Un ulteriore Comitato di lotta di Napoli, alle prese con rivendicazioni proletarie classiste e rivendicazioni politiche resistenzial-democratiche

(«il comunista»; N° 156; Novembre 2018)

 Ritorne indice

 

Per un accidente tipografico questo articolo non è stato pubblicato nel numero scorso. Dato il suo attuale interesse lo facciamo ora.

 

 

Corrispondenza da Napoli, 4 luglio 2018.

 

L’assemblea del 6 luglio scorso al teatro Trianon di Napoli del “Comitato di lotta Napoli Sergio Romeo” rappresenta un evento che merita una particolare attenzione vista la discreta risonanza che questo giovane organismo sta avendo in una zona ad alta tensione sociale del centro storico di Napoli dove è appunto ubicato.

La presenza molto scarsa di proletari a questo appuntamento mostra la difficoltà per questo Comitato di coagulare, almeno per il momento, una larga base di adesioni formali indispensabile per impostare una seppur minima forma di lotta rivendicativa.

L’obiettivo di superare la vecchia e deleteria logica corporativa delle liste dei disoccupati, pone il dilemma  delle iscrizioni. Effettivamente, iscrizioni e liste dei disoccupati sono andate a braccetto negli anni addietro minando in partenza uno sviluppo pur minimo ma significativo della ripresa della lotta di classe. Questo organismo, però, non tende a raggruppare solo disoccupati, ma, idealmente, tutti i proletari che vivono le diverse contraddizioni sociali.

Ma sarà possibile – e questo può valere da  esempio anche in  futuro per altri organismi immediati – l’adesione di proletari ad un programma di lotta senza un senso di appartenenza ad un organismo che esprima obiettivi comuni?

Sappiamo che il dibattito su questo punto è in piena evoluzione e pensiamo che il direttivo, se vuole far crescere la partecipazione dei proletari, non potrà fare a meno di ricorrere alle iscrizioni ma cercando di evitare contemporaneamente la trappola della lista chiusa. Per fare ciò, l’iscrizione di proletari di diversa condizione sociale, raggruppati nei settori di riferimento quali casa, lavoro precario, disoccupazione, sanità ecc., e per tendere all’unità di classe, e praticare la solidarietà fra proletari,  non potrà che essere impostata con adesioni aperte in permanenza, lasciando ogni settore con la propria “specificità” ma le cui rivendicazioni dovranno essere espresse da una piattaforma di lotta unitaria. In questo modo si lotta e si scende in piazza tutti insieme, anche per i proletari attualmente non iscritti. L’impostazione opportunista per cui un movimento nasce, si organizza, cresce e muore, dovrà lasciare spazio a quella di classe per cui un movimento nasce, si organizza, cresce e si trasforma. Si trasforma, passando dalla semplice quantità di aderenti – che è un requisito fondamentale della lotta – alla qualità della lotta, espressa dalla propria piattaforma programmatica che prevede di sostenere le rivendicazioni con mezzi e metodi della lotta di classe che puntano quindi ai soli ed esclusivi interessi dei proletari del tutto incompatibili con quelli dei borghesi e del loro Stato. Questa  sorta d’impostazione tattica dipenderà dalla politica del direttivo che, nel caso specifico, però, si è già dotato di una propria piattaforma.

Noi osserviamo questo recente comitato da qualche tempo, proprio perché, in prospettiva, potrebbe coinvolgere più settori proletari, ma non nascondiamo l’abisso che ci divide dall’impostazione di tipo stalinista dei dirigenti di questo organismo. La nostra più che decennale presenza e attività, coerente, costante e senza secondi fini negli organismi di lotta del napoletano, si è conquistata una certa forma di rispetto da parte di molti soggetti politici presenti anche nel Comitato di lotta in questione. I suoi dirigenti dichiarano che solo lungo la strada della ripresa della lotta di classe potrà essere stabilito quale sarà la corretta impostazione del partito comunista rivoluzionario che guiderà il movimento proletario; questo atteggiamento ci permette di seguire da vicino e con una certa attenzione talune iniziative che coinvolgono i proletari sul terreno della lotta immediata, che è il terreno su cui i proletari hanno l’opportunità di saggiare le proprie forze e allenarsi alla lotta di classe contro ogni tipo di avversario, ed hanno anche l’occasione per conoscere più direttamente le forze politiche che si rivolgono a loro cercando di indirizzarne l’azione. 

Il teatro Trianon, che fu chiuso per diversi anni, sorge sui resti di un antico teatro greco nel cuore di Napoli a ridosso del quartiere Forcella e non è stato mai oggetto di manifestazioni dei movimenti di lotta. Questa assemblea è  stata quindi un evento eccezionale che certamente non è passato inosservato a tutti gli “addetti ai lavori”. Pare ci siano stati ammonimenti verso i gestori del teatro, e anche  minacce verso  i proletari che hanno compromesso fortemente la partecipazione. Il riferimento del Comitato a “Sergio Romeo”, dirigente dei Nuclei Armati Proletari degli anni  ‘70, ucciso dai carabinieri nel corso di una rapina di autofinanziamento, pone parecchie perplessità fra tutti i soggetti politici presenti sul territorio e, ovviamente, anche tra i proletari. Per quanto ci riguarda, noi, per principio, non siamo indifferenti: in una situazione in cui, da molti decenni, i proletari sono stati indirizzati, organizzati e illusi a difendere la democrazia borghese e le sue istituzioni, e a lottare intruppati in organizzazioni politiche e sindacali dedite esclusivamente alla difesa della conservazione sociale e degli interessi primari dell’economia aziendale e nazionale, ogni organismo che nasce sulla base della spinta spontanea dei proletari a difendersi dagli attacchi sistematici del padronato e del capitalismo alle loro condizioni di esistenza e di lavoro, e al di fuori dello stretto controllo del sindacalismo tricolore, rappresenta per ogni comunista rivoluzionario un elemento di interesse e un’occasione per dare alla lotta contro ogni forma di collaborazionismo e di opportunismo un contributo politico e pratico affinché questa sia indirizzata sul terreno della lotta di classe e sia condotta con i mezzi e i metodi della lotta di classe ad esclusiva difesa degli interessi proletari sia immediati che futuri.

Su questa linea tattica generale, la nostra attitudine verso tutti quegli organismi proletari,  aldilà della  visione politica dei loro dirigenti che, come ci hanno dimostrato le eperienze passate, possono avere le più svariate tendenze, ma che in qualche modo tendono a coinvolgere i proletari chiamandoli a lottare per rivendicazioni immediate sul terreno dell’antagonismo di classe, è un’attitudine insieme propositiva e critica, e non può essere altrimenti, come d’altra parte lo è di fronte a qualsiasi organismo proletario che, per caratterizzarsi come organismo decisamente classista, deve e dovrà lottare a lungo contro ogni abitudine, ogni logica, ogni pratica, ogni politica riformista e collaborazionista di cui è intriso l’intero corpo proletario. Questo antagonismo di classe, in effetti, potrebbe essere interpretato, come nel caso del Comitato di lotta Napoli “Sergio Romeo” – e il nome non è stato certamente scelto a caso –, secondo una visione fondamentalmente riformista anche se si richiama ad un rappresentante della passata lotta armata, ma che noi definimmo “riformismo con la pistola”, e che ci vide in netto contrasto politico. Questo non è il primo tentativo che elementi provenienti ideologicamente dallo stalinismo, o dal maoismo, hanno messo in campo per distinguersi dal riformismo conservatore e dal collaborazionismo impotente, rivolgendosi agli strati proletari che solitamente non interessano al sindacalismo ufficiale e al sinistrismo parlamentare; strati proletari che spesso fanno esplodere una rabbia atavica accumulata in anni di estrema precarietà e di marginalizzazione, e che sono difficilmente organizzabili e disciplinabili, anche per la loro potenziale attitudine a non temere di rispondere con azioni violente, sebbene isolate, alla violenza sistematica con cui il regime borghese e capitalista schiaccia la stragrande maggioranza della popolazione proletaria. Ma questi tentativi fanno parte delle inevitabili risposte parziali, confuse, miste di romanticismo rivoluzionario e di balbettii pseudomarxisti, che emergono da un proletariato che ha perso quasi completamente, non solo i legami generazionali con le lotte di classe del proletariato degli anni Venti del secolo scorso, ma anche il loro ricordo. Sono, in realtà, le contraddizioni sempre più acute e feroci dello sviluppo capitalistico e delle sue crisi che spingono i proletari a reagire alla pressione e alla repressione capitalistica, e a lottare inizialmente per la pura sopravvivenza, riconoscendosi prima o poi, nel corso della lotta contro i capitalisti, come fratelli di classe. Ed è a questo livello della lotta proletaria che l’esperienza diretta di lotta spinge i proletari ad organizzarsi non solo per difendere le condizioni di esistenza immediate, ma anche le condizioni di esistenza generale e futura, e a cercare il partito di classe come sua unica guida. I comunisti rivoluzionari, sostenendo politicamente e praticamente le lotte proletarie sul terreno immediato di classe, rappresentano nello stesso tempo i compiti rivoluzionari e il futuro della rivoluzione proletaria, compiti e futuro contro i quali agiscono tutte le forze della conservazione sociale e dell’opportunismo riformista, “con” o “senza” pistola, non importa se coscientemente o meno.      

Ma veniamo al contesto dell’assemblea.

I tagli alla sanità pubblica e la chiusura di molti presidi ospedalieri sta investendo Napoli in modo significativo. Il Comitato in questione nasce sostanzialmente dal clamore sorto alla notizia della chiusura dei pronto soccorso degli ospedali storici Ascalesi e Annunziata, prologo alla chiusura definitiva dei due presidi, entrambi adiacenti a Forcella nel cuore della città. L’impulso iniziale era quindi la lotta contro la chiusura di questi ospedali,  ma che resta ancora un obiettivo molto sentito. Qualche piccola iniziativa, come presidi  o incontri con la direzione sanitaria, è stata fatta ma evidentemente non basta a salvare i due ospedali.

Sotto la spinta dei proletari del centro storico, il Comitato ha scelto obiettivi più allargati ed ha quindi elaborato una piattaforma di più ampio respiro che mette al centro altre necessità, come ad esempio il lavoro, la disoccupazione e la casa.

I punti cardini della piattaforma, presentata nell’introduzione all’assemblea, sono quelli della riduzione dell’orario di lavoro a 30 ore settimanali e per un reddito di 800 euro mensili per i disoccupati. Lotta questa, a dire del relatore, che verrebbe assunta però a livello nazionale con il supporto dei sindacati Slai Cobas, di cui lui è un esponente. Egli si spinge ancora più oltre nella sua relazione, preconizzando addirittura uno sciopero generale fino alle dimissioni del governo. Questi obiettivi, a parole, sono molto ambiziosi; già negli anni Ottanta del secolo scorso ci furono scioperi molto vasti e duri che rivendicavano le 36 ore settimanali, ma la conduzione opportunista di quelle lotte da parte dei sindacati collaborazionisti (sinistra sindacale compresa) li fecero fallire. Il problema non è tanto quello di individuare rivendicazioni economiche che rispondano alle esigenze di difesa immediata delle condizioni di lavoro e di vita dei proletari, è semmai quello di sostenerle con la lotta di classe, dunque con grandi e forti organizzazioni sindacali di classe, organizzazioni che si formano con la lotta e nella lotta utilizzando mezzi e metodi di lotta classisti, in un percorso tremendamente accidentato perché le forze della borghesia e del collaborazionismo politico e sindacale fanno e faranno di tutto perché i proletari non imbocchino la strada della lotta di classe. La formazione di organizzazioni sindacali classiste richiede tempo e molte e diversificate esperienze di lotta, moltissime delle quali deriveranno dalle inevitabili sconfitte. Ma una cosa è che le sconfitte avvengano sul terreno di classe, e allora i proletari hanno la possibilità, grazie anche all’intervento dei comunisti rivoluzionari, di trarre le necessarie lezioni per non dover ripartire ogni volta da zero; altra cosa è che le sconfitte – e fino ad oggi di queste sconfitte il proletariato ne ha dovute incassare moltissime – avvengano sul terreno del collaborazionismo e dell’opportunismo riformista, perché da queste sconfitte il proletariato non trae alcuna lezione per le sue lotte future, perché queste sconfitte lo hanno soltanto indebolito ulteriormente, lo hanno diviso, lo hanno ridotto all’impotenza di fronte a qualsiasi ricatto fatto dal padronato e dallo Stato. Inevitabilmente le rivendicazioni generali di classe possono apparire impossibili da ottenere, come ad esempio il salario pieno ai disoccupati, o gli 800 euro come nelle richieste di questo Comitato; ma servono per indicare una direzione alla lotta proletaria e, soprattutto, servono per unire nella lotta i più ampi strati proletari: in questo caso che i proletari che un salario ce l’hanno sostengano i disoccupati, e che i disoccupati sostengano la lotta dei proletari occupati contro i padroni dell’azienda o del settore. Ma lanciare l’idea di uno sciopero generale per far dimettere il governo ha il sapore della rivendicazione politica a cui sono interessate le attuali forze parlamentari all’opposizione; ammesso e non concesso che uno sciopero generale così forte sia possibile organizzarlo con gli organismi attuali e sia poi in grado di far cadere questo governo, con che cosa lo si sostituirebbe? Con un’ennesima elezione democratica dalla quale attendersi un governo “più disponibile” a discutere delle rivendicazioni proletarie? Ma quanti governi democratici di centro, di destra, di sinistra, di pentapartito o di centrodestra o di centrosinistra hanno occupato a turno gli scranni di Palazzo Chigi, e che cosa è cambiato per i proletari? Tutto è cambiato, ma in peggio: aumento della disoccupazione, soprattutto giovanile, e aumento e generalizzazione della precarietà, aumento del costo della vita e abbattimento dei salari, aumento dell’insicurezza sui posti di lavoro e aumento del disagio sociale. Dunque, la necessità da parte proletaria di riprendere a lottare sul terreno di classe incontra nuove difficoltà: ulteriore frammentazione e precipitazione in condizioni di sopravvivenza estreme e aumentata pressione economica, sociale e politica da parte della classe dominante borghese aiutata dalle diverse forze dell’opportunismo collaborazionista.

Ma torniamo, per un momento, alle tematiche della piattaforma, esplicitate in diversi altri punti, che affrontano temi di attualità e di carattere politico generale che il direttivo ha così sintetizzato: «la stabilizzazione dei lavoratori precari con opposizione al lavoro nero e al caporalato; la lotta per la sanità pubblica contro l’aziendalizzazione e privatizzazione che ha visto lo smantellamento del sistema sanitario nazionale; contro gli sfratti e la casa per tutti per opporsi al piano di deportazione dei proletari dal centro storico; la scuola gratuita per tutti fino all’università e contro l’alternanza scuola/lavoro; la lotta contro il razzismo e la “dittatura fascista del governo”; la lotta contro il 41 bis per i carcerati; l’abolizione della legge Fornero con quota cento senza vincoli», e non poteva mancare «la lotta contro le spese militari a favore del sociale e contro le armi nucleari in Italia».

Senza entrare ora nel merito di queste indicazioni di lotta in cui alle rivendicazioni di tipo economico-immediato si accompagnano alcune di carattere squisitamente politico, va detto qualcosa su quelle di carattere politico. Queste riprendono pari pari la demagogia di un antifascismo di facciata dal sapore vetero-stalinista con cui i partiti comunisti che, dal 1926, tradirono le proprie origini rivoluzionarie, si collocarono nel campo avverso in difesa degli Stati borghesi democratici contro gli Stati borghesi fascisti come se questa partigianeria facilitasse, attraverso la “riconquistata” democrazia, il movimento proletario verso la sua rivoluzione di classe, antiborghese e anticapitalistica, che storicamente non ammette alcuna alleanza con le forze borghesi, qualsiasi metodo politico di governo adottino. Ma ci sarebbe molto da dire anche sull’illusione diffusa nelle file proletarie circa la possibilità che la loro lotta sul terreno democratico possa impedire le spese militari e l’armamento nucleare: si è mai visto uno Stato che si disarmi? Si vuol davvero far credere ai proletari che lo Stato borghese (che, tra l’altro, si denuncia come “dittatura fascista”) possa essere disarmato con la sola pressione degli scioperi, anche se generali?

Finché si rimane sul terreno immediato e di difesa economica, le rivendicazioni proposte rispondono, in generale, alle esigenze proletarie di classe – anche se sul terreno della sanità il vero problema non è tanto la privatizzazione del servizio sanitario nazionale, perché la sanità pubblica resta comunque un servizio gestito dallo Stato borghese, che per obiettivo principale ha quello di salvaguardare gli interessi capitalistici della classe dominante borghese e non quelli dell’intera cittadinanza, men che meno di quella parte di popolazione che, colpita dalla miseria crescente, non ha risorse per vivere, per curarsi, per abitare in case dignitose e sicure. La privatizzazione dei servizi pubblici – dalla sanità ai trasporti alla previdenza – o per lo meno di una parte dei servizi pubblici (quella ad alta potenzialità di profitti), è una tendenza inesorabile dello sviluppo del capitalismo perché ciò che prevale nella società borghese è l’appropriazione privata della ricchezza prodotta e di tutti i mezzi che concorrono alla produzione della ricchezza. Le condizioni di esistenza dei senza riserve, dei proletari, non sono mai state la priorità per lo Stato borghese e dei suoi servizi pubblici che si occupano di loro soltanto per attenuare le tensioni sociali provocate dalle loro stesse insopportabili condizioni di esistenza. Ma avremo modo di tornare su questi temi.

Questo organismo ambisce a crescere quanto a numero di aderenti e qualità di classe, ma ciò dipenderà molto dalla direzione che intende prendere: se mescola rivendicazioni di tipo economico-immediato con rivendicazioni di carattere politico dall’impostazione democratico-resistenziale, come quelle riferite all’assemblea del Trianon, potrà anche crescere numericamente (rispetto ad altri organismi simili), ma sarà destinato inevitabilmente a portare acqua al mulino della ennesima deviazione delle forze combattive proletarie verso le forze della conservazione sociale, non certo al mulino della ripresa della lotta di classe. E’ ovvio che la direzione in cui lottare e quali metodi e mezzi utilizzare e quali obiettivi di volta in volta porsi siano dati dal direttivo; ma quest’ultimo sarà in grado di superare una visione resistenzial-democratica della lotta proletaria e di assumere una visione antiborghese nei fatti e non solo nelle parole? Sarà in grado di trarre utili lezioni dalle cattive esperienze dei movimenti di lotta del napoletano degli anni passati?

L’acuirsi delle contraddizioni sociali, che sono il vero motore della ripresa della lotta di classe, è la base materiale per ogni forza politica classista, ma, oltre a saperne valutare le cause profonde e gli effetti generali sulle masse proletarie, è necessario, per qualsiasi forza si impegni a dirigere un movimento di lotta proletario, saper adottare una tattica che tenga conto sia dei rapporti di forza tra le classi, sia della situazione di estrema arretratezza classista in cui si trova il proletariato, sia della necessità da parte dei proletari di assumere nelle proprie mani la responsabilità della lotta, di fare esperienza e di poter contare su forze politiche che assicurino coerenza e intransigenza nella difesda degli interessi esclusivamente proletari di fronte a qualsiasi nemico.

Non passa giorno che il sistema capitalistico non dimostri di essere un sistema non solo antiproletario, ma disumano, cannibalesco, divoratore di energie e di risorse umane e naturali.

Non ultimo, un episodio avvenuto qualche giorno dopo l’assemblea che ha infiammato il quartiere Forcella. Un episodio chefino a qualche tempo fa sarebbe passato sotto silenzio ma che in questa fase ha avuto una risonanza senza precedenti. E questo ci deve far riflettere. Un ragazzo poco più che ventenne, sempre del quartiere, garzone in un bar, per sbarcare il lunario e aiutare la famiglia aveva accettato per soli trentacinque euro, per arrotondare il magro stipendio, di pulire il lucernario di un ascensore all’interno di un palazzo a pochi metri da dove abita. Forse l’aveva già fatto in passato, ma malauguratamente questa volta la struttura ha ceduto facendolo rovinare dall’ultimo piano giù fino al cortile. Il ragazzo, ancora vivo, è rimasto al suolo per ben cinquanta minuti prima che arrivasse un’autoambulanza. E’ stata quindi inutile la corsa fino al più vicino pronto soccorso. Se fossero stati in funzione i due ospedali Annunziata e Ascalesi, che distano poche centinaia di metri dal luogo della tragedia, forse sarebbe stato possibile salvare il ragazzo, recuperando minuti preziosi per l’intervento e le cure.

Il lavoro nero, l’assenza di misure antinfortunistiche e i tagli alla sanità pubblica sono la vera causa della morte di questo ragazzo, un vero e proprio omicidio che ha come mandante le istituzioni.

L’episodio ha avuto eco non solo nel quartiere ma in tutta Napoli. Ha alimentato l’indignazione e la rabbia di tutti i proletari che hanno voluto esprimere il loro cordoglio la mattina dei funerali del ragazzo. Ed ecco come una scintilla fa ritrovare, anche solo per un istante, migliaia di proletari tutti insieme, sfidando l’afa del mese di luglio. All’uscita della bara dalla chiesa, insieme a centinaia di palloncini bianchi, saliva in aria l’urlo di rabbia e di commozione dei partecipanti scandendo il nome del ragazzo. Un lungo corteo salutava per l’ultima volta la salma, riempiendo la via principale del quartiere, ferito ancora una volta in modo profondo.

Sembra strano, ma dai balconi partivano improvvisati applausi e lancio di coriandoli, ricavati al momento con carta di giornale. Anche il Comitato di lotta in questione ha presenziato ai funerali commentando l’accaduto con un volantino di denuncia, senza distribuirlo durante il corteo funebre, in cui metteva in risalto le responsabilità dello Stato. Inoltre, su un’impalcatura, che si trova  proprio al centro della strada, aveva apposto uno striscione di denuncia dell’accaduto.

Con i tagli alla sanità, la pressione delle contraddizioni sociali si fanno sentire ancora di più.

Forcella è un quartiere di Napoli ad alta densità, costituito prevalentemente da un sottoproletariato abituato a sopravvivere con qualsiasi espediente. Catalizzare le spinte che sempre più emergono da questo tessuto sociale è compito delle avanguardie di lotta.

Il Comitato di lotta Napoli Sergio Romeo è l’ennesima esperienza organizzativa che nasce nella città partenopea.

Esso ha il vantaggio di potersi giovare di una larga esperienza storica delle liste dei disoccupati e dei comitati di quartiere che si sono susseguite dagli anni Settanta in poi.

Come dicevamo poco sopra, non sappiamo se un organismo di lotta come questo avrà la forza di imboccare la strada per la ripresa della lotta di classe e di mantenersi stabile su questo percorso.

Ma è certo che la situazione generale dell’attacco capitalistico alle condizioni di esistenza e di lavoro del proletariato rende sempre più urgente che sorga nel proletariato la spinta a lottare con mezzi e metodi classisti e, soprattutto, contro la concorrenza tra proletari di cui beneficiano esclusivamente i capitalisti e i loro servi opportunisti.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice