Non sempre tutti i dati di questa appaiono presenti al capo sotto forma di erudizione meccanica, cosicché noi possiamo realisticamente spiegarci certi fenomeni di intuizione che vengono giudicati di divinazione e che, lungi dal provarci la trascendenza di alcuni individui sulla massa, ci dimostrano meglio il nostro assunto che il capo è lo strumento operatore e non il motore del pensiero e dell’azione comune(...)

L’organizzazione in partito, che permette alla classe di essere veramente tale e di vivere come tale, si presenta come un meccanismo unitario in cui i vari “cervelli” (non solo certamente i cervelli, ma anche altri organi individuali) assolvono compiti diversi a seconda delle attitudini e potenzialità, tutti al servizio di uno scopo e di un interesse che progressivamente si unifica sempre più intimamente nel tempo e nello spazio. Non tutti gli individui hanno dunque lo stesso posto e lo stesso peso nella organizzazione; man mano che questa divisione dei compiti si attua secondo un piano più razionale (e quello che è oggi per il partito-classe sarà domani per la società) è perfettamente escluso che chi si trova più in alto gravi come privilegiato sugli altri. L’evoluzione rivoluzionaria non va verso la disintegrazione, ma verso la connessione sempre più scientifica degli individui tra loro.

Essa è antindividualista in quanto materialista; non crede all’anima o a un contenuto metafisico e trascendente dell’individuo, ma inserisce le funzioni di questo in un quadro collettivo, creando una gerarchia che si svolge nel senso di eliminare sempre più la coercizione e sostituirvi la razionalità tecnica. Il partito è già un esempio di una collettività senza coercizione».

Questo aveva detto colui che per noi, in questi anni di travagliata ma entusiasmante ripresa del «filo del tempo» era ed è stato sempre e soltanto «Amadeo»; non il «migliore» corteggiato e magari tradito, ma il magnifico «strumento», la splendida «macchina» attraverso la quale passava - e si trasmetteva ai figli di generazioni nate sotto il triste segno non più della rivoluzione vittoriosa o in marcia verso la vittoria, ma della controrivoluzione cinicamente trionfante - la corrente ad altissimo potenziale del marxismo; e diciamo marxismo come l’abbiamo sempre inteso noi della  Sinistra, non come astratta teoria sulle cui gemme chinarsi in quotidiana venerazione pretesca, ma come arma lucida e tagliente di cui non si deve mai perdere l’impugnatura, cioè la direzione verso l’obiettivo, e per salvare la quale, affinché non si smarrisca nei vortici della sconfitta, bisogna saper sacrificare tutto, prima di ogni cosa l’ignobile se stesso, così come per usarla bene quando la battaglia divampa, è necessario distruggere le debolezze, le miserie, le vanità, gli stupidi orgogli, il meschino «libro dei conti» dell’individuo, per salvarne e utilizzarne le potenzialità sane o addirittura preziose nell’interesse della «classe-partito».

Quella corrente ad alta tensione non era, come non è e non sarà mai (egli diceva a proposito di Lenin) «di soli dati intellettivi»: era e sarà fatta soprattutto di passione, diciamo pure di cuore, per contrapporre un organo del corpo - il più generoso e il più saldo - a quello di cui il borghese va tanto orgoglioso proprio perché è il più fragile, il più incline al calcolo, il più vulnerabile alle seduzioni del grande palcoscenico; era ed è fatto di partecipazione vissuta alle battaglie della classe oppressa, al sangue versato con eroica abnegazione da centinaia di migliaia di militanti anonimi, ai sacrifici offerti senza nessuna pretesa di ricompensa da proletari che agivano d’istinto prima ancora di sapere, da incolti che non sognavano mai di chiedere anticipatamente o di presentare poi il conto delle proprie splendide audacie di combattenti, tanto più alieni dal risparmiarsi quanto meno inibiti da fardelli culturalistici e da remore cerebraloidi.

E come la corrente, così la macchina-Amadeo attraverso la quale essa continuò a passare senza alternanze di fasi sull’arco di un sessantennio era almeno altrettanto passione quanto dottrina, almeno altrettanto cuore quanto cervello; era anzi teoria e cervello solo perché sostenuti ed alimentati da passione e cuore, una passione che non conosceva confini, un cuore che non saltava un battito.

 

*    *    *

Tre cicli storici si erano accumulati nei suoi poderosi ingranaggi: gli anni della preparazione rivoluzionaria, nella lotta tenace contro le ricorrenti malattie del riformismo, del parlamentarismo, del centrismo parolaio e traditore, dell’anarchismo o del sindacalismo negatori del Partito e della dittatura e contro la vergogna somma del socialpatriottismo, dal 1912 al 1919; gli anni della rivoluzione tumultuante nelle viscere della società capitalista ed esplosa nel suo anello più debole, quando si trattò non soltanto di costruire il partito, ma di farlo operare senza tentennamenti o nostalgia di ritorni indietro, nell’avversa come nella buona fortuna, dal 1919 al 1923; gli anni della controrivoluzione, quando il poderoso strumento del Partito Mondiale venne prima a poco a poco demolito, non avendone coscienza, per aver smarrito il duro ma rettilineo cammino che aveva portato all’Ottobre, e per essersi illusi di raggiungere più in fretta la meta gloriosa per la via più facile e breve delle manovre elastiche e dei compromessi a danno dei principi, poi venne coscientemente schiantato col rullo compressore del potere statale russo strappato dalle mani della classe proletaria e rivolto contro di essa.

E l’enorme ventura delle giovani generazioni proletarie che dalla melma di quarantacinque anni di controrivoluzione sono chiamate a risalire la china verso battaglie altrettanto gigantesche e più risolutive, e la risaliranno - una ventura di cui è tanto vero che nel Partito essi hanno già coscienza, quanto è vero che a noi di generazioni più sfortunate è stato difficile acquisirla - questa ventura è che dell’età dei grandi rivoluzionari uno almeno abbia resistito, fermo al suo posto, anche nel più disperato isolamento, con la stessa tenacia e lo stesso spregio della popolarità nei giorni in cui il volgo non soltanto dei gazzettieri lo ammirava alla testa di un Partito negli statuti del quale (riprendiamo la conferenza del 1924) non era scritto né «capo», né «comitato di capi», ma ogni individuo occupava naturalmente il suo posto come esigeva e dettava «la dinamica del movimento e non la banalità di consultazioni elettive», con la stessa tenacia e uno spregio ancor più sconfinato della popolarità e del «successo» nei giorni ben altrimenti difficili in cui il volgo dei gazzettieri lo immagina o lo presenta «ritiratosi dalla vita politica», ed egli invece martellava, nella solitudine che tanti rivoluzionari avevano conosciuto prima di lui, l’antica canea d’acciaio del marxismo rivoluzionario, perché si incarnasse finalmente in un Partito, anche forzatamente piccolo, anche temporaneamente senza eco, certo e per sempre ignaro di pennacchi e galloni, ma che crescesse e lottasse su una via ed una sola. Non per libera scelta, ma per determinazione storica, «Amadeo» fu e rimase lì a condensare nell’efficientissimo serbatoio della sua macchina di lavoro il bilancio e quindi l’insegnamento di questi tre periodi dialetticamente uniti. E appunto perciò egli ha potuto essere, come Lenin, il restauratore del marxismo su un piano perfino più alto, non per virtù personali, ma per collocazione storica, eliminando fin l’ultimo anello di congiunzione con qualunque residuo, anche involontario, esteriore e linguistico-formale, di democratismo.

Un compagno, un compagno qualunque in questa nostra piccola ma fervida collettività di militanti, che traggono forza non da se stessi, ma dal possesso collettivo di una tradizione emanante da un lungo passato di azione rivoluzionaria, ha detto giustamente che «Amadeo» sarà forse l’ultimo rivoluzionario al quale un nome e un cognome restino legittimamente legati, non perché così volesse lui, né perché egli vi riconoscesse (tutt’altro!) l’ideale cui tendere, ma perché la corrente ad altissimo potenziale del marxismo aveva ancora bisogno di questi poderosi «tralicci umani» emergenti al di sopra di una pur solida e ben cementata «base».

Nella conferenza del 1924, egli stesso aveva anticipato - e in parole rimaste incise nella nostra memoria le ribadì nelle roventi pagine di demolizione del «battilocchio» - il giorno in cui i militanti avrebbero tratto dall’immenso dolore per l’arresto della «macchina possente e mirabile» di Lenin la «certezza che la funzione di essa si continua e si perpetua in quella degli organi di battaglia nella direzione dei quali egli ha primeggiato»; aveva previsto ed auspicato il giorno in cui il Partito più o meno numeroso secondo le circostanze e non per «scelte» labili e sempre fugaci, si sarebbe mosso come corpo unitario e anonimo nella connessione «sempre più scientifica» e nella integrazione «sempre più razionale» delle sue forze, per esili individualmente che fossero, e in cui alla superiore potenza di una o due o dieci macchine poderose sarebbe stato possibile supplire con rotelline più modeste e cinghie di trasmissione meno geniali ma sicuramente fuse nel comune lavoro organico, e spoglie di ogni attributo personale; aveva antiveduto il giorno in cui i proletari non avrebbero più aspettato che «venisse qualcuno» a portar loro la  salvezza, ma sarebbero insorti tutti insieme, attratti da una gigantesca forza collettiva, da un campo magnetico senza connotati anagrafici, tanto più irresistibile quanto meno legato all’attesa dell’ Uomo o del comitato di aspiranti ad un posticino nel Pantheon di una gloria bottegaia; aveva preannunziato il giorno in cui la classe si sarebbe levata tutta d’un pezzo, insieme e intorno al suo Partito, avendo distrutto nel proprio cuore immensamente generoso il mito della «necessità dei pontefici, dei re, dei “primi cittadini”, dei dittatori e dei duci, povere marionette che si illudono di fare la storia».

 

*    *    *

All’altezza di questa visione - una visione che supera di milioni di miglia ogni idealismo ed ogni fideismo -, noi dobbiamo, noi tutti, cercare di levarci e di saperci tenere, E’ forse questo l’insegnamento più duraturo, anche se il meno ponderabile, che ci lascia la vita di un militante il cui sforzo fu d’essere già oggi l’uomo del domani comunista, libero dalle incrostazioni secolari dell’individualismo borghese, paziente nell’ora difficile come impetuoso nell’ora lieta, candido verso i compagni e severo con se stesso, non mai stanco di dare sapendo che tale è la missione di chi più ha ricevuto e sempre riceve - e che sul filo di questa feroce coerenza, così avara di onori e di applausi, e così negatrice di compensi, è vissuto non con pena, ma con gioia.

I pochi che non per elezione, ma per fatalità, hanno seguito le spoglie del loro compagno - fino in un umile cimitero di campagna, hanno sentito - esattamente come quelli che per la stessa fatalità non hanno potuto farlo - il grande battito d’ala di un secolo e mezzo di movimento rivoluzionario. Sanno, e lotteranno per non dimenticarlo, che su quella traccia è luce e forza, fuori di essa è buio e infamia. Le vite spese al servizio del proletariato mondiale non si misurano ai «successi» o agli «insuccessi» né di un giorno né perfino di decine di anni: si misurano al metro, ignoto agli «storici» non meno che ai gazzettieri, di un’invarianza non solo nella fedeltà alla dottrina, ma nella conformità ad essa in ogni atto della vita. La forza che tiene l’individuo sulla linea, diritta anche se a volte accidentata, della classe per la quale è stato chiamato a lottare da oscure determinazioni, non può venirgli dal viscido mondo in cui egli è oggi condannato a vivere, ma può venirgli soltanto dalla milizia in un organismo anonimamente costruito sulle dure esperienze del passato, tra i bagliori di fiamma della rivoluzione come nei foschi tramonti della controrivoluzione.

Ricordarlo, non in astratto ma nella vita quotidiana, è veramente far rivivere con Amadeo le schiere di militanti che, nella frase di Marx, hanno difeso, propugnato, salvato nel presente - qualunque presente, anche e soprattutto il più torvo e sconsolato - l’avvenire del movimento comunista.

 

 

Partito comunista internazionale

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