La donna e il socialismo (5)

Di August Bebel

La donna nel passato, nel presente e nell’avvenire

(«il comunista»; N° 129; febbraio-aprile 2013)

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(continua dal n. 128)

 

 

II. La donna nel presente

 

 

Continuiamo la pubblicazione di altri estratti del capitolo secondo dedicato, per l'appunto, alla condizione della donna nella società presente, la società capitalistica. Sebbene Bebel abbia scritto quest'opera nel 1890, i tratti fondamentali della condizione della donna nel capitalismo non sono sostanzialmente cambiati a 120 anni di distanza; per questa ragione, ricordavamo, il testo di Bebel La donna e il socialismo non ha perso per nulla la sua validità.

 

L'istinto sessuale

Il matrimonio

Freni e impedimenti al matrimonio

 

Ogni qualvolta sorge la questione intorno alle attitudini intellettuali di entrambi i sessi - questione che discuteremo ancora più innanzi - non ci possono essere dispareri sul punto che nel presente il sesso femminile in media è inferiore al sesso maschile intellettualmente.

Balzac, che non fu punto amico delle donne, afferma: “La donna che ha ricevuto una cultura maschile possiede effettivamente le qualità più splendide ed efficaci per fare la felicità propria e quella di suo marito”; e Göthe, che conosceva certo molto bene gli uomini e le donne del suo tempo, si esprime mordacemente nel suo “Guglielmo Meister” (Confessioni di una bella anima) (*): “Si gettò il ridicolo sulle donne dotte, e non si vollero soffrire nemmeno le donne istruite, probabilmente perché si ritenne scortesia di far arrossire tanti uomini ignoranti”, ma quei due giudizi, oggi, per la generalità, non valgono. La differenza esiste e deve esistere perché la donna è quale l’hanno fatta gli uomini suoi padroni. L'educazione della donna è stata generalmente trascurata ancora più di quella del proletario, e ciò che oggi si dà di meglio a questo riguardo, da tutti i lati è ancora insufficiente. Noi viviamo in un’epoca nella quale cresce in tutti i ceti ed anche nella famiglia il bisogno dello scambio di idee, e qui la trascurata cultura della donna si dimostra un grave errore e si vendica sull’uomo.

La base della cultura intellettuale nell’uomo dovrebbe formarsi almeno, secondo quanto si afferma, sebbene troppo spesso non si raggiunga e molte volte non posssa essere raggiunto lo scopo impiegandovisi mezzi disadatti, la base, ripetiamo, della cultura dell’uomo dovrebbe formarsi con lo sviluppare l’intelligenza, con l’acuire il pensiero, con la diffusione della scienza positiva, col rendere ferma la volontà, in una parole con l’esercizio delle funzioni intellettuali. L’educazione della donna, al contrario, per elevata che sia, si limita principalmente al sentimento, ad una educazione puramente formale dello spirito per cui si eccita la irritabilità nervosa e si riscalda la fantasia, ad esempio mediante la musica, le belle lettere, l’arte, la poesia.

Questo è l’indirizzo più sbagliato e più malsano che si poteva seguire: esso rivela che le forze, che devono costituire il grado di cultura della donna, si fanno guidare soltanto dai suoi innati pregiudizi sulla natura del carattere femminile e sulla posizione limitata che occupa la donna nella vita. Ciò che manca alla donna non è già il sentimento e la fantasia che eccita il sistema nervoso, né il sapere a base di apparenza e di spirito: per questi aspetti il carattere della donna si è sviluppato ed affinato anche troppo, così da aumentare il male. Ma se la donna, al posto di un sentimento sovrabbondante, che spesso diventa poco sincero, possedesse maggiore acutezza di giudizio e più esatta capacità di pensare; al posto di una soverchia eccitabilità e timidezza, coraggio fisico e fermezza di carattere; se al posto di una cultura puramente formale e a base di spirito, per quanto estesa, e in questa condizione si trova solo una esigua minoranza, acquistasse la conoscenza del mondo, degli uomini e delle forze della natura, allora si troverebbero molto meglio così essa come l’uomo.

In generale si è alimentato fin qua nella donna smisuratamente quella che si chiama la vita del sentimento e dell’anima, mentre si è arrestato, negletto ed oppresso il suo sviluppo intellettuale. Donde una vera ipertrofia del sentimento e dell’anima, e la facilità di cedere alla superstizione e ai raggiri dei furbi, sicché può dirsi un terreno sempre disposto a fecondare qualsiasi ciarlataneria religiosa o d’altro genere, e uno strumento molto docile per ogni reazione. Gli uomini se ne dolgono, perché ne soffrono anch’essi; ma non pensano a cangiamenti, perché di pregiudizi anch’essi ne hanno fin sopra i capelli.

Data codesta condizione intellettuale della donna, è chiaro che essa consideri il mondo ben altrimenti che gli uomini; donde una ricca sorgente di dissidio tra i due sessi.

La partecipazione alla vita pubblica oggi è diventata uno dei più essenziali doveri dell’uomo; né la cosa muta se molti uomini tale dovere non comprendono. Ma diventa sempre più fitta la schiera di coloro i quali riconoscono che la vita pubblica e le istituzioni sue sono intimamente collegate ai rapporti privati dei singoli; che il bene e il male degli individui e delle famiglie dipendono assai più dalle istituzioni pubbliche e dai pubblici ordinamenti che non dagli atti e dalla condizione personale dei privati, perché comprendono che, rispetto a quelle mancanze inerenti allo stato delle cose e che ne determinano la condizione, è addirittura impotente qualsiasi sforzo dei singoli.

E poichè la lotta per l’esistenza esige sforzi ancora maggiori di una volta, così per il soddisfacimento di tutte queste esigenze richiede dall’uomo uno spazio di tempo che diminuisce sensibilmente quello che è stato consacrato alla donna. Questa, al contrario, non può comprendere, per effetto della sua educazione e del modo di considerare il mondo e la vita, che le cure rivolte dall’uomo agli interessi pubblici abbiano altro scopo che non sia quello di associarsi al suo simile, di sciupare denaro, tempo e salute, di procurarsi nuove preoccupazioni, cose, queste, che non fanno che preoccuparla. Di qui le discordie domestiche. L’uomo viene posto non raramente nell’alternativa: o di rinunciare a prestare l’opera sua a favore della generalità e di sottomettersi alla donna, il che non lo rende soddisfatto, ovvero di rinunziare ad una parte della pace coniugale e delle gioie domestiche, se egli dà la preferenza alle esigenze del bene generale, che egli sa strettamente connesso col benessere proprio e con quello dei suoi. Se egli poi intende persuadere la donna, allora urta contro uno scoglio pericoloso, ma ciò accade ben di rado. Di solito, il marito crede che alla moglie non importi o che non comprenda ciò che egli vuole, e quindi non si prende la briga di istruirla. “Tu non puoi comprendere ciò”, è questa la risopsta stereotipata ogni qualvolta la donna si duole o stupisce che il marito la lasci completamente all’oscuro. Il vero è che le donne non arrivano a comprendere, perché primi a non capire sono gli uomini. Ora la donna comprende che l’uomo ha bisogno forse di un pretesto per uscire di casa, allo scopo di soddisfare il suo bisogno di svago, bisogno che spesso non corrisponde a più alte esigenze, ma che non può venir appagato in casa, e da ciò deriva un altro motivo di dissidi coniugali.

Queste differenze di educazione e di idee, che cominciano a delinearsi anche al principio del matrimonio, quando la passione è ancora viva e palpitante, si accentuano con gli anni e diventano poi tanto più sensibili con l’intiepidirsi ed estinguersi degli appetiti e col bisogno sempre crescente che venga ad occuparne il posto e a farne le veci l’armonia intellettuale. Ma, indipendentemente dal fatto se l’uomo ha un concetto dei doveri del cittadino e se li compie, egli si pone in continuo contatto coi più disparati elementi e con le più differenti idee, soltanto per effetto delle sue funzioni e del diuturno contatto col mondo esterno: egli vive quindi in un’atmosfera intellettuale che allarga, anche prescindendo dall’opera sua, il suo orizzonte. Egli non fa che commettere dei furti intellettuali, mentre alla donna, occupata da mane a sera nelle cure domestiche, manca il tempo di istruirsi, pure avendone l’attitudine e l’inclinazione, ed intellettualmente si esaurisce.

Tutta la miseria domestica in cui vivono presentemente il maggior numero delle mogli è mirabilmente ritratta, suo malgrado, da Gerardo Di Amyntor nelle “Postille al libro della vita”. Ivi, fra l’altro, si legge nel capitolo “Punture mortali di zanzare”:

“Non gli avvenimenti terribili, che non mancano per alcuno, e recano qui la morte dello sposo, là la rovina morale di un figlio prediletto, qui consistono in una lunga e grave malattia, là nel naufragio di un disegno caldamente accarezzato; non questi avvenimenti rovinano la freschezza e la forza della donna, ma le piccole cure d’ogni giorno, che consumano a poco a poco il suo organismo. (...) Quanti milioni di ottime madri di famiglia sciupano il loro coraggio, le rosee guance e la loro fossetta biricchina, nelle cure domestiche, finché diventano altrettante mummie aggrinzite e diseccate. L’eterna nuova domanda: Che cosa si deve mangiare oggi?, la necessità sempre, che sempre si ripete, di pulire, di battere, di spazzolare, di spolverare, è la goccia continua che consuma a poco a poco, ma con effetto certo, lo spirito e il corpo. Il focolare è il luogo dove si trascinano i magri bilanci fra l’entrata e l’uscita, e dove si fanno le riflessioni più scoraggianti sul rincaro dei mezzi di sussistenza e sulla sempre maggiore difficoltà di procurarsi il denaro necessario. Sull’altare fiammeggiante ove fuma la zuppiera, vengono sacrificate gioventù e ingenuità, bellezza e buonumore, e chi riconosce nella cuoca vecchia, incurvata e dalle occhiaie incavate, la sposa una volta fiorente, spiritosa, pudicamente civettuola, seducente, adorna la fronte della corona di mirto! Già agli antichi era sacro il focolare, e vicino ad esso venivano posti i lari e i numi tutelari – lasciate che anche noi manteniamo sacro il focolare sul quale le nostre donne virtuose e fidate muoiono di lenta morte per rendere piacevole la casa, per imbandire la mensa e conservare sana la famiglia...".

E’ questo il conforto che la società borghese offre alla donna, che si consuma miseramente nell’attuale ordine di cose.

Nelle donne, che per la loro condizione pecuniaria e sociale sono più libere, prevale di regola una educazione falsa, imperfetta e superficiale, connessa con le qualità femminili caratteristiche trasmesse per legge ereditaria. Esse si intendono soltanto di tutto ciò che è esteriorità, si danno cura soltanto delle frivolezze e dell’abbigliamento, e cercano di occuparsi e soddisfare le loro voglie nel rendersi schiave delle loro passioni lascive che sempre maggiormente le invadono. Non si danno alcun pensiero né si prendono punto a cuore i figliuoli e la loro educazione, ma li abbandonano piuttosto, per quanto è possibile, alle cure della nutrice e della servitù, per affidarli più tardi ai collegi.

Vi sono dunque molteplici e svariate ragioni che perturbano l’odierna vita matrimoniale e che permettono in ben pochi casi vengano raggiunti anche parzialmente gli scopi del matrimonio. Né è possibile conoscere e misurare l’estensione di queste condizioni, perché ogni coppia, specialmente nelle classi sociali più elevate, si studia di stendervi un velo.

 

Altri freni e impedimenti al matrimonio. La proporzione numerica dei sessi. Sue cause e suoi effetti

 

La condizione della donna, quale fu da noi illustrata, impresse in lei qualità caratteristiche tali che, trasmesse per eredità di generazione in generazione, si svilupparono sempre più completamente. Gli uomini ci si fermano di preferenza, dimenticando però che ne sono essi stessi la causa e vi concorrono con la loro condotta. Fra queste caratteristiche della donna, tante volte censurate, sono da annoverarsi la loquacità e il pettegolezzo, la tendenza a non finire mai di chiacchierare delle cose più insignificanti, la preoccupazione e la cura di tutto ciò che è esteriorità, la passione per gli abbigliamenti e la civetteria, e la conseguente inclinazione per tutte le pazzie della moda; inoltre la facilità di invidiare e di essere gelose delle loro compagne.

Queste qualità si rendono manifeste generalmente nella donna, fino dalla sua prima età sebbene in gradi diversi. Sono quindi disposizioni naturali, ereditate e sviluppate ancor più dal sistema d’educazione. Chi fu educato irrazionalmente non può educare altri razionalmente.

Volendo chiarire le cause del nascere e dello svilupparsi delle qualità buone e cattive dei sessi, od anche di popoli interi, si deve usare lo stesso sistema, consultare le stesse leggi che vengono applicate dalle moderne scienze naturali nelle ricerche sull’origine e sulla formazione dei generi e delle specie e sullo sviluppo delle proprietà caratteristiche del mondo organico: quelle leggi, dunque, che dal nome del loro scopritore vengono chiamate preferibilmente di Darwin e si sviluppano dalle condizioni materiali d'esistenza, dall’ereditarietà e dall’adattamento e rispettivamente dall’allevamento e dalla educazione.

L’uomo non può sfuggire alle leggi che valgono per tutti gli esseri viventi nella natura (60), l’uomo non sta fuori dalla natura, ma, considerato dal punto di vista fisiologico, non è altro che l’animale più perfettamente sviluppato. Ma l’uomo ammette ciò ancor meno di tutto il resto. Gli antichi, già molte migliaia di anni or sono, avevano, su molte cose umane, idee molto più razionali, sebbene non conoscessero la moderna scienza naturale e – l’importante sta in ciò –applicavano praticamente i loro principi basati sull’esperienza. Si sente magnificare spesso con ammirazione entusiastica la bellezza e la forza degli uomini e delle donne della Grecia, ma non si osserva che non era soltanto la clemenza del clima e l’incanto della natura del paese che influiva sullo sviluppo della popolazione, ma che si doveva alle massime di educazione fisica e morale introdotte dallo stato fra i liberi, allo scopo di accoppiare la bellezza fisica, la forza e l’agilità all’elasticità, all’acutezza dell’intelligenza. E se della donna, in paragone dell’uomo, fu assai negletta l’educazione intellettuale, ciò non avvenne nei riguardi dello sviluppo fisico (61).

A Sparta, per esempio, ove si andò più innanzi che altrove nell’educazione fisica di ambedue i sessi, fanciulli e fanciulle andavano nudi per via fino alla pubertà e si esercitavano in comune in esercizi corporali, in giuochi e lotte. Lo spettacolo della nudità del corpo umano e il trattamento naturale di ciò che è naturale ebbe il vantaggio di non produrre quello stimolo sessuale che oggi viene suscitato artificialmente fin dalla giovinezza mediante la separazione delle relazioni fra i due sessi. La perfezione fisica di un sesso e la funzione dei suoi organi speciali non era un segreto per l’altro sesso. Non vi potevano essere dubbi. La natura rimaneva natura. Un sesso gioiva della bellezza dell’altro. L’umanità deve tornare alla natura e alle relazioni naturali dei sessi, gettando lontano da sé i malsani principi spiritualistici intorno alla natura umana oggi dominanti, creando sistemi di educazione rispondenti al nostro grado di civiltà e introducendo una rigenerazione fisica e intellettuale.

Noi siamo dominati ancora da molti scrupoli, specialmente intorno all’educazione della donna. E’ considerato come eresia e certo come “contrario alla femminilità” il dire o pretendere che anche la donna deve avere vigore fisico, coraggio e ardimento, sebbene nessuno possa negare che la donna così fatta potrebbe difendersi da molte ingiustizie e sottrarsi a molti dispiaceri. Invece la donna viene, quanto possibile, arrestata nello sviluppo fisico, precisamente come in quello intellettuale, al che contribuisce notevolmente la irrazionalità degli abiti. Questi non solo arrestano la donna in modo gravissimo nel suo sviluppo fisico, ma la rovinano addirittura; eppure sono ben pochi i medici che osino alzar la voce, sebbene tutti sappiano quali pregiudizi derivino dalla foggia dell'abbigliamento. Il timore di dispiacere alla paziente li induce a tacere, quando non ne accarezzano i capricci. La foggia moderna del vestire impedisce inoltre alla donna il libero impiego delle sue forze e suscita quindi in lei il sentimento dell’impotenza e della debolezza.

Questo abbigliamento è poi anche in modo speciale pericoloso per chi la avvicina, perché la donna in casa e per la via sembra proprio una produttrice ambulante di polvere. Finalmente ad impedire lo sviluppo della donna concorre la rigorosa separazione dei sessi nella società e nella scuola, metodo questo che risponde perfettamente ai principi spiritualistici che il cristianesimo ci ha profondamente radicato nell’animo rispetto a tutto ciò che riguarda la natura umana.

La donna che non sviluppa le sue attitudini fisiche, che, storpiata nella cultura di quelle intellettuali, si aggira entro una sfera di idee molto ristrette, ponendosi in relazione soltanto con le sue conoscenze più prossime, non può elevarsi dal comune e dal mediocre. Il suo orizzonte intellettuale abbraccia sempre le più meschine faccende domestiche, le relazioni di parentela e ciò che ne dipende. Di qui un alimento alle conversazioni inutili sulle cose più insignificanti, di qui anche favorita la più viva tendenza alla ciarla poichè le doti di fantasia in lei vive fanno ressa per essere provate ed esercitate. E quindi l’uomo, addolorato spesso da dispiaceri e tratto alla disperazione, maledice perché egli, “signore della creazione”, ne fu pure causa precipua.

Ora, poichè la donna in tutte le fasi della sua esistenza è tratta, dalle nostre condizioni sociali e sessuali, al matrimonio, tutto ciò che vi si riferisce forma naturalmente una parte essenziale delle sue aspirazioni e dei suoi discorsi. Per essa, fisicamente più debole e soggetta per uso e per legge all’uomo, la lingua costituisce l’unica arma che può adoperare, ed essa naturalmente se ne vale. Lo stesso avviene della sua passione per gli adornamenti e per la civetteria che raggiunge la sua più spaventosa intensità nei capricci della moda tante volte deplorati, trascinando spesso nella miseria e nell’imbarazzo padri e mariti senza che essi possano porvi un riparo efficace. Tutto ciò si spiega molto facilmente. La donna costituisce per l’uomo prima di tutto uno strumento di piacere; economicamente schiava, essa è costretta a vedere nel matrimonio il suo mantenimento, essa dipende dunque dall’uomo e diventa una parte del suo patrimonio. La sua condizione è resa ancor più disgraziata dal fatto che il numero delle donne supera generalmente quello degli uomini. Di ciò parleremo in un altro capitolo. Per questa sproporzione sale la concorrenza delle donne fra loro, concorrenza resa maggiore da un certo numero di uomini che per varie ragioni non prendono moglie.

La donna è costretta, quindi, a entrare in lotta con le sue compagne e a sfoggiare i suoi vezzi e le sue attrattive per vincerle e conquistarsi il marito. Chi pensi che tutte queste disuguaglianze durarono per il corso di innumerevoli generazioni, non si meraviglierà che questi fenomeni, giusta le leggi dell’eredità naturale e dell’evoluzione, abbiano attinto la loro ultima forma alle stesse cause continuamente operanti. Da ciò ne viene che forse in nessun’altra età la lotta della donna per la conquista dell’uomo fu mai tanto accanita come nel presente e, in parte per le cause già da noi accennate, in parte per altre cause che illustreremo più avanti, aumentò molto più di prima il numero delle donne che cercano marito in confronto degli uomini che cercano moglie. Infine, le difficoltà di una esistenza comoda e le esigenze sociali spingono molto più di una volta la donna verso il matrimonio, come ad un “istituto di mantenimento”.

Gli uomini si compiacciono di tale stato di cose, e ne traggono profitto. Si addice alla loro superbia, alla loro vanità, al loro interesse la parte del più forte e del dominatore, e in questa parte il padrone è, come tutti i padroni, difficilmente accessibile al ragionamento. Tanto più, poi, le donne hanno interesse di agitarsi per conquistare una posizione che le liberi da questo stato di avvilimento e di degradazione. Le donne non possono illudersi che l’uomo le aiuti ad uscire dalla loro condizione, nel modo stesso che gli operai hanno a sperare poco dalla borghesia.

Si consideri, inoltre, quali doti caratteristiche crea la lotta per la conquista di una posizione privilegiata anche in altri campi, per esempio in quelli dell’industria quando gli imprenditori si trovano uno di fronte all’altro, quali mezzi indecorosi e vigliacchi come l’odio, l’invidia, la maldicenza, si impiegano nella lotta e risulterà chiarissimo il fatto che nella lotta di concorrenza della donna per la conquista dell’uomo si formano qualità perfettamente identiche. Ne consegue che le donne, in media, si sopportano meno degli uomini; e che anche le migliori amiche vengono facilmente a contesa tra loro non appena si tratti della considerazione in cui sono tenute dall’uomo, delle loro prerogative personali e così via. Di qui anche la conferma del fatto che due donne incontrandosi per la prima volta si guardano generalmente come due nemiche e con una sola occhiata scoprono reciprocamente se l’altra ha sfoggiato un colore stridente o disposto con poco buon gusto un velo, o commesso qualche altro peccato mortale di tal fatta. Negli sguardi di entrambe si può leggere il giudizio che l’una fa dell’altra, come se l’una volesse dire all’altra: “Io ho saputo però abbigliarmi meglio di te, per attirare su di me l’attenzione”.

Anche l’intensità maggiore delle passioni nella donna, la quale trova nella Furia la sua espressione più odiosa, ma si manifesta anche nell’abnegazione più alta e nel sacrificio di sè – basti pensare alla virtù eroica con cui le madri e le vedove derelitte provvedono ai loro figli – anche questa maggiore intensità di passione ha la sua base essenziale nel metodo di vita e di educazione perché tutto è in lei diretto a favorire la vita del sentimento.

Con gli effetti di un’educazione intellettuale sbagliata, vanno di pari passo quelli meno importanti di un’educazione fisica sbagliata o difettosa, in relazione allo scopo della natura. Tutti i medici sono d’accordo su questo, che la preparazione della donna alle funzione di madre e di educatrice lascia quasi ancor tutto a desiderare. “Si esercitano i soldati nel maneggio delle armi e gli operai nell’uso dei loro strumenti; ogni impiego o ufficio esige i suoi studi; anche per il frate c’è il noviziato. Soltanto la donna non riceve alcuna istruzione in ordine ai suoi gravi doveri di madre” (62). Nove decimi delle ragazze che hanno occasione di maritarsi si sposano ignorando quasi completamente ciò che voglia dire maternità e i loro doveri nel matrimonio.

Il già accennato orrore insormontabile che hanno le madri di parlare alle figlie già sviluppate delle importanti funzioni sessuali, le lascia nell’ignoranza più crassa dei doveri che esse hanno verso se stesse e verso il futuro consorte. “La fanciulla, entrando nella vita matrimoniale, calca un terreno a lei completamente straniero; essa se ne è formata a modo suo un quadro fantastico, attinto per lo più dai romanzi, spesso non molto edificanti, e che rispondono alla realtà come un pugno negli occhi” (63).

Sulle mancanti nozioni di economia, tanto necessarie allo stato odierno delle cose, se anche la moglie viene esonerata da parecchi lavori che prima eseguiva, si ritiene sufficiente un cenno di sfuggita. E’ un fatto indiscutibile che molte donne, spesso non per colpa loro, ma per effetto di cause sociali generali, entrano nella vita coniugale senza avere le nozioni più elementari dei doveri domestici, ciò che costituisce un motivo sufficiente di dissapori.

Un’altra ragione che allontana molti uomini dal matrimonio, consiste nello sviluppo fisico di molte donne. Educazione sbagliata, tristi condizioni sociali (sistema di vita, abitazione, impiego), creano esseri femminili non adatti ai doveri fisici del matrimonio. Sono deboli, anemiche, eccessivamente nervose. Di qui i difficili cicli mestruali, le malattie dei vari organi che si collegano ai fini della generazione e arrivano fino all’incapacità di procreare e di allattare, od anche al pericolo della vita. Invece di una compagna sana e vivace, di una madre feconda, di una sposa che adempie i suoi doveri domestici, l’uomo ha vicino a sè una donna malata, eccitabile, che ha sempre bisogno del medico e che non può sopportare né il più leggero soffio di vento né il rumore più lieve. Non vogliamo diffonderci su tal punto; ogni lettore – e tutte le volte che diciamo lettore si intende anche lettrice – può completare il quadro da sè, perché ognuno può attingere molti altri esempi dalla cerchia delle sue conoscenze.

Medici esperti assicurano che oltre una metà di donne maritate, specialmente nelle città, si trovano in condizioni più o meno anormali. Tali unioni possono essere infelici secondo il grado dei mali e il carattere dei coniugi; e nell’opinione pubblica danno diritto all’uomo di permettersi delle libertà extraconiugali, la cui conoscenza produce nella donna la più viva eccitazione. Talvolta sono le esigenze sessuali, molto diverse nell’una e nell’altra parte, quelle che porgono occasione a profondi dissidi, senza che sia possibile, per riguardi d’ogni genere, la desiderata separazione.

Vi sono dunque molteplici e svariati motivi che rendono la moderna vita coniugale, in un gran numero di casi, assai diversa da quella che deve essere, cioè l’unione di due esseri di sesso diverso i quali si appartengono per vicendevole amore e stima; e che soltanto insieme costituiscono, secondo l’espressione scultorea di Kant, tutto l’uomo. Perciò è troppo poco insegnare che le aspirazioni emancipatrici della donna saranno soddisfatte con l’avviare la donna al matrimonio, che nelle nostre condizioni sociali – come dimostreremo anche più avanti – va sempre più snaturandosi e corrompendosi e risponde sempre meno al suo scopo, ma è atroce scherno il dire che si vuol avviare la donna verso il matrimonio, avviamento che la maggioranza degli uomini applaude, quando tanto i consiglieri quanto i fautori più loquaci nulla fanno per procurare alla donna un marito.

Schopenhauer, il filosofo, intende la donna e la sua posizione come la intende un borghesuccio. Egli dice: “La donna non è chiamata a grandi opere. Ciò che la caratterizza non è l’azione ma la passione. Essa paga il debito della vita coi dolori del parto, con la cura per i figli, con la soggezione all’uomo. A lei sono negate le manifestazioni più vigorose della forza e del sintimento. La sua vita deve essere più tranquilla e più oscura di quella dell’uomo. La missione della donna è quella di educatrice e allevatrice dei bambini, perché bambina essa stessa, rimane per tutta la vita una grande bambina, una specie di grado intermedio fra il fanciullo e l’uomo, il quale è il vero padrone... Le ragazze vanno educate alla vita domestica e alla soggezione... Le donne sono i filistei più convinti e più incorreggibili”.

Schopenhauer, quando giudica la donna, non è un filosofo, ma è egli stesso uno dei filistei più convinti. Il filosfo deve – e in ciò sta la sua importanza – approfondire le cose più di quello che abbia fatto Schopenhauer, il quale si arresta soltanto alla superficie. Di più, Schopenhauer non fu mai ammogliato; e quindi da parte sua egli non ha contribuito a far sì che una donna soddisfacesse ad un compito maggiore di quello che egli assegna alle donne. Ed eccoci al rovescio della medaglia, che non è certamente il più bello.

Tutti sanno che molte donne non si sposano perché non possono farlo. Il costume vieta ad esse la scelta e la domanda, e perciò devono lasciarsi scegliere. Se non vi è alcun aspirante, la donna va ad ingrossare le fila di quelle infelici che vennero meno allo scopo della vita e cadono in miseria, quando non sono esposte anche allo scherno.

Pochissimi conoscono la ragione di questa disuguaglianza dei sessi, e ne conoscono anche meno la vera importanza. La maggior parte ha questa risposta sulle labbra: Nascono troppe ragazze, e alcuni concludono che deve essere introdotta la poligamia, se è vero che lo scopo della vita della donna è il matrimonio. Quelli che sostengono che nascono più donne che uomini sono male informati. E quelli poi che, dovendo ammettere che il celibato è contro natura e, considerando il gran numero delle donne nubili pensano che in tal caso la poligamia, bene o male, deve essere introdotta, svisano la vera natura delle condizioni. La poligamia non solo ripugna ai nostri costumi, ma contribuisce, sotto tutti i rapporti, a scemare la dignità della donna, ciò che non impedisce allo Schopenhauer nella sua disistima e nel suo disprezzo per essa, di dichiarare che: “Per il sesso femminile in generale la poligamia è un beneficio”.

Molti non si ammogliano, credendo di non poter mantenere convenientemente una donna e i figli che nasceranno da essi; pochi soltanto potrebbero mantenere una seconda donna, e fra questi vi sono molti che ne mantengono due, una legittima e una illegittima. Costoro, privilegiati per censo, non si astengono dal fare il piacer loro né per virtù di legge, né per riguardi morali. Anche nei paesi orientali, ove la poligamia è riconosciuta dalle leggi e dai costumi, pochissimi hanno più di una moglie. Si parla tanto dell’influenza demoralizzante della vita degli harem turchi. Ma si dimentica che essa è possibile ad una parte insignificante della popolazione, e quasi esclusivamente alla classe dominante, mentre la gran massa del popolo vive  a sistema di monogamia, né più né meno degli europei. Nella città di Algeri, sullo scorcio del 1860, su 18.282 matrimoni, non meno di 17.319 erano con una donna soltanto, 888 con due mogli e 75 soltanto con più di due. Costantinopoli, la capitale della Turchia, non potrebbe presentare risultati notevolmente diversi. Fra la popolazione agricola turca è ancora più spiccato il rapporto a favore della monogamia. In Turchia, come presso di noi, si ha riguardo in prima linea agli interessi materiali, i quali costringono la maggioranza del sesso maschile a contentarsi di una moglie. Che se pure queste condizioni fossero favorevoli per tutti gli uomini, la poligamia non si potrebbe tuttavia introdurre, perché allora mancherebbero le donne. Il numero quasi eguale – in condizioni normali – dei rappresentanti dei due sessi, spinge dappertutto alla monogamia.

Poiché i dati seguenti dimostrano come entrambi i sessi si distribuiscano numericamente sulla terra, così sono da tener ferme le conclusioni che formuleremo fra poco.

Le tavole sono desunte dal giornale dell’ufficio di statistica di Berlino per il 1889, in cui il barone de Fircks pubblicò un lavoro sotto il titolo: “La distribuzione della popolazione per sesso specialmente in Prussia” (64). Non si ebbero comunicazioni sulla distribuzione dei sessi nella repubblica di Andorra, a Monaco, a S. Marino, nel Montenegro e nella Turchia europea. Il Fircks presenta poi una raccolta di tavole relative alla popolazione totale della terra distribuita per sesso, in cui per una popolazione di 760.328.614 persone i dati sono basati sulle statistiche esistenti, mentre per 522.681.076 persone i dati vengono presentati con un calcolo approssimativo. Questi calcoli si fondano però sui risultati forniti da singole popolazioni delle regioni esaminate e vengono applicati per analogia alle altre popolazioni per le quali mancano i dati sulla distribuzione numerica dei sessi. In complesso con tale metodo si getta uno sguardo relativamente esatto, in ordine alla distribuzione per sessi, su 1.283.009.690 persone, cioè sull’88,5% della popolazione della terra.

Eccone i risultati: (65)

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Il risultato, dunque, è questo, che dei 1283 milioni di individui in cifra tonda della cui distribuzione per sesso si possono fornire notizie in base alle cifre o ai calcoli, 649 milioni e mezzo sono maschi e 633 milioni e mezzo circa sono femmine. Il sesso maschile supera il sesso femminile di oltre 15 milioni. Di tutte le parti del mondo, la sola Europa è quella in cui il sesso femminile supera il maschile, e precisamente di 3.407.218 individui. Che su ciò abbia un’influenza decisiva l’emigrazione è dimostrato, per esempio, dal numero della popolazione dell’America del Nord che aveva, secondo l’ultima statistica della popolazione, 937.743 femmine in meno su 54.906.407 abitanti. Anche in Australia, al 31 dicembre 1887, l’eccedenza della popolazione maschile su quella femminile raggiungeva la cifra di 302.549 persone, ossia l’8,5% della popolazione complessiva. Ora, poichè la popolazione emigrante è composta degli individui più sani e vigorosi e prevalentemente di uomini, i corrispondenti strati della popolazione femminile devono appunto soffrirne immensamente. Sulla sproporzione dei sessi influiscono poi in modo notevole anche le guerre, come è dimostrato dal Fircks esaminando le oscillazioni che si manifestarono durante il corso di questo secolo nella proporzione numerica di entrambi i sessi in Francia ed in Prussia. Nel 1801, e cioè dopo la fine della rivoluzione e prima della serie di guerre, l’eccedenza della popolazione femminile su quella maschile raggiungeva in Francia il 26,6‰. Questa eccedenza si abbassò a 16,4 fino al 1806, ma nel 1821 risalì di nuovo a 28,6 dopo le grandi stragi delle guerre napoleoniche. Nel 1831 raggiunse il 20,6‰; nel 1841 il 12,4; nel 1846 il 9,0 e nel 1851 soltanto il 6,0. Dopo la guerra d’Oriente, l’eccedenza risalì all’8,2 abbassandosi nel 1861 a 2,6 e nel 1866 ad 1,0 – vi era dunque quasi la stessa proporzione fra i sessi – ma l’eccedenza della popolazione femminile salì ancora dopo la guerra franco-prussiana e i tumulti della Comune, nel 1872, a 3,8. Immediatamente dopo le guerre napoleoniche, l’eccedenza del sesso femminile sul sesso maschile in Prussia fu di 8‰; si abbassò a 6 nel 1824, a 4 nel 1831, a 2 nel 1837, e così si è rimasti fino al 1852. Ma nel 1854, in conseguenza dell’aumento dell’emigrazione, l’eccedenza crebbe fino al 4 e raggiunse, nel 1867, dopo la guerra dello Schlesvig-Holstein e quella austro-germanica, il 9,6; nel 1872, dopo la guerra franco-prussiana, salì a 15,8, crescendo fino al 18,8 nel 1885, specialmente per effetto dell’aumento dell’emigrazione.

Quale influenza abbia nel rapporto numerico dei diversi paesi e regioni del globo, oltre le guerre e l’emigrazione, la diversità delle razze (influenza che il Fircks ammette) si può difficilmente dimostrare, mancando gli estremi sufficienti. Quanto all’Europa, che più da vicino ci riguarda, sono evidenti le ragioni dell’eccedenza numerica del sesso femminile. L’eccedenza di quasi 1 milione di uomini negli Stati Uniti, che corrisponde perfettamente a quella delle donne nell’impero germanico, dimostra l’influenza esercitata dall’emigrazione su questa proporzione numerica dei due sessi. Negli Stati Uniti vi erano 937.743 uomini in più, in Germania invece erano in più 988.876 donne.

La statistica della popolazione dell’anno 1885 ha fornito degli schiarimenti sul rapporto dei sessi in generale, come anche per classi di età, in particolare nell’impero tedesco. Al 1° dicembre del 1885 si contavano in Germania 46.855.704 abitanti presenti in luogo, di cui 22.933.664 erano maschi e 23.222.040 erano femmine. Il sesso femminile dunque superava di 988.376 teste quello maschile. E’ poi interessante vedere la proporzione reciproca dei due sessi nelle varie classi di età. Su 100 maschi vi furono nell’età sotto i 5 anni, 99,5 femmine; da 5 a 10 anni, 99,9 femmine; da 10 a 15 anni 100,0 femmine; da 15 a 20 anni 101,4 femmine (e via a salire...) fino alla classe d’età dai 70 agli 80 anni, 118,7 femmine, e oltre gli 80 anni, 128,7 femmine.

L’eccedenza quindi del sesso femminile comincia, come dalla tavola sopra scritta, fra i 15 e i 20 anni, aumentando rilevantemente col crescere dell’età.

La tavola dimostra che gli uomini, nonostante prevalgano per numero nelle nascite, non solo danno un contingente di morti più forte tra i giovani, ma in media non raggiungono l’età delle donne. (...)

E’ però importante lo stabilire in quale proporzione si trovino fra loro i neonati maschi e le neonate femmine, come pure gli illegittimi e i nati morti. Nel periodo dal 1872 al 1888, per il quale facciamo i calcoli ad intervalli di 6 in 6 anni. (...), il numero di neonati maschi su 100 neonati femmine oscillò in questo periodo di tempo fra 105,9 e 106,2. Nei nati morti si manifesta una lenta e continua diminuzione, ciò che probabilmente si deve ai soccorsi più efficaci e più solleciti che si prestano ora alle partorienti. Nacquero dunque più maschi che femmine, ma viceversa i primi morirono in numero maggiore delle seconde (66). (...) Nel 1882, in tutta la Francia, su 1000 nati maschi vi sono 942 nati femmine. Una differenza veramente notevole fra i sessi si manifestò a Parigi nel numero dei morti per tisi, fra i quali nel 1877 vi furono 4.768 maschi e soltanto 3.815 femmine. La ragione di questa maggiore mortalità dei maschi – mortalità che mena più strage nelle città che nelle campagne – deve ricercarsi nel sistema di vita più nocivo alla salute e più licenzioso. Secondo il Quételet (67), muoiono più uomini nell’età dai 18 ai 21 anni che donne nell’età dai 18 ai 25 anni. Una seconda ragione è questa: che gli impieghi e le occupazioni degli uomini (fabbriche, navigazione, commercio) presentano maggiori pericoli che non presentino le occupazioni della donna.

Il motivo poi del maggior numero di maschi nati morti deve ricercarsi nella maggiore difficoltà della nascita e del parto per essere la loro testa, in media, più grossa di quella delle donne, per cui essi risentono della debolezza dell’organismo materno più delle bambine (68).

Il fatto sorprendente della generale eccedenza nelle nascite degli uomini sulle donne si è cercato di spiegarlo con ciò: che la maggiore probabilità della nascita di un maschio dipende dal fatto che l’uomo in media ha sulla donna il vantaggio di un numero maggiore di anni, della forza e dell’energia. La nascita dei bambini, si dice, è tanto più frequente quanto è maggiore la differenza d’età fra uomo e donna, sebbene un uomo vecchio di fronte ad una donna giovane si trovi in una posizione svantaggiata. Si potrebbe dunque fissare la norma: che la natura più forte influisce sul sesso del bambino.

Da quello che abbiamo esposto si può dedurre con sicurezza che, se la donna raggiungesse un migliore sviluppo fisico e intellettuale mediante un’educazione e un sistema di vita più conformi alla natura, il numero dei morti e la mortalità dei bambini decrescerebbe. Ne consegue poi, d’altro canto, che con il rinvigorirsi delle forze intellettuali e fisiche della donna e per effetto della scelta corrispondente in relazione all’età dell’uomo, diventa possibile e, in condizioni normali, verosimile di regolare il numero delle nascite di entrambi i sessi.

Si è visto che in Europa la emigrazione e il militarismo esercitano un’influenza notevole sull’eccedenza del sesso femminile in confronto al sesso maschile. L’obbligo del servizio militare spinge spesso i giovani ad emigrare negli anni più belli della vita. Il numero degli emigranti maschi supera in Germania quello delle femmine di circa 10-15 mila persone ogni anno.

Nel 1889, secondo i documenti ufficiali sulla leva, di 1.149.042 uomini soggetti alla leva nell’impero tedesco rimasero disertori 42.127; 110.552 mancarono senza giustificazione alla chiamata, 19.139 furono condannati per essere emigrati senza permesso e 14.299 erano ancora sotto processo per questo titolo. Sono cifre che non hanno bisogno di commenti. Ma le donne comprenderanno quanto interesse abbiano per loro anche i nostri sistemi militari e politici.

Se il periodo di servizio militare debba essere prolungato o accorciato e quindi l’esercito ingrossato o diminuito; se si debba seguire una politica pacifica o bellicosa, se il trattamento dei soldati è umano o inumano, e quindi se il numero delle diserzioni e dei suicidi nell’armata cresce o diminuisce, son tutte questioni che interessano tanto la donna quanto l’uomo. L’uomo può sottrarsi a queste condizioni molto più facilmente della donna. Ma per la donna cresce quindi il pericolo che essa non possa raggiungere i suoi fini naturali.

Fra le cause che rendono ancor più grave la differenza numerica dei sessi a vantaggio della donna, deve comprendersi anche il numero degli infortuni nell’industria; numero che aumenta in ragione diretta dei progressi della meccanica.

A questi infortuni anche il sesso femminile reca il suo contingente, trovando esso sempre maggiore accesso in ogni ramo d’industria. Secondo la statistica delle assicurazioni contro le disgrazie accidentali nell’anno 1888, il numero dei morti per effetto di infortuni raggiunge la cifra di 3692, rispetto a 3270 dell’anno precedente; mentre la cifra di quelli che, in seguito ad accidente, rimasero inabili al lavoro, fu di 2216 contro 3166 dell’anno precedente. Il numero di queste persone, che sono rese completamente inabili al lavoro, intanto deve prendersi in considerazione in quanto generalmente esse muoiono più presto. Il numero delle donne rimaste vedove in seguito a disgrazia accidentale fu di 2406 nel 1888. Fra i morti e quelli resi del tutto inabili al lavoro, c’era anche un piccolo numero di donne, sul quale non esistono dati più precisi.

Ma ancora più che nell’industria, la vita dell’uomo trova nemici che la insidiano e colpiscono specialmente nei paesi marittimi. Non abbiamo dati più precisi, ma i grandi pericoli che presentano quei lavori sono provati dal grande numero di vedove fra le popolazioni che vivono dell’industria marittima. L’isola di Eligoland [situata nel Mare del Nord, nota ora come isola Helgoland, NdR] contava, secondo la statistica, il 2 dicembre 1890, 953 abitanti maschi e 1133 femmine, quindi una forte sporporzione dei sessi, la quale è tanto più rilevante quando si ammette che una parte della popolazione maschile, al momento in cui si è proceduto al calcolo, fosse assente. Mano mano che le condizioni sociali vanno essenzialmente migliorando, si rinvigorisce l’intelligenza, cresce il valore della vita umana e diminuisce la mortalità dei bambini. I pericoli delle macchine, delle miniere ecc., vengono evitati quasi del tutto per mezzo di misure protettrici, e lo stesso accade per l’industria marittima. Invece in quest’ultimo campo oggi si procede in modo imperdonabile.

A tutti è noto, in Inghilterra, il fatto – diffuso per opera del signor Plmsoll – che verso la metà del 1870 molti proprietari di navi, assicurate ad altissimo premio per la delittuosa avidità di lucro, benché inette alla navigazione, le sacrificavano senza scrupolo alcuno insieme alla ciurma al più lieve sinistro marittimo, per intascare il premio assicurativo. Queste navi sono le cosiddette navi-feretro, che neppure in Germania sono sconosciute.

Nell’anno 1881, per esempio, il vapore Braunschweig che apparteneva alla ditta Rocholl e C. di Brema, affondò presso Eligoland. La nave era scesa in mare in perfette condizioni di navigabilità. La stessa sorte toccò, nel 1889, al vapore Leda della stessa ditta, il quale vapore, appena sceso in mare, si arenò davanti alle foci dell’Elba. La nave era assicurata per 50.000 rubli presso il Lloyd Russo; al capitano se ne erano fatti sperare 8500 se l’avesse condotta salva a Odessa, e questi pagava al pilota l’alto nolo di 180 marchi al mese. L’ufficio marittimo decise: il sinistro era stato causato dalle condizioni di innavigabilità del piroscafo Leda e per l’inettitudine sua a far rotta per Odessa. Al capitano fu ritirata la patente di navigazione; ma per le leggi imperanti, i colpevoli non poterono essere colpiti. E chi sa quante navi colano a fondo in alto mare senza che sorga appunto per ciò un accusatore!

Le misure di protezione per la salvezza dei naufraghi sulle coste sono ancora troppo difettose e insufficienti, essendo tali istituzioni appoggiate quasi esclusivamente alla beneficienza privata. E’ poi veramente sconfortante il vedere come si provvede al salvataggio dei naufraghi sulle coste lontane dei paesi stranieri. Una Società che si prefiggesse l’unico e nobile scopo di promuovere il bene di tutti, migliorerebbe la navigazione generale e gli interessi del commercio marittimo in modo che questi disastri diverrebbero molto rari. Ma l’odierno sistema economico, fondato sulla rapina, considera gli uomini come numeri per fare grossi guadagni e annienta spesso una vita umana quando ha in vista la possibilità di ricavarne anche un lieve profitto.

Altre ragioni che ostacolano i matrimoni sono anche le seguenti. Ad un numero notevole di uomini è fatto divieto dallo Stato di contrarre liberamente matrimonio. Si stralunano gli occhi per la immoralità del celibato imposto al clero cattolico, ma non si ha una parola di biasimo per il molto maggior numero di soldati che al celibato sono condannati. Non solo gli ufficiali devono avere il consenso dei loro superiori, ma altre gravi limitazioni li vincolano nella libera scelta della donna, perché costei deve possedere una certa sostanza che non sia irrilevante. Così l’ufficialità austriaca dal 1879 ha ottenuto un “miglioramento” sociale a spese del sesso femminile. L’ufficiale, come candidato al matrimonio, è salito di prezzo; il capitano vale 8000 fiorini, se oltrepassa i trent’anni, mentre il capitano al di sotto di questa età sarà merce rarissima, specialmente nell’avvenire e in nessun caso lo si potrà avere per meno di 30.000 fiorini di dote. Perciò una “signora capitanessa” (come si scrive da Vienna alla Gazzetta di Colonia), che oggi è talvolta oggetto di compassione per le sue compagne del ceto bancario o governativo, può tenere più alta la testa, sapendosi da tutti che essa ha “da vivere”. La posizione sociale dell’ufficiale austriaco non era fino ad ora ben definita, a parte la maggiore capacità personale, la cultura e la dignità del rango, perché da unlato delle persone ragguardevoli vivevano all’ombra dell’imperatore, dall’altro molti ufficiali tiravano innanzi non senza umiliazione, e specialmente perché le famiglie di molti poveri ufficiali versavano spesso in condizioni lacrimevolissime. L’ufficiale che voleva prendere moglie, se aveva superato i 30 anni, doveva provare di possedere un patrimonio di 12.000 fiorini, ovvero una rendita annua di 600, ed anche con questa piccola rendita, che a malapena gli permetteva di vivere in modo convenevole al suo stato, talvolta si chiudeva un occhio e si accordavano facilitazioni. Piange il cuore nell’esaminare le nuove ordinanze per i matrimoni degli ufficiali, di una eccessiva severità: un capitano sotto i 30 anni deve presentare d’ora in poi una cauzione di 30.000 fiorini; se supera i 30 anni, di 20.000; un ufficiale dello stato maggiore fino al colonnello, di 16.000, con questo però che una quarta parte soltanto degli ufficiali dell’esercito può prender moglie senza speciale grazia e, quanto alla sposa, si esige che essa abbia condotto una vita illibata ed occupi una posizione conforme al suo stato. Ciò vale per gli ufficiali dell’esercito e per i medici militari. Per gli altri impiegati militari, col grado di ufficiali, le nuove disposizioni sono più miti, ma sono ancor più rigorose per gli ufficiali dello stato maggiore generale. Questi in avvenire non potranno più pigliar moglie; il capitano effettivo dello stato maggiore generale, che non ha compiuto 30 anni, ha bisogno di una cauzione di 36.000 fiorini; se ha superato i 30 anni, di 24.000.

Abbiamo quindi una prova palmare di come lo Stato intenda il matrimonio. Il ceto dei sottufficiali è sottoposto alle stesse condizioni proibitive; ci vuole il consenso dei superiori, consenso che viene accordato molto difficilmente e in misura molto limitata. L’opinione pubblica è d’accordo generalmente nel ritenere che non sia consigliabile il matrimonio ai giovani che non abbiano raggiunto i 24 o 25 anni – 25 anni è anche l’età che il codice civile dell’impero considera come età maggiore per l’uomo -  e ciò perché, di regola, a questa età si acquista la indipendenza civile.

L’opinione pubblica trova ragionevole e corretto che l’uomo prenda moglie a 18 o 19 anni e la donna prenda marito a 15 o 16 anni soltanto, quando si tratti di persone che versano in condizioni favorevoli, e non hanno bisogno di acquistarsi una posizione indipendente, per esempio, persone appartenenti a famiglie principesche. Un principe può essere dichiarato maggiorenne e tenuto pienamente capace di governare l’impero più vasto, il popolo più numeroso anche a 18 anni. I poveri mortali soltanto acquistano la capacità di amministrare da sè il loro patrimonio all’età di 21 anni.

Questa diversità di pareri intorno all’età nella quale può permettersi il matrimonio dimostra che la opinione pubblica giudica del diritto al matrimonio soltanto pigliando norma dalle condizioni sociali e che i suoi princìpi non hanno nulla a che fare né con l’uomo considerato come ente naturale, né con i suoi istinti. L’istinto naturale non si lega a determinate condizioni sociali né alle idee e ai pregiudizi che ne derivano. Quando l’uomo raggiunge la maturità, l’istinto sessuale si fa sentire in lui con tutta quella violenza che lo contrassegna appunto per uno degli istinti più gagliardi; esso è, si può dire, l’incarnazione della natura umana ed esige imperiosamente soddisfazione sotto pena di grandi sofferenze fisiche e morali.

L’epoca della maturità varia col variare dell’individuo, del clima e del sistema di vita. Nella zona torrida, le donne raggiungono, di regola, la maturità tra i 9 e i 10 anni e non è raro il caso di vedere delle donne che in tale età portano già sulle braccia il primo rampollo, ma a 25 o a 30 anni sono già avvizzite. Nella zona temperata la donna è matura fra i 14 e i 16 anni, in alcuni casi anche più tardi; si avverte però che questa maturità sessuale è diversa nelle donne della campagna e della città. Nelle ragazze sane e robuste delle nostre campagne che si agitano e lavorano fin dalle prime ore del mattino, il periodo delle mestruazioni comincia più tardi di quello delle nostre ragazze della città molli, nevrotiche, etèree. Là la maturità sessuale si compie di regola normalmente con rari disturbi, qui lo sviluppo normale è una eccezione; appaiono fenomani morbosi d’ogni genere che formano la disperazione del medico impedito com’è da usanze e pregiudizi a proporre e introdurre quei rimedi che soli ed unici potrebbero giovare. Chi non sa quanto spesso i nostri medici sono costretti di dichiarare alle signore delle città – così spesso clorotiche, asmatiche e nervose – che il mezzo più radicale per vincere tali disturbi è, insieme ad un cambiamento nel metodo di vita, il matrimonio? Ma come si può mettere in pratica un tale mezzo? Insuperabili difficoltà si oppongono alla realizzazione di tale progetto, né si può far colpa ad un uomo se egli esita a sposare un essere che è una specie di cadavere ambulante e che corre il pericolo di morire al primo puerperio.

Ciò vale a dimostrare una volta di più dove bisogna cercare il cambiamento: e cioè in una educazione completamente diversa che riguardi tanto il lato fisico quanto il lato morale dell’individuo, in un sistema di vita e di lavoro del tutto diverso, il che è possibile soltanto in condizioni sociali completamente mutate. Questo contrasto fra l’uomo considerato come ente della natura, e l’uomo considerato come ente sociale (contrasto non accentuatosi mai tanto come oggi) è causa di tutti questi innnumerevoli e dannosi inconvenienti. Esso genera una infinità di malattie sulla cui natura noi non vogliamo addentrarci, ma che colpiscono soprattutto il sesso femminile. Anzitutto perché il suo organismo è strettamente legato alle funzioni generative più che non sia l’organismo dell’uomo, e di queste funzioni subisce l’influenza (ritorno regolare dei corsi), in secondo luogo perché la donna incontra i più grandi ostacoli per soddisfare in modo naturale i propri gagliardi istinti. Tale contrasto fra i bisogni naturali e i vincoli sociali conduce ad atti contro natura, a vizi segreti, ad eccessi che finiscono col rovinare del tutto gli organi più deboli.

Questo soddisfacimento degli stimoli per vie non naturali specialmente nel sesso femminile non è un mistero per alcuno e viene anzi favorito da parecchi anni nel modo il più spudorato sotto gli occhi dell’autorità. La réclame più o meno dissimulata di certi prodotti che vengono raccomandati nei giornali più diffusi, specialmente nella parte riservata agli annunzi dei giornali di amena lettura che penetrano nell’interno delle famiglie, viene anzitutto presa in considerazione.

Tale réclame è calcolata principalmente sulla base di ciò che può spendere quella parte di società che si trova in migliori condizioni; poichè il prezzo di questi prodotti è così elevato che una persona non bene provvista non è quasi in condizione di sborsarlo. Di pari passo con tali annunzi scandalosi si raccomanda ad ambedue i sessi l’acquisto di figure oscene (specialmente di intere collezioni di fotografie), di poesie altrettanto oscene e di opere di prosa, il cui titolo è atto di per sè ad eccitare gli stimoli sessuali e a provocare l’intervento della polizia e delle autorità giudiziarie. Ma queste hanno troppo da fare con la democrazia-sociale che rovina “cultura, costumi, matrimonio e famiglia”. Una parte notevole della nostra letteratura romantica lavora nello stesso senso.

E’ quindi da stupirsi che in tali condizioni sociali, le intemperanze e i pervertimenti sessuali non si facciano sentire nel modo il più acuto e il più pernicioso, né assumano il carattere di una vera malattia sociale. La vita indolente e lasciva di tante donne delle classi agiate, la sovraeccitazione del sistema nervoso causato dall’uso dei più raffinati profumi, il pascersi eccessivamente di un certo genere di poesia, musica e teatri; di tutto ciò insomma che si chiama “godimento artistico” e viene coltivato in certe nature come i fiori in una serra, viene considerato dal sesso femminile, che soffre specialmente di ipertrofia di sentimento e di sovraeccitazione nervosa, come un mezzo eccellente di piacere e di educazione, favorisce smisuratamente gli stimoli sessuali e conduce necessariamente ad eccessi.

Nella povera gente che attende a occupazioni faticose, sono segnatamente quelle di natura sedentaria quelle che favoriscono gli ingorghi sanguigni negli organi del basso ventre e, con la pressione degli organi anali, provocano gli stimoli sessuali. Una delle occupazioni più pericolose in questo rapporto è quella relativa alle macchine da cucire tanto diffusa oggidì. Essa produce effetti così funesti, che anche l’organismo più robusto, dopo 10 o 12 ore di lavoro al giorno, in pochi anni si fiacca e si esaurisce completamente. Anche il lavorare per lunghe ore in locali riscaldati ad alta temperatura, per esempio nelle raffinerie di zuccheri, nelle tintorie, stamperie di stoffe, il lavoro notturno alla luce del gas in luoghi pieni di gente, fors’anco nella promiscuità dei sessi, favoriscono oltre misura gli stimoli sessuali.

Con ciò abbiamo determinata un’altra serie di fenomeni che provano luminosamente quanto vi è di irrazionale e di malsano nelle nostre condizioni odierne. Ma questi mali radicati profondamente nelle nostre condizioni sociali non si migliorano coi sermoni morali o con i palliativi che i ciarlatani e le ciarlatane sociali e religiosi hanno sempre alla mano.

La scure deve colpire il male alle radici. Bisogna procurare di creare metodi di vita, di occupazione e di educazione sani, e la soddisfazione naturale degli istinti sani e naturali. Non vi può essere altra soluzione.

Per l’uomo non esistono certi riguardi che esistono per la donna. La sua sovranità gli consente piena ed intera libertà di scelta in fatto d’amore, almeno finchè ostacoli sociali non gliela impediscano. Il carattere del matrimopnio considerato come un istituto di ricovero, l’eccedenza del sesso femminile e gli usi vietano alla donna di manifestare la volontà sua; essa deve aspettare che la si cerchi e, quindi, adattarsi. Di regola, quando l’occasione le presenta uno che la manterrà, essa la coglie di buon grado; perché quell’uno la salva dall’abbandono e dalla proscrizione sociale che tocca alla grama esistenza delle “vecchie zitelle”, e spesso guarda con disprezzo quella fra le sue sorelle che, avendo serbato tanto senso di dignità da non vendersi al primo venuto in una specie di prostituzione coniugale, preferisce di battere sola lo spinoso cammino della vita.

Ma l’uomo che vuole appagare mediante il matrimonio il bisogno d’amare, è stretto da vincoli sociali. Egli deve chiedersi prima di tutto: puoi tu nutrire una donna e i nascituri; ed anzi puoi tu farlo senza quella preoccupazione angosciosa che è la distruttrice della tua felicità? Quanto migliori sono le sue intenzioni relativamente al matrimonio, quanto più idealmente egli lo intende, quanto più è fermo nel proposito di sposare una donna soltanto per amore, con tanta maggiore serietà l’uomo deve rivolgersi tale domanda. Per molti la risposta affermativa, nelle attuali condizioni dell’industria e della proprietà, è impossibile; e perciò preferiscono rimanere celibi. Altri meno coscienziosi non guardano tanto per il sottile. Vi sono migliaia di giovani del ceto medio i quali raggiungono relativamente tardi una posizione indipendente e corrispondente alle loro pretese, ma non sono in grado di mantenere una donna “in modo conforme al suo stato” se non  quando essa ha un patrimonio proprio.

Prima di tutto molti di questi giovani hanno un concetto della cosiddetta “vita conforme al proprio stato” che non corrisponde alle loro rendite; e poi, per effetto della falsa educazione della massima parte delle donne, devono prepararsi a sentire dalle proprie mogli avanzare delle pretese che superano di gran lunga le loro forze. Le donne bene educate e discrete nelle loro esigenze sono assai rare; si tengono indietro e non si trovano mai là dove si è soliti di cercare la moglie. Le donne che gli uomini incontrano sono spesso quelle che cercano di conquistare l’uomo con lo splendore dell’apparenza esterna, ovvero quelle che vogliono nascondere dietro a un lusso fittizio i difetti fisici o la condizione economica per ingannare qualcuno. E adoperano mezzi di seduzione d’ogni maniera e con tanto maggiore zelo quanto più invecchiano e hanno bisogno di maritarsi in fretta. Quella che riesce a conquistare un uomo è ormai siffattamente avvezza agli spettacoli, alle ciarle, allo sfarzo e ai piaceri dispendiosi, che non può farne senza anche durante il matrimonio. Allora si apre una voragine per i mariti ed è perciò che molti preferiscono di non prendere il fiore che vi fiorisce all’orlo e non può essere preso senza pericolo di rompersi il collo. Allora fanno da soli il loro cammino cercando il piacere e il diletto sotto la salvaguardia della loro libertà.

Secondo E. Ansell, l’età in cui le persone “indipendenti e di condizioni civile” contrassero matrimonio in Inghilterra nel periodo dal 1840 al 1871, fu in media di anni 29,95 circa, ma per queste classi l’età del matrimonio si è nel frattempo elevata di quasi un anno. L’età del matrimonio poi, secondo le varie professioni, nel periodo dal 1880 al 1885 fu in media: nei minatori di 23,56 anni, negli operai delle fabbriche di tessuti di 23,88, nei calzolai e sarti di 24,42, negli operai scelti di 24, 85, nei giornalieri di 25,06, nei commessi di negozio di 25, 75, nei commercianti al minuto di 26,17, nei coloni e loro figli di 28,73, nelle persone “indipendenti” e “civili” di 30,72.

Si vede da queste cifre che la condizioni sociale ha un’influenza essenziale nel matrimonio e si può a buon diritto dire che laddove cause sociali ritardano i matrimoni o li rendono del tutto impossibili, ivi si cerca il soddisfacimento degli istinti per vie non naturali. Nelle classi inferiori e meno provvedute molti ostacoli e impedimenti al matrimonio dipendono dal fatto che le ragazze devono adattarsi a fare da operaie o bottegaie per mantenere sè e non di rado anche la famiglia; e perciò non hanno tempo né agio di dedicarsi all’educazione domestica. Spesso poi avviene che anche la madre non è in condizione di dare alla figlia le necessarie istruzioni essendo essa medesima chiamata, non di rado, fuori di casa e tanto lontano dalla famiglia a causa dei lavori cui deve attendere.

Il numero degli uomini che per tutte queste ragioni sono tenuti lontani dal matrimonio, cresce in proporzione spaventosa. Secondo le statistiche dell’anno 1885 su 1000 uomini fra i 20 e gli 80 anni vi erano quasi 1070 donne e, calcolandosi che almeno il 10% degli uomini non prenda moglie, su 100 donne soltanto 84 circa avrebbero speranza di maritarsi. Però questa proporzione diventa ancor più sfavorevole per alcune classi e per alcune regioni. Sono appunto i cosiddetti ceti ed impieghi più elevato quelli nei quali gli uomini più raramente si ammogliano, sia perché le esigenze del matrimonio sono troppo grandi sia perché gli uomini di tali ceti possono altrimenti godere. Inoltre, la condizione della donna è particolarmente sfavorevole nei luoghi in cui dimorano molti pensionati con le loro famiglie, ma pochi giovani. Ivi il numero delle donne che non trovano marito sale al 20 o al 30%. La mancanza di candidati allo stato coniugale colpisce al massimo grado quelle donne che per la loro educazione e per la loro posizione sociale sono abituate ad avere pretese più elevate, ma che non possono offrire se non la loro persona all’uomo che tende al patrimonio. Esse non si adattano ad un uomo di condizione inferiore, anzi lo sdegnano. Ciò riguarda particolarmente la grossa schiera delle donne di quelle famiglie che vivono di stipendio fisso, socialmente rispettabili, ma sprovviste di beni di fortuna. La vita delle donne di questo ceto è relativamente la più triste di quella di tutte le loro compagne di dolore. I pregiudizi sociali le costringono a restare lontane da una infinità di occupazioni ove potrebbero forse procacciarsi una posizione più tollerabile. E’ a favore di questo ceto che sono rivolti massimamente gli sforzi delle cosiddette associazioni femminili per elevare il lavoro femminile ecc. sotto il protettorato di distinte dame. E’ un lavoro di Sisifo come quello delle società fondate sul principio dell’individualismo che devono migliorare la posizione degli operai. Si può ottenere qualche successo in piccolo, ma è impossibile ottenere dei successi in grande. Inoltre, quell’eminente protettorato ha lo svantaggio di esercitare una pressione morale che soffoca ogni sforzo di radicali trasformazioni e condanna come crimine di alto tradimento qualsiasi dubbio sulla bontà dei principi della nostra organizzazione politica e sociale. Se gli operai durarono fatica a sottrarsi alla tutela delle classi dirigenti, maggiori difficoltà ancora toccheranno alle donne.

Finora, questa specie di associazioni femminili rimasero per fortuna immuni dalle cosiddette tendenze distruttrici, e perciò non hanno veruna importanza per la effettiva emancipazione della donna. E’ difficile precisare il numero delle donne che devono rinunziare alla vita coniugale per effetto delle circostanze da noi riferite più sopra.

(...)

Non è certamente cattiva volontà da parte delle donne se moltissime tra esse non si sposano, ed è stato poi illustrato a sufficienza che cosa in fondo sia la felicità coniugale.

Ora, che avviene di queste vittime delle nostre condizioni sociali? La vendetta della natura offesa e ferita si estrinseca negli uomini e nelle donne nei tratti caratteristici della fisionomia e dell’animo; per cui si distinguono in tutti i paesi e sotto tutti i climi le cosiddette vecchie zitelle e i vecchi scapoli, documento dell’influenza perniciosa che esercitano sull’organismo umano gli istinti naturali soffocati e compressi.

Si afferma che uomini eminenti, come Pascal, Newton, Rousseau, per questo motivo ebbero a soffrire negli ultimi anni della loro vita gravi disturbi mentali e morali. La cosiddetta ninfomania delle donne, come le numerose forme dell’isterismo, sgorgano dalla stessa fonte. Degli insulti isterici è causa anche il malcontento dipendente dall’unirsi ad un uomo che non si ama, il che è spesso causa di sterilità.

Questa nei suoi tratti principali è la vita coniugale dei nostri tempi, ne sono questi gli effetti. Concludendo: Il matrimonio dei tempi nostri è una istituzione legata strettamente alle attuali condizioni sociali, dalle quali ne dipende la vita e la morte. Tali essendo le condizioni della società, è impossibile trasformare il matrimonio in modo da fargli perdere i suoi lati oscuri e vani riescono gli sforzi diretti a tale scopo. La società borghese né può dare al matrimonio una forma conveniente, né provvedere ai celibi in modo soddisfacente.

 

(continua,con il capitolo intitolato: La prostituzione è una istituzione sociale necessaria alla borghesia)

 


 

(62) La missione del nostro secolo. Uno studio sulla questione della donna di Irma de Troll-Borostyani, Presburgo e Lipsia (Die Mission unseres Jahrhunderts. Eine Studie über die Frauenfrage. Heckenast, Preß-burg 1878). E’ un libro scritto con brio, vigore e con esigenze abbastanza avanzate. Nota di A. Bebel.

(63) Alessandro Dumas figlio narra nel libro Les femmes qui tuent et les femmes qui votent, 1880, (http://www.assemblee-nationale.fr/histoire/femmes/citoyennete_politique_revolution.asp) di un prete cattolico altolocato che gli aveva comunicato che su cento delle più giovani pastorelle che si erano maritate, almeno 80 sono venute a dirgli un mese dopo il matrimonio che erano disilluse e si dolevano di aver preso marito. Ciò è verosimile. La borghesia francese volterriana trova che non è in disaccordo con la sua coscienza il far educare le figlie nei conventi; partendo dall’idea che una donna ignorante si può guidare più facilmente di una donna educata. Di qui conflitti e disinganni. Anche Laboulaye (Edouard-René Lefebvre de Laboulaye, politico e scrittore francese, ideatore della costruzione della Statua della Libertà donata nel 1886 dalla Francia agli Stati Uniti d’America e posta all’entrata del porto di New York, inizialmente contrario ma poi sostenitore del governo Thiers, massacratore dei comunardi parigini, scrisse Recherches sur la condition civile et politique des femmes depuis les Romains jusqu’à nos jours, 1843) consiglia di conservare le donne in una certa ignoranza perché “il nostro impero è distrutto, se l’uomo viene riconosciuto”. Nota di A. Bebel.

(64) Si tratta con ogni probabilità di Arthur Freiherr von Fircks (1838-1900), che era consigliere governativo presso l’Ufficio di Statistica di Berlino (Königlich Preußischen Statistischen Bureau).

(65) Le tabelle dei dati dettagliati per area geografica, che qui non trascriviamo, possono essere lette nel testo originale, Augusto Bebel, La donna e il socialismo, Savelli reprint, Roma 1977, alle pp. 160-161.

(66) Annuario di statistica per l’Impero Germanico, 1889. Nota di A. Bebel.

(67) Lambert-Adolphe-Jacques Quételet, 1796-1874, astronomo e statistico belga. Approfondisce le sue conoscenza in materia statistica durante la collaborazione alla pubblicazione dei dati del censimento della popolazione del 1829 in Belgio. In diversi congressi di statistica promuove e difende l’idea di una statistica scientifica basata sul calcolo delle probabilità, fino a creare nel 1867 (in occasione del congresso tenutosi a Firenze) una sezione speciale per tale problema. Nel 1869, ristampa La physique sociale (opera del 1835, considerata il suo principalie scritto di statistica), nel quale cerca di studiare l’uomo con il calcolo delle probabilità, cercando le meccaniche che regolano il comportamento fisico, intellettuale e morale non dei singoli individui ma di un ipotetico uomo medio.

(68) E’ notevole che le donne delle popolazioni selvagge o semibarbare partoriscano con una estrema facilità e perlo più subito dopo il parto ritornino alle consuete loro occupazioni. Anche le donne del basso ceto sociale che lavorano accanitamente, e specialmente le donne della campagna, partoriscono con molta minore difficoltà delle donne dei ceti più elevati. Nota di A. Bebel.

 

 

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