Iran: la collera operaia sfida la dittatura sanguinaria dei mollahs

(«il comunista»; N° 155; Settembre 2018)

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L’Iran è nelle prime pagine dei media borghesi a causa delle sanzioni imposte dal governo degli Stati Uniti e anche per denunciare le sue interferenze - reali o presunte - negli affari interni di altri Stati del Medio Oriente (dal sostegno agli Hezbollah libanesi e al regime di Bachar al-Assad in Siria alla ribellione degli Houthi nello Yemen). Allo stesso tempo, questi media mantengono l’omertà sui disordini sociali che esistono nel paese da molti mesi (e ovviamente sulla repressione che colpisce i lavoratori).

 

 

Scioperi e manifestazioni operaie

 

Dal dicembre 2017, l’Iran è stato colpito da numerosi scioperi e proteste che sono al di fuori della cornice della rivalità tra riformisti islamici e conservatori. A differenza del movimento del 2009, che aveva un marcato carattere piccoloborghese, le attuali agitazioni sono essenzialmente di natura proletaria.

Da fine dicembre a inizio gennaio, Teheran e la sua periferia industriale sono stati scossi da manifestazioni di massa, così come le regioni “periferiche” meno sviluppate rispetto al resto del paese. Nei quartieri e nelle regioni povere, questa volta sono i giovani non studenti a mobilitarsi. Le rivendicazioni riguardavano le condizioni di vita, come dimostrato dallo slogan “Abbasso l’aumento dei prezzi!” Gli slogan sono diventati rapidamente politici: “Pane, lavoro, libertà”, “Abbasso il dittatore Khamenei” o “Conservatori e riformatori, la vostra ora è arrivata”. I manifestanti hanno dovuto affrontare una repressione molto violenta, gli arresti si contano a centinaia e i morti a decine.

Per più di sei mesi, l’agitazione è diminuita di intensità ma rimane quasi permanente: raggruppamenti di pensionati contro il mancato pagamento delle pensioni, dei lavoratori licenziati, dei camionisti, degli scioperanti licenziati, dei dipendenti pubblici, dei lavoratori delle raffinerie o dell’agroalimentare... Ma i principali settori industriali – automobilistico ed energetico – in questo periodo sono rimasti calmi.

 

Un paese minato dalla crisi economica...

 

I disordini sono causati dalla crisi economica che colpisce il capitalismo iraniano. La borghesia è sempre meno in grado di finanziare gli ammortizzatori sociali e le masse lavoratrici subiscono il peso maggiore degli effetti della crisi.

Le condizioni di vita dei proletari e delle masse povere si stanno deteriorando rapidamente. I salari ristagnano, il 40% dei lavoratori guadagna meno del salario minimo, i licenziamenti si moltiplicano, i salari non vengono pagati dai datori di lavoro, i sussidi per i più poveri sono diminuiti, il numero degli abitanti delle baraccopoli e dei senzatetto è in aumento... La disoccupazione è in forte aumento (20% ufficialmente per le donne e il 10% per gli uomini). Un quarto dei giovani è disoccupato secondo le cifre ufficiali, il che li costringe a vivere con i genitori. Allo stesso tempo, il costo della vita è in aumento, un fenomeno rafforzato dai tagli alle sovvenzioni per i beni di prima necessità e dall’aumento del 50% dei prezzi della benzina. Anche le classi medie stanno vivendo un profondo movimento di proletarizzazione e una parte di essa è stata rovinata dalle tasse sui loro risparmi.

 

...e da uno sviluppo capitalista predatore

 

I proletari e i poveri sono anche fortemente toccati da ciò che alcuni chiamano “crisi ecologica” e da catastrofi che non sono se non espressioni della crisi economica.

Nel novembre 2017, un terremoto ha ucciso diverse centinaia di persone e ha gettato in strada decine di migliaia di iraniani. Se il terremoto era inevitabile, le sue conseguenze mortali non lo erano: sono il risultato dell’anarchia capitalista che costruisce rapidamente e al minor costo per gli alloggi dei proletari che non resistono alle scosse sismiche.

A ciò si aggiungono le catastrofi ambientali. Il territorio iraniano è colpito da una grave siccità che rovina i contadini e assilla le popolazioni urbane. Questa è la conseguenza dei massicci prelievi nelle falde acquifere per rifornire le industrie, ma anche di una scarsa manutenzione della rete di distribuzione, che porta a enormi sprechi. La siccità è anche responsabile delle grandi tempeste di sabbia.

 

Un regime investito dalla febbre guerresca

 

La borghesia iraniana intende fare del paese una potenza regionale.

Ad esempio, gode di una grande influenza nella vita politica libanese attraverso il partito sciita Hezbollah ed è uno dei principali sostenitori, insieme alla Russia, del regime di Bashar al-Assad in Siria. Sulla sua strada verso il dominio regionale, trova la monarchia islamista dell’Arabia Saudita e il regime razzista israeliano, sostenuto dagli Stati Uniti.

Ciò comporta importanti spese militari e consente alle forze militari – in particolare alle “Guardie della Rivoluzione” – di controllare gran parte dell’economia e di influenzare in modo determinante la politca.

 

40 anni di “rivoluzione islamica” - 40 anni di terrore bianco

 

I proletari cercano di organizzarsi creando dei sindacati ma la repressione è molto forte. Il regime dei mollahs è stato costruito sui cadaveri dei sindacalisti e degli attivisti dei partiti di sinistra. Nel 1981, gli islamisti si rivoltarono contro il Tudeh filo-sovietico e contro dei trotskisti che erano stati i loro ferventi sostenitori. Alla fine degli anni ’80, il regime ha continuato la sua vendetta sanguinaria sterminando decine di migliaia di prigionieri politici.

L’unico sindacato autorizzato è quello degli insegnanti – il che non gli impedisce di subire la repressione – e piccoli sindacati senza essere riconosciuti legalmente sono stati creati nelle aziende in lotta. Tuttavia, non esiste movimento sindacale organizzato a livello nazionale.

Non esiste nemmeno una reale opposizione organizzata all’interno del paese. I principali partiti cosiddetti “rivoluzionari” sono in esilio da decenni e difendono una linea più o meno apertamente riformista. I partiti di hekmatisti sventolano soprattutto lo slogan “Abbasso la Repubblica islamica”, e lo accompagnano con un guazzabuglio di slogan che non vanno oltre l’orizzonte borghese: “Viva la libertà, l’uguaglianza e lo Stato operaio” (PC d’Iran) “Viva la libertà, l’uguaglianza, la prosperità” (Partito Comunista-Operaio Hekmatista) o “Iran libero, laico, moderno, prospero e umano” (Partito comunista-operaio) (1). Una volta di più gli Hekmatisti dimostrano la natura piccolo-borghese dei loro orientamenti (2).

Da parte sua, il partito Toufan, Partito del Lavoro d’Iran, legato alla vecchia corrente pro-albanese, difende posizioni legaliste e pacifiste: chiama “le masse (...) ad evitare la violenza prematura” e afferma che uno “sciopero generale costringerebbe il regime a ritirarsi” (3).

 

C’è una sola alternativa: la rivoluzione proletaria

 

L’Iran sta soffrendo gli effetti della crisi del capitalismo e questo sta spingendo il regime ad intensificare i suoi attacchi contro i proletari. I colpi che piovono su di loro sono gli stessi che subiscono i lavoratori negli altri paesi del mondo.

Oggi, i lavoratori e le masse provano un odio profondo contro questa società di sfruttamento e terrore.

L’ondata di lotta è stata senza dubbio fermata – almeno in parte – prima che diventasse troppo grande; ma rappresenta un altro passo nell’esperienza accumulata dal proletariato iraniano, un’esperienza che accompagna quella del proletariato di tutti i paesi del Medio Oriente. La pressione capitalista non è cessata e non cesserà di crescere, aggravando a limiti estremi le condizioni di vita del proletariato e delle masse lavoratrici.

Ma più l’offensiva borghese si allarga e diventa dura, più il proletariato viene spinto a una lotta spietata contro il suo nemico di classe, più accumula esperienza e più aumenta la sua capacità organizzativa. Però, affinché queste lotte non siano vane per il suo rafforzamento, il proletariato deve combattere per due obiettivi fondamentali: organizzare le sue fila in piena indipendenza di classe e allargare la sua lotta oltre i limiti geografici.

Oltre a ciò, si pone la questione cruciale, per il futuro del proletariato, del partito di classe. L’assenza del partito, terribilmente drammatica in aree ad alta tensione sociale, priva le lotte della classe di una direzione in grado di collegare le linee guida dell’azione immediata e parziale a quelle più vaste dell’organizzazione rivoluzionaria del proletariato. Non c’è altra via che quella della formazione del partito di classe, in collegamento con la classe, per guidare i movimenti di lotta delle masse proletarizzate e perché tutte le lotte immediate si indirizzino verso l’obiettivo rivoluzionario del proletariato .

La costituzione del partito di classe passerà necessariamente attraverso il bilancio delle false alternative che, negli ultimi decenni, hanno smarrito i militanti che hanno rotto con lo stalinismo e con le diverse varianti dell’opportunismo.

 


 

(1) Cfr. “Did you know that in Iran...”, 30 aprile 2018, wpiran.org

(2) Vedi “Comunismo-operaio” o democrazia piccolo borghese?, Programme communiste n. 103, Gennaio 2016; anche ne il comunista, n. 144, Luglio 2016.

(3) Cfr. “Viva il movimento impetuoso del popolo iraniano”, 8 gennaio 2018, pcof.net

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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