Il “viadotto malato” ha fatto 43 morti e 9 feriti. 255 le famiglie sfollate, in totale 566 persone

(«il comunista»; N° 155; Settembre 2018)

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Il Ponte Morandi, quando venne inaugurato nel 1967, rappresentava il vanto dell’ingegneria italiana, per le soluzioni adottate: costruito con una struttura mista: cemento armato precompresso per l’impalcato e cemento armato ordinario per le torri e le pile. Gli stralli (i tiranti inclinati che sostengono l’impalcato della sede stradale dalla sommità delle pile) erano costruiti da fasci di cavi d’acciao intrecciati ricoperti anch’essi da cemento armato precompresso. Ebbene, quel che già dagli anni successivi al termine della sua costruzione si era evidenziato, è che la salsedine e i fumi corrosivi acidi delle acciaierie di Cornigliano (centro abitato a ovest di Sampierdarena) portati dalla brezza marina causavano un degrado precoce e molto serio degli elementi metallici a vista e del calcestruzzo. Così, dagli anni Settanta in poi si rese necessaria una manutenzione continua e specifica, tanto da diventare dagli anni 2000 quotidiana. Con l’andare del tempo, gli interventi di questo tipo diventavano sempre più importanti tanto da porre seriamente il problema di demolire il ponte (nel 2009) e ricostruirlo, spostandolo un po’ più a nord (a questo si riferisce il progetto della Gronda Nord). Ma l’aumento consistente del traffico - non previsto negli anni Settanta, ma evidentissimo già negli anni Ottanta - e di quello pesante in particolare sull’unica arteria italiana che facilitava il collegamento, attraverso Genova e Milano, con la Francia e il nord Europa, aggiungeva ai problemi di degrado dei materiali, quello delle continue oscillazioni dell’impalcato stradale e la loro insistenza sugli stralli e, quindi, sulle pile. Dal 1999, con la privatizzazione della società Autostrade la concessione passò nelle mani del Gruppo Benetton. Né lo Stato, in precedenza, né il Gruppo Benetton, poi, avevano interesse a perdere i profitti che derivavano dal traffico, sempre più in aumento, che transitava su quel tratto di autostrada. Furono diversi i progetti di intervento di manutenzione, e queste riparazioni permisero al ponte di resistere al crollo per qualche decennio: ma la sua sorte era segnata, visto che né la società pubblica, né la società privata, intendevano perdere gli introiti dei pedaggi

Il crollo del ponte avrebbe potuto causare molti più morti, visto che il ponte passava sopra molte abitazioni e fabbriche. In realtà, 2 dei 43 morti, erano operai che lavoravano alla Amiu, l’azienda municipalizzata genovese dei rifiuti, situata sotto il ponte ai bordi del fiume Polcevera. Aldilà delle indagini giudiziarie in corso e delle tante promesse di “giustizia” e di ricostruzione di un ponte “sicuro” (il famoso Renzo Piano ha presentato il progetto di un ponte tutto d’acciaio che durerà, a suo dire, 1000 anni; il che ricorda la sparata dell’ing. Morandi, prima, e di Autostrade poi, sul Ponte in calcestruzzo che sarebbe durato 100 anni!), si riconferma una legge del capitalismo: il profitto, prima di tutto, garantito da costi di manutenzione più bassi possibile, dallo sfruttamento degli impianti, diventati rapidamente insicuri e obsoleti, il più a lungo possibile... fino alla loro autodistruzione e alle vite umane sacrificate al profitto capitalistico. La borghesia non imparerà mai da queste sciagure, anzi vive grazie a queste: deve perciò essere sepolta rivoluzionariamente.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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