Cultura, istruzione, scuola

(«il comunista»; N° 123-124; novembre 2011 - febbraio 2012)

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Premessa

 

Spesso, anche in tempi recenti, in Italia, in Spagna, in Francia e in altri paesi, ritorna in primo piano il tema della cultura, e dell’istruzione, come fosse il centro di tutti i problemi sociali, il nodo, sciolto il quale, ogni tipo di problema può trovare la soluzione più appropriata.

C’è stato il tempo della ribellione studentesca contro riforme scolastiche considerate penalizzanti nei confronti della cultura e della scienza perché indirizzate a incanalare l’istruzione pubblica secondo le esigenze dello sviluppo economico della società e non secondo le esigenze dellos viluppo culturale e scientifico di ogni individuo, e perchè indirizzate a privilegiare nello stesso tempo l’istruzione privata per ragioni di conservatorismo e di sudditanza dei poteri politici al potere della chiesa. C’è stato il tempo della lotta del corpo insegnante non solo per ragioni strettamente economiche e sindacali, ma per conservare la scuola, e quindi l’istruzione, come ente pubblico che predomini sulla scuola privata, considerando che la scuola, come qualsiasi servizio pubblico, restando appunto “pubblico” manterrebbe la neutralità che l’ideologia democratica riconosce allo Stato e a tutte le istituzioni che da esso discendono, grazie alla quale neutralità ogni individuo – ogni cittadino – partirebbe alla pari di ogni altro verso un percorso di sviluppo individuale e di carriera. C’è stato il tempo in cui gli studenti universitari, e dei licei, hanno creduto possibile riformare “dal di dentro” e “dal basso” una scuola ritenuta, in verità non a torto, inadeguata allo sviluppo sociale e al progresso tecnico impresso all’economia in generale, privilegiando le esigenze della gioventù che lo sviluppo sociale fa emergere di anno in anno.

Sempre, nella società borghese, la “questione della cultura e della conoscenza” viene legata alla formazione delle idee, delle opinioni di ogni individuo, al quale si riconosce, a priori, una facoltà: quella di scegliere tra le più diverse opportunità che la società attuale sfornerebbe continuamente; “scelta” fra le diverse idee che circolano nella società, scelta del percorso di studio, scelta della carriera, scelta degli amici, degli amanti ecc. Insomma, si nasce, si cresce e si muore in una società governata dalle leggi del capitale, dalle leggi del valore e del mercato, dove la concorrenza e la competitività non solo delle merci, ma anche delle idee, sono sottoposte alla domanda e all’offerta che si incontrano, e si scontrano, appunto nel mercato.

Da materialisti, e da marxisti, sappiamo che la cultura e la conoscenza espresse dalla società sono il prodotto storico dello sviluppo delle forze produttive e che la base su cui cultura e conoscenza poggiano è la base economica che regge quel determinato tipo di organizzazione sociale. Allo stesso modo, l’individuo, l’essere umano, proprio perché è un essere sociale è esso stesso il prodotto della organizzazione sociale in cui nasce, vive e muore; è lo sviluppo sociale, lo sviluppo economico e della tecnica produttiva che porta con sè lo sviluppo anche degli individui che ne sono coivolti, distinguendoli per collocazione e funzione produttiva, e perciò distinguendoli in classi sociali differenti tra le quali si sviluppano rapporti di contrasto tra i possessori dei mezzi di produzione e i possessori di sola forza lavoro. Le forze produttive, raggiunto un certo grado di sviluppo, si scontrano con le forme che l’organizzazione sociale determinata si è data – o meglio, le forme che le classi dominanti hanno imposto all’intera società – e i fattori di contrasto fra le classi, sviluppandosi, conducono allo scontro generale, alla rivoluzione dei modi di produzione economica e dei poteri politici che vi corripondono. Ogni modo di produzione superiore acquisisce, assorbe e supera i risultati di cultura e di conoscenza raggiunti dal modo di produzione precedente, formando così una propria cultura e una propria conoscenza che le classi rivoluzionarie che rappresentano il modo di produzione superiore utilizzano allo sviluppo, alla conservazione e alla difesa del loro potere economico e politico. E’ successo nel passaggio storico dal comunismo primitivo allo schiavismo, dallo schiavismo al feudalesimo o al modo di produzione asiatico, da questi ultimi al capitalismo: sempre le classi possidenti, che rappresentavano la minoranza all’interno della società, hanno utilizzato la cultura e la conoscenza per il proprio potere e per schiacciare in condizioni di subordine le classi lavoratrici che rappresentavano la maggioranza della popolazione, schiavi, servi della gleba e artigiani o proletari che fossero nelle diverse epoche storiche.

Quale cultura, dunque? Quale libertà di scelta? La cultura come “valore assoluto del pensiero”, come spirito inoculato nel cervello degli esseri umani da un’entità soprannaturale? L’azione dei singoli individui e delle masse sarebbe quindi il risultato della scelta di un “processo spirituale” chiamato cultura? Una concezione del genere non è soltanto lontana mille miglia dal marxismo, ma è un atto di fede cieca nella cultura borghese, una cultura oltretutto che contiene ideologicamente mille “culture diverse”, giustificando in questo modo la “libertà di scelta” come se si fosse davanti agli scaffali di un supermercato pronti a “scegliere” tra diversi tipi di merci.

Nelle società divise in classi nulla è neutro, meno che meno la cultura. Il trapasso sovversivo da una società di classe alla società di classe superiore non avviene grazie alla coscienza che le classi rivoluzionarie hanno del trapasso stesso; sono i fatti materiali che scatenano le azioni e proiettano le ideologie. In un “filo del tempo” del  1953 si legge: “I capi e promotori della rivoluzione antischiavista travestirono la lotta contro la forma schiavista di produzione, che era il reale contenuto storico del trapasso, sotto una dottrina, del tutto compiuta ed esauriente, in cui appariva la liberazione dello spirito dalla carne e l’obiettivo di una vita ultraterrena come movente di tutta l’azione. L’attività delle masse non era coscientem esse non lottarono per il paradiso, né sapevano che al posto della schiavitù sarebbe venuta una nuova forma di servitù. La coscienza del passaggio non era nelle masse, né in alcuna scuola, dottrina, gruppo. Soltanto dopo essa fu chiara” (a). E ancora: “Analogamente avvenne per la rivoluzione capitalista contro il feudalesimo. Si trattava di trapasso al modo di produzione basato sul salariato, ma i postulati, da una non meno possente scuola filosifca e politica, furono presentati, ben altrimenti, come libertà dell’uomo o del cittadino... trionfo della ragione” (b).

Sul terreno della scuola, stampa, propaganda, chiesa ecc., si afferma ancora nel “filo del tempo” or ora citato, che “fin che la classe lavoratrice sarà sfruttata, la diffusione della ideologia borghese avrà sempre un immenso vantaggio sulla diffusione del socialismo scientifico”, e si conclude il ragionamento così: “La partita sarà perduta per la rivoluzione [proletaria, ndr] fino a che non si fa assegnamento su forti masse che lottano, senza presupporre nemmeno per sogno che siano uscite dalla influenza culturale ed economica borghese, ma per la ineluttabile spinta del contrasto delle forze produttive materiali non ancora divenuto coscienza dei combattenti, e tanto meno poi scientifica cultura! (c).

L’ideologia borghese, che pretende che la cultura, e quindi il suo possesso, condizioni la lotta storica fra le classi, è l’ideologia dominante e il proletariato – finché resta proletariato, ossia classe salariata – non può che assimilare cultura borghese con tutto il suo seguito di pregiudizi, abitudini, limiti e false interpretazioni della realtà. Allo snodo rivoluzionario la classe del proletariato giungerà non in forza di una cultura alternativa, di una cultura “proletaria” che dovrebbe dare al proletariato la coscienza del movimento rivoluzionario che lo vede protagonista, ma in forza delle determinazioni materiali sprigionate dall’antagonismo fra gli interessi proletari e  gli interessi borghesi, determinazioni materiali che muovono le forze sociali in uno scontro titanico la cui posta in gioco è il potere politico, il potere che permette alla classe borghese di mantenere il dominio assoluto sulla società proseguendo nello sfruttamento della forza lavoro salariata allo scopo di ingigantire il valore del capitale, o alla classe proletaria che, conquistandolo e spezzando la forza dello Stato borghese, può avviare la trasformazione della società con la distruzione del modo di produzione capitalistico che genera l’antagonismo fra le classi e avviando così la società ad una organizzazione sociale, e produttiva, superiore, ossia non più basata sulla divisione della società in classi antagoniste. La cultura che la nuova società comunista produrrà non sarà certo una cultura “proletaria” perché il proletariato come classe avrà cessato di esistere insieme a tutte le altre classi che sopravvivono nella società borghese.

In questa prospettiva, la dittatura del proletariato che la rivoluzione proletaria instaura a  potere politico conquistato, e che viene esercitata dal partito di classe che è l’unico a possedere la coscienza di classe – la coscienza dell’intero processo storico che comprende il trapasso rivoluzionario dalla società divisa in classi alla società senza classi – agirà fin dai suoi primi passi nel campo dell’istruzione e della cultura, come già  con la Comune di Parigi e, soprattutto, con la rivoluzione dell’Ottobre 1917. Il tema non  è sconosciuto al marxismo, né al movimento rivoluzionario del proletariato, come i brani dai classici del movimento comunista internazionale che riprendiamo qui di seguito dimostrano. Ripubblichiamo, infatti, un lavoro di partito che già nel 1968 e poi nel 1975 e ‘75 aveva il compito di rimettere tutta la questione della cultura e dell’istruzione sui giusti binari marxisti.

 

 

Risposta di classe al riformismo nella scuola

 

Il concetto marxista di istruzione: educazione fisica, intellettuale e politecnica e lavoro produttivo

 

La sommaria citazione che segue è tratta dalle Istruzioni ai delegati del Consiglio generale provvisorio (dell’Internazionale) su singole questioni, redatte da Marx per il I Congresso dell’A.I.L. (Ginevra, 3-8 settembre 1866). In esse Marx sottolinea la necessità di addivenire a nuove “leggi generali”, imposte allo Stato dalla forza proletaria, per far sì che “a nessun genitore e a nessun datore di lavoro sia dato dalla società il permesso di usare del lavoro di fanciulli o di adolescenti, se non a patto che quel lavoro produttivo sia legato all’istruzione”. Ciò porta a definire il concetto di istruzione, quale unità dell’educazione fisica e intellettuale, e di unità di essa col lavoro produttivo. L’argomento è ripreso nel secondo brano, riprodotto di seguito, tratto dal I Libro del Capitale.

 

Nelle Istruzioni per i delegati, del 1866, si legge:

 

Per istruzione noi intendiamo tre cose:

1 Educazione spirituale [Formazione intellettuale]

2 Educazione corporale [Educazione fisica], qual è prodotta dagli esercizi ginnici e militari

3 Educazione tecnologica [Istruzione politecnica], tale da abbracciare i principi generali e scientifici di ogni tipo di produzione e nel medesimo tempo da iniziare i fanciulli e i giovani all’uso pratico degli strumenti elementari di ogni mestiere.

Alla divisione dei fanciulli e dei giovani [dai 9 ai 17 anni in tre classi] dovrebbe corrispondere uno sviluppo graduale e progressivo della loro educazione mentale [intellettuale], ginnica e tecnologica [politecnica] (...).

L’unione del lavoro produttivo retribuito con l’educazione mentale, gli esercizi corporali [fisici] e l’apprendistato tecnologico [politecnico] eleveranno la classe operaia ben al di sopra del livello della borghesia e dell’aristocrazia [al di sopra delle classi superiori e medie].” (1)

 

Nel I Libro del Capitale, al capitolo XIII “Macchine e grande industria”, si legge:

 

Per quanto misere appaiano nell’insieme le clausole scolastiche del Factory Act [dell’Atto sulle fabbriche], nondimeno esse proclamarono condizione obbligatoria del lavoro l’istruzione elementare. Il loro successo diede la prima dimostrazione della possibilità di unire l’insegnamento e la ginnastica al lavoro manuale, e quindi anche il lavoro manuale all’insegnamento e alla ginnastica. Presto, dalle deposizioni dei mastri gli ispettori [di fabbrica] scoprirono che i ragazzi di fabbrica, pur disponendo di appena la metà dell’istruzione impartita agli alunni regolari delle scuole diurne, imparano quanto loro e spesso anche di più:

La cosa è semplice. Quelli che passano soltanto mezza giornata a scuola, sono sempre freschi e quasi sempre pronti a ricevere l’istruzione impartita. Il sistema metà lavoro e metà scuola fa di ognuna delle due occupazioni il riposo e il sollievo dell’altra, e perciò la rende molto più adatta al bambino, che la durata ininterrotta di una delle due. Un ragazzo che se ne stia seduto a scuola dalla mattina presto, specie nella stagione clada, non potrà mai competere con chi vi giunge sveglio e gagliardo dal lavoro’ (Reports of Insp. of Fact, 31st Oct. 1865, pp. 118-9)”.

La giornata scolastica unilaterale, improduttiva e prolungata, dei fanciulli delle classi superiori e medie accresce inutilmente il lavoro degli insegnanti ‘mentre sperpera il tempo, la salute e l’energia dei ragazzi non solo senza alcun frutto, ma in modo assolutamente nocivo’ (citato da Marx dal discorso di N. W. Senior al 7°  congresso di sociologia di Edimburgo, nel 1863). Dal sistema di fabbrica come lo si può osservare nei particolari in Roberto Owen, è sbocciato il germe dell’istruzione del futuro, che combinerà per tutti i fanciulli al disopra di una certa età il lavoro produttivo con l’insegnamento [l’istruzione] e la ginnastica, non soltanto come metodo per aumentare la produzione sociale, ma come l’unico metodo per produrre uomini armonicamente sviluppati in tutti i sensi”. (2)

 

Potere proletario ed istruzione. L’esempio della Comune di Parigi: per una educazione autentica occorre una autentica rivoluzione, non viceversa

 

In La guerra civile in Francia (1871), scritto subito dopo la caduta della Comune di Parigi, Marx passa in rassegna anche i provvedimenti del primo potere proletario della storia, nel campo dell’educazione. “Non c’è stato tempo – si riconosce – per riorganizzare la pubblica istruzione”, ma, pur nelle condizioni eccezionali d’emergenza dettate dallo stato di necessità, la Comune ha mostrato di avere impostato sin dalle basi, in maniera totalmente diversa dalla più radicale delle repubbliche borghesi “avanzate” (dopo oltre 100 anni il giudizio non cambia, anzi!), il problema dell’educazione: netto taglio con il potere statale e dei preti, gratuità effettiva in direzione della generale emancipazione proletaria in campo intellettuale-scientifico, possibilità per la “classe media” intellettuale di dare un contributo alla causa dell’emancipazione trasformandosi “in veri combattenti del pensiero”, ora che la “repubblica di lavoratori” (la dittatura del proletariato) ha paerto alla scienza “una funzione reale”. Per una educazione autentica occorre una autentica rivoluzione, non viceversa; la Comune sta a dimostrarlo. E’ quanto ripeterà Lenin, quanto dirà la Sinustra comunista d’Italia, quanto continuiamo a difendere noi, contro ogni educazionismo di ritorno in seno al proletariato (al tempo di Marx erano i “volterriani”, in Italia nel 1912 fu Tasca; oggi, 1975, a riprendere il concetto di “liberazione didattica” sono magari i gruppetti extraparlamentari nati nel Sessantotto).

 

Ed ecco i passi di Marx, ripresi dai tre testi dedicati alla Comune (3):

 

a] “Non c’è stato evidentemente il tempo di riorganizzare l’istruzione (educazione) pubblica; ma allontanando l’elemento religioso e clericale, la Comune ha preso l’iniziativa di emancipare intellettualmente il popolo. Ha nominato una commissione per l’organizzazione dell’insegnamento (primario elementare e professionale) (28 aprile). Ha ordinato che tutti gli strumenti di lavoro scolastico, quali libri carta fogli ecc siano gratuitamente distribuiti dagli insegnanti, che li ricevono a loro volta dai sindiaci rispettivi da cui dipendono. Nessun insegnante è autorizzato, sotto nessun pretesto, a domandare ai suoi allievi il pagamento di questi strumenti di lavoro scolastico (28 aprile)” (4).

b] “Essendosi dati alla fuga i professori della Scuola di medicina, la Comune ha designato una Commissione in vista della fondazione di università libere che non siano più parassite di Stato; ha fornito agli studenti che hanno superato gli esami i mezzi di praticare indipendentemente dal titolo di dottore (il titolo sarà conferito dalla Facoltà)” (5).

c] “Di fronte ai disastri accumulati della Francia da questa guerra, davanti al suo crollo nazionale e alla sua rovina finanziaria, queste classi medie sentono che non è la classe corrotta di coloro che vogliono essere i negrieri della Francia, ma unicamente le aspirazioni virili e la erculea potenza della classe operaia che possono apportare la salvezza!

“Esse sentono che solo la classe operaia può emanciparle dalla tirannia dei preti, fare della scienza non più uno strumento del dominio di classe, ma una forza popolare, fare degli stessi scienziati non più dei prosseneti dei prergiudizi di classe, dei parassiti di Stato a caccia di sinecure e degli alleati del capitale, ma dei liberi agenti del pensiero [dei veri combattenti del pensiero]! La scienza può svolgere il suo ruolo autentico solo nella Repubblica del Lavoro [nella Repubblica dei lavoratori]” (6).

d] “Con l’esproprio di tutte le chiese, nella misura in cui costituissero entità possidenti, con l’interdizione dell’insegnamento religioso in tutte le scuole pubbliche (e insieme con l’istruzione gratuita), rispedendo i preti nel ritiro tranquillo [nel chiuso] della vita privata, per vivervi delle elemosine dei fedeli, con la liberazione di tutti gli stabilimenti scolastici dal controllo e dalla tirannia del governo [e dall’asservimento allo Stato], la forza spirituale della repressione doveva essere spezzata. Non solamente la scienza sarebbe divenuta accessibile a tutti, ma sarebbe stata liberata dalle pastoie della pressione [dell’oppressione] governativa e dei pregiudizi di classe” (7).

e] “Una volta aboliti l’esercito permanente e la polizia, strumenti materiali [elementi della forza fisica] del vecchio governo, la Comune si assegnò il compito di spezzare lo strumento [la forza] spirituale dell’oppressione, il potere dei preti; essa decretò la separazione della Chiesa dallo Stato e l’esproprio di tutte le chiese nella misura in cui rappresentavano dei soggetti possidenti. I preti furono rispediti alla calma intimità della vita privata, per vivervi delle elemosine dei fedeli, sull’esempio dei loro predecessori, gli apostoli. La totalità degli istituti di istruzione furono aperti gratuitamente al popolo e, al tempo stesso, sgombrati da ogni ingerenza della Chiesa e dello Stato. Così non solo l’istruzione veniva resa accessibile a tutti, ma la scienza stessa veniva liberata dai ceppi di cui l’avevano caricata i pregiudizi di classe e il potere governativo” (8).

 

Il programma comunista: educazione del proletariato da parte dello Stato o educazione dello Stato da parte del proletariato?

 

Nel testo intitolato Critica del programma di Gotha (Glosse marginali al programma del Partito operaio tedesco), del 1875, Marx critica, tra l’altro, il programma educativo ivi contenuto, al pari di tutto il resto inficiato di opportunismo: le speranze nello Stato ancorchè mascherate di fraseologia rivoluzionaria, rivelano la “fede democratica nei miracoli” o la “fede servile nello Stato”; in entrambi i casi, qualcosa che sta le mille miglia lontano dal socialismo. Oggi, c’è chi pretende, con un rigurgito di lassallismo in ritardo, di riproporre la vecchia brodaglia: non proclama il PDUP (9), ad esempio, la “libertà della scienza” e “di coscienza” dello stigmatizzato programma di Gotha, quale conquista “nello Stato” da parte del proletariato? Oggi come ieri, da parte dell’opportunismo, “si preferisce non andare oltre il livello borghese”. Scrivono Marx ed Engels nel Manifesto: “I comunisti strappano l’educazione all’influenza della classe dominante”. Questo, e non altro, è il programma rivoluzionario, la rivoluzione per una reale educazione.

 

“E’ assolutamente da respingere una ‘educazione popolare da parte dello Stato’. Fissare con una legge generale i mezzi delle scuole elementari, la qualifica del personale insegnante, i rami d’insegnamento ecc. e, come accade negli Stati Uniti, sorvegliare per mezzo di ispettori dello Stato l’adempimento di queste prescrizioni legali, è qualcosa di affatto diverso dal nominare lo Stato educatore del popolo! Sono invece da escludere tanto il governo che la Chiesa da ogni influenza nella scuola. Nel Reich prussiano-tedesco (e non si ricorra alla magra scusa di dire che si parla di uno “Stato futuro”; abbiamo veduto come stanno le cose a questo proposito) è lo Stato, al contrario, che ha bisogno di un’assai rude educazione da parte del popolo.

“Ma l’intero programma, nonostante tutta la fanfara democratica, è completamente ammorbato dalla fede del suddito verso lo Stato, propria della setta lassalliana, e, cosa che non è certo migliore, dalla fede democratica nei miracoli, o è piuttosto un compromesso tra queste due specie di fede nei miracoli, entrambe ugualmente lontane dal socialismo.

“ ‘Libertà della scienza’, dice un paragrafo della Costituzione prussiana. Perché dunque parlarne qui? ‘Libertà di coscienza’! Se in questo periodo di Kulturkampf (10) si voleva rammentare al liberalismo le sue vecchie parole d’ordine, ciò si poteva fare solo in questa forma: Ognuno deve poter soddisfare tanto i suoi bisogni religiosi quanto i suoi bisogni corporei senza che la polizia vi ficchi il naso. Ma il partito operaio doveva pure in questa occasione esprimere la sua consapevolezza che la ‘libertà di coscienza’ borghese non è altro che la tolleranza di ogni specie possibile di libertà di coscienza religiosa, e che il partito operaio si sforza, invece, di liberare le coscienze dallo spettro della religione. Ma si preferisce non andare oltre il livello ‘borghese’ “ (11).

 

Utopismo pedagogico come adattamento al sistema sociale presente

 

In un capitoletto dell’Antidühring (Il rovesciamento della scienza del signor Eugenio Dühring), del 1878, contro l’utopismo pedagogico, Engels mostra come tale genere di utopismo, ammantato di un’apparenza di critica radicale all’educazione presente, equivalga al più piatto adattamento all’ordine sociale capitalista, di cui, semmai, vuol accentuare, battendo la grancassa “proletaria”, il carattere anti-umano di smembramento dell’essere sociale in distinte “specializzazioni”, unicamente finzionali al meccanismo produttivo borghese. La distruzione dell’eredità borghese si risolve, in mano all’utopismo alla Dühring, in depauperamento dellos tesso potenziale culturale proletario. E’ quanto ribadirà Lenin, legando i termini rivoluzione proletaria-rielaborazione ed assimilazione della cultura del passato, in polemica con l’estremismo del Proletkult: “il marxismo ha acquisito il suo significato storico mondiale in quanto ideologia del proletariato rivoluzionario, perché, invece di respingere le conquiste più preziose dell’epoca borghese, ha al contrario assimilato e rielaborato quanto vi era di più valido nello sviluppo più che bimillenario della cultura e del pensiero umani. Solo il lavoro svolto su questa base e in questa direzione, ispirato dall’esperienza della dittatura del proletariato, come ultima fase di lotta contro ogni sfruttamento, può essere riconosciuto come lo sviluppo di una cultura effettivamente proletaria” (Sulla Cultura proletaria, 8 ottobre 1920, in polemica con la linea espressa al I Congresso panrusso del Proletkult, e in particolare don Lunaciarskij, Opere, vol 20, p. 301). I passi di Engels, Lenin e Trotsky mostrano ad abundantiam come il marxismo sia sempre stato alieno dall’identificare la rivoluzione in campo educativo con l’iconoclastia antipassatista del radicalismo piccolo-borghese (oggi, 1975, e oggi 2011, in gran voga sotto la specie della neo-didattica, della cultura alernativa ecc.).

“L’adolescente cittadino dell’avvenire non sarà tormentato molto conla filologia. ‘Le lingue morte sono completamente soppresse... mentre le lingue straniere viventi resteranno... qualcosa di secondario’.Solo dove lo scambio tra i popoli si estende al movimento delle stesse masse popolari, esse debbono essere rese accessibili facilmente a ciascuno a seconda dei bisogni. ‘L’istruzione linguistica veramente educativa’ si troverà in una specie di grammatica generale e specialmente nella ‘materia e nella forma della propria lingua’.

La limitatezza nazionale degli uomini di oggi è ancora troppo cosmopolita per Dühring. Egli vuole abolire le due leve che nel mondo odierno offrono almeno l’opportunità di elevarsi al di sopra del limitato punto di vista nazionale: la conoscenza delle lingue antiche che dischiude, almeno agli uomini di tutte le nazioni che hanno ricevuto la cultura classica, un più ampio orizzonte comune, e la conoscenza delle lingue moderne, unico mezzo con il quale gli uomini delle varie nazioni possono intendersi tra loro e familiarizzarsi con ciò che accade fuori dei propri confini. Invece deve essere inculcato a fondo lo studio della grammatica della lingua nazionale.

Ma ‘materia e forma della propria lingua’ sono intelligibili solo allorché se ne seguano il nascere e il graduale sviluppo e questo non è possibile senza tener conto in primo luogo delle lingue vive e morte dello stesso ceppo. Ma così siamo ritornati di nuovo al campo espressamente vietato. Ma se con ciò Dühring cancella dal suo piano scolastico tutta la moderna grammatica storica, per l’insegnamento linguistico non gli rimane altra che la grammatica tecnica di vecchio stampo, raffazzonata completamente nello stile della vecchia filologia classica, con tutte le sue casistiche e le sue arbitrarietà, fondate sulla mancanza di una base storica.

L’odio verso la filologia classica lo spinge ad elevare il prodotto deteriore della vecchia filologia a ‘fulcro di un’istruzione linguistica veramente educativa’ “ (12).

 

Necessità della polemica politica nel movimento degli studenti

 

Nel Progetto di risoluzione sull’atteggiamento verso gli studenti, presentato da Lenin, tra i tanti che presentò, in vista del II Congresso del POSDR che si tenne tra Bruxelles e Londra dal 17 (30) luglio al 10 (23) agosto 1903, si prende chiara posizione contro gli esaltatori dell’unitarismo ad ogni costo del movimento politico ‘generale’ degli studenti.

Di fronte ad obiezioni sorte nel seno dello stesso POSDR sul passo riguardante i ‘falsi amici’, Lenin intervenne il 23 agosto a ribadire la necessità per gli studenti di orientarsi fra le varie tendenze, affermando esplicitamente: ‘Noi poniamo come scopo principale l’elaborazione di una concezione del mondo organica e rivoluzionaria’. E, nell’articolo riportato nel paragrafo successivo, ribadirà: ‘Una certa parte degli studenti vuole formarsi una concezione socialista, determinata e coerente, del mondo.

Lo scopo finale di questo lavoro preparatorio deve essere – per gli stduenti che desiderano partecipare praticamente al movimento rivoluzionario – soltanto una scelta cosciente e irrevocabile d’una delle due tendenze che oggi si sono formate nell’ambiente rivoluzionario.

Colui che protesta contro tale scelta in nome dell’unione ideologica degli studenti, in nome della loro formazione rivoluzionaria in generale ecc., annebbia la coscienza socialista, in realtà predica unicamente l’assenza di idee’ “.

       “Il II Congresso del Partito operaio socialdemocratico russo saluto la ripresa dell’attività rivoluzionaria fra gli studenti, invita tutte le organizzazioni del partito ad aiutare in tutti i modi questi giovani che aspirano ad organizzarsi e raccomanda a tutti i gruppi e circoli di studenti innanzi tutto di porre in primo piano, nella loro attività, l’elaborazione fra i loro membri di una organica e conseguente concezione socialista, lo studio serio, d una parte, del marxismo e, dall’altra, del populismo russo e dell’opportunismo dell’Europa occidentale, che sono le tendenze principali fra le moderne correnti avanzate in lotta fra di loro; in secondo luogo di guardarsi da quei falsi amici della gioventù, che, con una vuota fraseologia rivoluzionaria o idealistica o con geremiadi filistee sul danno e sull’inutilità di un’aspra polemica fra le correnti rivoluzionarie e d’opposizione, distolgono i giovani dal lavoro che può dare loro una seria educazione rivoluzioanria, perché questi falsi amici in realtà non fanno che diffondere la mancanza di principi e un modo poco serio di considerare il lavoro rivoluzionario; in terzo luogo, di cercare, quando si passa all’attività pratica, di stabilire in anticipo contatti con le organizzazioni socialdemocratiche per utilizzare i loro suggerikenti ed evitare, per quanto è possibile, gravi errori all’inizio dello stesso lavoro” (13).

 

Teoria e partito necessari alla gioventù studentesca per svolgere un compito rivoluzionario

 

Nel periodo aprile-settembre 1903 appare sulla rivista “Student” il lungo articolo di Lenin intitolato Sui compiti della gioventù rivoluzionaria, che, coerentemente con la linea espressa nel Progetto di risoluzione sull’atteggiamento verso gli studenti presentato al II Congresso del POSDR, attacca duramente le posizioni dei “falsi amici della gioventù” contrari ad “incrinare” con la lotta politica l’unità del movimento studentesco. Le posizioni dei “falsi amici” erano rappresnetate in Russia particolarmente dall’organo dei social-rivoluzionari “Revoljucionnaja Rossija”, fautore dell’apartiticità del movimento (“Che cos’è – protestava il giornale s.r. – questa miope tattica di un’organizzazione rivoluzionaria che desidera ad ogni costo vedere in ogni altra organizzazione autonoma non subordinata ad essa una concorrente che dev’essere eliminata, nelle cui file bisogna ad ogni costo introdurre la divisione, la scissione, la disorganizzazione?”). “Se la divisione politica degli studenti – ribadisce Lenin – corrisponde alla divisione politica della società, ciò non significa forse di per sé che per ‘unione ideologica’ degli studenti si deve intendere necessariamente una delle due cose: o attrarre il maggior numero di studenti ad una determinata cerchia di idee sociali e politiche o avvicinare maggiormente gli studenti d’un gruppo politico determinato a quei rappresnetanti dello stesso gruppo che sono al di fuori dell’ambiente studentesco? Non è ovvio che si può parlare di trasformazione rivoluzionaria degli studenti soltanto con idee assolutamehte precise sull’essenza e sugli aspetti di questa trasformazione rivoluzionaria? Per un socialdemocratico ciò significa innanzitutto diffondere le idee socialdemocratiche tra gli studenti e lottare contro le opinioni che non hanno nulla in comune col socialismo rivoluzionario, anche se si chiamano ‘democratiche-rivoluzionarie’ “ (quante grida di orrore e accuse di settarismo si beccherebbe oggi Lenin – le cui parole sono atnto più significative, in quanto nella Russia preborghese gli studenti avevano un ruolo specifico nel movimento rivoluzionario – da parte dei “falsi amici” super-rivoluzionari dei gruppi!).

       “Notate quanta confusione c’è in questo ragionamento. La concorrenza è possibile (e inevitabile) solo tra un’organizzazione politica e l’altra, tra una corrente politica e l’altra. Tra una società di mutuo soccorso e un circolo rivoluzionario la concorrenza è impossibile, (...) Ma se in quella stessa società di mutuo soccorso è sorta una certa tendenza politica (...) la concorrenza e la lotta diretta sono allora un dovere per ogni ‘politico’ onesto. Se vi è chi rinchiude i circoli negli interessi angustamente universitari (...) la lotta tra costui e chi predica non già la costrizione in un ambito più ristretto, ma l’ampliamento degli interessi è altrettanto necessaria e doverosa (...).

       “Per lui [l’autore dell’articolo s-r, ndr] il centro di gravità si trova proprio nel movimento politico generale, cioè democratico generale, che dev’essere unito. Quest’unità non dev’essere infranta dai ‘cirocli puramente rivoluzionari’, che si devono raggruppare ‘parallelamente all’organizzazione generale degli studenti’. Dal lato degli interessi di questo largo e unico movimento democratico è, naturalmente, un delitto ‘imporre’ etichette di partito e far violenza alla coscienza intellettuale dei compagni. Proprio così considerava le cose la democrazia borghese nel 1848, quando i tentativi di far vedere l’antagonismo tra gli interessi di classe della borghesia e quelli del proletariato implicavano la ‘generale’ condanna dei ‘fanatici della divisione e della scissione’.

Proprio così vede le cose la più recente variante della democrazia borghese: gli opportunisti e i revisionisti che anelano ad un unico grande partito democratico, che proceda pacificamente mediante le riforme, mediante la collaborazione delle classi. Tutti costoro sono sempre stati, e non possono non essere, nemici dei contrasti ‘di frazione’ e fautori del movimento ‘politico generale’” (14).

 

Rivendicazioni comuniste per la scuola

 

Riportiamo dai Documenti per la revisione del programma del Partito (maggio 1917), immediatamente successivi alle Tesi d’aprile, quanto Lenin fissa per la scuola come rivendicazioni del Partito. Si tenga conto che non si tratta ancora del pieno programma rivoluzionario comunista, ma di rivendicazioni immediate di partito pur nell’ambito di una rivoluzione a carattere borghese avanzato. Si potrà constatare come tale piano rivendicativo sia oggi sconfessato (peggio, deliberatamente ignorato) dall’opportunismo quale ‘utopismo’ da impossibili ‘futuri’; e ciò in una situazione di capitalismo stramaturo! D’altronde, già l’azione della Comune in campo scolastico aveva dimostrato, una volta per tutte, che il più avanzato dei radicalismi borghesi rimane ben al qua delle rivendicazioni ‘minime’ del movimento proletario di classe.

 

       “Nel momento attraversato oggi dalla Russia (...) la Costituzione della repubblica democratica deve assicurare:

 

(...)

13] La separazione della Chiesa dallo Stato e la separazione della scuola dalla Chiesa. La completa laicità della scuola.

14] L’istruzione generale politecnica (per la conoscenza teorica e pratica delle principali branche della produzione) gratuita e obbligatoria fino a sedici anni per i ragazzi di ambo i sessi; lo stretto collegamento dell’istruzione con il lavoro sociale produttivo dei ragazzi.

15] La distribuzione del vitto, dell’alloggio e degli oggetti d’uso scolastico agli scolari a carico dello Stato.

16] Il passaggio dell’istruzione pubblica agli organi democratici dell’autogoverno locale; la soppressione di ogni intervento del potere centrale nell’elaborazione dei programmi scolastici e nella scelta del personale insegnante; l’elezione degli insegnati da parte della popolazione e revocabilità, da parte della stessa popolazione, degli insegnanti indesiderabili.

(...)

Al fine di tutelare la classe operaia dalla degenerazione fisica e morale e allo scopo altresì di sviluppare la sua attitudine alla lotta di emancipazione, il partito esige:

(...)

5] L’interdizione agli imprenditori di impiegare nella produzione i ragazzi durante l’età dell’obbligo scolastico (fino a sedici anni); la limitazione della giornata lavorativa a quattro ore per i giovani (da sedici a venti anni); la proibizione per i giovani del lavoro notturno e del lavoro nelle miniere e nelle industrie insalubri (...)” (15).

 

Socialismo e cultura

 

Non per amore del proprio orticello richiamiamo la polemica del 1912 al Congresso Giovanile del PSI di Bologna, dove si scontrarono due opposte concezioni: l’una “educazionista”, rappresentata da Tasca, maestro dell’ordinovismo; l’altra, da Bordiga, sul solco della Sinistra storica. La prima affermava la necessità di avere “militi consapevoli e sicuri”, stabilendo che a tale scopo era necessario culturizzare l’attività del movimento trasformando, tra l’altro, l’Avanguardia (16) in “organo prevalentemente di cultura, affidandone la redazione a compagni giovani e adulti di maggior competenza”. La sua tesi era “che il movimento socialista debba tendere ad avere giovani proletari non solo istruiti nel senso generico, ma anche in quello del ‘perfezionamento professionale’ per farne dei buoni produttori”. La mozione di sinistra –  è il primo testo che pubblichiamo di seguito – si oppose decisamente a questio concetto gradualista, difendendo la fondamentale posizione che fu di Lenin (in quanto da sempre lo è del marxismo) che la vera educazione del proletariato è quella che gli indica la via della rivoluzione.

Il secondo testo, di cui diamo qualche passo, è intitolato Il problema della cultura, ed apparve nell’”Avanti!”del 5 maggio 1913, quasi come “coda” polemica dello scontro del 1912. Esso reagiva all’idea “chwe perfino i sindacati economici fossero ridottti a scuola di cultura generale e peggio a scuole di tirocinio professionale per le nuove elve degli sfruttati. E’ ribadito il concetto che la piena educazione culturale non può essere il compito di una società divisa in classi, ma si raggiungerà dopo la rivoluzione. Soprattutto è indicato il deforme errore di poter fare un’opera culturale parallela a quella di altri partiti e quindi di altre classi, che sarebbe posizione puramente controrivoluzionaria”. Dedichiamo questi due testi conclusivi della breve rassegna, tratti dal vol. I della Storia della sinistra comunista (17), ai cultori in veste “rivoluzionaria” di un “nuovo sapere”, e di “esperimenti galileiani” a partire da questa “perfettibile” società che, finalmente epurata dalla “vera cultura” potrebbe tranquillamente “fuoriuscire nel socialismo”. Gli appigli teorici che costoro invano cercherebbero in Marx, Engel e Lenin (non parliamo poi dell’aborrita Sinistra comunista!) possono scovarli altrove: nel riformismo beota di ieri e di sempre.

 

Primo testo (18):

Mozione della corrente di sinistra su “educazione e cultura”:

“Il Congresso considerando che in regime capitalista la scuola rappresenta un’arma potente di conservazione nelle mani della classe dominante, la quale tende a dare ai giovani un’educazione che li renda ligi e rassegnati al regime attuale, e impedisca loro di scorgerne le essenziali contraddizioni, rilevando quyindi il carattere artificioso delòla cultura attuale e degli insegnamenti ufficiali, in tutte le loro fasi successive, e ritenendo che nessuna fiducia sia da attribuirsi ad una riforma della scuola nel senso laico o democratico;

“riconoscendo che scopo del movimento nostro è contrapporsi ai sistemi di educazione della borghesia, creando dei giovani intellettualmente liberi da ogni forma di pregiudizio, decisi a lavorare alla trasformazione delle basi economiche della società, pronti a sacrificare nell’azione rivoluzionaria ogni interesse individuale;

considerando che questa educazione socialista, contrapponendosi alle svariate forme di individualismo in cui si perde la gioventù moderna, partendo da un complesso di cognizioni teoriche strettamente scientifiche e positive giunge a formare uno spirito e un sentimento di sacrificio;

riconosce la grande difficoltà pratica di dare alla massa degli aderenti al nostro movimento una base così vasta di nozioni teoriche, che esigerebbe la formazione di veri e propri istituti di cultura, e mezzi finanziari sproporzionati alle nostre forze; e, pure impegnandosi a dare l’appoggio più entusiasta al lavoro che intende fare in questo campo la Direzione del P.S., ritiene che l’attenzione dei giovani socialisti debba piuttosto essere volta alla formazione del carattere e del sentimento socialisti;

considerando che una tale educazione può essere data solo dall’ambiente proletario quando questo viva nella lotta di classe intesa come preparazione alle massime conquiste del proletariato, respingendo la definizione scolastica del nostro movimento e ogni discussione sulla sua così detta funzione tecnica, crede che, come i giovani troveranno in tutte le agitazioni di classe del proletariato il tererno migliore per lo sviluppo della loro coscienza rivoluzionaria, così le organizzazioni operaie potranno attingere dalla attiva collaborazione dei loro elementi più giovani e ardenti quella fede socialista che sola può e deve salvarle dalle degenerazioni utilitarie e corporativiste;

afferma in conclusione che l’educazione dei giovani si fa più nell’azione che nello studio regolato da sistemni e norme quasi burocratiche e in conseguenza esorta tutti gli aderenti al movimento giovanile socialista:

a] a riunirsi molto più spesso che non lo prescrivano gli statuti, per discutere tra loro sui problemi dell’azione socialista, comunicandosi i risultati delle osservazioni e delle letture personali e abituandosi sempre più alla solidarietà morale dell’ambiente socialista;

b] a prendere parte attiva alla vita delle organizzazioni di mestiere, facendo la più attiva propaganda socialista fra i compagni organizzati, specialmente diffondendo la coscienza che il Sindacato non ha per unico fine i miglioramenti economici immediati, ma è invece uno dei mezzi per la emancipazione completa del proletariato, a fianco delle altre organizzazioni rivoluzionarie”.

 

Secondo testo (19):

“Nessuno (...) accetterebbe l’epiteto di ‘nemico della cultura’ nel senso assoluto, e nessuno ritiene desiderabile per l’avvenire del socialismo lo stato d’ignoranza del proletariato. Noi vogliamo solo indagare fino a che punto e con quali valori possa rientrare nell’azione sovversiva del socialismo la preparazione culturale delle masse, perché riteniamo che, pur riconosciuti gli innegabili vantaggi, alcune forme di tale preparazione, specie in quanto si tenti di dare ad esse un’importanza fondamentale, finiscono con l’esorbitare troppo dalle linee caratteristiche del programma rivoluzionario del socialismo. Il partito socialista ha la missione di curare lo sviluppo intellettuale del proletariato oltre che i suoi interessi economici (...). Lo sviluppo intellettuale dell’operaio è la conseguenza diretta del suo stato economico. Ed in questo senso il socialismo vuole interessarsi dell’emancipazione intellettuale dell’operaio contemporaneamente a quella economica, sempre ritenendo che la prima è una conseguenza della seconda, e che se si tiene a cuore il progresso e la cultura della massa, non sid eve disprezzare, ma accettare nel suo massimo valore, il programma della sua redenzione ‘materiale’ (...). Il Partito Socialista indica al proletariato in quale senso dirigere le forze risultanti dal suo bisogno economico per raggiungere più presto la finalità di classe, ossia l’abolizione del salariato. Così dunque il partito può e deve guidare l’educazione e la ‘cultura’ operaia (...).

“Ma il ‘riformismo’ e la ‘democrazia’ vedono il problema della cultura da un punto di vista ben diverso, anzi esattamente capovolto. Nella cultura operaia essi scorgono, anzichè la conseguenza parallela dell’emancipazione economica, il mezzo principale e la ‘condizione necessaria’ di quella emancipazione (...). Noi non possiamo ‘aspettare’ che la classe operaia sia ‘educata’ per credere possibile la rivoluzione, perché ammetteremmo in pari tempo che la rivoluzione non avverrà mai. Questa pretesa preparazione culturale educativa del proletariato non è realizzabile nell’ambito della società attuale. Anzi l’educazione della classe borghese (...) ‘educa’ le masse in senso precisamente antirivoluzionario (...). Per la democrazia il problema economico è il sottosuolo che occorre esplorare con la luce della ‘cultura’ che scende dall’empireo dei filosofi, dei maestri, dei pensatori. Ma il socialismo marxista inverte in teoria ed in politica l’equivoco democratico. Esso mostra che il sottosuolo sociale è in fermento e troverà in se stesso il modo di sprigionare le forze latenti che lo agitano. Il pensiero, l’ideologia operaia si determinano al di fuori della filosofia guidata dalla classe che ha il monopolio dei mezzi di produzione, e il monopolio della ‘cultura’. L’azione del Partito Socialista riesce a compiere un lavoro di sintesi di quelle forze latenti, a dare al proletariato la coscienza di ‘tutto’ se stesso e il coraggio di non cercare al di fuori di se stesso i mezzi della sua ascensione”.

 

(1-     continua)

 


 

Premessa

 

(a)   Cfr. Danza di fantocci: dalla Coscienza alla Cultura, serie Sul filo del tempo, A. Bordiga,, in “il programma comunista” n.12/1953.

(b)   Ibidem.

(c)   Ibidem.

 

Risposta di classe al riformismo nella scuola

 

(1)   Vedi K. Marx, Istruzioni per i delegati del consiglio centrale provvisorio. Le singole questioni, per il primo congresso dell’Internazionale che si tenne a Ginevra dal 3 all’8 settembre 1866. In Marx-Engels, Opere complete, vol. XX, Editori Riuniti, Roma 1987. La traduzione italiana degli Editori Riuniti non è perfetta; tra parentesi quadre, per una migliore comprensione, abbiamo trascritto le parole dalla traduzione francese curata nel 1867 da Paul Lafargue, dalla quale riprendemmo i brani pubblicati nel 1974-74 nell’opuscolo di partito intitolato Risposta di classe al riformismo nella scuola.

(2)   Vedi K. Marx, Il Capitale, Libro primo, UTET, Torino 1974, cap. XIII. Macchine e grande industria, pp. 631-632.

(3)   I tre testi a cui ci riferiamo sono, il testo definitivo intitolato: La guerra civile in Francia. Indirizzo del consiglio generale dell’Associaizione internazionale dei lavoratori, Londra 30 maggio 1871, e i due lavori preparatori, scritti nel periodo dal 18 marzo a metà maggio circa: La guerra civile in Francia: primo saggio di redazione, e La guerra civile in Francia: secondo saggio di redazione. Le citazioni sono riprese da K. Marx, Scritti sulla Comune di Parigi, la nuova sinistra/Edizioni Samonà e Savelli, Roma 1971.

(4)   K. Marx, La guerra civile in Francia: primo saggio di redazione, cit., p. 109.

(5)   Ibidem, p. 110.

(6)   Ididem, p. 131; tra parentesi quadre la traduzione dal francese, molto più corretta della traduzione in termini più attenuati e confusi di quella italiana (la differenza tra “agente” e “ combattente”, come tra “repubblica del lavoro” e “repubblica dei lavoratori”, è evidente).

(7)   K. Marx, La guerra civile in Francia: secondo saggio di redazione, cit., p. 173; tra parentesi quadre la traduzione dal francese, per le ragioni descritte nella nota 6.

(8)   K. Marx, La guerra civile in Francia. Indirizzo del consiglio generale dell’Associazione internazionale dei lavoratori, cit., pp. 50-51.

(9)   PDUP, “Partito di Unità proletaria”, si costituì nel dicembre 1972 per la confluenza di diverse correnti del socialismo riformista e del cattolicesimo progressista; partito parlamentare che si collocò alla “sinistra” del PCI; nel luglio del 1974 si sciolse e, insieme al gruppo del Manifesto, dissidente del PCI, costituì il “PDUP per il comunismo” al quale aderì subito dopo anche il Movimento autonomo degli studenti  di Mario Capanna, il cui scopo dichiarato era di costituire un grande movimento delle sinistre, alla “sinistra” del PCI, con l’intento di far abbandonare al PCI la sua linea del “compromesso storico” con la DC e rispostarlo “a sinistra”. L’esperimento terminò nel 1984 con il suo scioglimento; suoi frammenti rientrarono nel PCI, altri conversero in Democrazia Proletaria, altri rimasero nel gruppo del “Manifesto”, altri formarono altri “movimenti politici” ed altri seguirono le sorti di Rifondazione Comunista quando si staccò nel 1991 dal PCI diventato PDS. 

(10) Kulturkampf, “battaglia per la cultura”, è la campagna condotta da Bismark per limitare i poteri della Chiesa cattolica.

(11) Vedi K. Marx, Critica al programma di Gotha, Editori Riuniti, Roma 1976, pp. 47-48.

(12) Vedi F. Engels, Antidühring, in Marx-Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1974, vol. XXV, pp. 308-309.

(13) Vedi Lenin, Progretto di risoluzione sull’atteggiamento verso gli studenti, II Congresso del POSDR, 1903, in Opere, Editori Riuniti, Roma 1969, vol. 6, p. 435. (Scritto nel giugno-luglio 1903, Pubblicato negli Atti del II Congresso del POSDR, per la prima volta a Ginevra nel 1904).

(14) Vedi Lenin, I compiti della gioventù rivoluzionaria, Lettera prima, settembre 1903, in Opere, Editori Riuniti, Roma 1969, vol. 7, pp. 43 e 46. Questo articolo è stato sottotitolato “Lettera prima”, perché nelle intenzioni di Lenin doveva far parte di una serie, come dal suo Piano delle lettere sui compiti della gioventù rivoluzionaria (Opere, vol. 7, pp. 33-34), ma  altre non ve ne furono.

(15) Vedi Lenin, Sul progetto di rielaborazione del programma, contenuto nell’opuscolo pubblicato nel giugno 1917 intitolato Documenti per la revisione del programma del partito, in Opere, Editori Riuniti, Roma 1966, vol. 24, pp. 482-487.

(16) L’Avanguardia, era il “Giornale della federazione italiana giovanile socialista aderente al PSI” che uscì dal settembre del 1907 fino al settembre del 1922. Fin dal suo esordio fu la voce della battaglia che i giovani socialisti diedero sia nel campo dell’antimilitarismo che in quello dell’internazionalismo, nell’ambito di un sostegno costante alla sinistra rivoluzionaria.

(17) Storia della sinistra comunista, è il titolo del lavoro che il partito iniziò nelle riunioni generali degli anni Sessanta del secolo scorso con l’intento di ricostruire e documentare storicamente il processo di formazione e di sviluppo di una sinistra comunista rivoluzionaria in Italia e la sua rilevante azione in campo internazionale attraverso le battaglie di classe svolte nel PSI e, successivamente, dalla fondazione del Partito comunista d’Italia nel gennaio 1921 fino al 1926, l’anno del Congresso di Lione e del VI Esecutivo Allargato dell’Internazionale Comunista a Mosca. Finora sono usciti 4 volumi, tutti targati “edizioni il programma comunista” sebbene i primi due facevano capo al partito di ieri non ancora distrutto dalla crisi esplosiva del 1982-84; il primo volume esce nel 1964, sotto la direzione di Amadeo Bordiga, che, con il volume I bis in cui sono stati raccolti molti altri scritti, copre il periodo dalle origini fino al 1919; il secondo volume, uscito nel 1972, sempre su lavori collettivi di partito, va dal congresso di Bologna del PSI, 1919, fino al secondo congresso dell’Internazionale Comunista, 1920; il terzo volume, sempre su lavori collettivi di partito, va dal II al III congresso dell’IC (settembre 1920-giugno 1921) ma è stato pubblicato nel 1986 dalla formazione politica che si è impossessata del giornale storico del partito che, nel 1997 pubblica anche il quarto volume con il quale, soprattutto attraverso molti documenti e scritti del PcdI, e di Bordiga, si copre il periodo dal luglio 1921 al maggio 1922.

(18) Cfr. “L’Avanguardia”, n. 257 del 15-9-1912, in Storia della sinistra comunista, ed. Il programma comunista, Milano 1964, I vol., pp. 185-186.

(19) Brani tratti dall’articolo Il problema della cultura, di A. Bordiga, pubblicato nell’Avanti! del 5-4-1913, in Storia della sinistra comunista, ed. Il programma comunista, Milano 1964, I vol., pp. 208-211.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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