1917. La luce di ottobre rischiara la via della rivoluzione di domani

(«il comunista»; N° 147;  Febbraio 2017)

 Ritorne indice

 

 

Il tema della rivoluzione, e della rivoluzione d’Ottobre in particolare, per noi della sinistra comunista che affonda le sue radici nel marxismo autentico da Marx ed Engels a Lenin, è tema costante, vivo, mai separato da tutte le questioni centrali inerenti l’emancipazione del proletariato dal capitalismo, la sua lotta rivoluzionaria per il socialismo e la funzione indispensabile e vitale del partito di classe in tutto il corso storico rivoluzionario che aprirà la via alla completa eliminazione di ogni antagonismo di classe, di ogni oppressione di classe e all’avvento della società di specie, al comunismo.

In ogni rivoluzione, le lotte che precedono il suo effettivo scoppio sono indirizzate oggettivamente alla presa del potere politico, alla conquista violenta del potere. La rivoluzione, affermava Engels in polemica con gli anarchici, è la cosa più autoritaria che esista; e ciò è vero per tutte le rivoluzioni che si sono svolte nella storia, il cui progresso – da quando si sono sviluppate le diverse società divise in classi – non è mai stato pacifico perché gli antagonismi di classe, generati dal diverso sviluppo dei modi di produzione che si sono succeduti nella storia, sono a loro volta il risultato dello scontro tra interessi economici, sociali e politici, contrastanti per l’appunto tra le classi portatrici del modo di produzione più sviluppato e progressita e le classi subalterne, che subiscono la pressione e l’oppressione delle classi dominanti e che sono state violentemente espropriate e schiavizzate al fine di appropriarsi dei prodotti del loro lavoro. Così  com'è accaduto nel susseguirsi storico delle società, dallo schiavismo al feudalesimo, al capitalismo, passando da un’organizzazione sociale economicamente meno sviluppata e geograficamente meno ampia  ad altre sempre più sviluppate e internazionalizzate, fino ad arrivare al capitalismo sviluppato di oggi che, come già per le società di classe che l’hanno preceduto, ha raggiunto da tempo l’apice del suo sviluppo progressivo; passaggi mai avvenuti pacificamente, ma caratterizzati da guerre e rivoluzioni.

Il quadro storico dell’Europa occidentale dal 1848 al 1871 - nell’epoca che va dalle rivoluzioni del Quarantotto a Parigi, Berlino, Vienna, Milano, alla Comune di Parigi, e cioè il livello di sviluppo rivoluzionario del modo di produzione capitalistico e della classe che lo rappresenta, la borghesia, e il livello raggiunto dalle lotte di classe della nuova classe rivoluzionaria della storia, il proletariato, la classe dei lavoratori salariati - era sufficiente per definire in modo scientifico non solo il modo di produzione capitalistico e le sue conseguenze economiche, sociali e politiche, ma anche le tendenze storiche del suo sviluppo sempre più contraddittorio e dei suoi insormontabili limiti. Non a caso è in quel periodo della storia delle lotte di classe che nasce la prima Associazione Internazionale dei Lavoratori e il Manifesto del partito comunista. Da allora, nella storia delle società divise in classi - imponendo violentemente e tendenzialmente a tutto il mondo i rapporti economici e sociali caratterizzati dall’antagonismo fondamentale tra il Capitale e il Lavoro Salariato, dunque tra le principali classi sociali esistenti, la borghesia e il proletariato - si è posta in prospettiva la grande questione storica del superamento di ogni antagonismo di classe, di ogni oppressione, di ogni violenza, di ogni guerra, dunque di ogni società divisa in classi contrapposte, in classe dominante e classi dominate, di ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Utopia? Sì, c’è stato un tempo in cui, non essendo presenti le condizioni materiali generali e universali per questo superamento, il desiderio di vivere e progredire in pace, senza contrasti e senza oppressioni di alcun tipo, si esprimeva in un ideale utopistico. Ma dal momento in cui il modo di produzione capitalistico dimostrava nei fatti di riuscire a sviluppare tecnicamente ed economicamente, attraverso la manifattura prima e la grande industria poi, la vita sociale dei grandi gruppi umani, realizzava oggettivamente quella grande produzione sociale che stava alla base del possibile superamento di ogni divisione di classe. Il fatto è che il capitalismo, mentre sviluppa, forsennatamente per via della concorrenza mercantile, la produzione sociale, la indirizza con la forza (attraverso lo Stato, la proprietà privata, le leggi e le forze armate e, naturalmente, l’obbligo del lavoro salariato come unica fonte di sopravvivenza per la maggioranza della popolazione di ogni paese) verso un unico obiettivo: la sua appropriazione privata. La rivoluzione borghese  capitalistica ha fatto fare un enorme passo avanti all’umanità, facendola uscire dall’arretratezza e dai forti limiti in cui il feudalesimo e le società anche più antiche la costringevano. E Marx ed Engels l’hanno sempre sottolineato, esaltando il gigantesco sviluppo tecnico nella produzione sociale portato dal capitalismo, ma, nello stesso tempo, dimostrando che lo stesso sviluppo del capitalismo costituiva un impedimento sempre più forte allo sviluppo di quelle forze produttive che il capitalismo stesso aveva avviato e sostenuto. Il capitalismo consegnava, oggettivamente, alla storia il testimone dello sviluppo delle forze produttive individuando una classe rivoluzionaria che non era più la classe borghese, la classe che si appropria di tutta la ricchezza sociale prodotta e che con il potere politico in suo possesso difende il suo potere economico, ma la classe degli sfruttati per eccellenza, la classe dei lavoratori salariati dal cui sfruttamento – e solo da questo sfruttamento – la borghesia estorce il plusvalore, ossia quella parte di tempo di lavoro che non viene pagato al salariato. Perché la produzione sociale torni a vantaggio della società, dell’intera società, di tutti gli uomini che la costituiscono, senza distinzione di censo, di proprietà, di razza, di genere, di nazionalità, devono essere eliminati tutti gli ostacoli che ne impediscono la realizzazione. E l’ostacolo principale è dato dal potere politico della classe dominante borghese. La classe rivoluzionaria per eccellenza della società moderna, il proletariato, la classe che non possiede nulla se non la sua forza lavoro, ma che, grazie allo sviluppo del capitalismo, costituisce la maggioranza della popolazione in tutti i paesi sviluppati, rappresenta l’unica forza sociale in grado non solo di lottare per difendere in questa società i suoi interessi di classe, ma anche di lottare per farla finita con ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per una società organizzata universalmente al fine di soddisfare le esigenze della vita sociale umana e non le esigenze del mercato momdiale, del profitto capitalistico, della appropriazione privata della produzione sociale! Le rivoluzioni del 1848, la Comune di Parigi del 1871, la rivoluzione del 1905 in Russia, dimostravano non solo la vitalità storica della classe proletaria, ma anche la via che la rivoluzione proletaria doveva seguire per giungere al suo obiettivo: conquistare il potere politico, difenderlo dai contrattacchi delle classi ex-dominanti e delle borghesie degli altri paesi, utilizzarlo per iniziare la trasformazione sociale ed economica nel paese in cui la rivoluzione ha vinto e sostenere la lotta rivoluzionaria del proletariato degli altri paesi. La rotta è stata tracciata fin da allora; il marxismo l’ha individuata, definita, trasformata nel programma rivoluzionario delle classi proletarie di tutto il mondo, al di là dei tempi che la storia delle lotte di classe decide di dare al suo completo svolgimento.

Se già nel periodo tra il 1848 e il 1871 erano presenti tutti i fattori storici di sviluppo rivoluzionario della società per il passaggio dal capitalismo al socialismo, anche se solo nel mondo capitalisticamente sviluppato che all’epoca era rappresentato dall’Europa occidentale, ma del quale si vedeva chiaramente la linea di sviluppo mondiale, alla vigilia della prima guerra mondiale quei fattori storici non solo si confermavano in Europa e in America, ma emergevano ormai potentemente in tutte le aree del mondo anche meno sviluppato, e soprattutto nella vasta area dell’Impero russo e in Asia. Ed è dall’area dell’Impero russo che scoccherà la scintilla della rivoluzione proletaria, non solo russa, ma internazionale.

 

*        *        *

   

Sebbene ogni rivoluzione politica e sociale non si sia mai svolta, e non si svolge mai, nell’arco di un giorno e una notte, ma in un periodo che, a seconda delle condizioni storiche presenti a livello nazionale e internazionale, può esser più o meno lungo, la consuetudine fissa una data per ricordarne il momento culminante. Sono passati, dall’Ottobre 1917, ben cent’anni, e siamo ancor oggi obbligati, per condizioni storiche ancora particolarmente sfavorevoli alla rivoluzione proletaria, a ricordare una rivoluzione passata invece di occuparci concretamente della rivoluzione prossima o futura. Sta di fatto che nemmeno noi sfuggiamo a questa consuetudine, perché «anche noi siamo influenzati dal modo tradizionale di trattare l’argomento, e come siamo vittime dell’abuso dei nomi dei personaggi illustri, così lo siamo di quello della mania delle date “matematiche”» (1).

La grande Rivoluzione proletaria, che in Russia abbattè il potere borghese, dopo aver contribuito in modo determinante all’abbattimento del potere zarista nel febbraio 1917, è ancor oggi chiamata Rivoluzione d’Ottobre perché il giorno 26 ottobre, secondo il calendario giuliano in vigore allora in Russia, ma corrispondente al 7 novembre, secondo il calendario gregoriano, è stato il giorno in cui l’insurrezione proletaria  prese il Palazzo d’Inverno a Pietrogrado, fino a febbraio residenza ufficiale degli Zar e poi sede del governo provvisorio di Kerensky. Con quell’assalto, il movimento rivoluzionario del proletariato russo, alla guida di un movimento rivoluzionario delle grandi masse contadine povere, decretò la fine del potere della giovane borghesia russa. Si era nel pieno della prima guerra imperialista mondiale (che vedeva il potere zarista belligerante in quanto membro della Triplice Intesa che comprendeva la Gran Bretagna, la Francia e la Russia zarista fin dal 1907, contro l’alleanza degli Imperi centrali, cioè l’Impero tedesco e l’Impero austro-ungarico), di fronte alla quale la borghesia russa, salita al potere con la rivoluzione del febbraio 1917, non fece che proseguire l’impegno bellico nella stessa alleanza sottoscritta dallo zar, dimostrando in questo modo di non aver alcuna intenzione di rompere con la politica militarista, annessionista e oppressiva dello zarismo, anzi, dimostrando di voler cavalcare con maggior vigore – nella prospettiva della vittoria delle potenze imperialiste della Triplice Intesa – una propria politica imperialista.

Ricordare la data del 26 ottobre, vecchio calendario, dunque la fisica presa del potere da parte della rivoluzione proletaria, ha un significato per noi particolare.

Va a sottolineare «una prima lezione storica: quella contenuta nelle lettere di Lenin che invocano di non attendere un giorno e nemmeno poche ore per rovesciare in Pietrogrado il governo Kerensky. In effetti questa grande verità, ossia che il partito deve saper scorgere il momento, determinato nella storia, tra i rarissimi in cui la prassi si capovolge e la volontà collettiva gettata nella bilancia la fa traboccare, non toglie che la lotta continui a lungo dopo quello svolto, eretto a simbolo: nel resto della Russia, nelle immense province, tra i reparti militari. E non toglie che, anche dopo la prima conquista ripercossa dalla capitale a tutto il paese ancora libero dalla tedesca invasione, la lotta continui nella liquidazione della guerra, nella eliminazione dell’ultimo partito alleato, il socialista rivoluzionario di sinistra, e della Assemblea Costituente, e nella resistenza di vari anni a ribellioni interne e a spedizioni di guerra civile scagliate nella nascente repubblica proletaria» (2).

La conquista del potere da parte del proletariato e l’instaurazione della sua dittatura di classe esercitata dal partito comunista rivoluzionario, davano l’avvio a compiti irrinunciabili della rivoluzione proletaria, come quelli di liquidare la partecipazione della Russia alla guerra imperialista e, quindi, rifiutare ogni politica imperialistica di rapina, di annessione e di oppressione nazionale; quelli inerenti all’esercizio del potere – in una rivoluzione che aveva ancora gravi compiti di sviluppo economico “capitalistico” data l’arretratezza economica della Russia dell’epoca – da parte dell’unico e solo partito comunista rivoluzionario poiché soltanto esso poteva garantire la coerenza di tutte le misure e di tutta la politica interna ed estera con il programma rivoluzionario internazionale; quelli di eliminare tutti gli intralci dell’amministrazione statale precedente, compresa l’Assemblea Costituente, e dei formalismi di una democrazia che dava spazio soprattutto alle classi possidenti; quelli di togliere alle classi possidenti, all’aristocrazia zarista come alla borghesia, qualsiasi possibilità di organizzarsi politicamente in difesa dei propri interessi di classe e di combatterle su qualsiasi terreno, compreso quello militare, in ogni loro tentativo di ribellarsi al nuovo potere proletario e quelli di combattere, attraverso l’armanento delle masse proletarie e contadine povere, organizzate nell’Armata Rossa, gli eserciti organizzati dagli ufficiali zaristi e le spedizioni militari scatenate dalle potenze imperialiste desiderose di soffocare sul nascere una giovane, ma per loro pericolosissima, repubblica proletaria.

E a proposito della repubblica democratica borghese e della sua Assemblea Costituente che doveva promulgare la nuova Costituzione e le leggi parlamentari, vale la pena di soffermarsi un momento. E’ noto che Lenin, fin dalle Tesi di aprile, sostiene che la repubblica debba essere non parlamentare ma poggiante sul sistema dei Soviet. Siamo ancora in presenza di compiti da rivoluzione democratico-borghese, di compiti da doppia rivoluzione visto che il proletariato è la classe protagonista del movimento rivoluzionario che scuote la Russia da cima a fondo. Ed è proprio questa caratteristica peculiare della rivoluzione in Russia che ci dimostra come la repubblica democratico-borghese, in un paese storicamente proiettato a passare dal feudalesimo, dallo zarismo, alla democrazia borghese, al capitalismo, può essere presa in carico e condotta al suo rapido superamento solo alla condizione che siano il proletariato e il suo partito di classe a condurre la rivoluzione già operante sul terreno della rivoluzione proletaria, applicando metodi, mezzi e obiettivi della lotta rivoluzionaria del proletariato. L’Assemblea Costituente, in mano alla borghesia, avrebbe emanato una Costituzione e delle leggi parlamentari di segno decisamente borghese. L’Assemblea Costituente andava sciolta, i deputati mandati a casa e il potere doveva passare praticamente, completamente, in mano al Comitato Esecutivo Centrale Panrusso dei Soviet. E’ Lenin che scrive il decreto di scioglimento dell’Assemblea Costituente, all’inizio di gennaio 1918, tre giorni dopo aver scritto la Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato, vero nocciolo della prima Costituzione sovietica, dichiarazione che l’Assemblea Costituente si era rifiutata di sottoscrivere. Questa decisione – come scritto nella “Struttura” citando il testo del decreto di scioglimento dell’Assemblea Costituente – «parte dal fatto che la Rivoluzione Russa fin dall’inizio ha creato i Soviet, che questi si sono sviluppati contro le illusioni di collaborazione coi partiti borghesi e le “forme ingannatrici del parlamentarismo democratico-borghese”, e “sono giunti praticamente alla conclusione che la liberazione delle classi oppresse senza la rottura con queste forme e con ogni specie di conciliazione è impossibile”. Questa rottura “si è avuta con la Rivoluzione di Ottobre, che ha rimesso tutto il potere nelle mani dei Soviet”». Quella rottura provocò la reazione di tutte le classi possidenti e «nella repressione di tale disperata resistenza ha pienamente dimostrato di essere l’inizio della rivoluzione socialista». E’ l’esperienza diretta che ha persuaso le classi lavoratrici che il vecchio parlamentarismo borghese aveva fatto il suo tempo (anche in Russia in cui era appena nato) e che non era il mezzo utile per procedere verso la realizzazione del socialismo, «che non le istituzioni nazionali, generali, ma soltanto quelle di classe, come i Soviet, sono in grado di vincere la resistenza delle classi possidenti e di porre le fondamenta della società socialista» (3). Con la “Struttura” sottolineiamo la grandezza di questo testo perché «non si basa su contingenze scontate e particolari del concreto sviluppo russo», ma su «argomenti di principio tolti non dalla storia decorsa, ma dalla storia attesa della rivoluzione proletaria e comunista mondiale, sulla incompatibilità tra la democrazia parlamentare e la realizzazione del socialismo, che seguirà al violento abbattimento degli ostacoli sociali, delle forme tradizionali di produzione, come nel Manifesto sta scritto» (4).

«La lezione contenuta in questi dati della storia – sottolinea il testo della “Struttura” – è tanto più grandiosa, in quanto il contenuto di queste imprese è totalmente di classe, e consacra il nome di socialista e comunista alla rivoluzione di Ottobre e allo Stato dei Soviet diretti dal partito bolscevico, in tutta la sua azione politica, in quanto ed in tanto questa ha un centro solo, non in un sistema di misure per governare la Russia e amministrarla, ma nella inesausta lotta per la Rivoluzione comunista d’Europa» (5).

Il grande valore storico della rivoluzione d’Ottobre è proprio questo: le misure che il potere bolscevico appena instaurato prende vanno tutte nella direzione della Rivoluzione comunista d’Europa, non nel senso che all’immediato corrispondono a misure economiche “socialiste”, ma nel senso che le decisioni politiche prese, seppur in un paese economicamente ancora molto arretrato, ma sviluppato in modo sufficiente per avere generato un proletariato moderno molto organizzato, con esperienze di lotta non solo di fabbrica ma anche rivoluzionaria (vedi il 1905) e politicamente internazionalista e orientato alla lotta per il socialismo – e in questo senso, un proletariato molto più avanzato degli altri proletariati d’Europa – sono tutte decisioni coerentemente rivoluzionarie, e all’epoca bastava dire: socialiste! La dimostrazione? Basta qualche esempio.

Cominciamo dallo Stato.

Sappiamo che la rivoluzione borghese, abbattuto il potere feudale che si configura nel potere di un monarca e di una dinastia, sostituisce la macchina statale dell’aristocrazia con la propria; ma la democrazia borghese, a differenza dell’assolutismo feudale che dichiara apertamente che la sua macchina statale è di classe e difende gli interessi della classe dominante, mette al servizio del proprio potere di classe uno Stato che pretende sia “di tutto il popolo”, dunque al di sopra delle classi, mentre questo non è mai stato vero. Il potere proletario – che è il potere della maggioranza del popolo – non è un cambio della guardia nello stesso Stato borghese, che in realtà è il difensore degli interessi capitalistici della minoritaria classe borghese, ma si instaura alla sola condizione di distruggere la macchina statale borghese e sostituirla con uno Stato-non Stato, per dirla con Engels, poichè l’obiettivo storico della rivoluzione proletaria non è di mantenere la società divisa in classi, ma di superare questa divisione trasformando da cima a fondo il modo di produzione da capitalista (che genera la divisione della società in classe dominante e classi subalterne) in un modo di produzione sociale, ossia che soddisfi  tutte le esigenze di vita e di sviluppo della specie umana e non del mercato. Perciò il nuovo potere proletario, dopo aver distrutto la macchina statale borghese, semplifica al massimo la burocrazia, elimina l’esercito professionale, elimina ogni privilegio di posizione ed economico per i funzionari pubblici (tutti i funzionari sono pagati con salario da operaio, sono eleggibili e revocabili in ogni momento ... grande lezione della Comune di Parigi), ecc. ecc.: in Russia, il potere ai Soviet, significava coinvolgere la maggioranza della popolazione nell’amministrazione pubblica, certo sotto la guida attenta e ferrea del potere politico del partito bolscevico che aveva il compito di difendere la rivoluzione vittoriosa in Russia da ogni attacco interno ed esterno, e mantenerla nella rotta rivoluzionaria internazionalista e internazionale. La repubblica non doveva quindi essere parlamentare, ma doveva poggiare sul sistema dei Soviet, escludendo il voto dei non lavoratori, poiché, come la Comune di Parigi, la nuova macchina statale doveva essere un organismo di lavoro, legislativo ed esecutivo allo stesso tempo.

E ora la questione della guerra imperialista. Tutta la propaganda bolscevica per la lotta contro il militarismo imperialista e contro la guerra di rapina conduceva all’unico risultato possibile: la guerra imperialista, se poteva essere fermata durante il suo svolgimento, lo poteva essere solo se fosse intervenuta la rivoluzione proletaria. Solo il potere proletario rivoluzionario avrebbe avuto la forza e l’interesse di liquidare la guerra, almeno per quanto riguardava il paese, il territorio, in cui la rivoluzione avesse vinto. Gli Stati imperialisti erano interessati a condurre la guerra fino alla fine, fino alla vittoria, o alla sconfitta; e nello stesso tempo erano interessati a soffocare qualsiasi movimento rivoluzionario e, ragione di più, se vittorioso, alleandosi più o meno strettamente contro di esso pur continuando a scontrarsi nella guerra imperialista. La Comune di Parigi aveva chiarito molto bene questo aspetto, che Marx mise in grande evidenza e che Lenin riprese punto per punto. E la vittoriosa rivoluzione d’Ottobre non fece che confermare l’interesse di tutte le potenze imperialistiche di fermare e soffocare ogni tentativo rivoluzionario prodotto dal proletariato del proprio paese, e tanto più la rivoluzione proletaria vittoriosa. Per tre lunghi anni, in una guerra civile prolungata, il potere proletario in Russia resistette a tutti gli attacchi interni ed esterni scatenati dalle forze di conservazione aristocratiche e borghesi, ma alla fine vinse. E vinse anche perché il potere proletario, rappresentato dal partito bolscevico di Lenin, dimostrò nei fatti che le parole pronunciate per anni nella propaganda non erano promesse illusorie, ma rispondevano esattamente ad un programma politico ben definito in precedenza e seguito con la massima disciplina politica e pratica che solo un partito di classe, ben organizzato, disciplinato, compatto, coerente con la teoria marxista su cui fonda i suoi principi, il suo programma, la sua tattica e la sua organizzazione, e capace di non farsi distogliere dalla rotta prefissata a causa di ogni variazione di situazione, può garantire alla classe operaia e alla sua lotta per l’emancipazione dal capitalismo.

La rivoluzione proletaria vince in Russia quando la guerra imperialistica mondiale è ancora in corso; il nuovo potere proletario intende liquidare la guerra, ossia cancellare la partecipazione della Russia alla guerra e perciò deve, non solo rigettare gli accordi di guerra che il governo Kerensky aveva sottoscritto con gli alleati della Triplice Intesa, ma concordare una pace separata con “il nemico”, con l’Impero tedesco.Il II congresso panrusso dei Soviet, che assunse il potere il 26 ottobre, nella stessa seduta adottò il decreto sulla pace, preparato da Lenin, primo atto del nuovo potere. Con questo decreto si propone a tutti i paesi in guerra l’immediato inizio di trattative “per una pace giusta e democratica” e si dice subito che cosa si intenda con questa formula: «Una pace immediata, alla quale aspira la schiacciante maggioranza degli operai e delle classi lavoratrici di tutti i paesi, sfinite, estenuate e martoriate dalla guerra, una pace senza annessioni (cioè senza conquista di terre straniere, senza incorporazione forzata di altri popoli) e senza indennità» (6). L’atteggiamento internazionalista dei bolscevichi lo si ricava anche da questo semplice testo: si parla a nome di tutti i proletari del mondo proponendo, appena conquistato il potere politico in Russia, l’inizio immediato di trattative per la pace. Il 7 novembre la proposta fu trasmessa a tutti i governi in guerra; ma la proposta di pace fu indirizzata contemporaneamente a tutti i popoli delle nazioni in guerra perché, nello stesso tempo, «noi lottiamo contro la mistificazione dei governi che, a parole, sono tutti per la pace, per la giustizia, ma che, di fatto, conducono guerre di conquista e di rapina» (7). Gli “alleati” francesi, inglesi ecc. minacciarono di attaccare la Russia se questa avesse osato concludere con i tedeschi una pace separata. La proposta di pace da parte del governo dei Soviet non era un ultimatum, ma poggiava sulla estrema stanchezza delle masse belligeranti per costringere i governi a trattare. «Il governo ritiene – continua il testo di Lenin – che continuare questa guerra per decidere come le nazioni potenti e ricche devono spartirsi le nazioni deboli da esse conquistate sia il più grande delitto contro l’umanità e proclama solennemente la sua decisione di firmare subito le condizioni di una pace che metta fine a questa guerra» (8), alle condizioni appena sopra ricordate e, naturalemente, nella «più completa chiarezza e con l’assoluta esclusione di ogni ambiguità e di ogni segretezza». Coerentemente con quanto pronunciato, il governo dei Soviet abolisce la diplomazia segreta, esprime la sua ferma intenzione di condurre le trattive in modo assolutamente pubblico, comincia subito la pubblicazione integrale dei trattati segreti confermati o conclusi dal governo dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti dal febbraio al 25 ottobre 1917, e dichiara incondizionatamente e immediatamente abrogato tutto il contenuto di quei trattati (proprio perché nella maggior parte dei casi si tratta di vantaggi e privilegi per i grandi proprietari fondiari e per i capitalisti russi, di mantenimento e accrescimento delle annessioni dei grandi russi). Ben diverso e opposto l’atteggiamento tenuto dall’URSS stalinizzata, prima, durante e dopo la seconda guerra imperialistica mondiale; quell’URSS che si voleva far passare per un paese del “socialismo realizzato”, e come esempio e guida mondiale per ogni movimento proletario!

Era ovvio, alle potenze imperialiste non bastò che la nuova Russia sovietica intendesse fare la pace a qualsiasi condizione; essa rappresentava comunque un nemico ben più potente di qualsiasi altro nemico borghese belligerante, perché la sua forza non risiedeva soltanto in un potere conquistato in un grande paese, ma nei legami di classe che il proletariato rivoluzionario russo aveva e poteva stringere ancor più con i proletariati dei paesi belligeranti, proletariati che già davano filo da torcere alle classi dominanti come in Germania e in Italia. La forza della rivoluzione proletaria in Russia poggiava certamente su di un proletariato esperto, generoso, disciplinato, pronto al sacrificio, maturo dal punto di vista dell’internazionalismo, ma il vero pericolo per la classe borghese dei paesi imperialisti era costituito dai proletariati dei propri paesi poiché, se avesse avuto successo il loro movimento rivoluzionario, era tutto il sistema capitalistico, e imperialistico, mondiale che veniva messo alle corde. Perciò, l’iniziativa dei bolscevichi di trattare la pace con tutti i paesi belligeranti, politicamente coerente e socialmente necessaria non solo all’immediato, ma anche in vista dello sviluppo del movimento rivoluzionario negli altri paesi europei, fu considerata dall’imperialismo tedesco e dagli imperialismi francese e inglese come una debolezza del potere proletario appena conquistato, debolezza di cui approfittare: tutti insieme contro il potere dei Soviet, sebbene si continuasse la guerra di rapina fra imperialismi antagonisti. Il trattato di Brest-Litovsk è noto a coloro che ci seguono da tempo. Là si decise la fine della guerra tra la Russia e la Germania, dopo trattative estenuanti e, soprattutto, dopo che la Germania, non rispettando alcun patto sottoscritto, riprese l’avanzata verso i paesi Baltici, la Polonia e l’Ucraina. I negoziati di pace  iniziarono il 2 dicembre, e videro alternarsi da parte bolscevica le delegazioni di Joffe, poi di Trotsky e infine di Sokolnikov.  I bolscevichi speravano nella reazione dei proletari di Germania e Austria e speravano anche che l’esercito tedesco, impegnato com’era sul fronte occidentale, non riprendesse l’avanzata ad est. Ma il movimento proletario tedesco e austriaco, da lungo tempo intossicato dall’opportunismo democratico borghese contro il quale gli spartachisti non ebbero la fermezza teorica, politica e organizzativa necessaria per debellare l’influenza debilitante del kautskismo e del centrismo, non fu pronto a cogliere l’occasione che la rivoluzione russa porgeva ad un proletariato che pur aveva dimostrato di mobilitarsi vigorosamente e con continuità contro la guerra, sia prima che durante essa. «Il 3 marzo 1918  finalmente la pace-capestro è firmata. Passavano alla Germania Estonia, Lettonia e Polonia, l’Ucraina ne diveniva Stato vassallo, una indennità doveva venire pagata dalla Russia. Ma tutto ciò sul quadrante della storia era destinato a durare solo pochi mesi, fino al crollo tedesco nel novembre e all’armistizio generale con gli occidentali vittoriosi. La crisi di Brest-Litovsk aveva in sostanza fiaccato internamente la Germania e non la Russia» (9).

Riguardo la pace di Brest-Litovsk, va ricordato che nel partito bolscevico si sviluppò una gravissima crisi. Una corrente, cosiddetta “di sinistra”, era contraria alla pace separata e all’accettazione di condizioni così gravose; questa corrente era per la “guerra rivoluzionaria”, ossia per condurre la guerra contro gli imperialisti considerando questa “guerra” non più “imperialista” perché il potere in Russia era stato conquistato dai lavoratori. E se questa “guerra rivoluzionaria” fosse stata persa, lo sarebbe stato “combattendo”. Fare la pace e accettare le condizioni disonorevoli poste dai nemici, per questa corrente significava “tradire” il movimento rivoluzionario internazionale; se si doveva soccombere, lo si facesse... combattendo.

Contro questa posizione si levò il gigante Lenin con la sua fiducia nella rivoluzione europea, a favore della quale, d’altra parte, deponevano all’epoca diversi fattori. Molti sono gli interventi di Lenin per battere le posizioni apparentemente radicali che volevano la “guerra rivoluzionaria” al posto della pace “disonorevole”, a costo di perdere il potere appena conquistato. Basta scorrere gli scritti contenuti nei volumi 26 e 27 delle Opere complete (10) per comprendere quanta ragione ebbe Lenin di opporsi, talvolta anche da solo, contro molti compagni di partito che stavano sbagliando in modo molto grave. La bussola seguita da Lenin, da sempre e non solo in questa occasione, è stata costantemente la rivoluzione socialista internazionale che in Russia era iniziata, ma che in Russia non si fermava e non doveva fermarsi. Dopo aver conquistato il potere proletario in Russia, data la situazione internazionale oggettivamente rivoluzionaria provocata dalla stessa guerra imperialistica mondiale e dal livello raggiunto dalla lotta di classe dei proletariati d’Europa, e dopo aver liquidato la guerra – traguardo fondamentale, forse il più vitale, di una lunghissima lotta, che durava dal 1914 e in un certo senso dal 1900 – «che deve fare il partito rivoluzionario appena giunto al potere? Duramente e lungamente combattere, per non perderlo. Lotta che, per ambo le parti, non può lasciar quartiere ai battuti» (11).

Brest fu una tappa del cammino che doveva condurre dalla guerra imperialista alla guerra civile in ogni paese, come dichiarato nel 1914, e anche prima, dal marxismo rivoluzionario. Alla tappa di Brest la Rivoluzione Europea era in marcia gloriosa. Sulla linea politica rivoluzionaria, il potere russo di Ottobre ne teneva in pugno da solo, e con tutte le carte in regola, la rossa bandiera. Da allora, in attesa della rivoluzione proletaria in Europa, altri passi giganteschi caratterizzarono la politica rivoluzionaria dei bolscevichi, condivisa e sostenuta pienamente dalla corrente della Sinistra comunista d’Italia, come avremo modo di dimostrare nella prossima puntata.                                        

 


 

(1) Cfr. Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, ed. Il programma comunista, 1976, p.224.

(2) Ibidem, p. 225, e la (3) Ibidem, p. 231, la  (4) Ibidem, p. 232, e la (5) Ibidem, p. 225.

(6) Cfr. Lenin, Relazione sulla pace, in Opere, vol. 26, Editori Riuniti, Roma 1966, p. 231.

(7) Ididem, p. 234, e la (8) Ibidem, p. 232.

(9) Cfr. Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, cit., p. 236.

(10) Ad esempio, eccone alcuni: nel vol. 26 delle Opere, Schema di programma delle trattative di pace - Per il pane e per la pace - Per la storia di una pace disgraziata. Nel vol. 27 delle Opere, Sulla frase rivoluzionaria - La patria socialista è in pericolo! - Rapporto alla seduta del Comitato Esecutivo Centrale di tutta la Russia, 23 febbraio 1918 - La posizione del CC del POSDR(b) sulla questione della pace separata e annessionistica - Una lezione dura ma necessaria - Strano e mostruoso - Una lezione seria e una seria responsabilità - VII Congresso del Partito Comunista (bolscevico) della Russia: rapporto sulla guerra e la pace - Il compito principale dei nostri giorni - IV Congresso straordinario dei Soviet:Rapporto sulla ratifica del trattato di pace.

(11) Cfr. Struttura..., cit., p. 241.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice