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(«il comunista»; N° 158; Marzo 2019)

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Cari  Lettori

 

Ricevete “il comunista” da diverso tempo e non sappiamo se riuscite a leggere ogni numero che vi arriva. Talvolta il giornale ci torna indietro perché il destinatario risulta sconosciuto o ha semplicemente cambiato indirizzo, ma non ce l’ha comunicato. Sappiamo che dei lettori lo acquistano in edicola, in libreria o presso qualche associazione a cui lo inviamo. Inutile dire che siamo interessati a ricevere l’espressione del vostro accordo o della vostra critica, ma sembra che l’abitudine di scrivere quel che si pensa o di polemizzare argomentando seriamente le proprie convinzioni si sia persa da tempo. Forse a causa delle continue delusioni rispetto alle organizzazioni politiche in genere o alle organizzazioni dell’estrema sinistra; forse a causa della confusione che si è diffusa negli ultimi quarant’anni provocata dalle crisi e dalle scissioni avvenute nei partiti che si definiscono comunisti rivoluzionari o nella corrente della sinistra comunista del 1921 alla quale apparteniamo.

E’ indubbio, a nostro avviso, che una delle cause dell’allontanamento dall’interesse politico rivoluzionario risieda nel persistente ripiegamento delle lotte proletarie, segnato da una serie di sconfitte sia sul terreno della difesa elementare delle condizioni di vita e di lavoro, sia sul terreno politico più generale. Queste sconfitte sono dovute certamente alla pressione capitalistica sulle condizioni materiali di vita del proletariato, condizioni che tendenzialmente, invece di stabilizzarsi o migliorare, peggiorano per la maggioranza dei proletari, e in particolare per le proletarie e per i giovani. Sconfitte che demoralizzano e scoraggiano ancor più in quanto le numerosissime lotte fatte in tanti anni non hanno portato ad un  miglioramento reale. Sappiamo, da marxisti rivoluzionari, che le lotte sul terreno economico e immediato possono ottenere dei risultati a favore degli interessi di classe del proletariato solo se si svolgono con mezzi e metodi di classe, quindi ad esclusivo interesse proletario che – non lo ripeteremo mai abbastanza – è del tutto opposto, antagonistico, all’interesse borghese; risultati che non sono mai definitivi perché sono sottoposti inevitabilmente ai rapporti di forza tra la classe dominante borghese e il proletariato, rapporti di forza che da molti decenni sono del tutto a favore della borghesia. Sappiamo, da marxisti rivoluzionari, che il veleno della collaborazione di classe, quel che noi chiamiamo interclassismo, ha un effetto deleterio sulle capacità del proletariato di opporsi con forza ai continui attacchi dei capitalisti e dei governanti che ne difendono gli interessi, attacchi aperti o subdoli che siano; un veleno che viene inoculato nelle vene del corpo proletario, da decenni, dalle organizzazioni sindacali e politiche che si presentano come difensori degli interessi operai, ma che agiscono, in realtà, in difesa della conservazione borghese e, per questa ragione, le abbiamo sempre chiamate organizzazioni tricolori, perché la loro vera bandiera non è la bandiera rossa proletaria, ma la bandiera tricolore borghese.

In un clima di sconfitta operaia, di ripiegamento su se stessi e sui propri interessi individuali, dunque sul prevalere della concorrenza tra proletari, inevitabilmente calano la combattività operaia e la solidarietà di classe. La classe dei capitalisti non può che avvantaggiarsene perché riesce a difendere i suoi interessi molto meglio e con minor dispendio di energie rispetto a una situazione in cui dovesse fronteggiare un proletariato che lotta sul terreno di classe, quindi per obiettivi esclusivamente proletari, con mezzi e metodi di classe.

Potrà mai cambiare questo clima sociale? La situazione sociale potrà mai tornare ad essere segnata non dal ripiegamento del proletariato nel proprio angusto e misero mondo individuale, ma dalla ripresa della lotta di classe, l’unica che mette il proletariato in grado di affrontare, come forza indipendente, le forze della conservazione sociale e di riaprire, anche se dura e tormentata, la via della sua emancipazione dallo sfruttamento, dalla miseria, dalla fame e dalle guerre?

Da marxisti rivoluzionari sappiamo che la storia delle lotte di classe è segnata da lunghi periodi in cui il proletariato è prigioniero della politica borghese, sia nei suoi aspetti riformistici e democratici che in quelli repressivi e totalitari, e da brevi periodi in cui le condizioni materiali in cui si trova il proletariato – sociali, politiche e organizzative – sono favorevoli alla sua lotta di classe, alla sua lotta non solo sul terreno immediato, ma anche sul terreno politico generale, e quindi rivoluzionario. La storia delle lotte di classe e delle rivoluzioni proletarie dei secoli XIX e XX lo dimostra. Le condizioni favorevoli alla lotta di classe del proletariato sono costituite da un insieme di fattori oggettivi e soggettivi la cui migliore combinazione risiede nella maturazione dello scontro aperto tra la classe borghese e la classe proletaria, entrambe organizzate sulla base dei loro opposti interessi di classe. La classe borghese è già organizzata, attraverso le sue associazioni padronali e lo Stato (che non è al di sopra delle classi, ma è al suo servizio), ed ha tirato molte lezioni dalla storia del suo dominio e dalla storia delle stesse lotte e rivoluzioni proletarie del passato. La classe borghese conta sul dominio economico, sociale, politico, ideologico e militare sull’intera società; appare invincibile, e tutte le volte che offre al proletariato l’utilizzo della democrazia, tutte le volte che lo coinvolge nella difesa dell’economia aziendale e nazionale, nella difesa della patria, nella difesa della civiltà capitalistica, catturandone il sostegno e la forza sociale, non fa che rafforzare il suo dominio generale, disarmando politicamente e  ideologicamente l’unica classe sociale di cui teme la forza storica. Sì, perché la borghesia, per quanto sia potente, ha un punto debole decisivo: cioè il proletariato, la classe dei lavoratori salariati dal cui sfruttamento essa trae la sua forza, la classe che non è soltanto una massa sociale senza una sua prospettiva storica, ma che ha dimostrato di essere anche una forza politica, con un programma che supera ogni confine di spazio e di tempo e che indirizza il movimento proletario a livello internazionale verso un unico grande obiettivo storico: la società non più divisa in classi in cui ogni oppressione  e ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo sono stati superati, la società di specie, la società in cui l’organizzazione economica e sociale generale risponderà alle esigenze di vita della specie umana e non del mercato, del capitale, della proprietà privata e dell’appropriazione privata della ricchezza sociale prodotta – in una parola, il comunismo.

E’ questa un’utopia? Oggi, più di ieri, potrebbe apparire un’utopia, un ideale che non si realizzerà mai perché il mondo che conosciamo giorno dopo giorno ci parla di capitali, di listini di borsa, di aziende che si ingrandiscono inglobando aziende più piccole, di fallimenti  e di licenziamenti, di difficoltà a trovare lavoro e quindi a vivere, di governi che si arrabattano tra politiche espansive e politiche recessive, tra continue questioni di crescita economica e di crisi economica, di concorrenza tra aziende, tra Stati e di guerre guerreggiate e di guerre annunciate, di povertà crescente anche nei paesi superindustrializzati e di masse sempre più numerose di migranti disperatamente alla ricerca di luoghi in cui sopravvivere, di disastri ambientali e di catastrofi provocate da un’economia della sciagura, da inesistenti misure di sicurezza sui posti di lavoro e dall’uso sconsiderato di materiali nocivi. Viviamo in un mondo di violenze di ogni genere attraverso le quali si esprime una società che da tempo ormai non offre più all’umanità un futuro di armonia sociale in cui la priorità sia la soddisfazione delle esigenze di vita e di sviluppo della specie umana. Oggi, più di ieri, la classe del proletariato sembra scomparsa dalla scena sociale, immersa e confusa nel più che generico “popolo” dal quale emergono di volta in volta i ceti medi, gli intellettuali, i padroncini, le medie e piccole aziende della cui operosità vengono fatte lodi sperticate. Quando si parla di proletari, di senza riserve, di classe operaia sembra di parlare di un lontano passato destinato a non ripresentarsi più, di un’epoca in cui gli operai hanno sì tentato di conquistare il potere prendendo il posto della classe borghese, ma alla fine non ce l’hanno fatta, sono stati sconfitti: i benpesanti dissero che non ce la potevano fare perché non avevano la cultura del potere, non avevano l’esperienza dell’amministrazione delle aziende e quindi nemmeno dello Stato e che, anche se alcuni di loro si fossero istruiti a dovere e avessero imparato a gestire le aziende e lo Stato, avrebbero comunque dovuto lavorare al servizio della classe dominante borghese, l’unica che conosce gli intricati meccanismi dell’economia e della finanza capitalistiche.

Se davvero fosse così, perché la classe dominante borghese dovrebbe temere che la classe proletaria si renda indipendente, si organizzi indipendentemente e con propri obiettivi di classe; perché dovrebbe temere il movimento di classe del proletariato, perché dovrebbe spendere risorse incalcolabili per imprigionare il proletariato nei meccanismi della democrazia, della collaborazione interclassista, dell’opportunismo sindacale e politico? Perché la classe dominante borghese si dà tanto da fare per rendere sempre più acuta la concorrenza fra proletari, frammentandoli in mille stratificazioni diverse per impedirne il movimento unificante e indipendente, creando, inoltre, un sempre più vasto esercito industriale di riserva che ormai abbraccia l’intero mondo?

La classe dominante borghese non è mossa da compassione, ma dalla sete di profitto e quando tollera, o sostiene, azioni di soccorso e di pietà nei confronti di masse disperate di cui ha provocato la miseria e l’emarginazione, lo fa perché ha un interesse – in questo caso indiretto – a tener legati al proprio carro gli strati di proletari che sfrutta stabilmente pagandoli meglio di tutti gli altri, dimostrando loro che i proletari degli strati inferiori (più “sfortunati” e nei quali strati, a causa delle crisi economiche, anche i proletari più “fortunati” potrebbero precipitare) non vengono completamente abbandonati, alimentando in questo modo quella parte di compassione sociale e di pietà in cui eccellono le organizzazioni religiose e del volontariato chiamate a collaborare praticamente e idealmente nel mantenere l’immagine di uno Stato “al di sopra delle classi”, di uno Stato di “tutti i cittadini”, di uno Stato che “non abbandona nessuno”.

Chi legge la nostra stampa sa che la nostra attività non si limita a denunciare le contraddizioni della società capitalistica e le malefatte dei governi e dei padroni, né si culla nell’illusione che basti attendere che i fattori materiali oggettivi maturino perché il proletariato ritorni ad essere un protagonista della sua storia, e della storia umana in generale; né, tantomeno, la caratterizza con l’idea che basti diffondere nella società e verso tutte le classi, anche se principalmente verso il proletariato, una cultura che faccia leva sulle coscienze di ogni individuo, una cultura alternativa a quella capitalistica dominante. La nostra attività è innanzitutto un’attività a carattere di partito, cioè un’attività che risponde ai compiti che il marxismo ha definito per il partito di classe che rappresenta storicamente l’esperienza e la conoscenza del movimento reale, delle sue caratteristiche sociali e ideologiche, delle sue contraddizioni e della prospettiva nella quale storicamente, inevitabilmente, procede. Sulla base scientificamente definita dal marxismo, sappiamo che lo sviluppo delle forze produttive – che col capitalismo raggiunge il più alto livello che una società divisa in classi può raggiungere – si scontra, e si scontrerà con sempre maggior forza, con le forme della produzione che il capitalismo ha imposto e mantiene con una violenza sempre maggiore. Il proletariato, perciò, che inconsapevolmente è l’unica classe rivoluzionaria della società borghese, è destinato storicamente a lottare, in quanto primaria forza produttiva, in difesa delle sue condizioni sociali di vita e di lavoro contro le forme capitalistiche di produzione che lo costringono alla schiavitù salariale, e ad elevare la propria lotta oltre i limiti dei rapporti sociali e di produzione borghesi, a livello politico generale in uno scontro classe contro classe il cui risultato finale, dopo i flussi e i riflussi storici della lotta fra le classi, le avanzate e gli arretramenti inevitabili, vista la straordinaria resistenza che le classi dominanti borghesi metteranno in campo per non morire, non potrà che essere vittorioso.

L’obiettivo storico della lotta di classe del proletariato è una nuova organizzazione sociale dell’umanità, una nuova società non più basata sulla divisione in classi, una società di specie. Verso questo obiettivo storico, il proletariato come classe oggettivamente rivoluzionaria non potrà servirsi soltanto della sua forza sociale in quanto, nella società capitalistica, esso esprime la massima contraddizione dialettica: è nello stesso tempo classe per il capitale e classe per sé, è classe che produce e valorizza il capitale – rafforzandone dunque la potenza e il dominio sociale – ma è anche classe che lotta per distruggere il capitale, per abbatterne il dominio economico e sociale da cui derviva la sua schiavitù. Data la sua condizione sociale di classe salariata, di classe senza riserve, dunque di classe che non ha nulla da difendere in questa società, il proletariato è storicamente proiettato a distruggere e a superare le forme di produzione borghesi contro cui si schiantano le forze produttive nel loro stesso sviluppo; forze produttive che sono costrette a limitare il proprio sviluppo, o a retrocedere, a causa degli interessi del profitto capitalistico, a causa dell’anarchia economica che caratterizza il capitalismo, a causa delle crisi sempre più acute nelle quali periodicamente precipita l’intera economia capitalistica e, con essa, l’intera società.

Ebbene, per utilizzare la sua forza sociale come classe per sé, il proletariato non può utilizzare una forza economica già sviluppata all’interno della società presente, come poté farlo la borghesia all’interno della società feudale. La borghesia, in effetti, stava già rivoluzionando l’economia esistente attraverso gli opifici e la manifattura, creando in questo modo, per aprire la via allo sviluppo capitalistico, la necessità politica di eliminare tutti i vincoli prodotti dalle forme sociali e politiche del feudalesimo. L’economia capitalistica, per svilupparsi, aveva bisogno di rendere liberi i servi della gleba, trasformarli in proletari (possessori solo della loro forza lavoro) per associarli come lavoratori salariati nelle proprie fabbriche; aveva bisogno di eliminare al massimo ogni intralcio formale alla circolazione delle merci e del denaro; aveva bisogno di modificare l’impianto politico nazionale al fine di creare un mercato interno in cui sviluppare al massimo le nuove attività economiche industriali, superando progressivamente l’economia artigianale e piccolo contadina. La rivoluzione politica, per la borghesia, diventava una necessità dettata dal già avviato sviluppo economico del capitalismo che stava materialmente rivoluzionando i modi di produzione precedenti. Per il proletariato succederà esattamente l’inverso: è la rivoluzione politica che aprirà la possibilità di trasformare l’economia sociale, distruggendo il modo di produzione capitalistico per sostituirlo col modo di produzione socialista (modo di produzione di transizione dal capitalismo al comunismo) e, in seguito, comunista (corrispondente alla società senza classi). Ma alla rivoluzione politica del proletariato è indispensabile una guida politica in grado di conoscere tutto il tragitto che la lotta di classe rivoluzionaria deve necessariamente percorrere per conquistare il potere politico, abbattere lo Stato borghese, instaurare la propria dittatura di classe al fine di intervenire dispoticamente sul tessuto sociale ed economico capitalistico, aprendo in questo modo la società al superamento di tutte le contraddizioni sociali ed economiche, di ogni oppressione, di ogni forma di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di ogni antagonismo di classe che caratterizzano la società borghese. Senza questo passaggio che la storia stessa delle lotte fra le classi impone, il capitalismo non verrà mai vinto, mai eliminato, mai superato.

Quella guida politica è il partito di classe, cioè l’organo della rivoluzione proletaria che, sulla base della sola teoria rivoluzionaria degna di questo nome nella presente società e che storicamente chiamiamo marxismo, ha il compito di guidare internazionalmente il proletariato fino all’obiettivo supremo, la società senza classi, in cui si capovolge completamente il rapporto sociale e di produzione del capitalismo: l’operaio, il lavoratore salariato, il produttore della ricchezza sociale non sarà più al servizio esclusivo della produzione e riproduzione del capitale, ma la produzione dei mezzi di sussistenza e dei mezzi di produzione saranno esclusivamente al servizio dei produttori, al servizio della specie umana secondo una pianificazione armonica e scientifica delle esigenze di vita sociale del genere umano e delle generazioni che si succedono l’una all’altra. 

Noi, militanti comunisti, rivoluzionari e internazionalisti, nonostante il lungo periodo di oscurità e di sconfitta che sta attraversando la classe proletaria, nella certezza della prospettiva storica in cui la classe proletaria mondiale è materialmente inserita, lavoriamo – sebbene ridotti inevitabilmente ad un piccolo nucleo – per la ricostituzione del partito di classe, compatto e potente che un domani sarà alla testa del movimento proletario rivoluzionario, come lo è stato nell’Ottobre 1917 in Russia e negli anni immediatamente successivi con la costituzione dell’Internazionale Comunista, per il proletariato mondiale.

Non per scelta, ma obbligati, dal rapporto di forze estremamente sfavorevole, a svolgere un’attività soprattutto di critica e di propaganda, ma mai negandoci la possibilità di intervenire in ogni anche piccolo e parziale spiraglio di lotta proletaria, secondo le nostre forze, chiediamo a voi lettori un sostegno concreto a diffondere la nostra stampa, ad utilizzarla per l’approfondimento dei vari temi che stimolano la vostra critica e la vostra sensibilità politica, e a contribuire finanziariamente alla sua continuità nel tempo e nello spazio. La nostra voce, oggi, viene purtroppo confusa e distorta non soltanto dalle forze opportuniste tradizionali, piegate agli interessi borghesi e capitalistici in pace e in guerra, di derivazione stalinista, socialdemocratica, maoista o anarchica, ma anche da gruppi che, pescando più o meno casualmente nel patrimonio del marxismo, del leninismo o della sinistra comunista d’Italia, si definiscono rivoluzionari, comunisti, se non “eredi” della corrente di sinistra comunista alla quale noi ci riferiamo. E’ sempre avvenuto, fin da quando il marxismo è apparso nella storia, che, dalle contraddizioni stesse della vita sociale e politica del capitalismo e dalle vicende per nulla lineari della lotta di classe, si siano formati gruppi e correnti che mescolavano posizioni e concetti marxisti con posizioni e concetti appartenenti all’ideologia borghese, fra i quali vanno per la maggiore l’indifferentismo e il democratismo. La lotta contro la borghesia, che è il nemico principale del proletariato, non può essere svincolata dalla lotta contro tutte le correnti opportuniste, soprattutto quelle che appaiono più affini alla nostra, perché operano – non importa se coscientemente o meno – per deviare sistematicamente la lotta proletaria dal suo terreno di classe facendole abbracciare compiti, posizioni, obiettivi, interessi che, di fatto, portano il proletariato a  logorare le proprie forze senza alcun risultato, se non alla collaborazione di classe spesso mimetizzata da “finalità comuni” con altri strati sociali e classi, fondamentalmente conservatori, borghesi, reazionari.

La lotta che un’attività a carattere di partito come la nostra deve portare avanti con intransigenza è certamente la lotta sul piano teorico e programmatico, perché senza teoria rivoluzionaria non ci sarà mai rivoluzione proletaria vittoriosa; ma anche su tutti gli altri piani, ideologico, politico, sociale, tattico, organizzativo, e, per quanto modestissime siano le nostre attuali forze, nessun campo di attività viene lasciato volontariamente da parte. Perciò l’appello che vi lanciamo ha esclusivamente un obiettivo politico: la continuità della nostra stampa, la continuità della nostra attività di partito.

 

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