Nuove disponibilità nel sito di partito www.pcint.org

(«il comunista»; N° 146;  Dicembre 2016)

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Diamo conto dei nuovi materiali di partito disponibili nel sito www.pcint.org, nella sezione "Catalogo delle pubblicazioni" in lingua italiana. Vi si trovano i sommari di ciascun numero sia della rivista Prometeo (fino al 1952) sia del giornale il programma comunista (fino al 1983), sia i relativi pdf. Qui di seguito le introduzioni alle due testate presenti nel sito.

 

PROMETEO

(Ricerche e battaglie marxiste)

Rivista del partito comunista

internazionalista

(1946-1952)

 

Introduzione

 

«Prometeo», con il sottotitolo «Ricerche e Battaglie Marxiste», era la rivista teorica del «Partito Comunista Internazionalista» che pubblicò, a partire dal 1945, il giornale «Battaglia Comunista». In questa rivista sono contenuti testi di primaria importanza, a partire dal Tracciato d’impostazione, da Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe, dovuti alla penna di Amadeo Bordiga, firmati talvolta Alfa o A. Orso, o non firmati del tutto, come gli Elementi dell’economia marxista, le Tesi della Sinistra, e alcuni editoriali come Corea è il mondo ecc.

«Prometeo» fu pubblicato in due serie. La prima inizia nel luglio 1946, che contiene il Tracciato d’impostazione, con Onorato Damen come responsabile fino al n. 12 (gennaio-marzo 1949); la responsabilità della pubblicazione passa poi a Bruno Maffi dal n. 13 (agosto 1949). La seconda serie, responsabile sempre Bruno Maffi, inizia nel novembre 1950 (n. 1) e termina col numero doppio 3-4 (luglio-settembre 1952).

Fra il 1951 e il 1952 si sviluppano all’interno dell’organizzazione i fattori di una crisi che sboccherà nell’ottobre 1952 nella scissione fra il gruppo che seguirà le posizioni rappresentate da Onorato Damen e quello che seguirà le posizioni rappresentate da Amadeo Bordiga.

In quel periodo, il compagno che aveva la «proprietà commerciale” delle testate del partito («Battaglia Comunista» e «Prometeo»), obbligo di legge per pubblicare legalmente giornali e riviste, faceva parte del gruppo di O. Damen, il quale si servirà di questa base legale per pubblicare un numero di «Prometeo» al di fuori e contro la disciplina di partito (segnato come n. 3, aprile 1952, il cui responsabile, e sostenitore delle posizioni rappresentate da O. Damen, fu Giovanni Bottaioli), e indicato come «Bollettino della Sinistra italiana per la preparazione del secondo congresso del P.C.Internazionalista». In realtà in questo numero furono pubblicate soltanto le Lettere del 1951 tra Onorio e Alfa (cioè tra Damen e Bordiga), con una introduzione firmata da Damen, che la direzione centrale del partito, con l’assenso di Amadeo Bordiga, non riteneva di dover rendere pubbliche. Questo gruppo si servirà successivamente del titolo di «proprietà commerciale» per togliere dal controllo della direzione politica le testate che rappresentavano l’insieme dell’attività del partito dalla sua fondazione.

L’ultimo numero di «Prometeo», il nr. doppio 3-4 (luglio-settembre 1952), in continuità con la linea del partito sostenuta fino ad allora, uscirà ancora con responsabile Bruno Maffi che, dopo la scissione, sarà il responsabile della nuova testata di partito, «il programma comunista».

 

Il programma comunista

organo del partito comunista internazionalista/internazionale, dal 1952 al 1983

 

Introduzione

 

Riportiamo di seguito l’indice degli articoli contenuti nel «programma comunista» dal 1952 al 1983, ossia dall’inizio delle sue pubblicazioni fino al periodo di drammatica crisi che mandò il partito in mille pezzi. Pubblichiamo tutto l’elenco, anche degli articoli con cui non concordavamo e non concordiamo, ma ci sembra ovvio dare un quadro completo di quanto contenuto nel giornale di partito, con tutte le contraddizioni che fanno parte di un organismo vivo, imperfetto e che lotta in un ambiente sociale ostile e denso di contrasti di ogni genere.

«Il programma comunista - organo del partito comunista internazionale» è il giornale che il partito fondò nel 1952; il suo primo numero, uscito il 24 ottobre, riportava un avviso ai lettori che diceva:

«Chiariamo ai lettori che il mutamento preannunciato nella testata del giornale, che da Battaglia Comunista diventa Il programma comunista, non è dovuto a nostra iniziativa, né ad azioni giudiziarie coattive la cui provenienza non interesserà mai indicare. Essendosi trattato di far valere contro il partito, contro la sua continuità ideologica ed organizzativa e contro il suo giornale, e beninteso dopo averla carpita, una fittizia proprietà commerciale, esistente solo nella formula burocratica che la legge impone, non ci prestiamo a contestazioni e contraddittori tra persone e nominativi; subiremo senza andare sul terreno della giustizia costituita le imposizioni esecutive. Quelli che se ne sono avvalsi non potranno più venire sul terreno del partito rivoluzionario. Inutile quindi parlare dei loro nomi e dei loro moventi, oggi e dopo.

«Il giornale continuerà a svolgersi sulla linea che lo ha sempre definito e che rappresenta i suoi titoli non di “proprietà” ma di continuità programmatica e politica, conformemente ai testi fondamentali del movimento, alla Piattaforma e al Programma della Sinistra, alle Tesi della Sinistra, alla serie dei “Fili del Tempo” e alla mole delle altre pubblicazioni contenute in Battaglia, in Prometeo e nel Bollettino, materiale di cui daremo prossimamente, ad uso del lettore, un indice analitico».

I contrasti interni all’organizzazione di ordine politico, tattico e organizzativo ma anche teorico, non sorpresero mai nessuno dato che il partito era consapevole che la riconquista del patrimonio autentico della «Sinistra comunista italiana» per la restaurazione della dottrina marxista e la decisa lotta contro lo stalinismo, richiedevano anni di messe a punto. In questo enorme lavoro che coinvolgeva tutti i compagni attraverso incontri, riunioni, lettere, documenti, emersero poco a poco posizioni contrastanti che solo per semplificare potremmo classificare da un lato a carattere attivistico e dall’altro a carattere accademico o attendista. Soprattutto nell’arco che va dal 1948 (nel maggio del 1948 si tenne il I Congresso del partito a Firenze in cui emersero i primi profondi contrasti incentrati sui «compiti del partito») al 1951, prenderanno forma le posizioni che caratterizzeranno il gruppo, che per semplificazione diciamo di Damen, e le posizioni che caratterizzeranno il gruppo, che per semplificazione diciamo di Bordiga. Resta il fatto che le testate del partito, Battaglia comunista e Prometeo, dal 1946 in poi, pubblicano e diffondono tutti i lavori di carattere teorico, programmatico, politico e tattico che rappresentano soprattutto le posizioni del gruppo di Bordiga e che sono presentate e riconosciute ufficialmente, all’interno dell’organizzazione e al suo esterno, come le posizioni del partito (1).

La «dura opera del restauro della dottrina marxista e dell’organo rivoluzionario, a stretto contatto con la classe operaia, fuori dal politicantismo personale ed elettoralesco» – come si scrisse nel «Distingue il nostro partito» fin dal n. 5 (6-20 marzo 1952) di battaglia comunista al fine di distinguersi dal giornale con lo stesso titolo e organo dello stesso partito che il gruppo dei dissidenti facenti capo a Damen fecero uscire da quel momento in poi – non poteva non suscitare all’interno dell’organizzazione perplessità, interpretazioni, radicalizzazioni, dubbi necessariamente dovuti alla faticosissima lotta contro tutte le insidie dell’opportunismo. Infatti, grandissima parte del lavoro di restaurazione della dottrina marxista e di bilancio della controrivoluzione riguardava proprio la lotta contro ogni forma di opportunismo, tra le quali la più insidiosa fu sempre la democrazia e il suo portato di politicantismo personale ed elettoralesco.   

Il partito, nel 1952, si definiva ancora «partito comunista internazionalista» come dalla sua fondazione alla fine del 1942, ed è lo stesso nome che continuò ad usare anche Battaglia comunista dopo la definitiva scissione avvenuta per l’appunto nell’ottobre del 1952. Cambierà nome nel 1965 in «partito comunista internazionale». Due elementi di rilievo portarono a questa decisione: 1) alla fine del 1964 ci fu un’altra scissione, incentratasi in particolare intorno alla questione del «centralismo democratico» contro il «centralismo organico», dalla quale si organizzò il gruppo di Rivoluzione comunista che si definì anch’esso «partito comunista internazionalista», aumentando inevitabilmente la confusione dato che a quel punto erano tre i gruppi politici che si definivano alla stessa maniera; 2) la rete organizzativa del partito non riguardava più soprattutto l’Italia, ma si era in effetti estesa in Francia, Belgio, Svizzera, Germania.

Nel n. 1 de il programma comunista del 12 gennaio 1965, vengono pubblicati i «Primi risultati dei contributi giunti da tutto il Partito per l’elaborazione delle tesi definitive sulla sua organizzazione», articolo introdotto così: «Il nome del Partito. Giusta le decisioni del II Congresso mondiale del 1920, il Partito prese a Livorno il nome di “Partito Comunista d’Italia (sezione dell’Internazionale Comunista)”. Quando l’Internazionale si sciolse, al termine di una degenerazione prevista da gran tempo dalla Sinistra, e il suo attuale mostruoso avanzo prese il nome  di “Partito Comunista Italiano”, svolgendo in realtà una politica nazionale, ricostituendoci per il solo territorio italiano nel 1943 fu scelto, per distinguerci da tanta vergogna, il nome di “Partito Comunista Internazionalista”. Oggi per la realtà dello svolgimento dialettico, la nostra organizzazione è la stessa dentro e fuori delle frontiere italiane, e non è una novità constatare che agisce, sia pure in limiti circoscritti quantitativamente, come organismo internazionale. Il nome di “Partito Comunista Internazionale” non può sembrare a nessuno una novità se si pensa che fu enunciato a Mosca fin dal 1922 pur senza prescrivere che si cambiasse il nome di ogni sezione. Nel bollettino del IV Congresso, intitolato “Il bolscevico”, apparve un articolo di Zinoviev, riportato da “l’Humanité” dell’11.XI-1922». Questo articolo è stato in effetti riprodotto per intero, ma qui a noi basta richiamare le prime frasi: «I comunisti formano un partito internazionale. Dalla sua fondazione l’IC si è posta come fine la creazione di un’organizzazione comunista internazionale costruita su un piano razionale e diretta da un centro unico. E’ questa una delle differenze fra la II e la III Internazionale. La II nei suoi giorni migliori non fu mai che una federazione piuttosto amorfa di partiti nazionali mal collegati gli uni agli altri».

Dunque, il partito è un’organizzazione internazionale centralistica, con un centro unico, un unico programma, si muove in un’unica direzione secondo direttive che valgono per tutte le sue sezioni nel mondo. La «Sinistra comunista» – che noi preferiamo chiamare «d’Italia» e non «italiana», come si chiamò a suo tempo il Partito Comunista di Livorno – ha indicato per l’organizzazione del partito la formula del centralismo organico, non inventata al momento, ma riprendendola dalla proposta avanzata già nel 1922 nell’articolo «Il principio democratico» (2) nel quale si afferma: «Il criterio democratico è finora per noi un accidente materiale per la costruzione della nostra organizzazione interna e la formulazione degli statuti di partito: esso non è l’indispensabile piattaforma. Ecco perché noi non eleveremmo a principio la nota formula organizzativa del “centralismo democratico”. La democrazia non può essere per noi un principio; il centralismo lo è indubbiamente, poiché i caratteri essenziali dell’organizzazione del partito devono essere l’unità di struttura e di movimento. Per segnare la continuità nello spazio della struttura di partito è sufficiente il termine centralismo, e per introdurre il concetto essenziale di continuità nel tempo, ossia nello scopo a cui si tende e nella direzione in cui si procede verso successivi ostacoli da superare, collegando anzi questi due essenziali concetti di unità, noi proporremmo di dire che il partito comunista fonda la sua organizzazione sul “centralismo organico”».

Il 1965 è anche l’anno in cui Amadeo Bordiga mette mano a delle tesi alle quali, come lui stesso disse in tempi non sospetti, non avrebbe mai voluto dedicarsi. Ma l’immaturità teorica e politica dell’insieme del partito – e la scissione del 1964 lo dimostrava con chiara evidenza – richiese al compagno, che più di altri riusciva a tener ferma la barra sulla corretta rotta marxista, Amadeo Bordiga, di produrre il necessario sforzo per mettere a punto le tesi sulla questione di organizzazione. Il risultato finale del lavoro al quale parteciparono i compagni di tutte le sezioni con suggerimenti, rilievi, scritti, domande, furono le Tesi sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale, secondo le posizioni che da oltre mezzo secolo formano il patrimonio storico della sinistra comunista – note come Tesi di Napoli, presentate alla riunione generale di partito del luglio 1965 – con le quali il partito rispondeva in modo esauriente alla grande questione dell’organizzazione; ma ci volle dell’altro lavoro che le completasse, dato che altre perplessita emersero in seno al partito, e Amadeo Bordiga scrisse le Tesi supplementari a quelle di Napoli sul compito storico, l’azione e la struttura del partito comunista mondiale – note come Tesi di Milano, presentate alla riunione generale di partito del novembre 1965 (3).

Negli anni che vanno dal 1965 al 1982 le forze del partito aumentarono, non nel senso che diventò un partito di migliaia di militanti, ma nel senso che allargò la propria presenza sia in Europa che fuori di essa, come le diverse pubblicazioni in tedesco, inglese, greco, olandese, svedese, turco, arabo, persiano, polacco dimostravano, sviluppando in modo apprezzabile una certa attività anche di tipo sindacale tra i metalmeccanici, le poste, gli enti comunali, i chimici, gli ospedalieri ecc. Aumentavano, e si rendevano nello stesso tempo più complessi, i compiti pratici di intervento e di collegamento. La ancora fortissima presa dell’opportunismo sulle masse operaie rendeva il lavoro pratico di partito più complicato, esponendolo inevitabilmente alla pressione e all’influenza delle più varie forze opportuniste, perciò al partito era richiesta una maggiore saldezza teorica e politica.

La «questione sindacale» fu il terreno in cui il partito, già dalla sua costituzione, dovette cimentarsi costantemente e, come sempre succede, le questioni «pratiche» poste dall’attività di carattere sindacale richiedono soluzioni di carattere generale. Soluzioni che potevano trovare un loro inquadramento soltanto nell’impostazione politica di carattere generale e nelle tesi di partito. Gli è che la presenza di compagni di partito nelle fabbriche è stata per lungo tempo molto marginale, perciò l’impostazione non poteva che definire una posizione e un atteggiamento più in prospettiva che da applicare nell’immeditao su ampia scala. Ma con l’arrivo di nuovi compagni e con una certa estensione del partito in altre città, a partire dal 1968, il terreno «sindacale» diventava nei fatti il terreno nel quale, scontrandosi con il padronato e le forze dell’opportunismo quasi quotidianamente, la lotta contro l’opportunismo, volta a penetrare nelle masse operaie al fine di influenzarne almeno gli elementi più attivi e sensibili alle critiche al sindacalismo tricolore, e la stessa nostra lotta politica potevano finalmente assumere una dimensione non più marginale e costituire il campo nel quale le forze del partito potevano dimostrare praticamente le proprie capacità costituendo, sebbene sempre in modo ancora molto parziale, un punto di riferimento di classe per tutti quei proletari che nella loro lotta di difesa immediata cercavano di sottrarsi alla tutela e ai ricatti costanti del bonzume sindacalista per organizzarsi in modo più coerente con le loro esigenze.

Negli anni della costituzione del partito, soprattutto nell’immediato dopoguerra, si fece strada all’interno dell’organizzazione l’idea che il secondo dopoguerra poteva essere simile al primo, nel senso che c’era chi riteneva (come il gruppo che faceva capo a Damen) che fossero presenti i fattori oggettivi «favorevoli» non solo alla ripresa della lotta di classe ma alla ripresa della lotta rivoluzionaria e che il partito avrebbe dovuto, aumentando la sua attività nella classe e nella società anche attraverso l’elezionismo, recuperare un ritardo storico dovuto alla vittoria della controrivoluzione staliniana. In modo simile, negli anni 1968-69, anni in cui le lotte operaie si fecero più intense in Italia, in Germania, in Francia, in Inghilterra, si fece strada all’interno del partito l’idea che – avvicinandosi la fatidica data del 1975, anno nel quale era stato previsto dagli studi economici del partito che sarebbe esplosa una crisi capitalistica a livello mondiale, crisi che avrebbe innescato una crisi sociale e politica a carattere «rivoluzionario» – il partito doveva obbligatoriamente intensificare la sua attività verso le masse proletarie, e in specie l’attività sindacale, per poter essere in grado nel giro di 6/8 anni di porsi alla guida del movimento di classe del proletariato in Europa. Dato che la possibilità, da parte del partito, di condurre il movimento operaio in direzione della lotta rivoluzionaria, non poteva non poggiare sulla sua influenza determinante nel sindacato operaio più importante e seguito dalla massa operaia (la CGIL in Italia, la CGT in Francia), il partito – perdendo temporaneamente la bussola teorico-politica sulla valutazione corretta dei sindacati operai come sindacati collaborazionisti e sempre più integrati nello Stato borghese – ritenne di dover condurre una battaglia «decisiva» all’interno di questi sindacati affinché non procedessero all’unificazione con i sindacati gialli e bianchi (come all’epoca si ventilava) e non si integrassero nell’apparato statale; ritenne cioè di essere ancora «in tempo» ad impedire che quei sindacati diventassero «tricolori» e si lanciò in una velleitaria lotta «in difesa dei sindacati di classe» puntando a scalzare i loro vertici – sicuramente opportunisti e venduti alla borghesia – per prenderne la direzione. In pratica, se il gruppo di Damen nell’immediato secondo dopoguerra, credendo di poter applicare la stessa tattica applicata nel primo dopoguerra,  sopravvalutò enormemente le potenzialità di classe e rivoluzionarie del proletariato uscito dalla guerra completamente disorientato e intossicato di democrazia «antifascista» grazie all’azione portata in profondità dallo stalinismo, da parte sua il partito, e soprattutto i compagni che facevano capo alla sezione di Firenze che per un certo periodo ebbero il compito di dirigere l’Ufficio centrale sindacale del partito, sopravvalutò enormemente la forza del partito – che considerava capace in pochissimi anni di ribaltare completamente i rapporti di forza tra un proletariato ancora fortemente influenzato dall’opportunismo e dal collaborazionismo politico e sindacale – mentre falsò totalmente la natura e la caratteristica del sindacato CGIL (e di conseguenza della CGT in Francia) seppellendo la valutazione che il partito aveva dato fin dal 1949 dei sindacati «antifascisti» ricostituiti già durante la guerra dalle potenze imperialistiche che la stavano vincendo, e cioè delle basi collaborazioniste su cui erano stati riorganizzati, in forza delle quali il partito li aveva definiti non più «di classe»  (come erano i sindacati prima di essere distrutti dal fascismo), ma «tricolori». In base a questa straordinaria deviazione dalla corretta valutazione della realtà sociale, per alcuni anni tutte le forze del partito venivano mobilitate per impedire alla CGIL e alla CGT di diventare... quello che erano già fin dalla loro costituzione! Gli anticorpi, ancora presenti nel partito all’epoca, funzionarono e il partito si rimise sulla giusta rotta e le Tesi sulla questione sindacale del 1972 lo dimostrano; ma il contrasto di vedute e di prospettiva che era sorto intorno alla «questione sindacale» inevitabilmente si allargava a tutte le questioni tattiche e organizzative, e immancabilmente alla questione centrale: la concezione del partito, tanto da provocare uno scossone non da poco; le sezioni toscane ed altri militanti ad esse collegate si autoesclusero dal lavoro comune di partito scindendosi definitivamente da esso alla fine del 1973 e organizzandosi successivamente intorno al giornale Il Partito comunista.

Le crisi e le scissioni che avvennero negli anni Settanta – la più grave fu quella cosiddetta «fiorentina» dato che il nucleo scissionista più forte e compatto faceva parte appunto della sezione di Firenze – anticipavano, di fatto, i contrasti che portarono il partito alla crisi esplosiva del 1982-84. La grande crisi del 1952 si incentrò su questioni di teoria, di programma politico generale, di tattica e di organizzazione; dunque su tutti gli aspetti fondamentali dell’attività del partito. Le crisi successive si svolsero più sull’aspetto «organizzativo» e «tattico» che su quello teorico, mascherando in realtà forti dissensi su questioni di dottrina, dissensi che vennero alla luce dopo, e talvolta anche molto dopo, che si fu consumata la scissione. Il partito, pur affermando di lottare contro ogni espedientismo e contro ogni cedimento personalistico e democratico, veniva colpito da una malattia niente affatto rara: il localismo, ossia l’esatto contrario del centralismo. In questo modo il meccanismo democratico cacciato dalla porta rientrava dalla finestra, e col meccanismo democratico rientrava anche la democrazia come ideologia per cui, mentre si giurava sul programma e sulle tesi posti a base del partito, si praticava in realtà una «libertà di critica e d’azione» grazie alla quale si affermava, ad esempio, che ogni singolo compagno, in quanto militante di partito, nella sua attività e nei suoi interventi era di fatto «il partito» e tutto ciò che sosteneva o faceva non rappresentava che il meglio che il partito poteva dire e fare (come sostenevano i «fiorentini»), oppure che la nostra organizzazione – proprio perché non riusciva, dopo tanti anni di attività teorica e politica, ad avere un’influenza determinante sulle masse operaie – in realtà non era il partito di classe che agognavamo ma che doveva, perciò, portando il proprio patrimonio politico e le proprie esperienze, «confrontarsi» con altre forze politiche e altre organizzazioni militanti discutendo programmi e piani tattici per giungere alla formazione di un’organizzazione più numerosa e forte (la teoria del «crogiuolo» dei cividalesi). Altre «teorizzazioni» emersero in quel ventennio, come il fatto che il partito non doveva «sporcarsi le mani» contribuendo, laddove si presentavano effettivamente possibilità pratiche, alla costituzione di organismi di difesa immediati sull’onda di lotte operaie che tendevano a spezzare la cappa soffocante e paralizzante del collaborazionismo sindacale; oppure quella secondo la quale il partito, visto che la ripresa della lotta di classe a livello internazionale segnava il passo, avrebbe dovuto dedicarsi alla teoria astenendosi dall’intervento pratico nei pur rari spiragli che le spontanee reazioni di lotta operaie aprivano, arrivando a sostenere una ritirata generale chiudendo i giornali e pubblicando esclusivamente delle riviste teoriche (come sostennero i marsigliesi) e sulla cui posizione, in un modo o nell’altro, confluirono diversi militanti un tempo molto attivi nei sindacati tricolore. La malattia localista, la malattia democratica e personalistica purtroppo attaccarono con virulenza anche gli organismi centrali del partito che, incapaci di tener la barra del timone ferma sulla rotta già fissata dalle tesi che formavano il patrimonio storico e teorico del partito stesso, oscillarono ora verso la burocratizzazione della vita di partito ora verso l’accettazione di posizioni e atteggiamenti del tutto contrastanti con la normale vita organica del partito, pur di tenere insieme nella stessa organizzazione forze che, per propria spinta deviante, non potevano assolutamente garantire un lavoro comune secondo un’unica direttiva, un unico centro, un unico modus operandi. Si potrà dire, col senno di poi, date queste premesse, che la crisi esplosiva era prevedibile; c’è chi sostenne che il partito avrebbe dovuto attrezzarsi per tempo dal punto di vista organizzativo a situazioni critiche del genere, dimenticandosi però che ogni soluzione «organizzativa» o discende da un’impostazione programmatica e politica che risponde ai criteri illustrati nelle tesi del centralismo organico che a loro volta sono strettamente connessi ad una disciplina che prima di tutto è politica e solo di conseguenza è anche organizzativa, oppure discende da un quadro organizzativo, e quindi amministrativo, che «obbliga» ad una disciplina politica senza che vi sia condivisione e fiducia nelle direttive centrali. E’scontato che ogni barriera tra teoria e prassi, per quanto sottile o invisibile essa sia, produca la germinazione spontanea di espedienti che trovano terreno fertile proprio nel localismo, nel politicantismo personale ed elettoralesco. E a causa dell’espedientismo il partito muore prima ancora di aver assolto al suo compito principale: l’assimilazione, la diffusione, la difesa della dottrina marxista. Senza teoria rivoluzionaria non ci sarà mai movimento rivoluzionario, e ciò va inteso prima di tutto per il partito di classe. Perdere la connessione sistematica e organica con la teoria – e quindi con i risultati dell’esperienza storica del movimento rivoluzionario, le sue lezioni e i suoi dettami – significa perdere la possibilità di correggere gli errori nei quali inevitabilmente il partito cade e può cadere nello sviluppo della sua attività contrastante in ogni più piccolo aspetto con l’attività delle forze borghesi ed opportuniste; significa perdere la possibilità di rimettersi sulla corretta rotta rivoluzionaria dopo aver subito colpi e contraccolpi nello svolgimento della sua azione; significa impedirsi di svolgere uno dei propri compiti primari verso la classe proletaria che consiste nel portare nelle sue file i bilanci delle lotte e dei movimenti precedenti, vittoriosi o sconfitti che siano stati e che, perciò, consiste nel rappresentare un punto di riferimento politico e organizzativo per la stessa lotta di classe proletaria; significa distruggere la possibilità futura di ricostituirsi su solide e coerenti basi marxiste.

Nella crisi del 1982-84, una deviazione evidente dall’impostazione teorica e storica della Sinistra comunista d’Italia, e del partito che l’ha rappresentata nella forma-partito per più di trent’anni, fu avanzata in un primo tempo dai liquidatori del 1982, secondo i quali il partito «aveva fallito» e doveva perciò sciogliersi e confondersi con i movimenti sociali ribelli, e dai liquidatori di altra origine in un secondo tempo, nel 1983-84, che pretesero di rimediare ad un «centralismo» che non funzionava più con un centralismo «democratico», per poi giungere a teorizzare, visto che nemmeno il loro centralismo «democratico» dava «garanzie» di disciplina e di compattezza, un «vizio d’origine» della Sinistra comunista d’Italia che sarebbe consistito nel non saper «fare politica», nel non saper «dirigere politicamente» né il partito né le masse (ci riferiamo al gruppo che si definì «combat»). Dare la colpa della propria incapacità politica di comprendere quali effettivamente sono i compiti di un partito di classe (nella situazione rivoluzionaria di ieri, nella situazione controrivoluzionaria di oggi e nella situazione di ripresa della lotta di classe di domani) ad un particolare virus che avrebbe attaccato la Sinistra comunista d’Italia sembrò loro il miglior modo per uscire dall’impasse che li portò in breve tempo ad autoliquidarsi. Di fronte a questi attacchi concentrici al partito e al suo patrimonio teorico e storico, il gruppo che dal 1984 riprese nelle proprie mani la testata «il programma comunista», con un’azione legale del tutto simile a quella attuata nel 1952 dal gruppo di Damen contro il partito, si caratterizzò non solo per questa vergognosa azione ma anche per l’assenza completa di lotta politica all’interno dell’organizzazione-partito che era rimasta in piedi e attiva nonostante la crisi esplosiva del 1982; in sostanza non diede alcun punto di riferimento teorico, programmatico e politico ai compagni, in Italia e all’estero, che erano rimasti del tutto disorientati dall’éclatement. Si rifugiò nel sentimentalismo di partito e nell’azione legale, consegnando al tribunale borghese la «decisione» di quale gruppo politico aveva «diritto» a farsi rappresentare dal giornale «il programma comunista». In forza della legge borghese e carpita la proprietà commerciale del giornale, questo gruppo pretende di essere riconosciuto come «erede» del partito di ieri, del partito comunista internazionale, un partito per il quale, nello svolgimento della crisi che alla fine lo mandò in mille pezzi, non fece alcuna battaglia politica; agì per suo conto il tribunale borghese ed è per questo motivo che valgono le stesse parole che nel 1952 scrivemmo a proposito del gruppo di Damen e della legge borghese: quelli che se ne sono avvalsi non potranno più venire sul terreno del partito rivoluzionario. Per noi, in effetti, come «battaglia comunista», insieme a «Prometeo», sono stati la voce del partito fino al 1952, così «il programma comunista» è stato la voce del partito, rappresentandolo per più di trent’anni anche a livello internazionale, fino alla fine del 1983, quando la sua pubblicazione fu interrotta dall’azione legale attuata dal gruppo che oggi ancora lo possiede «in proprietà».

 

Nota per i numeri dal 7 all'11 del 1983:

 

Nel giugno 1983, alla riunione generale del partito, con un colpo di mano si impose un sedicente Comitato Centrale, formato dai rappresentanti delle sezioni italiane più importanti rimaste ancora attive, che esautorò il Centro che fino ad allora dirigeva il partito. Da quel momento si accese una nuova lotta politica interna da parte di alcuni compagni che condivisero l’iniziativa legale per riappropriarsi della testata “il programma comunista” e di alcuni altri compagni che, opponendosi sia al “nuovo corso” istituito attraverso il sedicente Comitato Centrale che all’iniziativa legale dell’altro gruppo di compagni, cercarono di strappare più compagni possibile alle molteplici deviazioni che avevano colpito il partito e che lo avevano terremotato completamente.

Quest’ultimo gruppo di compagni, combattendo all’interno di quel che rimase del partito comunista internazionale dopo la crisi esplosiva del 1982 e fino a quando gli fu data la possibilità pratica di agire politicamente al suo interno - cioè fino alla fine del 1984 - e combattendo nello stesso tempo il ripiegamento nei confini italiani dei due gruppi ora richiamati, darà vita, fin dal maggio 1983, alla nuova testata “il comunista” e, dal febbraio 1985, insieme ai compagni franco-svizzeri del “prolétaire”, alla ricostituzione del partito sulla base di un vitale bilancio politico delle crisi che hanno colpito il partito dalla sua nascita nel secondo dopoguerra - bilancio che partiva indiscutibilmente dalle basi teoriche, programmatiche, politiche, tattiche e organizzative che avevano distinto da sempre la corrente della sinistra comunista d’Italia e il nostro partito di ieri - e con una visione internazionalista e internazionale come è altrettanto vitale per un partito che vuole essere comunista e rivoluzionario.

All’epoca ricordammo non solo la giusta posizione che prese il partito nel 1952 quando il gruppo che faceva riferimento a Damen intraprese una causa legale per appropriarsi della testata “battaglia comunista”, ma anche il fatto che le funzioni formali che la legge borghese impone - la “proprietà commerciale” di una testata e la responsabilità editoriale da parte di un “direttore” obbligatoriamente iscritto all’Ordine dei gionalisti - non davano ai compagni che necessariamente dovevano assolverle una sorta di privilegio politico all’interno del partito né tantomeno assegnavano a loro il ruolo di primi e indiscutibili rappresentanti delle posizioni del partito di fronte al partito stesso e all’esterno del partito. Per il partito erano, e sono, semplicemente funzioni burocratiche che devono essere assolte per pubblicare legalmente la stampa di partito, niente di più. Infatti, i compagni che risultavano formalmente “proprietari commerciali” e “direttori responsabili” del giornale di partito non necessariamente condividevano sempre le posizioni del partito.

Questo vale per i numeri del “programma comunista” dal 7, luglio 1983, all’11, gennaio 1984, come per il successivo “combat” dal febbraio al dicembre 1984 (testata della quale non diamo alcun indice dato che il suo indirizzo non è mai stato da noi condiviso).

 


 

(1) A partire, per citarne solo alcuni, dalla Piattaforma politica del Partito Comunista Internazionalista del 1945, al Tracciato d’impostazione del 1946, e poi Forza violenza dittatura nella lotta di classe del 1946-48, le Tesi della Sinistra del 1947, Proprietà e Capitale del 1948-52, e la lunghissima serie di Fili del Tempo dal 1949, iniziata in “battaglia comunista” e poi, dopo la rottura, proseguita in “il programma comunista”.

(2) Cfr. Il principio democratico, di A. Bordiga, in “Rassegna Comunista”, anno II, n. 8 del 28 febbraio 1922; raccolto nel volumetto Partito e classe, edizioni il programma comunista, Napoli 1972, p. 63.

(3) Il corpo di entrambe le Tesi, pubblicate ne “il programma comunista” n. 14/1965 e n. 7/1966, lo si ritrova anche nel volumetto In difesa della continuità del programma comunista, edito dal partito nel 1970.

 

 

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