Le elezioni nella Repubblica Democratica del Congo non elimineranno mai il dominio borghese e imperialista

(«il comunista»; N° 157; Gennaio 2019)

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IL CRIMINE DEL CONGO 2.0

 

Alla fine del XIX secolo, Arthur Conan Doyle, ideatore di Sherlock Holmes, denunciava in un libro intitolato “Il crimine del Congo” lo sfruttamento selvaggio del Congo-Kinshasa da parte del re del Belgio Leopoldo II  (il paese era proprietà personale del re) e tutta la barbarie coloniale che l’accompagnava: in pochi decenni, la colonizzazione del paese aveva fatto quasi dieci milioni di morti, cioè la metà della popolazione.

Oggi l’imperialismo sta sottoponendo questo stesso paese ad una barbarie altrettanto sanguinosa. Gli imperialisti hanno abbandonato il saccheggio della gomma e dell’avorio per passare al saccheggio di metalli rari indispensabili alla nuova industria tecnologica.

La Repubblica Democratica del Congo, nome ufficiale dell’ex Zaire (all’epoca della dittatura di Mobutu) o del Congo-Kinshasa (dal nome della sua capitale) è il più grande paese del continente  africano; la sua popolazione vive nella miseria (due terzi dei suoi 85 milioni di abitanti sono ufficialmente sotto la soglia di povertà) e soffre periodicamente la fame. Ma dispone di molte risorse naturali: legni pregiati, caffè, gigantesca capacità energetica del fiume Congo, avorio, gomma, diamanti, oro, uranio, petrolio, gas, bauxite, piombo, ferro, manganese, tungsteno, zinco, nichel , argento, rame, cobalto...

Alcuni di questi minerali sono indispensabili per le industrie ad alta tecnologia. Il coltan, ad esempio, molto resistente alla corrosione, consente la produzione di condensatori che immagazzinano energia e resistono al calore. Si trovano negli smartphone, nei GPS, nei satelliti, nei televisori al plasma, nelle consolle per videogiochi, nei computer portatili... ma viene utilizzato anche nel settore aerospaziale e negli armamenti (adesempio i missili). Il cobalto entra (con il litio) nella produzione di batterie dei telefoni di ultima generazione, delle auto elettriche...

Le multinazionali dei paesi imperialisti sono all’origine dello sfruttamento di queste ricchezze. Il cobalto è, ad esempio, nelle mani del gigante svizzero Glencore e di compagnie cinesi. L’80% del minerale grezzo viene quindi esportato in Cina dove viene raffinato. Le multinazionali utilizzano queste materie prime in modo massiccio: Alcatel, Ericsson, Bayer, Bolloré, Intel, Hewlett Packard, Philips, Acer, Dell, Apple, Microsoft, Motorola, Nokia, Panasonic, IBM, Sony, Samsung, Toshiba, Lenovo, Canon, Nikon, Nintendo, ma anche le industrie di armi.

Il codice minerario, adottato più di quindici anni fa, sotto i dettami del Fondo Monetario Internazionale dal presidente Kabila, favoriva in gran parte gli avvoltoi imperialisti: il tasso di royalty è solo del 2% contro il 6% in Zambia o il 14% in Cile. L’industria del rame statale congolese (che ha raddoppiato la produzione in dieci anni) e del cobalto, ad esempio, hanno beneficiato solo del 3,4% della ricchezza creata da questo sfruttamento.

Il saccheggio dei minerali del Congo è accompagnato da un selvaggio sfruttamento dei proletari in quelle che alcuni giornalisti hanno chiamato “miniere della morte”. Le miniere illegali sono nelle mani dei signori della guerra. Praticano il lavoro forzato di adulti e bambini, massacrano e violentano (in oltre 20 anni, più di 500.000 donne e ragazze stuprate) per cacciare e terrorizzare le popolazioni. Il 20% della produzione viene fatto a mano da un numero diminatori “scavatori” che va da 110.000 a 150.000 che lavorano con strumenti rudimentali e senza protezioni. Più di 40.000 bambini fra i 3 e i 17 anni sono sfruttati nelle miniere nel Sud del paese; questi lavorano giorno e notte, muoiono a causa degli smottamenti, di malattie provocate dall’acqua non potabile, di epidemie (colera, diarrea)...

Nelle miniere gestite dalle multinazionali, lo sfruttamento è feroce: dei proletari delle miniere di cobalto della Glencore a Kolwezi, intervistati dalla Federazione sindacale internazionale IndustriALL, affermano che le loro condizioni di lavoro “non sono niente di meno che schiavitù” .

Anche la salute delle famiglie proletarie è in pericolo. I minatori devono portare a casa i loro abiti da lavoro esponendo in questo modo le loro famiglie alla polvere tossica dei minerali. Le popolazioni soffrono anche dell’inquinamento dell’acqua che consumano a causa dello sversamento di sostanze tossiche.

Inoltre, il minerale alimenta la guerra, che dura da oltre vent’anni, tra gruppi armati e paesi limitrofi. Questo lungo conflitto (1) avrebbe causato diversi milioni di morti; nell’ultimo periodo i moti a Kivu (provincia orientale ricca di minerali, al confine col Ruanda) hanno provocato l’esodo di diversi milioni di persone. Oltre alla predazione delle risorse naturali da parte dei paesi imperialisti e degli stati confinanti, esiste anche il “colonialismo verde”.

Le ONG ecologiste - che assomigliano più alle multinazionali che a delle associazioni - hanno lavorato per la creazione di molti parchi nazionali, in particolare il WWF (World Wildlife Fund, Fondo mondiale per la natura) e la WCS (Wildlife Conservation Society, Società per la conservazione della fauna selvatica). Esse hanno ottenuto la gestione diretta delle aree protette che subappaltano alle milizie “anti-bracconaggio” che, in realtà, sono collegate alle imprese forestali e consentono ai turisti occidentali di praticare la caccia grossa. Le tribù indigene sono cacciate dalle aree protette e sono vittime di numerosi soprusi: violenza fisica, torture, rapimenti, minacce, umiliazioni, distruzione degli accampamenti...

 

DEVASTATA DAL  COLONIALISMO, IERI,  LA R.D. DEL CONGO E’ OGGI  DEPREDATA E DEVASTATA DALL’IMPERIALISMO E DAI BORGHESI LOCALI E REGIONALI

 

Quando nacque, il capitalismo occidentale aveva fatto fortuna con la deportazione e la schiavitù di milioni di contadini neri. Oggi l’imperialismo sta sfruttando i proletari dell’Africa per contrastare la sua malattia cronica della caduta tendenziale del saggio di profitto. Ma i borghesi della regione non si sono fatti lasciare indietro.

È noto da tempo che il Ruanda è impegnato nel contrabbando del coltan congolese attraverso varie milizie. Inoltre, nel giugno 2018 il gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha riferito al Consiglio di Sicurezza che “gran parte dell’oro venduto dall’Uganda e dal Ruanda viene illegalmente estratto nei paesi limitrofi” (il Congo non viene nominato per motivi diplomatici). La Tanzania, il Burundi e l’Angola sono anch’essi coinvolti in vari modi nel saccheggio delle risorse del Congo, mentre il Sudafrica, lo Stato più potente della regione, che ha anche importanti interessi minerari nel paese, sarebbe più interessato all’elettricità che potrebbe essere prodotta nel paese grazie ad un’enorme diga sul fiume Congo.

Ma questo non deve farci dimenticare che le grandi società imperialiste sono ancora più presenti, con in mano i settori minerari più importanti. Da diversi anni il governo congolese ha iniziato a lavorare su un nuovo Codice minerario, dopo che il precedente si è tradotto in un boom, in particolare nella produzione di cobalto, che è più che raddoppiato in questi anni (da 450.000 a 1 milione di tonnellate). Questo Codice è stato infine promulgato nel giugno 2018. Si tratta ora, ufficialmente, di restituire alle casse dello Stato una percentuale maggiore delle entrate da questa produzione. Albert Yuma, presidente di Gécamines (la storica compagnia mineraria del Katanga, privatizzata nel 2010) e anche della Federazione delle Imprese Congolesi (FEC), e che fa parte del clan presidenziale (2), ha denunciato le attività da “delinquenti” delle società minerarie internazionali, per giustificare il nuovo codice che deve far passare le tasse sui loro redditi dal 2 al 3,5%, ma al 10% per il cobalto, in quanto minerale “strategico”.

Queste grandi compagnie minerarie, che producono da sole l’85% del rame, del cobalto e dell’oro congolese (3), hanno aumentato la pressione sul governo per far ritirare o modificare il suo progetto. Ma sembra che si siano finalmente rassegnate ad un cambiamento che intaccherà solo leggermente i loro profitti (4); la tradizionale pratica del governo Kabila di fare accordi segreti con le compagnie in cambio di fruttuose tangenti, continuerà con ogni probabilità senza problemi.

 

 LA CARNEVALATA  ELETTORALE  E LA POSTA IN GIOCO

 

Dopo il rovesciamento del regime di Mobutu da parte delle truppe di Laurent Kabila nel 1997, sostenute militarmente dal Ruanda, e dopo il suo assassinio nel 2001, durante i due mandati presidenziali di suo figlio Joseph, il Congo Kinshasa ha registrato una forte crescita economica grazie agli investimenti minerari e all’aumento dei prezzi delle materie prime.

Questa crescita di cui hanno beneficiato le multinazionali, ha anche notevolmente arricchito dal 2003 il clan Kabila, (che ha intascato centinaia di milioni di dollari), mentre non ha portato alcun beneficio ai proletari e alle vaste masse del paese. Si capisce, quindi, perché Joseph Kabila si rifiuti di abbandonare la presidenza dopo il suo secondo mandato come previsto nella Costituzione: abbandonare le leve di Stato potrebbe mettere in pericolo la fortuna del clan che dipende in gran parte da questa posizione.

Questo rifiuto ha provocato manifestazioni, duramente represse, dell’opposizione e della Chiesa cattolica; ma sono state probabilmente le pressioni dei protettori imperialisti (con l’imposizione di sanzioni americane ed europee contro alcuni membri del regime) e degli Stati confinanti come il Sud Africa e l’Angola, che alla fine hanno spinto Kabila ad accettare nuove elezioni. Va notato, a questo proposito, che la Francia Macron è stata uno dei pochi paesi a mantenere intatto il suo legame con il regime - per sostenere gli interessi francesi, come le ambizioni della Total di ottenere concessioni petrolifere - e ad opporsi, con la Spagna di Rajoy (che ha anch’essa degli interessi da difendere), ad una condanna da parte dell’Unione Europea per la repressione delle manifestazioni dell’opposizione.

Il regime ha quindi preparato le elezioni in modo che il suo candidato vinca: facendo passare una legge elettorale che impone una spesa di centinaia di migliaia di dollari per finanziare una campagna elettorale,  squalificando i candidati più popolari, installando un sofisticato sistema di macchine per il voto elettronico che favorisce la frode, ecc.

Il marxismo denuncia le elezioni in generale come un miraggio per i proletari che non possono liberarsi dal capitalismo se non ponenedosi contro le istituzioni e lo Stato borghese e non attraverso le loro strutture.

Nel caso del Congo, naturalmente, per la classe dominante si tratta di usare le illusioni democratiche come un derivato dell’insoddisfazione delle masse ancora più precarizzate a causa dell’aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità, dei bassi salari e dei ritardi di pagamento dei salari (che hanno portato allo sciopero di una settimana degli insegnanti all’inizio di novembre) (5). Ma siamo anche in presenza dell’organizzazione di una vera mascherata per assicurare il mantenimento degli affari di un clan borghese a scapito di altri clan borghesi!

Tuttavia, sembra che questa organizzazione non fosse affidabile, tant’è che le elezioni che si sarebbero dovute tenere il 23 dicembre sono state posticipate in extremis di una settimana dopo l’inspiegabile incendio del magazzino delle macchine elettorali a Kinshasa. Parte dell’opposizione ha proclamato uno sciopero generale di protesta (che sembra aver avuto scarso seguito).

Nei paesi poveri, la classe dominante, divisa in clan rivali che lottano tra loro per arraffare una parte della torta, tanto più ferocemente quanto più è ridotta, non ha i mezzi per ridistribuire le briciole e rendere credibile il funzionamento della democrazia; appare pertanto la sua reale essenza: nient’altro che un camuffamento della dittatura borghese.

 

*        *        *

 

Il capitalismo è nato, è cresciuto e sopravvive con il ferro e con il fuoco. Alla stessa maniera morirà, non certo attraverso le elezioni, fossero anche le più democratiche. La distruzione del sistema capitalista vampiresco, che tarda da troppo tempo, sarà opera della lotta congiunta e dell’alleanza insurrezionale dei proletari dei paesi imperialisti e dei paesi dominati contro il capitalismo mondiale, contro il fronte degli imperialisti, delle borghesie africane e i loro agenti social-sciovinisti.

In Africa, come dappertutto, i proletari, i lavoratori e le masse povere non possono e non potranno contare che sulla loro lotta e sulle loro organizzazioni per resistere al capitalismo che li sfrutta e li affama. Tutte le formule sull’indipendenza nazionale, la lotta contro il neoliberismo o la democratizzazione non sono solo fantasie, ma ostacoli su questa strada.

Laggiù, come qui da noi, i proletari hanno lo stesso nemico e la stessa lotta anticapitalista da condurre. I borghesi ne sono pienamente consapevoli, i proletari lo diventeranno.

 


 

(1) Vedi: “Scontri borghesi e appetiti imperialisti nello Zaire”, le proletaire n. 438 (ottobre-novembre-dicembre 1996).

(2) Yuma è anche uno dei gestori della fortuna della famiglia Kabila.

(3) Sono in 7: Glencore (anglo-svizzera), Randgold (Gran Bretagna), AngloGold Ashanti (Sud Africa), Ivanohe Mines (Canada), China Molibdenium e Zijin Mining Group (Cina) e MMG (Australia). Come segno di opposizione al progetto governativo avevano lasciato la FEC, di cui erano i membri più importanti, e si sono rifiutate di negoziare con il governo.

(4) Ad esempio, Glencore ha accettato di pagare milioni di dollari allo Stato congolese e di rinunciare a 5,6 miliardi di dollari che sosteneva le fossero dovuti da Gécamines.

(5) Le rivendicazioni includevano il pagamento di arretrati salariali di oltre un anno a 248.000 insegnanti.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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