Sul caso Battisti

(«il comunista»; N° 157; Gennaio 2019)

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NON È COL TERRORISMO INDIVIDUALISTA CHE IL PROLETARIATO SI EMANCIPERÀ DAL CAPITALISMO E DALL’OPPRESSIONE BORGHESE, MA ATTRAVERSO LA LOTTA DI CLASSE RIVOLUZIONARIA GUIDATA DAL PARTITO COMUNISTA RIVOLUZIONARIO.

 

Il 13 gennaio scorso tutti i telegiornali riportavano la notizia che Cesare Battisti, da 37 anni in fuga dalla “giustizia” italiana, è stato catturato in Bolivia, a Santa Cruz de la Sierra; qui era infatti scappato dal Brasile, dove era riparato molti anni fa, perché il nuovo presidente brasiliano di estrema destra, Bolsonaro, appena eletto, aveva cancellato la “protezione” che i precedenti governi, da Lula in poi, gli avevano assicurato. Non è il primo latitante che viene riacciuffato, e non sarà l’ultimo. Ma l’occasione ci dà modo di tornare sulla questione delle formazioni del terrorismo “rosso” e sulle loro radici politiche e sociali. 

Come mai un fuggitivo come Cesare Battisti, passato dalla malavita comune alla “politicizzazione” in carcere, e definito “terrorista” (imputato di alcune rapine e di 4 omicidi, avvenuti nel 1978) vista la sua adesione al gruppo lottarmatista denominatosi “Proletari armati per il comunismo”, ha potuto godere per 37 anni di una sorta di “protezione” da parte di Stati, come la Francia, prima, in cui riparò appena scappato dall’Italia, e come il Messico e infine il Brasile dove è stato fino a poco tempo fa? Lo Stato italiano aveva chiesto a questi paesi la sua estradizione, ma non l’aveva mai ottenuta finora: perché?

Secondo le leggi di questi paesi, i rifugiati politici, anche se autori di crimini, non potevano essere estradati nei paesi d’origine se il sistema giudiziario di questi ultimi non era considerato rispettoso della “persona umana”; e il sistema giudiziario italiano rientrava in questa categoria. Nel caso specifico, data la pratica della tortura utilizzata dalle forze di polizia italiane – ampiamente documentata non solo negli anni Settanta, ma anche successivamente, come nella Scuola Diaz (detta non a caso “macelleria messicana”) e nel carcere di Bolzaneto a Genova nel 2001, e ancora per anni, in decine di casi, da Cucchi a Uva, da Aldrovandi a Magherini fino al caso recentissimo, del 17 gennaio scorso, del tunisino Arfaoui ad Empoli (1) –, la stessa Unione Europea si era trovata nella necessità morale di premere sui governi italiani affinché si decidessero ad ammettere che vi erano stati casi di tortura e di dover quindi emanare una legge che la punisse severamente.

Noi sappiamo bene che non sarà mai una legge dello Stato borghese ad impedire che si attuino sistemi di tortura (i pretesti sono sempre vari, dalle ragioni di guerra a quelle della “lotta contro il terrorismo”. Nella guerra americana in Afghanistan, ad esempio, la privazione del sonno o il waterboarding – ossia una simulazione di annegamento – sono state pratiche di “interrogatorio professionale” molto usate su prigionieri  con piedi e mani immobilizzati), come d’altra parte tutte le leggi che somminano condanne per qualsiasi tipo di violenza e di crimine non impediscono che nella società capitalistica le violenze ed ogni sorta di crimine siano la norma e non l’eccezione. D’altra parte, nonostante in questo mondo borghese si inneggi continuamente ai “diritti dell’uomo”, non solo in molti Stati, a partire dagli USA, per legge è prevista anche la pena di morte, ma questa condanna, nella realtà di tutti i giorni, è applicata da tutti gli eserciti e da tutte le polizie del mondo in ogni guerra, dichiarata ufficialmente o meno, quando in ballo ci sono interessi imperialistici, economici, politici e militari. Per non parlare della violenza insita congenitamente nel modo di produzione capitalistico, violenza che si manifesta nelle morti sul lavoro, nelle conseguenze dei più diversi inquinamenti, nei disastri provocati dall’incuria, dalla mancanza di manutenzione e di misure di sicurezza, nell’assenza di prevenzione e nell’avidità di denaro e di privilegi, violenza che si manifesta nell’accumulo di ricchezze gigantesche in poche mani e nella miseria e nella fame che sterminano masse umane sempre più grandi.

I governanti, i ministri, i presidenti, le autorità in campo economico, finanziario e politico, alzano la voce quando membri dei loro club diventano vittime di atti violenti da parte di appartenenti alle classi misere e proletarie che reagiscono alla loro situazione di miseria e di oppressione sociale; allora il “vivere civile”, la “libertà” e l’”umanità” assumono, nei loro discorsi e nelle loro azioni, i valori per i quali tutto il popolo, tutti i cittadini, devono sentirsi impegnati a battersi e a collaborare per assicurare alla “giustizia” e alle “patrie galere” i responsabili di quelle violenze. E non è da oggi che i signori del potere – cioè i grandi padroni, gli amministratori delegati delle grandi aziende, i dirigenti delle forze dell’ordine, i grandi banchieri e i dirigenti politici, che hanno realmente in mano le leve del comando nei loro paesi e nei rispettivi campi di attività –   rarissimamente pagano, attraverso la legge borghese, per le loro colpe. Schiere di avvocati che usano i cavilli che le stesse leggi predispongono, li tirano sempre fuori dai guai. Costori intascano denaro a palate, mentre milioni di proletari e di diseredati non riescono a mettere insieme due pasti al giorno, mentre centinaia di migliaia di profughi e di immigrati, cacciati dalle loro terre dalla  carestia e dalle guerre, muoiono nei tentativi di fuga nella speranza di giungere in un paese dove finalmente vivere.

Quali sono le cause di tutta questa miseria, di tutta questa disperazione, di tutte queste morti? Le cause risiedono certamente nel capitalismo, nella società divisa in classe borghese dominante e classi dominate, sfruttate, schiavizzate. Ed è contro questo dominio, questo sfruttamento, questo sistema schiavistico che le masse disederate e proletarie di tutto il mondo tentano di ribellarsi, a mani nude in genere, ma alle volte armandosi; ed è, nel tentativo di combattere contro la vita disperata e senza futuro che il capitalismo regala a piene mani a milioni e milioni di esseri umani, che elementi provenienti dagli strati piccoloborghesi, o dell’aristocrazia operaia, per non precipitare nella rovina a causa delle crisi economiche e finanziarie che si succedono sempre più frequentemente, imboccano la via del terrorismo. E’ quel che è successo per tutti i gruppi della lotta armata, dalle BR a tutti i gruppi simili; alcuni vestendo le proprie azioni con un’ideologia resistenzial-stalinista, altri accontentandosi di giustificare le proprie azioni come “risposta” ad un regime oppressivo e carcerario, risposta d’altra parte avventuristica e, nello stesso tempo, impotente.

Non riprendiamo qui la nostra critica al terrorismo lottarmatista, invitando i lettori a documentarsi attraverso la nostra stampa di ieri e di oggi (2).

E’ indubbio che negli ultimi anni il vento politico, in Europa e nel mondo, sia cambiato; gli stessi media borghesi insistono nell’affermare che tutti i governi democratici, chi prima, chi dopo, tendono a virare a destra, o addirittura all’estrema destra, cancellando man mano tutta una serie di riforme e tolleranze che i governi di “sinistra” – come appunto, fino a poco tempo fa, in Francia e in Brasile – adottavano per mantenere viva l’illusione di una democrazia rispettosa dei diritti umani anche nei casi di violenze ed assassinii per “ragioni politiche”.

 In realtà, il fatto che il clima politico nell’Occidente liberale, democratico, esempio di “civiltà” per il mondo intero, stia cambiando in peggio non è altro che un adeguamento alla necessità, da parte di ogni Stato, di un controllo più serrato delle tensioni sociali provocate dai fattori di crisi generale, economici prima di tutto, e quindi anche politici e sociali, e alla necessità di stringere i cordoni della tolleranza democratica utilizzando gli stessi strumenti della democrazia: propaganda elettorale, elezioni, votazioni, parlamento, ma anche intimidazioni, violenze, repressione, carcere. In ogni periodo di crisi prolungata dell’economia capitalistica e di peggioramento delle condizioni di vita delle grandi masse, sorge la necessità da parte della classe dominante borghese, o comunque delle sue frazioni più forti e aggressive, di indicare alle masse, e al proletariato in particolare, i colpevoli sociali della sua miseria e della sua rovina. Ieri, nel primo Novecento, i colpevoli erano prima di tutto i socialisti che si opponevano alla guerra e i comunisti che volevano estendere la rivoluzione anche in Europa e in America; poi è stata la volta degli ebrei, degli zingari e degli omosessuali, e naturalmente dei “comunisti”; oggi sono gli immigrati “clandestini”, considerati ancor più pericolosi dei mafiosi, e poi, al solito, gli ebrei, gli zingari, gli omosessuali e, naturalmente, tutti coloro che si oppongono, legalmente o illegalmente, all’ordine costituito.

E’ pur vero che il fenomeno dell’immigrazione selvaggia dai paesi del cosiddetto Sud del mondo, determinata dalle spoliazioni sistematiche e dalle devastazioni causate dalle guerre di rapina scatenate in quei paesi da tutti gli imperialismi più forti, è uno degli effetti evidenti di queste crisi che si sovrappone ai fattori di crisi già abbondantemente presenti in tutti i paesi industrializzati, come la fortissima disoccupazione giovanile, l’abbattimento dei salari e l’aumento inarrestabile della povertà stanno a dimostrare.

Ed è da questo peggioramento generalizzato delle condizioni di vita e di lavoro che la borghesia dominante si attende la ribellione da parte di frange o strati sociali particolarmente colpiti nelle condizioni di sopravvivenza; essa, mentre sfrutta in modo sempre più oppressivo le masse di immigrati, data la loro condizione di necessità e di clandestinità, tenta di darle in pasto, nello stesso tempo, alla canea piccoloborghese perché ne faccia l’oggetto principale di odio e di rifiuto, perché sfoghi sugli “stranieri”, sui “clandestini”, la disperazione di rovinare nelle condizioni di insicurezza e di miseria tipiche delle masse proletarie. C’è stato, e ci potrà ancora essere, chi trasforma quella disperazione in atti terroristici contro singoli rappresentanti del potere e del benessere borghese.

 

LA RISPOSTA IMPOTENTE DEL “TERRORISMO ROSSO”

 

Negli anni Settanta del secolo scorso, alla fine del lungo trentennio di espansione capitalistica iniziata con la fine del secondo macello imperialistico mondiale, il “pericolo” sociale che ogni borghesia dominante dei paesi industrializzati aveva eletto come il nemico numero uno era quello del terrorismo rosso, rappresentato da formazioni politiche armate, ideologicamente posizionate all’estrema sinistra (ma di tipo democratico-resistenziale, “marxista-leninista” o “anarchico-insurrezionalista”), come le italiane Brigate Rosse e Prima Linea, la tedesca Rote Armee Fraktion, la francese Action Directe, la giapponese Armata Rossa Giapponese, la statunitense Weather Underground, lo spagnolo Grapo o il greco Movimento 17N. Nel 1975 scoppiava la prima grande crisi mondiale, a causa della quale il tanto decantato benessere per tutti gli strati sociali crollava miseramente mandando in rovina ampi strati piccoloborghesi che, per l’appunto, si ribellavano, armi alla mano, contro i rappresentanti del potere politico, industriale, giudiziario.  

Tra le diverse formazioni che nacquero all’inizio degli anni Settanta ci furono anche i PAC, Proletari Armati per il Comunismo; è a questa formazione che aderì Cesare Battisti nel ’78 dopo aver conosciuto in carcere Arrigo Cavallina, che l’aveva fondata nel 1977. Questo gruppo proveniva dall’Autonomia Organizzata (rivista “Rosso”) e aveva fatto, dell’illegalità e della lotta dei carcerati contro i soprusi subìti, il leit motif della sua esistenza. Come per le BR e Prima Linea, anche per i PAC, le rapine per l’autofinanziamento e le azioni “dimostrative”, contro persone colpevoli di soprusi nelle carceri (considerate dei lager) o di uccisione di rapinatori (proletari considerati dei rivoluzionari in nuce), diventavano lo strumento principale della loro attività; la loro esistenza fu molto breve, a causa degli arresti dei loro membri e della dissociazione di molti di loro, a partire dal fondatore; già nel 1979 il gruppo non esisteva più.

Tutte le formazioni lottarmatiste, a partire dalle BR, sono sempre state considerate da noi, anche se rivendicavano di lottare per il comunismo, fondamentalmente piccoloborghesi e ideologicamente anarcoidi, e perciò antirivoluzionarie; pur essendo formate anche da proletari, esse lottavano per una democrazia “reale”, per una minore distanza tra ricchi e poveri, per l’affermazione dell’individuo e della “sua” libertà e, ovviamente, contro ogni oppressione, ogni carcerazione, ogni tortura. La lotta armata, intesa come risposta necessaria all’oppressione e alla repressione poliziesca, per loro era sia una necessità di “difesa” che una necessaria “offesa”, quindi l’unico mezzo di lotta e l’unico programma di lotta che il proletariato doveva assumere. Il terrorismo di tipo brigatista lo abbiamo definito “riformismo con la pistola” e nei fatti si è dimostrato esattamente questo, un riformismo che, per accelerarne l’attuazione, si prevedeva di introdurre forzando la situazione, con azioni militari, eliminando quelli che venivano considerati i maggiori ostacoli alla sua attuazione e facendo di ogni atto terroristico un esempio del fatto che il “nemico” non era invincibile.

Per quelle formazioni, la questione della valutazione dei rapporti di forza fra le classi, quella della preparazione rivoluzionaria di un partito politico di classe, quella della ripresa della lotta di classe da parte del proletariato attraverso organizzazioni economiche indipendenti – tanto per citare qualche punto fondamentale della teoria marxista inerente alla lotta della classe proletaria – erano questioni superflue, ormai “superate”, e si risolvevano nell’azione cospirativa e diretta, nell’azione terroristica individuale che nel loro svolgersi avrebbero illuminato e spinto le masse proletarie a ribellarsi contro l’ordine esistente. Nessuna teoria, nessun programma, nessun partito, perciò nessuna rivoluzione, nessuna preparazione rivoluzionaria, nessuna conquista del potere e nessuna dittatura del proletariato, nessuna trasformazione profonda della società non solo dal punto di vista politico ma nemmeno economico: questo il loro fondamento. Politicamente esse tendevano a confondere il proletariato con il popolo, ad un interclassismo generalizzato e ad un riformismo non parlamentare, ma, appunto, con la pistola.

E’ senza dubbio molto utile alla propaganda borghese, conservatrice e reazionaria, trattare i membri delle formazioni lottarmatiste di estrema sinistra come loro stessi si definiscono: “terroristi rossi”, e addossare a loro, alla loro attività, alle loro illusioni e alla loro sconfitta, le colpe di un “estremismo” che non portava a nulla se non alle rapine e all’assassinio, e far coincidere quella loro attività, quelle loro illusioni e quella loro sconfitta con l’inconsistenza politica e l’inevitabile sconfitta del marxismo e della teoria comunista.

Ancora oggi, riesumato l’autentico livore piccoloborghese anticomunista, sentiamo dire dall’attuale ministro dell’interno, a proposito della cattura di Cesare Battisti, che questo terrorista “comunista” dovrà “marcire in galera”! Non ci meravigliano queste parole, fanno parte del linguaggio baldanzoso di un rappresentante dello Stato borghese che si prende gli onori di un’operazione internazionale di polizia messa in campo da tempo per acciuffare un latitante; ma marcire in galera, non l’avevamo sentito dire nemmeno nei confronti dei brigatisti responsabili dell’uccisione di Aldo Moro. Cesare Battisti è stato certamente un malavitoso, ed è stato certamente un terrorista – lo ha ammesso senza problemi, anche nella sua autobiografia (3) – ma, come tutti i membri delle formazioni lottarmatiste, non è mai stato comunista, e quindi rivoluzionario comunista, nel senso marxista della parola. Come non era comunista il Partito comunista italiano da Gramsci e Togliatti in poi, e come non erano comunisti tutti i partiti stalinisti o post-stalinisti fino al PC Cinese che ancor oggi si fregia di un nome che ha calpestato mille volte.

 

IL FALSO SOCIALISMO, FIGLIO DELLA CONTRORIVOLUZIONE STALINIANA

 

Vale la pena di soffermarsi un monento su questa questione visto che le formazioni lottarmatiste, ideologicamente, facevano riferimento al socialismo si marca staliniana. La falsificazione della teoria marxista, e quindi della teoria del comunismo rivoluzionario, è stata una grandiosa opera controrivoluzionaria borghese svoltasi in coincidenza con l’indebolimento e la finale sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre e, soprattutto, con la mancata rivoluzione proletaria e comunista negli anni del primo dopoguerra nei paesi europei occidentali. Lo sappiamo bene che la “storia ufficiale” viene scritta sempre dai vincitori. Nel caso della rivoluzione bolscevica e del movimento comunista internazionale degli anni 1917-1926, le borghesie di tutto il mondo hanno potuto contare sull’opera bastarda e velenosa dell’opportunismo socialdemocratico, prima, e staliniano, poi, allo scopo non solo di sconfiggere il movimento proletario e comunista dal suo stesso interno, ma di raccogliere i vantaggi propagandistici di questa sconfitta per molti decenni ancora dopo la reale sconfitta politica e sociale. Fino al 1990-91 la Russia, che si definiva ancora URSS, si proclamava stato socialista, ed era alla guida del cosiddetto “campo socialista” di cui facevano parte il gruppo di Stati dell’Europa dell’est e dell’Asia da essa influenzati e dominati militarmente; e “socialista” era definita anche da tutti i paesi capitalisti occidentali. Crollato il potere in Unione Sovietica, e quindi in tutti gli stati da essa controllati, tutti i media del mondo decretarono il “crollo del comunismo”, quando nella realtà economica, politica e sociale non solo la società comunista, ma nemmeno la società socialista era stata effettivamente realizzata, né in Russia né in qualsiasi altro paese del mondo. Quel che crollò in Russia, e in tutti i paesi cosiddetti socialisti, fu il regime politico, tendenzialmente autocratico, che non aveva più ragione di sopravvivere vista l’aggressione inesorabile del capitalismo su tutti i confini e in ogni mercato. Non è stata la cosiddetta “globalizzazione”, né tantomeno l’opera, pur insistente e sotterranea, della Chiesa di Roma, a far cedere la cosidetta “cortina di ferro”, quanto la costante ricerca da parte del capitalismo russo, e di quello dei paesi “socialisti”, di allargare i rapporti economici, commerciali e finanziari ai paesi occidentali: ogni capitalismo nazionale tende a collegarsi agli altri capitalismi nazionali, per aumentare i reciproci affari, per aumentare la massa del profitto di ciascuno e, nello stesso tempo, per aggredire i mercati non ancora coinvolti ritagliando fette di mercato a proprio vantaggio. D’altra parte, il capitalismo nazionale più forte, quindi con più alta produttività e con più capacità finanziarie, economiche e commerciali, tende sempre ad invadere nuovi mercati e a cercare di far fruttare più intensamente i vecchi mercati. Arrivò quindi il momento, nei paesi cosiddetti “socialisti”, in cui i rapporti capitalistici, sia all’interno che all’esterno, erano troppo ostacolati nel loro reciproco sviluppo da regimi politici che non riuscivano più a controllarne le dinamiche – non sottostavano ai diktat di Mosca se non sotto la minaccia militare, e non riuscivano più ad avere da parte di Mosca quegli aiuti, quegli interventi economici e finanziari per sviluppare la grande capacità industriale che possedevano –; lo sviluppo dei capitalismi nazionali russo, tedesco orientale, cecoslovacco, ungherese o polacco esigevano la massima apertura ai mercati occidentali che, d’altra parte, avevano cominciato già decenni prima ad intrecciare rapporti ed affari ed erano pronti a riversare in quelle economie quantità notevoli di capitali che cercavano soltanto occasioni per essere investiti e valorizzati. I proletari russi, insieme a tutti i proletari dei paesi cosiddetti “socialisti”, si trovarono così a dover fare la parte dei proletari di seconda o terza categoria rispetto ai proletari dei paesi occidentali, per il solo fatto di provenire da paesi sì industrializzati, ma in cui i regimi politici, falsamente “socialisti”, li avevano abituati a lavorare per salari molto bassi per sostenere la “patria socialista”. Lo sviluppo del capitalismo, come previsto da più di centocinquant’anni dal marxismo, non elimina ma approfondisce le diseguaglianze sociali.

Le ragioni della gigantesca falsificazione riguardo i paesi cosiddetti “socialisti” si trovano nella necessità della borghesia di ogni paese di difendere a tutti i livelli la propria organizzazione sociale. Sinteticamente possiamo dire questo. Da un lato, abbiamo avuto la borghesia occidentale che cerca di far passare il capitalismo, e quindi la società borghese eretta sul modo di produzione capitalistico, come l’unica società possibile alla quale non vi è alcuna alternativa, come la società che ha nella sua stessa organizzazione politica, economica e sociale gli strumenti per rimediare alle sperequazioni, alle disuguaglianze, alle crisi, alle oppressioni, alla sterminata miseria e alle guerre, strumenti che si tratterebbe soltanto di trovare, o di inventare, grazie alla volontà dei capi, dei potenti, dei governi. Cosa d’altra parte che le borghesie democratiche insistono a proporre ancora oggi. Dall’altro lato, abbiamo avuto la prima guerra imperialistica mondiale che, mettendo in discussione l’ordine imperialista esistente per crearne uno nuovo, in realtà ha confermato la teoria marxista secondo cui lo stesso sviluppo del capitalismo, che ha portato alla catastrofe della guerra mondiale, spingeva le forze antagoniste del proletariato a prendere in mano i propri compiti storici rivoluzionari e ad approfittare dei disastri di guerra per lanciarsi alla conquista del potere politico, insorgendo contro gli Stati esistenti e instaurando la propria dittatura di classe contro la dittatura di classe della borghesia. La borghesia mondiale, allora, si trovò di fronte la grande sorpresa di un proletariato giovane, inesperto, circondato da un’enorme massa contadina, come quello russo, che, guidato da un partito comunista rivoluzionario come non ce ne furono in Occidente, riuscì in un’impresa che nessuno statista occidentale avrebbe mai immaginato possibile: abbattere il potere zarista e, nel giro di 8 mesi, perdurando la guerra mondiale, abbattere anche il potere borghese per insediarsi e dirigere non solo la Russia nella sua straordinaria vastità territoriale, ma anche il movimento proletario internazionale. Quei famosi dieci giorni che fecero tremare il mondo ebbero, in realtà, un effetto per un tempo molto più lungo: non tremò soltanto la borghesia russa, ma anche le borghesie tedesca, ungherese, italiana, francese, inglese, americana, tanto che cercarono in tutti i modi di soffocare la rivoluzione là dove era nata, e di impedire che si diffondesse in Europa.

Con l’aiuto di tutte le forze politiche ed economiche dell’opportunismo e di tutte le forze militari a disposizione, sia durante la guerra che dopo, le borghesie imperialiste si unirono contro il bastione rivoluzionario russo: tentarono di  vincerlo nella guerra civile, ma non ci riuscirono; vinsero sul fronte europeo, grazie all’opportunismo socialdemocratico che paralizzò i giovani partiti comunisti soprattutto in Germania e in Francia e, poi, grazie al fascismo che diede il colpo di grazia al movimento proletario rivoluzionario, reso dall’opera sistematica dell’opportunismo completamente impotente sia dal punto di vista pratico che dal punto di vista politico, in Italia e successivamente in Germania, cioè nei due paesi dove il proletariato aveva dimostrato di essersi indirizzato vigorosamente sul cammino della rivoluzione.

Ebbene, sull’onda di questa tremenda sconfitta del movimento proletario rivoluzionario, la borghesia di ogni paese, a partire dalla borghesia russa ed europea in generale, ha cavalcato la menzognera “costruzione del socialismo” in Russia e nei paesi da essa influenzati e, dalla fine del secondo macello imperialistico mondiale, controllati e sottomessi militarmente. Gettata alle ortiche la teoria marxista, stravolto in modo osceno il programma rivoluzionario del bolscevismo di Lenin, aggrediti il partito comunista che fu di Lenin e, quindi, i giovani partiti comunisti aderenti all’Internazionale Comunista da una “bolscevizzazione” che non fu altro che la burocratizzazione militaresca e poliziesca delle organizzazioni militanti da parte dello stalinismo, il periodo rivoluzionario apertosi con l’Ottobre rosso terminava nella decimazione sistematica della vecchia guardia bolscevica e nella paralisi del proletariato europeo. Il socialismo, da teoria scientifica della rivoluzione proletaria e comunista e, quindi della sua emancipazione da ogni sfruttamento e da ogni oppressione di classe, divenne la faccia orientale di un capitalismo che doveva maturare in modo accelerato trasportando le enormi masse russe, cinesi e asiatiche in generale dall’economia arretrata di tipo medievale alla moderna economia capitalistica.

L’unica forza sociale che poteva dare a questo sviluppo storico una direzione rivoluzionaria, utilizzando le forze economiche che il capitalismo aveva già sviluppato nei paesi occidentali, il proletariato guidato dal suo partito di classe, comunista rivoluzionario, doveva essere disarmata politicamente e teoricamente: ci pensò lo stalinismo con la sua teoria del socialismo in un solo paese a dare il colpo di grazia a quello che era stato il più importante risultato storico della lotta di classe: il partito bolscevico di Lenin e con lui l’Internazionale Comunista. Lo sviluppo del capitalismo in Russia è stato senza dubbio un progresso storico, così come lo è stato in Cina e nei paesi asiatici: ma si trattò di capitalismo e non di socialismo.

L’illusione in cui furono cullate le masse proletarie consisteva nel credere che potesse davvero esistere un unico modo di produzione che poteva sdoppiarsi in due differenti direzioni: una verso il capitalismo com’era conosciuto nei paesi occidentali, con il suo marcato affarismo oppressivo e guerresco, e una verso quel che veniva definito “socialismo”, instaurato in Russia e nei paesi da essa influenzati sulla base delle medesime categorie economiche capitalistiche (lavoro salariato e capitale, merci, mercato, profitto capitalistico), ma gestito attraverso piani economici definiti per quinquenni o decenni e volto ad escludere l’oppressione dei popoli e a realizzare la pace mondiale. La seconda guerra imperialistica mondiale, con la partecipazione dell’Unione Sovietica nell’alleanza antitedesco-giapponese, dimostrava, urbi et orbi, la colossale menzogna. Ma, a questa sistematica falsificazione della teoria marxista, si accompagnò un altro elemento ideologico e politico che sostituì in buona parte la presa sul proletariato che ebbe negli anni Venti del secolo scorso l’antifascismo democratico, tanto che socialismo, o comunismo, e democrazia venivano propagandati come equiparabili. E non a caso le Repubbliche dell’Est Europa, sottoposte al controllo politico e militare di Mosca, si definirono repubbliche democratiche popolari!

 

FIGLIE DEL SOCIALISMO FALSIFICATO, LE ORGANIZZAZIONI LOTTARMATISTE NON POTEVANO CHE DEVIARE, A LORO VOLTA, I TENTATIVI DI LOTTA CLASSISTA DEL PROLETARIATO

 

Le organizzazioni lottarmatiste che si formarono negli anni Settanta, e che abbiamo sopra ricordato, si alimentarono di questa vecchia menzogna, giustificando la loro esistenza con la necessità, per i proletari, di combattere il rinascere di un fascismo mascherato sotto la veste  democratica e parlamentare e individuato fisicamente nell’ambito istituzionale e dell’ordine costituito fatti da padroni, governanti, intellettuali, poliziotti, considerati dei semplici strumenti di quel fascismo rigermogliante dal terreno sociale reso fertile dalla crisi economica che colpiva soprattutto gli strati della piccola borghesia e gli strati meglio pagati del proletariato. Non per nulla quelle organizzazioni ineggiavano alla Resistenza partigiana, allo stalinismo, alla sua versione maoista o al guerriglierismo latinoamericano.

E’ dunque comprensibile che elementi proletari e piccoloborghesi, spinti da situazioni individuali di disagio, e attratti da ideologie guerrigliere, si siano aggregati intorno ad intellettuali che quelle ideologie giustificavano e propagandavano. Il disagio economico e sociale da cui provenivano era esattamente il contrario di tutte le promesse fatte dai governanti sul progresso, sul benessere, sulla pace, sul vivere civile; e, in più, provata la situazione carceraria in cui finivano i proletari e i delinquenti comuni (ma mai i potenti anche se colpevoli di morti sul lavoro, di disastri fatti passare per “naturali” o di gigantesche ruberie), e in cui si toccava con mano anche la tortura, la reazione violenta non era certo inaspettata; ogni Stato borghese è organizzato per contrastare le reazioni violente al disagio e all’abbruttimento sociale, per controllarle, per punirle in modo anche estremamente repressivo e mortale quando il rischio cui si va incontro cospirando nell’illegalità e la restrizione carceraria non bastano per soffocarle.

Le formazioni terroristico-individualistiche non avevano, e non hanno, alcuna possibilità di risolvere il problema della miseria sociale e dello sfruttamento sempre più bestiale delle masse proletarie, né tanto meno di abbattere lo Stato borghese, che rappresenta la forza militare centralizzata e organizzata per difendere l’ordine capitalistico con tutte le sue inevitabili conseguenze. Nel periodo in cui le BR mettevano in atto le loro azioni fino a rapire e poi uccidere Aldo Moro, e in cui nascevano diverse sigle del “terrorismo rosso”, la posizione del partito rispetto alla violenza, al terrorismo, alla rivoluzione proletaria, alla dittatura del proletariato è stata sempre ferma, chiara, intransigente: alla violenza della classe borghese, al suo terrorismo, alla sua dittatura, il proletariato non potrà non rispondere con altrettanta violenza, col terrorismo e con la sua dittatura di classe dopo aver spezzato rivoluzionariamente lo Stato borghese, come rivendicato e scritto a chiare lettere da Marx, da Engels, da Lenin, dall’Internazionale Comunista nel suo congresso del 1920, da Trotsky nel suo “Terrorismo e comunismo”, dal Partito comunista d’Italia  e dal movimento della Sinistra comunista ad esso legata. Il marxismo riconosce nella violenza di classe la levatrice della storia, e ciò riguarda ogni rivoluzione sociale che ha aperto la via al passaggio da un modo di produzione a quello più sviluppato, dalla società primitiva allo schiavismo, dallo schiavismo al feudalesimo, dal feudalesimo al capitalismo e, necessariamente, dal capitalismo al comunismo. Che il terrorismo di matrice individualista affondi le sue radici nelle cause sociali materiali che abbiamo ricordato sopra, non vi sono dubbi. Come non vi sono dubbi, per i marxisti, che la valutazione di questo fenomeno, certamente non nuovo nella storia delle lotte fra le classi, non può essere fatta se non partendo dalla realtà storica dello sviluppo contraddittorio della lotta fra le classi; di una lotta proletaria condotta negli interessi esclusivi del proletariato, con mezzi e metodi di classe, che matura nella guerra aperta contro ogni classe dominante e sotto l’orientamento e la direzione organizzativa e disciplinatrice del partito di classe. E’ uno svolgimento reale che non avviene  a comando, ma in condizioni storiche in cui i fattori principali della lotta rivoluzionaria (esteso movimento di classe organizzato in grandi organizzazioni economiche indipendenti, presenza e azione del partito di classe influente sul proletariato, crisi sociale e politica del regime borghese) siano presenti e decisivi, realtà questa del tutto assente in quegli anni e, purtroppo, anche in questo primo ventennio del secolo XXI.

La “strategia” del terrorismo individualista, scrivevamo nel maggio1978 (4) era del tutto distorta e, alla fine, deviante, rispetto alla necessaria maturazione della ripresa della lotta di classe e rivoluzionaria del proletariato; una strategia che si condensava nell’«illusione di colpire lo Stato ed il suo “cuore” colpendo questo o quel suo rappresentante, di “disarticolarlo” prendendo a bersaglio questa o quella formazione partitica isolata dal resto, “azzoppando” questo o quel dirigente industriale elevato a forza motrice dalla produzione di plusvalore, e di incarnare con ciò il moto di ascesa di una classe, il proletariato, la cui risalita dal fondo della controrivoluzione socialdemocratica e stalinista chiede invece con urgenza un lavoro politico ed organizzativo esteso in ogni direzione». Le azioni dimostrative delle formazioni lottarmatiste, in realtà non hanno nemmeno «sfiorato la massiccia corazza dello Stato», ma l’hanno vista uscire da questi “attacchi” «più salda e forte». E tale forza, oltre al logico potenziamento delle forze militari dello Stato, è dovuta alla collaborazione di classe che le forze della controrivoluzione, socialdemocratiche e staliniste, hanno messo in opera fin dall’epoca della sconfitta del movimento rivoluzionario comunista degli anni Venti del secolo scorso. In difesa dello Stato borghese sono accorse «tutte le componenti, anche di cosiddetta opposizione, della democrazia», non solo a livello nazionale, ma a livello internazionale, amplificando in questo modo «come in una gigantesca cassa di risonanza la rinnovata campagna propagandistica di imbottimento dei crani»; inoltre, a livello internazionale, la borghesia si avvale, oltre che di «apparati che è stolto ritenere soltanto militari e polizieschi», anche «di strumenti economici, sociali, politici, culturali, in cui si riassume appunto il senso, squisitamente classista ed antiproletario, del regime democratico».

Il terrorismo individualista è una risposta impotente al terrorismo organizzato della classe dominante borghese. Ma non solo. Ha avuto a sua volta un effetto deviatorio negli strati proletari più sensibili alla lotta classista e, perciò, più disponibili a non piegarsi alla democrazia e ai suoi dettami. La violenza che la classe dominante borghese attua sistematicamente contro le classi proletarie, sul piano economico, sociale, politico, militare, come la storia delle lotte fra le classi ha ampiamente dimostrato, trova prima o poi una risposta nella violenza di classe da parte del proletariato. Ma anche su questo terreno la classe borghese, e in particolare piccoloborghese, agisce sul proletariato in modo che gli strati proletari che si sottraggono all’influenza della democrazia e della pace sociale imbocchino non la strada della lotta di classe, ma quella della disperazione sociale, della disperazione terroristica. La borghesia teme la lotta di classe proletaria, indipendente, condotta con mezzi e metodi di classe e influenzata dal partito di classe, perché è da questa lotta che può svilupparsi il reale attacco ai suoi privilegi, al suo dominio politico, al suo potere; non teme invece il terrorismo individualista, il terrorismo cosiddetto “rosso” nel quale elementi piccoloborghesi riescono a coinvolgere frange proletarie combattive, nutrendosi del loro vigore e del loro coraggio, per indirizzarle su obiettivi che, in realtà, non scalfiscono minimamente il potere borghese e il suo Stato. Al contrario, spingono lo Stato a chiamare a raccolta tutte le forze democratiche e riformiste in difesa della democrazia, della costituzione, dell’ordine costituito, forze che già operano all’interno del proletariato per paralizzarne ogni tentativo di lotta classista, mentre la disperazione sociale che muoveva i terroristi si diffonde nell’intero corpo proletario trasformandosi in rassegnazione e ulteriore impotenza nei confronti del padronato e dello Stato borghese.

In questo modo, la potenza dello Stato borghese, oltretutto rafforzata, di fronte al montare delle tensioni sociali che possono mettere in movimento il proletariato di più paesi, appare ancor più invincibile grazie alla collaborazione antiproletaria degli altri Stati borghesi i quali, anche se per ragioni economiche, finanziarie, di mercato e di dominio imperialistico, si fanno la guerra fra loro, di fronte al pericolo della rivoluzione proletaria e della dittatura comunista non hanno problemi ad allearsi, come storicamente è già avvenuto: tutti uniti contro la Comune di Parigi nel 1871, mentre Francia e Prussia si stavano facendo la guerra; tutti uniti contro l’Ottobre 1917 mentre, nel corso della prima guerra imperialistica mondiale, gli Stati dell’Intesa combattevano contro gli Stati della Triplice Alleanza. Nel frattempo, la macchina repressiva dello Stato borghese si prende tutto il tempo necessario per riacciuffare, prima o poi, qualche “terrorista rosso” latitante, anche se ormai del tutto innocuo, e gettarlo in galera, come monito contro i proletari che intendessero ribellarsi allo sfruttamento e alla miseria del capitalismo non con i mezzi, del tutto impotenti, che la democrazia borghese offre loro, ma con mezzi di classe adottati anche soltanto sul piano di un picchetto di sciopero. Gioco facile per la borghesia, finché il proletariato non si riorganizzerà in  modo indipendente sul piano della difesa economica  e sociale e non si ripresenterà sulla scena con una forza di classe che non potrà non incutere quella stessa paura che si impossessò della borghesia francese durante la Comune di Parigi nel 1871 e della borghesia russa ed europea dopo la vittoria della rivoluzione proletaria in Russia nel 1917.

 

LA VIA DELLA LOTTA DI CLASSE E DELL’ORGANIZZAZIONE INDIPENDENTE DI CLASSE È LA PIÙ ARDUA, MA LA SOLA CHE DARÀ UNO SBOCCO REALE ALLA LOTTA DEL PROLETARIATO PER LA PROPRIA EMANCIPAZIONE

 

L’aperta guerra di classe del proletariato contro tutte le forze della conservazione sociale borghese, che è la sola che merita di essere definita rivoluzione proletaria, non è il risultato di un’esplosione per la quale è sufficiente accendere una miccia: è il risultato di un lungo travaglio sociale nel quale si accumula e si acutizza l’esistente antagonismo tra le classi. Antagonismo che, raggiunto un certo livello di  pressione, lacera tutti gli equilibri sociali e politici esistenti, determinando una oggettiva polarizzazione delle forze di conservazione, da un lato, e delle forze di classe e rivoluzionarie dall’altro, nella quale solo il partito di classe rivoluzionario, formatosi di lunga mano nei decenni precedenti, coerentemente e intransigentemente marxista, è in grado di guidare la gigantesca forza contenuta nelle masse proletarie in lotta indirizzandola verso lo storico sbocco rivoluzionario della conquista del potere politico e dell’instaurazione della dittatura proletaria. Come già nell’Ottobre 1917, anche un domani, alle masse proletarie sarà chiaro il cammino rivoluzionario, unica via per uscire finalmente dalla schiavitù salariale, dal mercimonio di ogni attività e di ogni rapporto umano, da ogni oppressione e da ogni guerra.

La guerra di concorrenza che le borghesie di ogni paese si fanno permanentemente, la guerra fra gli Stati per stabilire il dominio sui mercati mondiali, la guerra nella quale ogni borghesia sacrifica milioni di proletari facendoli scannare gli uni contro gli altri a beneficio esclusivo di una o dell’altra potenza imperialistica, questa guerra imperialista potrà essere trasformata in guerra di classe, in guerra civile – come indicato e attuato dal partito bolscevico di Lenin – alla condizione che il proletariato, almeno nei suoi strati più avanzati e coscienti, si sia liberato delle illusioni democratiche e pacifiste e si sia organizzato in modo completamente indipendente dalle forze borghesi e della collaborazione di classe.

Oggi, il governo italiano si felicita per aver fatto sbarcare sul suolo italiano un terrorista latitante, e canta le lodi dell’ordine costituito e della “giustizia” che finalmente è “stata fatta”, e un ministro qualsiasi si può attaccare al petto un’altra medaglia, dopo essersene appiccicate alcune per aver impedito ulteriori sbarchi di immigrati “clandestini” e dopo aver fatto passare una legge sulla “sicurezza” che in pratica dà la libertà ad ogni “cittadino” di sparare in difesa della sacra “proprietà privata”. Ma tace sui casi di tortura e di assassinio di cittadini del tutto indifesi, come abbiamo ricordato in nota; per non parlare dei “terroristi neri”, argomento utilizzato a suo tempo per giustificare la comoda tesi, tutta borghese, degli “opposti estremismi”.

Se ce ne fosse stato bisogno, ecco ulteriori dimostrazioni del fatto che lo Stato borghese, per quanto democratico, non è che il tallone di ferro sotto il quale tenere schiacciati tutti coloro che si ribellano, e che – fino a situazioni del tutto diverse – ha ancora interesse a propagandare la democrazia come l’ambito nel quale ogni violenza, se attuata dallo Stato, è giustificata. Lo Stato borghese è, in ultima analisi, il terrorismo organizzato della classe dominante.

 


 

(1) La lista delle persone morte in circostanze sospette, secondo diversi reportage, è molto ampia: Michele Ferrulli, Riccardo Magherini, Carmelo Castro, Simone La Penna, Cristian de Cupis, Manuel Eliantonio, Marcello Lonzi, Riccardo Rasman, Serena Mollicone, Stefano Brunetti, Niki Aprile Gatti, Aldo Bianzino (https:// thevision.com/ attualita/ cucchi-morti-di-stato-italia/, ed anche https:// tg24.sky.it/ cronaca/2018/05/31/uva-cucchi-aldrovandi.html). Il caso del tunisino di 32 anni, Arafet Arfaoui, che in un Money Transfer di Empoli è risultato in possesso di biglietti da 20 euro falsi, è questo: la polizia l’ha fermato, interrogato per più di un’ora, lui ha tentato di scappare; fermato di nuovo, è stato ammanettato e, per evitare che scalciasse ancora, i piedi gli sono stati bloccati con una corda; ancora a terra si è sentito male, è intervenuto il soccorso medico, ma è morto subito dopo per “arresto cardiaco”. (Cfr. http: //iltirreno. geolocal. it / empoli / cronaca /2019 / 01 / 18/news /). Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, morto nell’ottobre 2009, una settimana dopo essere stato selvaggiamente picchiato dai carabinieri durante un fermo, è intervenuta affermando: “Dava in escandescenze? Questi fatti sono tutti uguali e sappiamo già come andrà a finire. La quarta sezione della Cassazione dirà che non c’è nessun colpevole”, e aggiunge “Come Magherini”, un quarantenne ex calciatore della squadra giovanile della Fiorentina, la cui morte è avvenuta il 3 marzo 2014, dopo l’arresto in una strada del quartiere di San Frediano, a Firenze, e per la quale, i tre carabinieri, accusati per omicidio colposo, lo scorso 15 novembre, sono stati assolti dalla Cassazione. (Cfr. https:/ /firenze.repubblica.it/ cronaca/ 2019/01/19/news/). Sul caso è intervenuto anche il ministro dell’Interno Salvini che, dopo la solita battuta di circostanza sulla “tragica fatalità”, in un suo tweet dichiara sprezzante: “Per fermare chi è violento ed evitare danni si usano le manette, non le margherite” (Cfr. http:// iltirreno.geolocal.it/ empoli/ cronaca/2019/01/18/news/).

(2) Vedi, in particolare, gli articoli pubblicati ne “il programma comunista”: n. 22 del 1974, n. 15 del 1976, nn. 1, 18 e 21 del 1977, e soprattutto nn. 7, 8, 9, 10 e 11 del 1978 col titolo “Il terrorismo e il tormentato cammino della ripresa generale della lotta di classe”, poi raccolti nell’opuscolo dallo stesso titolo. Negli anni successivi al 1978 abbiamo continuato a trattare la questione del terrorismo, e non solo quello “rosso”, ma anche quello “nero”, su “il programma comunista” fino al 1982, e poi su “il comunista”: vedi nel sito www.pcint.org, alla voce Thèmes, in italiano, alla sezione 2.5 Forza, violenza e dittatura nella lotta di classe, terrorismo e questione militare.

(3) Cfr. L’ultimo sparo. Un “delinquente comune” nella guerriglia italiana, DeriveApprodi editore, Roma 2004.

(4) Vedi Contro la rassegnazione riformistica, fuori dalla disperazione terroristica, “il programma comunista”, n. 10 del 13/5/1978. I brani citati sono tratti tutti da questo articolo.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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