Romanzo di una strage (di Stato)

(«il comunista»; N° 125; maggio 2012)

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Dopo molti libri, articoli, interventi di vari personaggi della cultura e della politica, spettacoli teatrali e canzoni, che dal dicembre del 1969 si sono occupati della strage di Piazza Fontana a Milano, è uscito nelle sale cinematografiche, a 43 anni di distanza, il primo film su questa strage, intitolato Romanzo di una strage.

Il film non ha avuto certamente l’obiettivo di ricostruire la “verità” su quell’attentato; se avesse avuto anche lontanamente l’idea di portare un fascio di luce nel buio pesto in cui è stata da sempre tenuta la strage di piazza Fontana, insieme a tutte le stragi dovute all’estremismo di destra, l’avremmo intuito già dal titolo perché si sarebbe probabilmente intitolato Romanzo di una strage di Stato. Non ci sono dubbi, infatti, che questa strage, come quelle di Piazza della Loggia a Brescia, del treno Italicus, della stazione di Bologna o di Ustica (per citare le più note), dove ci sono stati di mezzo sempre i servizi segreti – quindi lo Stato – è stata opera di forze che agivano nell’intento di indirizzare le tensioni sociali, provocate soprattutto da situazioni di crisi economica, verso un imbuto politico che portasse a giustificare l’accrescere del dispotismo sociale, della militarizzazione, dell’autoritarismo. All’epoca vennero in superficie piani di tentativi (in verità davvero ridicoli) di “golpe” e, successivamente, di strutture parallele in cui erano coinvolti molti alti ufficiali delle forze armate, come Gladio, la P2 (queste molto meno ridicole) e chissà quali altre congreghe segrete sono ancor oggi vive ma non visibili.

Resta comunque il fatto che Piazza Fontana rappresenta per molti ancora una ferita aperta, non rimarginata, a distanza di più di 40 anni, e non perché il contrasto tra “destri” e “sinistri” si esprima ancora attraverso bombe o pistolettate, ma perché è continuata nel tempo l’opera di deviazione e di omertà delle stesse istituzioni dello Stato; opera che alla fine ha portato ad assolvere anche quegli indagati che in tornate processuali precedenti erano stati giudicati “colpevoli”. La “verità” non è stata ricostruita nelle aule dei tribunali, non poteva esserlo nemmeno sul set cinematografico.

Noi, oggi come allora – e lo si può leggere nel  breve articolo che ripubblichiamo qui sotto, intitolato “Di chi la colpa?” – non pretendiamo di sapere chi sono i “colpevoli”, perché le cause più profonde della violenza di un attentato, di un ammazzamento, di una tortura stanno tutte nella violenza congenita della società borghese. Dire questo, per noi, non significa né “assolvere” né “condannare” chi commette violenza: significa comprendere la causa profonda di una violenza che non termina “reprimendo” e “condannando” i “colpevoli”, ma che si rigenera continuamente in una società nella quale i benpensanti si sdegnano per i morti di un attentato e non per l’ecatombe provocata dalle guerre o dalla fame. Di più, significa dare alla violenza una caratteristica di classe, ed è per questo che i comunisti non sono mai “contro” ogni violenza, ma sono contro la violenza borghese, la violenza economica, politica, poliziesca, militare che la classe dominante borghese usa monopolisticamente contro le classi subalterne e, in particolare, contro il proletariato. Gli è che il clima di pacificazione sociale che da anni tutte le forze democratiche, siedano o meno al parlamento, cercano di instaurare – con gli alti e bassi dovuti alle rivalità elettorali che ognuna di loro alimenta per assicurarsi una fetta maggiore nel mercato dei voti – fa da sfondo al tentativo di rafforzare una coesione nazionale che, in tempi di crisi economica e di inevitabile accrescimento delle tensioni sociali, non è così facile da ottenere. Anni fa, ad esempio, dopo che i partiti “storici” come la Democrazia Cristiana, il PSI, il PLI, il PSDI, l’MSI e lo stesso PCI, subirono un tracollo dovuto anche all’esplodere degli scandali che li coinvolsero tutti in quella enorme sagra della corruzione che fu “tangentopoli”, lo stesso presidente della repubblica Ciampi, ex partigiano del Partito d’Azione, tentò di seppellire i contrasti fra “sinistri” e “destri” lanciando l’idea che i “ragazzi di Salò”, sebbene dalla parte “sbagliata”, avevano comunque abbracciato la causa della nazione, come avevano fatto i ragazzi che aderirono alla resistenza antifascista, i partigiani, questi naturalmente dalla parte considerata “giusta”. La violenza degli uni era “sbagliata” non perché “violenza” ma perché non era dalla parte della democrazia che, una volta “restaurata”, avrebbe dovuto eliminare ogni ricordo della violenza di guerra e della violenza sociale. Che questo non sia avvenuto lo vede anche un bambino; anzi, la violenza caso mai, con lo sviluppo della civiltà capitalistica e democratica, è aumentata. Il successivo presidente della repubblica, Napolitano, continuando la stessa opera di propaganda della “coesione nazionale”, si adoperò ad esempio per far incontrare presso il Quirinale la vedova Calabresi e la vedova Pinelli.

Il tema che ci sembra giusto evidenziare, quindi, anche in occasione dell’uscita di questo film, è per l’appunto quello della “pacificazione sociale” per la quale, d’altra parte, gli autori hanno pensato bene di poggiare il loro racconto in particolare su due punti (ripresi da un libro di Paolo Cucchiarelli, Il segreto di Piazza Fontana) che diventano il motivo portante della pacificazione: le bombe alla Banca dell’Agricoltura erano due e non una (una piazzata dagli anarchici, solo per spaventare e non per uccidere, e una piazzata dai fascisti, fatta per uccidere), e il fatto che l’anarchico Giuseppe Pinelli e il commissario dell’Ufficio politico della Questura di Milano, Luigi Calabresi, si stimavano ed avevano un rapporto cordiale. I 17 morti e gli 88 feriti dell’attentato sarebbero vittime, quindi, di una fatalità alla quale hanno partecipato egualmente gli anarchici – immediatamente considerati colpevoli e perseguitati per questo, con Pinelli che “precipita” dalla finestra della stanza della Questura in cui veniva interrogato e con Valpreda che si fa anni di carcere da innocente – e i fascisti, in commistione con i servizi segreti di uno Stato che ha fatto di tutto, riuscendoci, per occultare prove e deviare le indagini a tal punto da poter alla fine assolvere tutti i “neri” coivolti. E’ evidente il tentativo di contribuire, con questo film, ad attutire gli spigolosi contrasti che un attentato del genere suscita ancora oggi, mettendo in sordina, per l’ennesima volta, le evidenti responsabilità delle forze dell’ordine borghese e, quindi, dello Stato per cui, dato il coinvolgimento diretto dei servizi segreti, era ed è giusto affermare che questa strage è di Stato, come lo sono state molte altre.

Ma, come la democrazia non riesce a coprire la realtà violenta della società borghese, così i tentativi di “pacificazione sociale” non riusciranno ad impedire alle contraddizioni sempre più acute di questa società di esplodere, spingendo le classi a polarizzarsi intorno ai propri interessi e scontrarsi in una battaglia dalla quale il proletariato uscirà vincitore alla condizioone di riconoscere nella propria classe la forza capace di rivoluzionare il mondo e nel partito di classe la sua necessaria guida.

 

 

Partito comunista internazionale

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