Nuove disponibilità nel sito di partito

(«il comunista»; N° 154; Luglio 2018)

 Ritorne indice

 

 

Nel sito di partito, www.pcint.org, tra le  altre pubblicazioni del partito degli anni che precedettero la crisi del 1982-84, abbiamo reso disponibili i pdf dei 4 numeri dei "Quaderni" che uscirono tra il 1976 e il 1980. Qui di seguito ne diamo le premesse e i sommari.

 

Quaderni del Programma Comunista

 

Questi fascicoli avevano lo scopo di contenere testi che per ragioni diverse, tra cui quella dello spazio a disposizione, non erano stati pubblicati nel quindicinale “il programma comunista” o erano stati pubblicati in numeri del giornale molto distinti gli uni dagli altri.

Il partito sentiva il bisogno di dotare le sezioni di una serie di strumenti di propaganda e di approfondimento su alcuni temi che, per essere svolti compiutamente e per essere fruiti in modo efficace, dovevano apparire in un unico fascicolo. La forma dei “Quaderni” permetteva sia di raggruppare in un unico fascicolo articoli diversi ma inerenti allo stesso tema, sia di rendere disponibili in lingua italiana articoli apparsi in lingua francese, ma che non trovavano posto nel quindicinale “il programma comunista”. Questi fascicoli, nello stesso tempo, potevano essere consegnati alle librerie per una diffusione più larga di quella che potevano assicurare in forma diretta i compagni delle varie sezioni. Ne uscirono 4 numeri, dall’agosto 1976 all’aprile 1980.

 

N. 1, agosto 1976 (32 pp.) 

Il mito della “pianificazione socialista” in Russia (in margine al X piano quinquennale)

 

Nel gennaio del 1976 il partito pubblicò il volume intitolato Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, che raccoglieva tutti i resoconti delle riunioni – dal 1955 al 1957 – in cui il tema, in tutte le sue sfaccettature, era stato trattato. Gli articoli contenuti in questo quaderno si occupano in effetti di un unico tema, trattato anche nella “Struttura”, appunto il mito della pianificazione in Russia, con dati aggiornati, con la quale “pianificazione” il potere di Mosca si illudeva e illudeva le masse proletarie di poter sbarrare il passo alla crisi capitalistica mondiale che stava aggredendo anche l’economia russa.

L’edizione della “Struttura”  nel 1976 è coincisa con il XXV congresso moscovita e i “ripensamenti” di Breznev e Kossygin sul corso di un’economia le cui vicissitudini sfuggivano sempre più al controllo dei suoi presunti piloti, a smagliante conferma di quanto avevano previsto i lunghi e pazienti studi compiuti dal nostro Partito nell’arco ormai del ventennio precedente.

Agli sviluppi dell’economia capitalistica russa di quegli anni sono stati dedicati, in particolare, numerosi articoli pubblicati nello stesso anno ne “il programma comunista” (nn. 5, 6, 7, 9, 10 del 1976) insieme allo studio, ripreso in questo fascicolo, apparso nel nr. 69-70 nella rivista teorica internazionale “programme communiste”. Quest’ultimo riprende con grande efficacia il tema sia dei tassi d’incremento della produzione industriale, sia della pianificazione economica in Russia, per dimostrare che questi due cavalli di battaglia dello stalinismo e del post-stalinismo, lungi dal provare la “edificazione del socialismo in URSS”, seguivano esattamente le leggi proprie dell’economia capitalistica, e confermavano che questa e solo questa è stata, in un lungo e tormentoso processo, “costruita”.

La questione, per noi, non è né astratta né accademica: sulla mistificazione del “socialismo” realizzato “in un paese solo” poggiava quella forma virulenta di opportunismo revisionista che trovava la sua incarnazione nei partiti “comunisti” ufficiali di allora, e dei loro epigoni di oggi. Essa è, d’altra parte, vitale per la rivendicazione delle basi stesse della visione del comunismo e della via unica e mondiale della sua realizzazione. A questi due compiti inseparabili – polemico e teorico/programmatico – offre un lucido contributo il saggio contenuto in questo fascicolo.

 

Sommario:

• Premessa

• Il mito della “pianificazione socialista” in Russia

• Quale socialismo?

• Il piano socialista

• Quale pianificazione?

• Frazionamento della produzione e anarchia capitalista

• La “ristrutturazione” dell’industria russa

• Note

 

N. 2, giugno 1977 (56 pp.)

Il “rilancio dei consumi sociali”, ovvero l’elisir di vita dei dottori dell’opportunismo – Armamenti, un settore che non è mai in crisi – La Russia si apre alla crisi mondiale

 

Questo quaderno contiene tre articoli: i primi due recano un ulteriore contributo alla nostra analisi della crisi e delle sue prospettive di sviluppo, confermando la tesi marxista che a tutto pensa e provvede l’economia capitalistica meno che alla soddisfazione dei bisogni umani – se c’è, in piena crisi mondiale, un mercato “che tira” è, caso mai, quello dei mezzi di distruzione, e intorno ad esso infuria una spietata concorrenza -  e che è teoricamente illusorio e praticamente disfattista, da parte delle organizzazioni operaie, chiederle un ampliamento dei “consumi sociali”.

Il terzo articolo si integra nella serie di studi che, sulla traccia fondamentale della Struttura economica e sociale della Russia d’oggi, il nostro quindicinale “il programma comunista” dedicava da più di vent’anni agli sviluppi più recenti dell’economia sovietica, e mostra come quest’ultima andava inserendosi sempre più nel mercato mondiale, subendone a ritmo accelerato i contraccolpi.

Tutti e tre gli articoli hanno un interesse sia teorico che di “attualità”, all’epoca in polemica diretta con tutto ciò che l’opportunismo di marca socialdemocratica o staliniana predicava ai proletari gementi sotto il peso delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico e del suo sforzo di superarle nel solo modo che gli era e gli sia possibile: uno sfruttamento ed un’oppressione accentuati della classe operaia.

 

Sommario:

Il “rilancio dei consumi sociali”, ovvero l’elisir di vita dei dottori dell’opportunismo

• Una ricetta vecchia quanto il riformismo piccoloborghese

• Lo sviluppo del capitale non aumenta ma  diminuisce la parte di “consumo popolare”

• La crisi non è “nazionale” ma internazionale

• La ripresa economica capitalistica ha per condizione la riduzione dei “consumi popolari”

Armamenti, un settore che non è mai in crisi

• Tendenze generali

• Le pressioni dell’industria

• Lo scontro “Europa”-USA

• Pace capitalistica, premessa di guerra

• Stimolo alla produzione di Stato

• Alterne vicende della superbomba

• E’ in moto un ingranaggio

La Russia si apre alla crisi mondiale

• Correnti di traffico

• Il gigante si indebita

• “Imperialismo debole”

 

N. 3, giugno 1978 (60 pp.)

Il proletariato e la guerra

 

La crisi capitalistica mondiale ravvivava ed inaspriva inevitabilmente i contrasti fra gli Stati, riaccendendo conflitti contingentemente locali, ma nello stesso tempo preparava (e prepara) le condizioni della svolta storica in cui si ripresenterà il dilemma: Guerra imperialistica mondiale o Rivoluzione mondiale proletaria.

Il quaderno n. 3 è dedicato interamente a questo fondamentale tema, ripubblicando sei articoli della serie “Sul filo del tempo” pubblicati nel 1950 nell’allora giornale di partito “battaglia comunista”, nei numeri 9, 10, 11, 12, 13 e 14. In essi è svolto il giudizio che il marxismo dà delle guerre della borghesia e del suo atteggiamento di fronte alle innumerevoli “giustificazioni” di esse.

L’importanza di questi articoli deriva dal fatto che, invece di lasciarsi abbacinare dall’oggi mutevole, sempre carico di allettamenti ingannatori, essi risalgono al filo rosso da cui il movimento marxista rivoluzionario si è fatto costantemente guidare in tutta la sua storia, qualunque voce si levasse a rinnegarlo; dal fatto, dunque, che si ricollegano a principi non mutevoli, i soli che, come tali, permettano di orientarsi negli alti e bassi, nelle avanzate e ritirate, nel va e vieni, della contingenza.

Si era appena usciti dalla seconda carneficina mondiale: per gettare i proletari nella fornace dello spaventoso massacro, borghesia e opportunismo avevano invocato gli stessi argomenti (la difesa della nazione, della civiltà, della pace ecc.) che erano serviti allo stesso scopo nella prima carneficina mondiale, con la differenza che a rendere più seducente la canzone si era agitato il fantasma di un altro bene “da salvare”, il “socialismo” vigente nell’URSS, alleata ad America, Inghilterra e Francia.

Gli stessi argomenti (la patria, la democrazia ricostruita, il socialismo in marcia: tutti beni da difendere) avevano giustificato – a carneficina finita – la “ricostruzione nazionale” ad opera di governi della più larga coalizione possibile, i “rappresentanti dei lavoratori” fraternamente a braccetto coi rappresentanti senza virgolette dei borghesi.

La “unità nazionale” si era poi spezzata, solo perché i Grandi della terra bisticciavano sul modo di dividersi le spoglie dei vinti, senza che per questo i “partiti operai” cessassero di predicare il verbo della democrazia, della collaborazione fra tutti i cittadini per la salvezza della nazione, del disarmo e della pace, in onore della quale il principe degli intellettuali del tempo, Picasso, ideava la celebre Colomba. Anzi, proprio perché l’alleanza di guerra si era rotta, e si ricominciava a parlare della possibilità che, per la cattiveria dell’uno o dell’altro dei due “liberatori”, l’incendio della guerra ridivampasse, gli slogan di rito, quelli dell’indipendenza nazionale, dei sacri confini, della libertà o del socialismo in pericolo, della civiltà e della pace sospese ad un filo, risalivano ancora più striduli al cielo.

Nello sforzo di ricostruire nella sua interezza l’edificio della dottrina rivoluzionaria marxista contro l’universale ubriacatura democratica e patriottica, era quindi essenziale riproporre la posizione assunta senza la minima esitazione da Marx, Engels, Lenin e dalla Sinistra marxista in genere, di fronte alla manifestazione suprema del “progresso” borghese – appunto la guerra nella sede storica della sua compiuta affermazione, l’Europa giunta alla fase del capitalismo non solo maturo, ma fradicio – demolendo una per una le controtesi degli avversari (1).

Questi ultimi, da allora, hanno cambiato nome e faccia, ma non vizio. Al contrario, spogliandosi dell’ultimo velo di pudore, hanno ormai gettato da parte il marxismo come nobile ma inefficiente ferrovecchio, quando non l’hanno addirittura proclamato defunto, o in crisi mortale; e guazzano nell’unico stagno ad essi congeniale, quello della democrazia, della nazione, della patria, dei valori morali e culturali della vecchia Europa borghese, non conoscendo altra bussola che quella dell’unità nazionale, dell’indipendenza nazionale, dell’economia nazionale, della democrazia una e trina. Non occorreva essere profeti, quindi, per immaginare il giorno in cui, addensandosi le minacce di guerra, faranno la loro brava “scelta di campo” sulla scia dei loro ignobili predecessori del 1914 e del 1939 – tanto più che nella loro democrazia si è fuso indissolubilmente il “socialismo”, e nulla più permette di distinguere il secondo dalla prima. Quel giorno, i proletari di tutti i paesi – come già in questi ultimi decenni in Africa o in Medio ed Estremo Oriente – si sentiranno perciò ripetere le fiabe con le quali i loro bisnonni, i loro nonni e i loro padri, in meno di un quarto di secolo, sono stati spediti a sgozzarsi l’un l’altro.

A questa “contingenza” suprema il partito rivoluzionario sa che ci si deve preparare in anticipo, ben sapendo che all’ “ora X” resisterà ad un esercito immenso di sirene democratico-patriottiche, nonché “socialiste”, soltanto un nucleo compatto di proletari che abbiano assimilato in un lungo percorso i controveleni del marxismo e si siano organizzati intorno ad essi e al partito che li ha difesi e li difende per opporre al fronte della guerra il fronte della rivoluzione. Senza quest’opera preventiva, vano sarebbe attendersi “la trasformazione della guerra imperialistica in guerra civile” di Lenin; sarebbe retorica vuota parlare di rivoluzione e dittatura proletarie; sarebbe sogno gratuito pensare al comunismo.

A quest’opera dà un contributo il presente fascicolo di richiamo alle fondamenta teoriche del disfattismo rivoluzionario marxista, in cui al testo del 1950 sono state aggiunte solo alcune note e ne sono state riviste sugli originali o nelle traduzioni di più facile accesso le molte citazioni. 

 

Sommario:

• Un problema di scottante attualità

• Socialismo e nazione (Sul filo del tempo, “b.c.” n. 9/1950)

• Guerra e rivoluzione (Sul filo del tempo, “b.c. n. 10/1950)

• Guerra imperialista e guerra rivoluzionaria (Sul filo del tempo, “b.c.” n.11/1950)

• La guerra rivoluzionaria proletaria (Sul filo del tempo, “b.c.” n. 12/1950)

• Romanzo della guerra santa (Sul filo del tempo, “b.c. n. 13/1950)

• Stato proletario e guerra (Sul filo del tempo, “b.c. n. 14/1950)

 

(1) E’ infatti questa l’area qui considerata, mentre alla questione delle guerre e dei moti di liberazione nazionale e coloniale (e del loro carattere progressivo), soprattutto in Asia e in Africa, sono dedicati numerosi altri testi di partito come i Fattori di razza e nazione nella teoria marxista, disponibili in volume (Iskra Edizioni, Milano 1977).

 

N. 4, aprile 1980 (132 pp.)

La crisi del 1926 nel partito e nell’Internazionale

 

Prologo

Dal punto di vantaggio di quasi cinquant’anni, e armati della conoscenza dei fatti così come si sono svolti a lunga scadenza, è facile decretare che alla fine del 1926 lo stalinismo aveva ormai partita vinta. Ancor più facile è sentenziare, con l’arroganza accademica dei troppi “professori in marxismo” che l’Occidente europeo sforna (e già allora sfornava) a getto continuo, che si sarebbe dovuto far questo – prima di tutto, creare un nuovo partito e una nuova Internazionale (1) – e omettere quell’altro.

“La saggezza del poi – scriveva Trotsky un anno prima – è la saggezza meno valida” (2).Ai militanti comunisti di allora, a quelli stessi che, come la Sinistra “italiana”, andavano da tempo denunciando “il pericolo opportunista nell’Internazionale” (3), la situazione nel partito russo e nel Comintern appariva certo drammatica, ma non ancora disperata; nel pieno di una battaglia che aveva visto dopo tanti anni risorgere le grandi questioni di principio, e tutta la parte sana della Vecchia Guardia riannodare il filo spezzato della tradizione bolscevica, non solo non era lecito dare per scontato che l’avversario avesse vinto, ma la massima fermezza nella difesa dei principi doveva allearsi al massimo senso di responsabilità di fronte a decisioni destinate ad investire le sorti dell’intero movimento comunista su scala russa e mondiale, mettendone alla prova le capacità di recupero o, al limite, di battaglia aperta.

In realtà, il dibattito sulla politica statale del PCR e, in un secondo tempo, sulla teoria e la prassi del “socialismo in un solo paese”, con tutto ciò che esse comportavano sul piano interno e internazionale, era sembrato spegnersi a Mosca, dopo la fiammata del 1923 e dei primi mesi del 1924, solo per riaccendersi nella seconda metà del 1925 e, con stupore dello stesso Trotsky, esplodere nel dicembre di quell’anno al XIV congresso del partito, quando “la forza delle cose” aveva parlato con vigoria inattesa per bocca di coloro stessi che – per quel che valgono gli individui e i nomi di persona – “portavano la responsabilità” di gran parte degli smarrimenti passati.

Esso si era prolungato nel 1926 alle sessioni plenarie del CC e della CCC russi dell’aprile e del luglio, quando l’opposizione finalmente unita aveva apposto le firme di Zinoviev, Trotsky, Kamenev, Pjatakov, Krupskaia ecc. in calce alla “Piattaforma dei 13”, e invano la direzione stalinizzata aveva estorto agli oppositori la dichiarazione del 16 ottobre, con cui essi si impegnavano a “difendere le proprie concezioni unicamente nelle forme stabilite dagli statuti e dalle decisioni del Congresso e del Comitato Centrale” (ma aggiungevano: “essendo noi convinti che quanto vi è di giusto in tali concezioni verrà adottato dal Partito nel corso del suo ulteriore lavoro”) (4), giacché la XV conferenza del PCB (26 ottobre – 3 novembre) aveva visto ridivampare con estrema violenza lo scontro teorico e politico come preludio al nuovo, anche se ormai vano, incendio del 1927.

Parallelamente, la “questione russa” che al VI Esecutivo allargato del 17 febbraio – 13 marzo 1926 la Sinistra “italiana”, sola e inascoltata, aveva chiesto nelle parole di Amadeo Bordiga di porre all’ordine del giorno di un congresso mondiale appositamente convocato dopo aver messo le sezioni nazionali nella condizione di poterla esaminare in tutti i suoi aspetti (“poiché la rivoluzione russa è la prima grande tappa della rivoluzione mondiale, essa è anche la nostra rivoluzione, i suoi problemi sono i nostri problemi, e ogni membro dell’Internazionale rivoluzionaria ha non soltanto il diritto ma il dovere di collaborare alla loro soluzione”) (5), era rimbalzata in tutte le sezioni nazionali, costringendo l’Esecutivo ad inserirla nell’agenda del VII Allargato del 22 novembre – 13 dicembre, dove una platea di stolidi e ringhiosi caporali scelti ad hoc e pronti a seguire pecorescamente la bacchetta del direttore d’orchestra impedirà bensì a Trotsky di concludere il suo discorso in difesa dell’internazionalismo proletario (6), ma non oserà fare altrettanto con i vigorosi interventi di Zinoviev e Kamenev. E, come la discussione interna nel partito russo aveva rispecchiato – di là dagli uomini e dai loro schieramenti occasionali – la rude realtà dei contrasti di classe, erompenti dietro la facciata della “pace civile” e del “blocco operaio-contadino” idealizzati dalla maggioranza, così la discussione internazionale era imposta e resa incandescente dall’urgenza di eventi grandiosi nella guerra mondiale fra le classi – dallo sciopero inglese fino alla rivoluzione in Cina – e, chi poteva dire se, come a Mosca così altrove, il senso della gigantesca posta in gioco non avrebbe determinato in seno alle forze ancora sane del comunismo, e del proletariato riunito intorno alle sue bandiere, un salutare risveglio? Chi poteva dire se, malgrado tutto, l’argine faticosamente costruito dallo stalinismo contro la rinascita degli spettri dell’Ottobre rosso non sarebbe saltato in aria, e la “pressione disciplinare”, fra il poliziesco e il terroristico, esercitata su ogni voce non pur di dissenso ma di allarme, non sarebbe stata costretta ad allentarsi?

Il pericolo era duplice: era che, nel ricordo di contrasti passati, si negasse solidarietà piena ai combattenti dell’ultima battaglia in difesa dei principi stessi del “leninismo” in Russia; e che, dalle miserie del presente, si traesse pretesto – come accadde ai più nell’area delle opposizioni “occidentali” di sinistra – per rinnegare questi principi in nome della democrazia o, quanto meno, dell’anticentralismo, e per sottoporre a revisione lo stesso concetto duramente acquisito della dittatura proletaria e del carattere socialista dell’Ottobre.

Capire il fondo delle questioni, ardue e terribilmente aggrovigliate, che si posero allora alle residue pattuglie rivoluzionarie marxiste significa capire perché quello che sembra dovesse riuscire così pacifico ai “professori in marxismo” non potè avvenire; perché, in particolare, la solidarietà della nostra corrente con l’opposizione russa sui problemi della politica statale del partito – e fu solidarietà aperta e totale, proprio da parte di chi, al metro angustamente meschino delle opposizioni tedesche e francesi, avrebbe avuto mille ragioni per distanziarsene – non potè mai tradursi, anche a prescindere da circostanze avverse (7), in un’azione comune sulla base di una “piattaforma” comune: perché, d’altra parte, come aveva già avvertito un anno prima A. Bordiga, “un orientamento parallelo di estrema sinistra nei vari partiti” risultò improponibile (“lo riterrei cosa utile e forse nell’avvenire necessaria, ma la sua realizzazione non dipende affatto dalla decisione mia o di chicchessia di intavolar rapporti epistolari, bensì da cause ben più profonde di cui lo scambio eventuale di lettere non potrebbe essere che uno dei tanti effetti esteriori”) (8); perché, infine, la nostra via corse da allora in antitesi con l’Internazionale (se così si può continuare a chiamarla dal 1927-28) senza tuttavia convergere né con la via del cosiddetto “comunismo occidentale”, né con quella di Trotsky e, a maggior ragione, dei suoi epigoni, devergendone anzi sempre più.

Non è qui per lusso intellettuale, culturale o storiografico che pubblichiamo la lettera inviata da Amadeo Bordiga, non certo a nome personale, a K. Korsch il 28 ottobre 1926 in risposta alla sollecitazione – non sappiamo se per lettera o mediante invio dei numeri usciti dalla fine di marzo del suo bollettino “Kommunistische Politik” – a prendere l’iniziativa di gettare le basi di un’opposizione internazionale di sinistra. In essa sono già contenute in nuce le ragioni non solo di future divergenze incolmabili, ma di un percorso nel quale noi riconoscemmo fin d’allora le premesse di una difficile e tormentata, certo, ma sicura ripresa del movimento comunista, e che non esitammo a seguire, contro tutto e contro tutti, fino in fondo.

E, siccome l’argomento non è pettegolo né stupidamente parrocchiale, ne prendiamo lo spunto per un tentativo di ricostruzione nei termini il più possibile corretti e non frettolosi di un dibattito che non fu soltanto russo, e che non poteva esaurirsi nell’ambito della pura ricerca del modo migliore per uscire dalla stretta angosciosa della “situazione economica e sociale nell’URSS”, o della controversia sui tempi, i ritmi e la portata – come si disse e si dice – della “industrializzazione”.

 

Sommario:

• Prologo

• Lettera di Amadeo Bordiga a Karl

• La Sinistra comunista italiana di fronte

• “Chi vincerà?”

• La chiave di volta del problema

• Una volta di più, la prua verso Lenin

• La prima crisi interna del Partito russo: 1923

• Le condizioni di un vero “corso nuovo”

• Preludio a “Corso Nuovo”

• Le questioni di politica economica

• Dalla crisi del 1923-1924 a quella del 1925-1926

• L’opposizione della fine del 1925

• La polemica Preobragensky-Bukharin

• Preobragensky e il destino dei suoi schemi astratti

• Trotsky e le avvisaglie della nuova crisi

• Bukharin e la “via del mercato”

• Conclusione

 


 

(1) Per poi risalire di qui, come nelle abitudini delle false sinistre centro-europee, ad una revisione dello stesso marxismo restaurato nella sua integrità da Lenin e ad un rinnegamento della vittoria di Ottobre e della fondamentale conquista della fondazione della III Internazionale: il percorso che hanno poi seguito, più o meno, tutti i “critici dell’ultima ora” improvvisatisi “profeti”.

(2) Verso il capitalismo o verso il socialismo?, 1925: tr. fr. in Boukharine, Kamenev, Preobrajensky, Trotsky, La question paysanne en URSS (1924-1929), Parigi, 1973, p. 92.

(3) Il pericolo opportunista e l’Internazionale, è il titolo di un articolo di A. Bordiga apparso in “Stato Operaio” del luglio 1925, e riprodotto nel n. 11/1958 de “il programma comunista”.

(4) Déclaration de l’Opposition, in La Correspondance internationale, ann. VI, nr. 114, 23 ottobre 1926, p. 1279.

(5) Protokoll der Erweiterten Exekutive der Kommunistischen Internationale, Moskau 17 Februar bis 15 Marz 1926, Amburgo, 1926, p. 611. La mozione presentata da Bordiga in quell’occasione e al fine sopra indicato si legge a p. 651; ma una richiesta analoga era stata formulata dalla Sinistra al III congresso del PCd’I a Lione, nel gennaio (cfr. Progetto di tesi per il III congresso del PC presentato dalla Sinistra, Lione 1926, riprodotto in In difesa della continuità del programma comunista, ediz. Il programma comunista, Milano, 1970, parte II, par. 11, “Questioni russe”, p. 112).

(6) Nei dibattiti di quell’anno in Russia, le interruzioni del “pubblico” sono spesso più illuminanti dei discorsi degli stessi Stalin o Bukharin. Si pensi alla bordata di “ilarità” con cui, alla XIV conferenza, venne accolta la frase di Trotsky sulla necessità di costruire il socialismo in Russia “la mano nella mano con il proletariato mondiale”, e che gli strappò l’accorato commento: “Credo non sia il caso di ridere quando, in una conferenza di partito, si parla di edificare il socialismo la mano nella mano con il proletariato mondiale”. (Interruzione: “Niente demagogia, prima di tutto! Non è con questo che ci beccherai!”. Cfr. Il resoconto in “Cahiers du bolchévisme”, numero speciale del 20 dicembre 1926, p. 2265).

(7) V’è una coincidenza non certo deliberata, ma obiettiva, tra le fasi più delicate dei rapporti Sinistra “italiana”/Mosca e la repressione fascista: nel febbraio 1923, l’arresto e l’invio a processo della maggioranza dell’esecutivo del PCd’I facilitarono la sostituzione della direzione “bordighiana” con una di centro, d’altronde anch’essa a lungo restia a cedere di fronte ai “nuovi corsi” e alle equivoche manovre tattiche del periodo 1923-1925; nel novembre 1926, le leggi eccezionali del regime sbarazzarono il terreno dalle ultime forze di opposizione fuori di Russia che si collocassero su un terreno inequivocabilmente marxista (Bordiga fu tra i primi ad essere spedito al confino, a breve distanza dalla lettera qui pubblicata).

(8) Per finirla con le rettifiche, ne “l’Unità” del 22.VII.1925. Già al V Congresso, d’altronde, la Sinistra aveva dichiarato che la formazione di una frazione internazionale di sinistra si sarebbe imposta soltanto se l’Internazionale “si fosse definitivamente orientata verso destra” (Fünfter Kongress der K.I., Protokoll, Amburgo 1924, p. 616 e altrove).

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice