A cent’anni dalla prima guerra mondiale

Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario non sono cambiate, semmai sono ancor più intransigenti nella lotta contro la democrazia borghese, contro il nazionalismo e contro ogni forma di opportunismo, vera intossicazione letale del proletariato (2)

(«il comunista»; N° 143;  Maggio 2016)

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Nella puntata precedente abbiamo chiuso con la battaglia vinta nel PSI contro i rifomisti di destra i cui massimi rappresentanti, Cabrini, Bonomi, Bissolati, Podrecca, avevano sostenuto e giustificato la guerra di Libia del capitalismo italiano e che al congresso di Reggio Emilia del luglio 1912 vennero espulsi. I nodi con i riformisti di sinistra vennero al pettine negli anni successivi e la battaglia contro le loro posizioni insidiose fu molto più complicata. 

Ci si avvicina così all'ultimo congresso socialista prima della guerra, quello di Ancona del 26-29 aprile 1914, e qui riprendiamo dalla nostra «Storia della Sinistra comunista».

 

«Il nuovo atteggiamento del partito e del suo battagliero giornale "Avanti!" aveva trascinato l'adesione più entusiastica del proletariato italiano, che reagiva alle gesta imperialistiche della guerra di Libia con vivissima attività di classe».

Al congresso, Lazzari riferì per la Direzione del partito, tra il generale consenso, sostenendo la sua formula tradizionale di un trentennio: l'obiettivo dei socialisti è l'espropriazione economica e politica della classe dominante, ed esssi devono in tutte le loro azioni battere in breccia «il regime politico che mantiene l'ordine costituito della proprietà e del capitale».

La critica della sinistra a questa formula, pur esatta, metteva in risalto che essa «non conteneva il chiaro sviluppo delle svolte storiche della lotta politica ed economica, ossia l'idea e il programma di fatto della dittatura del proletariato, organo della trasformazione sociale. (...) Già nel dibattito sulle relazioni i napoletani [«Napoli era il focolaio di una situazione gravemente opportunista che fu uno dei centri dell'attenzione del congresso e contro la quale si batteva da tempo l'estrema sinistra, in gran parte formata da giovani"] si scontrarono, e la sinistra svolse il suo concetto che, essendo lo stato borghese di Roma il nemico centrale da abbattere, il metodo doveva essere unitario, ed anzi più intransigente ove le condizioni della società locale sembravano richiedere una fase ulteriore di sviluppo del liberalismo. Infatti, la massa dei deputati del Sud era la forza di manovra della borghesia italiana in Parlamneto, e la posizione non classista del partito nel Sud il maggior pericolo per stroncare l'audacia dei movimenti operai nelle regioni più ricche. Quindi la radicale negazione che nel Mezzogiorno si dovesse seguire uno 'speciale' metodo socialista mentre, in tutto il paese, unico era il nemico da travolgere: lo Stato centrale».

In questo congresso si fecero i conti una volta per tutte con la massoneria. Reagendo alla debolezza delle posizioni presenti nel partito circa il «disinteressamento" sulla questione, e la «compatibilità" della massoneria con il socialismo, la posizione rivoluzionaria rappresentata all'epoca da Mussolini ebbe la meglio, e la lue massonica fu finalmente estirpata [nel suo intervento, Mussolini ricordò: «Il socialismo è un problema di classe. Anzi, è il solo, unico problema di un'unica sola classe, la classe proletaria. Solo in questo senso Marx ha detto che il socialismo è anche un problema umano: la classe proletaria rappresenta tutta l'umanità e col suo trionfo abolisce le classi. Ma non possiamo confondere il nostro umanitarismo con l'altro umanitarismo elastico, vacuo, illogico, propugnato dalla massoneria»].

E un'altra grande battaglia fu condotta, sulla questione delle elezioni amministrative.

«I punti sostenuti dalla sinistra al congresso furono soprattutto due. Anzitutto, le condizioni di arretratezza del Meridione nel processo di differenziazione delle classi sociali non solo non giustificavano una tattica diversa da quella generale del Partito, ma ne imponevano una sola comune a tutto il Partito: se infatti questo 'vuole dare opera a rompere la compagine borghese che, avvalendosi dell'incoscienza politica del popolo meridionale, mantiene lo sfruttamento su tutto il proletariato italiano, deve stabilire una tattica unitaria e sforzarsi di inquadrare anche le piccole falangi dell'esercito socialista meridionale entro i confini precisi di un programma di classe'.

«In secondo luogo, bisognava reagire con la massima vigoria ad una prassi che contrabbandava nel partito, attraverso le elezioni amministrative, la famosa questione morale: 'Invertiremmo la nostra propaganda - si gridò dai banchi della sinistra - tuonando contro i soli borghesi ladri o disonesti e facendo dimenticare al proletariato che esso è quotidianamente vittima di un altro furto ben maggiore che non sia quello che si può compiere nelle amministrazioni locali, cioè il continuo furto che la borghesia esercita su di lui sfruttandone il lavoro nei campi e nelle officine. Quando si fa la questione morale, essa assorbe tutte le altre; essa diventa pregiudiziale; essa ci conduce alla solidarietà degli onesti di tutti i partiti e di tutte le classi. Il nostro non è un processo paziente di ricostituzione dell'organismo in disfacimento della società attuale, è un processo di demolizione di tutta l'organizzazione sociale presente'».

Questa battaglia, in pratica, aveva come obiettivo principale la lotta contro il bloccardismo, e fu vinta. E' di grande rilevanza  il discorso che tenne il relatore della Sinistra (Amadeo Bordiga), in rappresentanza dei socialisti rivoluzionari di Napoli e del Mezzogiorno, al congresso di Ancona, che di seguito ripubblichiamo.

 

Discorso del relatore della Sinistra al Congresso di Ancona, 1914

 

La questione della tattica generale del nostro partito nelle elezioni amministrative, dal punto di vista della tendenza intransigente, potrà essere svolta da altri compagni (...).

Ma se voi mi concedete un momento di attenzione, io sosterrò la tesi della intransigenza in rapporto a quelle condizioni speciali del Mezzogiorno, che sono invocate dal relatore favorevole all'autonomia come la motivazione essenziale, principale, che dovrebbe indurre il congresso a lasciare una finestra aperta alla conclusione di accordi con la democrazia. Credo che questa questione abbia una certa importanza che potrà modestamente darvi alcuni elementi di giudizio per far sì che, se da questo congresso uscirà un voto di intransigenza, come è ormai sicuro, non possa essere dalla stampa borghese, che ha interesse ad accreditare la leggenda dei due socialismi, un socialismo del Nord ed uno del Sud, scioccamente interpretata come una sopraffazione agli interessi della regione meridionale. Io voglio dimostrarvi che gli interessi del Mezzogiorno saranno ottimamente salvaguardati dal partito socialista se questo deciderà di affrontare le prossime battaglie elettorali con una tattica di assoluta intransigenza.

Vi risparmierò certamente una trattazione delle questioni sociali riguardanti il Mezzogiorno che non si possono svolgere in questo congresso. Accenniamo quindi soltanto le considerazioni che si possono trarre dalle condizioni speciali del Mezzogiorno messe in rapporto alla tattica del partito socialista. Nessuno di noi si sogna di negare che sia incerta la differenziazione delle classi sociali nel Mezzogiorno: se la borghesia in Italia si trova in una fase di sviluppo storicamente arretrata, particolarmente nel Sud, essa non ha compiuto la sua evoluzione:per conseguenza, non abbiamo un proletariato nel senso marxistico della parola. Vediamo però quale influenza debba avere tutto questo nella tattica del partito socialista. Se la borghesia nel Meridione non si è socialmente sviluppata, politicamente però essa ha raggiunto le sue conquiste di classe quasi contemporaneamente alla boghesia del resto d'Italia, avendo insieme con questa ottenuto il regime democratico, che è il regime politico della classe borghese. Analogamente, se considerando lo sviluppo del proletariato come classe, e magari anche quello delle sue organizzazioni economiche, si può spiegare una tattica in certo modo accomodante che risenta direttamente l'influenza delle condizioni sociali, quando però si venga a parlare dell'atteggiamento del Partito Socialista, esponente politico del proletariato, la cosa è ben diversa. L'influenza delle condizioni economiche dei lavoratori sull'indirizzo del partito, non è come vorrebbe il marxismo dell'on. Treves, così immediata e meccanica da togliere al partito socialista quel carattere di reazione sulle condizioni d'ambiente e di sprone allo sviluppo della classe, che il marxismo stesso riconosce nella sua duplice concezione dei fatti sociali.

Il Partito Socialista non può arrestarsi dinnanzi al cadavere di una boghesia impotente, che si ferma inerte attraverso alla nostra strada. Il partito socialista ha finalità e direttive precise dal momento in cui sorge fino al suo trionfo finale, senza di che mancherebbe la sua ragion d'essere.

Se il mancato sviluppo quantitativo, numerico, può essere in realtà in relazione con la arretrata formazione della classe proletaria, l'atteggiamento politico del nostro partito, per il trionfo della nostra ideologia rivoluzionaria, deve però avere carattere di continuità necessaria, senza di che ci condanneremmo all'impotenza.

Passeremo subito a svolgere la nostra tesi dal punto di vista più pratico e specifico: il risultato che potrebbero avere i blocchi nel Mezzogiorno d'Italia. Permettete però che io vi faccia considerare, da un punto di vista ancora generale, come la questione del Mezzogiorno interessi tutto il partito socialista, perché è appunto sulla incoscienza politica delle masse elettorali del Mezzogiorno che la borghesia capitalistica italiana fonda il suo dominio di classe e la monarchia sabauda trova la sua forza ed il suo appoggio. Se voi quindi udite certe volte parlare troppo delle solite camorre amministrative locali del Mezzogiorno, pensate che l'insieme di queste piccole camorre costituisce la grande camorra dell'affarismo borghese italiano, impersonato dagli agrari nel Sud, dai siderurgici e dagli zuccherieri nel Nord. Per spezzare questa compagine borghese, il partito socialista non può rinunciare alla adozione di una tattica unitaria pel Nord e pel Sud, di una tattica sistematica di lotta contro la borghesia! Il partito socialista ha nel suo processo rivoluzionario un carattere di grande simultaneità. La stessa rivoluzione borghese comincia a svolgersi prima in una qualche nazione, poi si ripercuote nelle altre; man mano che il processo storico si svolge, diventa contemporanea nelle varie nazioni la fase di questi rivolgimenti sociali. La rivoluzione del 1848 ha avuto la sua eco immediata in tutta Europa. La propaganda del partito socialista per l'Internazionale proletaria oggi si universalizza sempre più, estendendosi in tutto il mondo abitato malgrado la disparità delle condizioni di ambiente; e se noi rinunciassimo a questa simultaneità storica del processo rivoluzionario, avremmo rinunciato alla principale ragione di essere del nostro partito.

Ma vi risparmio le questioni teoriche perché vi sono altri che meglio di me le tratteranno, ed anche perché a noi che sosteniamo la intransigenza si fa sempre, costantemente, l'accusa di essere dei teorici, di non camminare coi piedi sulla terra. Ebbene, scendiamo sulla terra, se così vi piace, e vedremo quali sono le condizioni partiche nelle quali si svolgerà l'eventuale politica di accordi con la democrazia nei paesi del Mezzogiorno. La relazione Lucci riflette particolarmente le condizoni della vita di Napoli, ma la possiamo ritenere estesa, per la tesi sostenuta in molte occasioni da Lucci e da altri suoi compagni di tendenza, anche ai comuni del resto del Mezzogiorno. Essa ha come argomento prevalente questo: che bisogna risolvere certe questioni, ritenute preliminari allo svolgimento della vera lotta di classe sul terreno politico. Ebbene, questo non è esatto: che sul terreno economico della lotta di classe il proletariato meridionale si trovi in condizioni arretrate, possiamo, come abbiamo detto, spiegarcelo non senza rilevare la stranezza del fatto che proprio Lucci e i suoi amici sono reduci dalle illusioni del sindacalismo rivoluzionario che volevano trapiantare proprio in quell'ambiente che dovrebbe ora giustificare, secondo loro, la transigenza politica, mentre non l'organizzazione economica ma proprio il partito politico può reagire sulle condizioni di ambiente e racchiudere in sé la energia rivoluzionaria del proletariato.

Chiusa questa parentesi, esaminiamo quali sarebbero le conclusioni pratiche di questa transazione che si dovrebbe commettere nel Mezzogiorno. Risoluzione di una questione morale nel Mezzogiorno, essi dicono, poiché laggiù non è rispettato quel minimo di moralità che è quasi il presupposto necessario della vita sociale. Errore, questo, perché le epurazioni morali non sono effetto della confusione, ma invece della differenziazione delle classi e dei partiti. La moralità del Mezzogiorno possiamo risolverla solamente accelerando il delinearsi della posizione politica dei partiti che delle varie classi sono esponenti. Attraverso altra via non arriveremmo mai. Invertiremmo la nostra propaganda tuonando contro i soli borghesi ladri e disonesti e facendo dimenticare al proletariato che esso è quotidianamente vittima di un altro furto ben maggiore che non sia quello che si può compiere nelle amministrazioni locali, cioè il continuo furto che la borghesia esercita su di lui sfruttandone il lavoro nei campi e nelle officine. Esercitando quella propaganda moralista, distinguendo troppo tra il borghese ladro e il borghese onesto, invertiamo questo principio di proaganda che è la base del nostro proselitismo e che nessuna condizione speciale può farci dimenticare; quando si fa la questione morale, essa assorbe tutte le altre: essa diventa pregiudiziale, essa ci conduce alla solidarietà degli onesti di tutti i partiti e di tutte le classi, ciò che distrugge o sbiadisce la nostra fisionomia in modo addirittura indegno.

Ma ammettiamo pure che sia possibile sempre questa teoria, fare questo taglio tra i borghesi ladri e i borghesi onesti del Mezzogiorno; ammettiamo pure che questo taglio lasci da una parte i clericali e dall'altra i cosiddetti democratici. E' una grande illusione quella che si nutre quando si crede che le maggioranze che possono uscire dai blocchi vadano a fare opera di moralizzazione! Con questa tattica non si fa che postergare indefinitamente l'affermazione veramente politica del proletariato che sola può metter fine a certi disordini di ordine amministrativo. Perché abbiamo l'esperienza dei fatti, signori della tendenza riformista, che ci insegnano come il proletariato meridionale nei blocchi, sia nella città di Napoli che in altri centri minori, abbia fatto alternativamente il guoco dei neri e dei rossi, dei rossi e dei neri, i quali, quando erano all'opposizione, erano moralisti e denunciavano gli altri che rubavano, ma quando hanno asceso la scala tentatrice del potere sono diventati più ladri degli altri! Nella città di Napoli che il deputato Lucci accampa come ragione principale della sua argomentazione, si è fatta la questione morale nel 1900 contro l'amministrazione democratico-massonica: l'azione morale dei socialisti ha determinato lo scioglimento e la caduta di quell'amministrazione, il dissolvimento del partito liberale, la sconfitta della massoneria, e indirettamente il trionfo del partito cattolico. Perché ora si dice che i cattolici sono al potere da dieci anni, ci troviamo dinanzi al fatto che i cattolici sono i ladri, gli amministratori disonesti ed incapaci, e i ladri di ieri sono i moralisti di oggi: questo è il retroscena del blocco napoletano! Oggi dunque il partito socialista di Napoli dovrebbe fare il gioco di quelli che ha scalzati una volta, agevolando la risalita di quel partito liberale organizzato dalla massoneria che porta visibilmente le tracce dell'eredità di Casale e Summonte, mandare questa gente in nome della moralità al potere, aggirandosi così in un eterno circolo vizioso. Potrei citarvi piccoli centri del Mezzogiorno ove la manovra è stata fatta, non esagero, cinque o più volte a danno di uomini di destra o di sinistra, verificandosi il fatto che quelli che erano all'opposizione si rivestivano quasi sempre, specialmente nei piccoli paesi, di una veste democratica, perché ormai noi sappiamo che il passaggio da conservatori a democratici è così facile e semplice che basta l'ascensione al potere e il desiderio di popolarità ad invertire la posizione di queste due tendenze.

Ma, si dice, vi sono sul tappeto mille problemi amministrativi. La borghesia meridionale è impotente a risolvere una quantità di questioni che sono state risolte da tempo dalla borghesia del Nord: tutte questioni di cui si parlerà nella discussione del programma amministrativo che succederà a questa della tattica, come la scuola, i pubblici servizi, l'assistenza pubblica ecc. Tutte queste questioni comunali la borghesia meridionale è del tutto inadatta a risolverle, senza distinzione di partito: i clericali e i democratici sono in questo precisamente alla stessa altezza. L'amministrazione clerico-moderata di Napoli, che ha dato cattiva prova, non ha dato prova peggiore dell'amministrazione liberale-massonica. Con chi dunque allearsi, per affrettare la risoluzione di questi problemi amministrativi? Le soluzioni di essi possono mai essere identiche per il proletariato socialista e per il commerciante radicale? No, io lo nego.

Quei problemi sono accettati dalla cosiddetta democrazia del Mezzogiorno solamente per trovare una base di combinazioni elettorali; ma la borghesia stessa, quando con il nostro ausilio è andata al potere, si disinteressa apertamente della loro risoluzione. Perché il proletariato del Mezzogiorno sente assai meno del proletariato del Nord il bisogno di questi miglioramenti civili delle sue condizioni; ha dei momnenti di rivolta contro i cattivi amministratori, ma poi non persevera e si disinterssa anche della soluzione delle questioni amministrative, non essendo cosciente né organizzato; ciò di cui il partito salito al potere approfitta per abbandonare poi completamente il suo programma pomposo.

Ma, in ogni modo, possiamo noi adattare le direttive del nostro partito alla sistemazione del cimitero e dei cessi di Roccacannuccia? Il nostro non un processo paziente di ricostituzione dell'organismo in disfacimento della società attuale, è un processo di demolizione di tutta la organizzazione sociale presente. I blocchi che mostrano di concentrarsi intorno alle pretese questioni morali, pratiche o magari anticlericali, sono in genere, specialmente da parte dei partiti della democrazia, costituiti con un unico scopo che non è morale, non politico, non amministrativo: non positivo, ma negativo: buttare giù la amministrazione dei Cai per mandare su la amministrazione dei Semproni: questo è lo scopo, il carattere profondo, essenziale, pel quale si rinuncia a tutte le pregiudiziali pur di riuscire coi blocchi nell'Italia del Sud. Se potessi citarvi un paragone, vi direi che come la lega di diversi metalli presenta molto spesso una temperatura di fusione inferiore a quella minima dei metalli che entrano nella lega, così la temperatura politica dei blocchi è inferiore alla temperatura politica del partito meno sovversivo che ne fa parte. Perché quando il socialista, il repubblicano, il radicale hanno rinunciato a certi postulati della propria ideologia per conseguire un successo in campo eletorale, allora si rinuncia anche al preteso minimo comun denominatore democratico e morale, e si cercano anche i voti dei disonesti e dei preti, poiché si vuole soltanto arrivare. Una prova è nella frase con cui si giustificano comunemente i blocchi, dicendo che se non si fanno i blocchi riescono i clericali o i ladri; allora si perde la testa e, per evitare il trionfo degli avversari, non si esita a unirsi con chicchessia, anche con elementi che, come a Napoli,  non danno affidamento alcuno né di moralità né di abilità amministrativa.

Per conseguenza noi sosteniamo che, se il partito vuole dare opera a rompere la compagine borghese che avvalendosi della incoscineza politica del popolo meridionale mantiene lo sfruttamento su tutto il proletariato italiano, il partito socialista deve stabilire una tattica unitaria e deve sforzarsi di inquadrare anche le piccole falangi dell'esercito socialista meridionale entro i confini precisi di un programma di classe. Se la classe è in formazione, questa non è una buona ragione per cui dovremmo distruggere quella poca che si è già formata. Ci dice il relatore che i blocchi si sono fatti nell'Alta Italia in un periodo che il partito socialista ha attraversato recentemente; e che i socialisti meridionali domandano di ripetere l'esperimento. Ma perché voler ripetere un esperimento che è riuscito disastroso dovunque è stato fatto? Il periodo dei blocchi non è stato una fase necessaria per lo sviluppo socialista: è stato un movimento di regresso, un fenomeno di degenerazione, non di conquiste proletarie. Il partito socialista lo ha superato, e i tesori di questa esperienza devono essere applicati a che non si ripetano le stesse conseguenze nel Sud d'Italia. Esse sarebbero anche peggiori, perché, dove noi abbiamo partiti ben precisi e definiti come in alcune regioni dell'Alta Italia, il blocco presenta pericoli minori, perché l'operaio socialista affianca magari il radicale o il repubblicano ma non perde di vista la differenza che da quelli lo separa, non compromette la sua coscienza politica; ma, dove il socialismo è in formazione, dove l'opera di proselitismo è incompleta, se mandiamo gli operai appena venuti al socialismo a contatto con certa democrazia, abbiamo un effetto molto più disastroso, poiché i lavoratori crederanno che socialismo, radicalismo, democrazia sia tutto una cosa.

In conclusione, noi non contestiamo che le condizioni speciali del Mezzogiorno lo facciano diverso dal resto d'Italia, come non possiamo negare la diversità profonda che c'è ad esempio tra le condizioni della Lombardia e quelle del Lazio, del Piemonte e del Veneto, altrettanto profonde e sentite; ma, senza contestare tutte queste diversità, diciamo che il partito socialista deve affrontare la questione amministrativa con una direttiva unitaria ed una coscienza politica: noi non dobbiamo prefiggerci di mandare a turare le falle delle sudice amministrazioni borghesi, ma farci dei comuni socialisti un'arma contro lo stato capitalista e borghese che ci sfrutta. Questo è il valore che il socialismo deve attribuire alla conquista dei comuni: e d'altra parte, anche sul terreno dei problemi pratici, come credo di avere a sufficienza dimostrato, non dimentichiamo che la risoluzione di essi non viene mai raggiunta coi blocchi e rimane quasi sempre nel Mezzogiorno una pura etichetta elettorale. Diamo dunque precisi dettami di coscienza politica e di dirittura elettorale anche nelle sezioni del Mezzogiorno d'Italia notando che ci sono molte sezioni del Mezzogiorno che sono venute qui per sostenere la tesi intrasigenti; invitiamo questi compagni a saggiare i metodi della lotta di classe, ad andare veramente alla lotta contro tutte le camorre e tutti i partiti, e soprattutto contro la più grande camorra dell'ordinamento capitalista e borghese: avremo fatto opera santa, opera socialista nell'interesse del Nord e del Sud, dei lavoratori di tutte le regioni.

Quindi io invito il congresso, anche a nome dei mei amici intransigenti del Mezzogiorno, a votare senza scupoli la tesi intransigente e a ricordare che è anche una illusione quella che si possano affrontare le lotte amministrative a fianco di certa democrazia e si possa poi mantenere la intransigenza politica. No. Questa è una grande falsità. Quando si sono avuti dei contatti, quando si sono creati dei ponti artificiali di comunanza di interessi, questi si ripercuotono sulla lotta politica, e ciò comprometterebbe la posizione e la diversità del nostro partito, riconquistata attraverso uno sforzo di coraggiosa reazione a quella tendenza transigente che abbiamo finalmente soffocata. Ed io sono sicuro che il congresso coronerà l'opera di Reggio Emilia, e quella compiuta nella seduta di ieri, votando per la intransigenza assoluta e per la lotta di classe nelle elezioni amministrative!».

(Dal «Resoconto Stenografico», Roma, 1914, pp.171-177, in Storia della sinistra comunista, edizioni il programma comunista, 1964, vol. I, pp. 229-235)

 

Questo intervento, come dimostrato da tutte le battaglie di classe sostenute dalla sinistra all'interno del Partito Socialista Italiano e, poi, nella fondazione  e nella direzione del Partito Comunista d'Italia e, successivamente, all'interno di questo partito e dell'Internazionale Comunista, si richiama costantemente alle posizioni intransigenti che la stessa teoria marxista, nella sua invarianza, ha sempre richiesto; intransigenza che è stata comune a Lenin, come d'altra parte dimostrato ampiamente dal lavoro di restaurazione teorica e di bilancio delle controrivoluzioni che ha svolto la corrente di sinistra comunista e il nostro partito fin dai suoi primi passi nel secondo dopoguerra. E' importante rilevare questo aspetto poiché è grazie all'impianto generale dal punto di vista della teoria, del  programma e delle linee politiche e tattiche, e anche organizzative, della nostra corrente che è possibile sostenere lo stretto parallelismo tra il bolscevismo di Lenin e la Sinistra comunista d'Italia rispetto alla valutazione della guerra imperialistica e alle posizioni tenute di fronte ad essa.

Il congresso di Ancona fu quasi interamente assorbito da quete battaglie e non ci furono tempo ed energie per affrontare altri due temi di grande importanza: l'atteggiamento della Confederazione del Lavoro, che continuava ad agire in modo divergente dal partito senza che la direzione del PSI intervenisse per richiamarla all'ordine; e la questione dell'antimilitarismo.

Sulla prima questione è utile, per far comprendere la chiara posizione marxista sostenuta dalla sinistra della frazione intransigente e dalla Federazione giovanile, riprendere  alcuni brani da un articolo della sinistra  intitolato L'unità proletaria (Avanti!, agosto 1913) che, facendo riferimento al congresso precedente di Reggio Emilia, e criticando decisamente la direzione del partito che in nome della solita abusata «unità» non aveva mai rchiamato all'ordine la CGL, ricorda che:

 

«il voto di Reggio Emilia rappresentava non il linciaggio di alcuni uomini, ma la critica ad un metodo incoraggiato e voluto da tutti quelli che hanno dato al proletariato un'anima riformistica e prettamente egoistica... Che i socialisti debbano favorire lo sviluppo e l'ascensione del movimento di resistenza, il quale non può essere florido e robusto se non riunisce nei suoi quadri un numero sempre maggiore di organizzati, nessuno lo pone in dubbio. Ma nel favorire lo sviluppo delle organizzazioni economiche noi socialisti non dobbaimo mai considerarle come fini a se stesse, bensì come mezzi per la propaganda e la futura realizzazione del socialismo. Ecco perché il nostro punto di vista non può coincidere con quello dei dirigenti e degli organizzatori del movimento operaio i quali (anche i sindacalisti del resto) vedono il sindacato come fine ultimo, si preoccupano solo del suo sviluppo e quindi anche della sua conservazione, e non sono disposti a comprometterla in lotte che trascendano gli obiettivi immediati e di categoria» (1).

Sulla questione dell'antimilitarismo, nessuno al congresso presentì che solo pochi mesi dopo il tema sarebbe stato non attuale, ma tragico addirittura. Nell'assemblea della frazione intransigente, tenutasi a lato del congresso, si legge nella Storia della sinistra comunista che: «i giovani della sinistra fecero notare che i due relatori erano stati poco felicemente scelti dalla direzione: il riformista Treves (certo intellettualmente qualificato) e il napoletano Fasulo, un sindacalista bloccardo filomassone che, in seguito al voto amministrativo, doveva lasciare il partito. Questo era facile prevederlo, ma non altrettanto facile era sapere che da arrabbiato antilibico si sarebbe svolto in socialpatriota. Cose da poco; ben più grave è che le proteste della frazione fossero versate nel seno di Mussolini, in cui i giovani vedevano la suprema guida. Non si potè venire ad altra conclusione che il problema della guerra e della patria sarebbe stato trattato in un prossimo congresso, per dargli una figura marxista radicale come si era fatto per gli altri. (...) Ma non venne il congresso. Venne la guerra».

Tratteremo nella prossima puntata l'origine della nostra corrente di sinistra  e le battaglie sostenute nel congresso di Ancona e subito dopo, e di fronte allo scoppio della guerra.; le battaglie contro l'immediatismo, di matrice libertaria e soreliana, quelle poi contro il falso estremismo di sinistra e, soprattutto, quelle contro il più insidioso opportunismo, il centrismo.

 

(2 - continua)


 

(1) Vedi Storia della sinistra comunista, vol. I, p. 68.

 

 

Partito comunista internazionale

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