Presa di posizione del partito rispetto al referendum detto "sulle trivelle" col quale i suoi promotori intendevano "fermare" lo scempio attuato nei mari italiani

Risorse energetiche e ambiente: ennesima presa in giro dei proletari col referendum che non risolverà nulla, né col sì né col no.

La politica energetica del capitalismo non è mai passata per le mani del “popolo elettore”!

(«il comunista»; N° 143;  Maggio 2016)

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Il referendum di domenica 17 aprile chiede un voto sulla durata delle concessioni rilasciate alle compagnie petrolifere (Eni soprattutto, ma anche Edison e qualche altra) per l’estrazione di petrolio e gas naturale dalle piattaforme installate entro le 12 miglia marine dalle coste italiane.

Le concessioni attuali sono 44 (di cui 10 già scadute e prorogabili), le piattaforme in mare sono 90, la gran parte di fronte all’Emilia Romagna, le altre di fronte al Veneto, le Marche, l’Abruzzo, la Calabria e la Sicilia.

Il referendum non ha come oggetto l’escludere o meno la ricerca e l’estrazione del petrolio e del gas dalle piattaforme entro le 12 miglia, come dicono i sostenitori dell’astensionismo (il governo Renzi e buona parte del Pd) e del “No” al voto; in particolare, l’articolo che sta di traverso ai promotori del referendum è quello contenuto nella cosiddetta “legge di stabilità 2016” e che lega la concessione alla “durata di vita utile del giacimento”. Con il “Sì” al referendum, questo articolo verrebbe abrogato e si tornerebbe alla durata delle concessioni, abrogazione che non avverrebbe ovviamente se vincesse il “No” o se la tornata referendaria non raggiungesse il famoso quorum del 50% + 1 degli aventi diritto al voto.

Al di là, comunque, dell’oggetto specifico di questo referendum, va ricordato che tutto ciò che riguarda lo sfruttamento della terra e del sottosuolo, del mare, dei fondali marini e dei sottofondali, in poche parole tutto ciò che riguarda la coltivazione di qualsiasi prodotto della terra – potrà sembrare strano, ma gli economisti parlano di coltivazioni anche per il petrolio e il gas – è sottoposto alle ferree leggi del capitale, al pari di qualsiasi altra attività umana svolta sotto il capitalismo. E tali leggi difendono sempre e comunque la priorità assoluta del capitale, ossia della sua valorizzazione e della sua riproduzione, anche se riproduzione e valorizzazione del capitale avvengono sempre più spesso inquinando, intossicando, immiserendo, desertificando terra, fiumi, mari e l’aria che respiriamo.

Il pericolo di inquinamento dovuto all’estrazione, allo stoccaggio, al trasporto e alla distribuzione ad esempio del petrolio è insito non nel petrolio, come non lo è nell’atomo, ma nella gestione capitalistica della sua estrazione, produzione e distribuzione. La gestione capitalistica di qualsiasi attività economica mira alla sua redditività, e questa proviene non solo dallo sfruttamento, in questo caso, delle risorse naturali e del lavoro salariato, ma anche dalla riduzione al massimo possibile dei costi vivi di produzione (tra i quali eccellono le misure di sicurezza) poiché la concorrenza si batte non solo attraverso l’innovazione tecnologica e l’abbattimento dei salari, ma anche attraverso la riduzione dei costi di produzione. Ogni giorno, in una qualsiasi parte del mondo, si registrano sciagure e disastri dovuti esattamente all’incuria, alla mancanza di manutenzione adeguata, alla mancanza di misure di sicurezza, all’uso di materiali non adatti e, naturalmente, a documentazioni falsificate e a sistemi di corruzione e concussione attivati puntualmente in ogni grande opera come dimostrato in Italia da esempi continui offerti dalle infrastrutture.

Di fronte alla forza del capitalismo e del suo sistema economico e politico, può mai un referendum metterlo nelle condizioni, non diciamo di eliminare l’inquinamento perché questo il capitalismo non riuscirà mai ad ottenerlo, ma di “venire a patti” con la difesa dell’ambiente? Ci vuole ben altro che una votazione, oltretutto così parziale tanto che, se mai dovesse vincere il “Sì”, si tornerebbe semplicemente alla situazione precedente che ha comunque permesso l’installazione di 90 impianti che, secondo i promotori del referendum, se non inquinano comunque danneggiano l’industria turistica che fa gli affari sulle coste e che correrebbe sempre il rischio di fare meno profitti se succedessero incidenti nelle piattaforme in mare; per non parlare dell’industria ittica che ha già subito notevoli danni nei decenni scorsi a causa dell’inquinamento dei mari portato dai fiumi e dal traffico sempre più intenso di petroliere, navi portacontainer, navi da guerra...

La difesa dell’ambiente non potrà avvenire se non legandola alla difesa della vita umana!

La società capitalistica difende la vita umana? Permette ad ogni essere umano, qualsiasi sia il colore della sua pelle e il continente in cui nasce e cresce, di vivere in modo sano, felicemente e in armonia con tutta la specie umana e la natura? Utilizza le innovazioni tecniche e tecnologiche per diminuire drasticamente lo sforzo lavorativo di tutti permettendo in questo modo che ogni essere umano goda della vita dedicandosi alle arti, alle proprie passioni, alla conoscenza del mondo? NO!, non può!

La società capitalistica difende il capitalismo, ossia una società fondata sul modo di produzione capitalistico che si basa espressamente sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, e sullo sfruttamento delle risorse naturali esclusivamente dettato dal profitto capitalistico e non dalla salvaguardia degli equilibri naturali necessari ad una vita sana e gioiosa. L’abbrutimento della maggioranza della popolazione mondiale costretta ad una vita di stenti e di miseria; enormi masse che fuggono dalle carestie e dalle distruzioni e massacri di guerra; la disoccupazione che non sparisce mai, ma si aggrava e soprattutto per i giovani; la vita da schiavi salariati o da disperati è stato il passato, è il presente e il prossimo futuro garantito dal capitalismo e dalle classi dominanti borghesi che lo rappresentano e lo difendono. Le leggi che le borghesie dominanti elaborano ed emanano nei propri parlamenti, e che difendono con la propaganda e con la forza militare, non fanno che sancire il dominio assoluto del capitale sulla specie umana. Il regime borghese non potrà mai abolire la proprietà privata e tanto meno lo sfruttamento del lavoro salariato, dunque non potrà mai eliminare dalla società ogni forma di oppressione che deriva dalla difesa della proprietà privata e dallo sfruttamento del lavoro salariato! Ma il capitalismo non è solo padrone del lavoro umano, non è solo padrone della ricchezza sociale prodotta dal lavoro umano, è anche padrone della terra e delle acque e, grazie all’inquinamento crescente, anche dell’aria. Perché mai dovrebbe trattare le risorse naturali, dal cui sfruttamento trae moltissimi profitti, con leggi e regole completamente opposte a quelle che usa per gli esseri umani?

Il capitalismo potrà essere fermato soltanto da un rivolgimento sociale talmente profondo che porrà come priorità non la riproduzione e la valorizzazione del capitale, ma le esigenze di vita della specie umana. Sarà la rivoluzione a fermare la corsa del capitalismo e a distruggere le sue basi economiche partendo dalla distruzione delle sue basi politiche: lo Stato. Lo Stato non è un organismo neutro che può essere utilizzato da forze antagonistiche per scopi del tutto opposti, ma risponde esclusivamente agli interessi della classe dominante di un determinato periodo storico. Lo Stato borghese cadrà insieme alla borghesia solo sotto i colpi della rivoluzione dell’unica classe rivoluzionaria esistente sotto il capitalismo: la classe del proletariato, la classe dei senza riserve, dei senza patria; la classe che storicamente è destinata ad essere l’ultima classe dominante per poi scomparire anch’essa dopo aver svolto il compito di distruggere il modo di produzione capitalistico sostituendolo col modo di produzione socialista e, infine, comunista.

Una visione di questo genere non è certo condivisa dai democratici che invece credono di poter “cambiare” la società capitalistica smussandone gli angoli più acuti, correggendo le contraddizioni e le storture, convincendo le menti illuminate a cambiare opinione, facendo un piccolo passo per volta... magari tra un referendum e l’altro.

A differenza di referendum abrogativi precedenti (sul divorzio del 1974, sull’aborto del 1981), oggi di fronte al referendum abrogativo sulle concessioni per l’estrazione del petrolio e del gas entro le 12 miglia di mare dalla costa, i sostenitori del “sì” e i sostenitori del “no” si trovano a fare i conti anche con gli “astensionisti”, con quel genere di astensionisti non contrari al sistema democratico, ma che si danno da fare perché non venga raggiunto il “quorum” del 50% + 1 degli aventi diritto al voto. Nelle occasioni precedenti, l’astensionismo era semplicemente di gente che aveva altro da fare o che si disinteressava normalmente di politica e non ebbe alcun peso. Mentre, oggi è lo stesso governo, appoggiato dal presidente emerito Napolitano, a fare propaganda perché “non si vada a votare”. Questo fatto mette in realtà in imbarazzo gli stessi democratici poiché, secondo la legge (articolo 98 testo unico delle leggi elettorali per la Camera; articolo 51 della legge che disciplina i referendum), coloro che hanno cariche pubbliche non possono fare propaganda “astensionista” e se lo fanno, possono incorrere addirittura in pene detentive dai 6 mesi ai 3 anni. Naturalmente se il presidente del Consiglio e il presidente emerito della repubblica si sono lanciati a fare propaganda astensionista in questa occasione, con ogni probabilità sono certi di potersi avvalere di una protezione privilegiata...

Sta di fatto che sull’astensione si può fare in ogni caso molta confusione.

Noi, comunisti rivoluzionari del partito comunista internazionale, siamo fondamentalmente antidemocratici e perciò, conseguentemente, astensionisti di fronte ad ogni manifestazione politica di segno democratico e parlamentare, come le elezioni politiche, amministrative o referendarie; ma il nostro astensionismo non è disinteresse per la politica, non è un atteggiamento etico col quale considerare buona o cattiva una determinata azione, e non è un espediente propagandistico. Il nostro astensionismo deriva dalla lotta quotidiana, politica ed ideologica, contro la democrazia borghese e contro tutte le sue ipocrite manifestazioni di coinvolgimento dei “cittadini” chiamati ad esprimere le loro “opinioni” quando i fatti dimostrano che sono gli interessi economici, finanziari e di potere a determinare il reale corso delle cose, sbattendosene altamente delle opinioni del popolo elettore. Solo in determinati casi – ed è stato ad esempio il caso del divorzio e dell’aborto – il voto popolare ha impedito che delle leggi, peraltro monche ed esposte ad applicazioni parziali, fossero completamente affossate. Ma è un fatto: se qualche legge borghese assume la difesa di un diritto che in qualche modo favorisce anche i proletari – ad esempio la legge delle 8 ore giornaliere – lo fa solo dopo moltissime lotte proletarie e quando l’oggetto della legge contiene una convenienza economica e sociale per la borghesia. Molti diritti sono scritti, ma la loro applicazione e il loro riconoscimento non sono stati mai automatici. Mancando la pressione della lotta proletaria, i “diritti” rimangono parole scritte e mai applicate.

Vogliamo parlare dei diritti dei rifugiati, di cui non solo l’Italia, ma tutti i paesi democratici e “civili” si vantano? Questi diritti sono sistematicamente calpestati! Vogliamo parlare del diritto al “giusto processo”? I morti di Piazza Fontana, della strage di Bologna, della strage di Ustica, per non parlare della bestiale repressione al G8 di Genova o dei vari Uva, Aldrovandi, Cucchi: si sta ancora attendendo...la verità sui responsabili materiali e sui mandanti.

Il diritto senza la forza non conta nulla. Ma è la forza che il proletariato oggi non ha; non ha forza sociale, non ha forza politica perché è ancora preda dell’opportunismo e dell’inganno democratico. Il proletariato deve reimparare a lottare per se stesso, per i suoi interessi di classe e se, in un dato momento, i suoi interessi di classe coincidessero con obiettivi che potrebbero interessare anche altri strati sociali, sarebbero comunque obiettivi proletari di classe che vedono il proletariato protagonista della lotta, e gli eventuali altri strati sociali al suo seguito. Mai il contrario, e mai al di fuori della lotta di classe!

16 aprile 2016

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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