TRA PACE E GUERRA

(«il comunista»; N° 145;  Settembre 2016)

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Pubblichiamo un articolo poco noto, del 17 novembre 1912, tratto da L'Avanguardia,scritto da Amadeo Bordiga, che ritorna sulla questione del nazionalismo e sull'atteggiamento del PSI di fronte ad esso.Vi si mette in evidenza l'utilizzo propagandistico da parte della borghesia del sentimento patriottico e, soprattutto, il fatto che questo sentimento, dopo essere servito alla borghesia per  rivesciare le aristocrazie feudali, diventa un'arma borghese per impedire "la vera emancipazione di classe dei lavoratori, quando questi si accorgono di essersi sacrificati nel solo interesse di una forma di sfruttamento che ne sostituisce un'altra".

L'occasione era data dalla guerra italo-turca scoppiata per la conquista della Libia.

 

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Quando scoppiò la guerra con la Turchia, il Partito Socialista Italiano, passato il primo momento di sorpresa, ritrovò una certa unità di coscienza e si schierò decisamente contro l’impresa di Tripoli.

La propaganda contro la guerra fu condotta con sufficiente coscienza e impostata sulle sue vere basi di classe con sufficiente accordo tanto che riescì a rompere il cerchio di ostilità che aveva circondato i turchi d’Italia.

Meno le oziose divagazioni retoriche sulle “tradizioni nazionali” che avrebbero dovuto rendere la borghesia italiana avversa all’imperialismo per rispetto della indipendenza altrui, e qualche altro ingenuo sofisma antimarxista di questo genere, la campagna antitripolina fu svolta con serietà ed energia.

Lo stesso fatto della decisa alleanza dei partiti borghesi a favore della “bella guerra” ci aiutò a dimostrare al proletariato che esso doveva essere avverso.

La troppa sfacciataggine dei nazionalisti nella menzogna ci consentì di dare risalto più vivo alla verità.

Gli avvenimenti stessi sorpassarono le nostre previsioni pessimistiche sul secondo tentativo coloniale della grande Italia. Ma la pace, confessiamolo, ci ha scombussolato un pochino.

Perché non è abbastanza diffusa nel proletariato italiano la propaganda anti-nazionalista che è pure così semplice, così chiara, così poco teorica che è una vera colpa non averla abbastanza volgarizzata.

Una delle cause dell’esame è forse questa: noi credevamo che quella borghesia italiana che aveva fatta (?) l’Italia avesse dimenticato nella sua degenerazione bottegaia il sentimento patriottico, e che non sarebbe stata capace - specialmente dopo Lissa, Custoza e Adua - di dare vita ad un movimento nazionalista. Le associazioni nazionalistiche come la “Dante Alighieri”, la Lega Navale, ecc., intristivano, le tirate patriottiche erano relegate dai borghesi stessi fra la retorica di bassa lega, la “patria” era fuori di moda nelle conventicole intellettuali della buona società.

Invece bisognava ricordare gli insegnamenti della storia.

Il nobile sentimento patriottico è la via di cui si è servita la borghesia democratica per ottenere l’aiuto dei proletari, dei nulla-tenenti, dei senza-patria, nel rovesciare le aristocrazie feudali.

Ma è anche un’arma di cui la stessa borghesia si serve per uno scopo che storicamente segue il primo ossia per impedire la vera emancipazione di classe dei lavoratori, quando questi si accorgono di essersi sacrificati nel solo interesse di una forma di sfruttamento che ne sostituisce un’altra.

La borghesia è patriota per natura nella fase eroica della sua origine rivoluzionaria. Ed è patriota per calcolo nell’utilitarismo volgare della lotta per la sua conservazione, contro il proletariato.

In questa seconda fase la borghesia sfrutta abilmente le tradizioni della prima, per adescare il proletariato ad una tregua nella lotta di classe.

Fa veramente male vedere dei socialisti cadere nel tranello. Sentire dei socialisti intellettuali andare a caccia del concetto marxista della nazione!.

Di fronte alla pace che i nazionalisti hanno definita vergognosa molti socialisti hanno esitato. Poi hanno riprese le staffe riconoscendo che non toccava a noi piangere sul fallimento della bella gesta imperialistica, e che una pace gloriosa dopo una guerra fortunata avrebbe assestato un colpo terribile al movimento operaio.

La nazione, nella realtà, è composta nella grande maggioranza dai proletari. Eppure l’interesse di essa (non l’interesse dei nazionalisti, ma l’interesse vero, reale della nazione) cozza con le aspirazioni del proletariato, non confondendo in questo nome qualche gretto miglioramento di categoria.

E’ una contraddizione. Ma non è nostra, bensì di un assetto sociale in decadenza che ne presenta ben altre: il capitalismo.

Ora i socialisti battono molto sul fatto che la borghesia deve pagare le spese della guerra. Ecco un’altra strada pericolosa. Supponiamo pure che si possa riuscire ad ottenere qualche legge che aggravi un poco di più le classi abbienti nel sopperire alle spese di guerra. Sarà un magro risultato.

Ma avremo fatto un gran male, generando un equivoco nella mente dei lavoratori. In realtà le spese della guerra le ha pagate e le pagherà il proletariato, che non è riuscito ad evitarla.

Che cosa è la borghesia se non una minoranza improduttiva? E con che cosa “pagherà le spese” se non col ricavato dello sfruttamento sulla massa che produce? Sfruttamento che la rifioritura nazionalista le avrebbe permesso anche di intensificare, se la guerra fosse riuscita secondo i suoi calcoli.

Ora una campagna tendente ad ottenere che le spese di guerra siano prelevate dalle rendite dei capitalisti, anche ammettendo che nei risultati sposti di alcune decine di milioni il sacrificio proletario, avrà per conseguenza di comprendere quei sani concetti di antagonismo di classe, a tutto danno delle conquiste avvenire.

Bisogna invece svolgere un’azione vivissima di propaganda, impostandola sul disagio economico del proletariato in conseguenza della guerra, per ottenere che “un’altra volta” esso sappia insorgere alla prima proclamazione di guerra.

E battere in breccia il patriottismo vero è falso, affarista o romantico, sia che parli in nome delle forche di Tripoli che di quelle di Belfiore.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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