Per la valutazione storica della dittatura proletaria

(«il comunista»; N° 159; Maggio 2019)

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Questo scritto fu pubblicato nel n. 599 del 17 agosto 1919 de "L'Avanguardia", il giornale della Federazione Giovanile del PSI. Qui la Sinistra comunista entra nel merito di una discussione incentrata sul concetto della dittatura proletaria per contrastare la confusione di idee diffuse dai massimalisti "adulti" nelle file del movimento giovanile.

Ripubblicato in Appendice alla "Storia della Sinistra comunista", vol. I, il nostro partito ha inteso mettere in rilievo come questo testo ripropone la questione storica e teorica generale, sulla base dei principi stabiliti da Marx e difesi da Lenin. La sua importanza è data anche dal fatto che in Italia, all'epoca, non si conoscevano ancora "Stato e Rivoluzione" di Lenin, e l'indiscutibile difesa da parte sua dei principi del comunismo rivoluzionario sui quali vi è un perfetto allineamento.

 

 

I compagni del Comitato Centrale ci chiedono un giudizio sull’Appello della Gioventù socialista italiana ai giovani socialisti e proletari di tutti i paesi. Va detto chiaramente che la parte sostanziale dell’Appello, cioè quella che tratta della Dittatura proletaria, non presenta sufficiente precisione programmatica e non s’ispira esattamente a quella dottrina marxista cui l’Appello si richiama, e che va oggi trovando nei grandiosi avvenimenti storici rivoluzionari la sua meravigliosa realizzazione.

Mentre l’Appello dice giustamente che l’obiettivo del proletariato nella lotta rivoluzionaria deve essere quello della conquista del potere per sostituire al governo della borghesia i Consigli degli Operai (meglio si sarebbe detto lo Stato dei Consigli), è detto poi che alla dittatura del proletariato ricorreranno i Consigli stessi qualora sorgesse contro di loro la borghesia; e in via transitoria.

Il concetto storico della dittatura proletaria perde così tutta la sua importanza, perché ne viene negata la universalità e la necessità; lasciando intendere (soltanto perché pare si tema di urtare coloro - democratici borghesi ed anarchici - che si adombrano di tale concetto) che possa esservi passaggio rivoluzionario dal capitalismo al socialismo senza la dittatura, il che è gravissimo errore.

Vi è anzitutto una contraddizione: nei concetti di conquista del potere e di regime dei Consigli è già contenuto il concetto della dittatura proletaria, che dopo viene limitato e svalutato dall’Appello.

Ci pare dunque di vedere in questo la preoccupazione di non urtare le vedute anti-autoritarie e antistatali degli elementi anarchici e sindacalisti, il che determina una notevole mancanza di precisione teorica.

Non sembri, questa, cosa di poca importanza, e ce ne appelliamo ad uno scritto di Lenin del 1915 che leggiamo proprio sull’ottima rivista «L’Ordine Nuovo» di Torino, nel quale egli rettifica analoghe inesattezze di un giornale della gioventù socialista internazionale, richiamandosi alla necessità della «chiarezza e continuità teorica». Vedremmo con piacere tale scritto riprodotto dall’«Avanguardia».

La teoria nella politica non è altro che il risultato della indagine critica sul passato e sul presente, dalla quale si traggono le previsioni sulle leggi degli sviluppi storici avvenire, deducendone le norme della tattica che il partito rivoluzionario deve adottare. La teoria di oggi é dunque la pratica di domani. Chi nega l’importanza della teoria dinanzi alla pratica é essenzialmente antirivoluzionario, poiché è fautore di un’azione slegata ed empirica determinantesi giorno per giorno, caratteristica dei partiti di conservazione e principalmente del riformismo. La teoria critica posseduta dal nostro partito, cioè il marxismo, ha così luminose conferme negli svolgimenti storici presenti, da autorizzarci a seguirla nel senso più strettamente intransigente, differenziandoci da tutte le altre scuole. È veramente rivoluzionario soltanto quel partito la cui dottrina e il cui programma riflettono fedelmente gli effettivi svolgimenti storici che il processo della rivoluzione presenta. Deve dunque dirsi che, come il socialismo marxista fece giustizia (oltre che delle scuole ideologiche borghesi) delle concezioni del socialismo utopistico, così oggi esso prevale in confronto alle scuole che sorsero dai posteriori tentativi di revisione: l’anarchismo, il sindacalismo ed il riformismo. Queste dottrine, e conseguentemente i metodi politici che ne scaturiscono, sono dunque da dichiararsi non rivoluzionari ed ogni diverso atteggiamento nei loro confronti è puro opportunismo.

Adoperiamoci dunque, se vogliamo concorrere al grandioso sviluppo delle premesse della rivoluzione sociale, a concretare e precisare la nostra visione programmatica senza di che faremo opera sterile ed in qualche caso anche contro-rivoluzionaria.

Occorre dunque ricostruire i capisaldi del processo rivoluzionario esposti, come dicevamo, nell’Appello in modo poco preciso.

 

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Contrapporre alla società presente a proprietà privata la visione di una società avvenire, nella quale la proprietà sia comune e siano così eliminati tutti gli inconvenienti e i mali sociali che derivano dagli attuali ordinamenti economici, è uno sforzo ideale nel quale non è ancora contenuto il socialismo.

Il passaggio dal socialismo utopista al comunismo critico o socialismo scientifico si ha allorquando viene posto e risolto il problema di determinare il processo storico che conduce dalla società attuale a quella socialista.

La prima concezione è propria del metodo metafisico, che consiste nel pensare per contrapposizioni assolute ed eterne, opponendo il bene al male, il giusto all’ingiusto, o il comunismo al capitalismo.

Questo metodo non intende i reali sviluppi della storia, non concepisce i reali termini del trapasso, e negando e capovolgendo tutti i caratteri del mondo attuale si illude di aver creato senz’altro il mondo ideale dell’avvenire.

Al contrario il pensiero marxista, secondo il metodo dialettico, concepisce tutti i fenomeni sociali nei complessi rapporti e svolgimenti del loro incessante divenire, e senza preoccuparsi di contrapposizioni astratte e scolastiche cerca di determinare le fasi dello sviluppo storico; tra la società socialista e la società capitalista vede il rapporto logico di effetto a causa più che il gioco di una pura negazione ideologica. L’applicazione di questo metodo storico allo studio della costituzione della società e della sua storia passata permise di giungere a un sistema di conclusioni che oggi, per le evidenti conferme avute nella realtà storica, possono enunciarsi con sicurezza maggiore. È nel seno della società capitalista che sono maturate le condizioni per la realizzazione del comunismo, e la forza più importante che tende a determinarlo é il proletariato, classe rivoluzionaria.

L’ordinamento economico privato seguita a sussistere perché la minoranza borghese lo difende avvalendosi del potere che é nelle sue mani.

Il proletariato tende dunque a distruggere il potere della borghesia, e ciò non può avvenire senza un assalto violento e una lotta guerreggiata tra le due classi, È inutile qui ripetere la dimostrazione che le forme democratiche dello Stato borghese non danno adito allo spodestamento politico della borghesia, pur essendo questa, per sua natura, una minoranza. Questo periodo di lotta insurrezionale é dunque un periodo necessario, ma non contiene in sé tutto il processo che sostituirà l’economia comune a quella privata.

Tolto alla borghesia il potere politico, non si può toglierle subito il privilegio economico, espropriarla e abolirla senz’altro tra i bagliori stessi della battaglia insurrezionale. Questo lo pensano metafisicamente, e perciò non rivoluzionariamente, appunto gli anarchici. Espropriare tutto immediatamente sarebbe impossibile. Ciò arresterebbe di colpo la gestione della produzione.

Il problema storico é dunque di conservare la borghesia come classe economica, assicurandone la espropriazione e la eliminazione graduale più rapida che sia possibile, senza però paralizzare la produzione, e nello stesso tempo impedire che la borghesia ricostituisca il suo potere riconsacrando l’intangibile diritto della proprietà privata. La dittatura proletaria é la necessaria soluzione storica di questo problema. Essa é il nucleo della rivoluzione sociale. Ai superstiti borghesi viene lasciata la direzione delle aziende e in principio anche il profitto del loro capitale - ma ad essi viene negato ogni potere politico, riservandolo ai soli lavoratori.

Ecco come il proletariato deve organizzare un nuovo potere, divenire classe dominante, fondare dopo l’abbattimento del governo borghese lo Stato e il Governo proletario.

Si stabiliscono così le basi granitiche della espropriazione dei privati capitali, della socializzazione della produzione, del comunismo.

Questa espropriazione sarà la più rapida che sia praticamente e tecnicamente possibile, poiché coloro che sarebbero interessati ad evitarla saranno esclusi da ogni ingerenza nella preparazione delle disposizioni coattive, con le quali lo Stato proletario procederà alla socializzazione. Attraverso questo processo si andrà alla abolizione delle classi, all’assorbimento della borghesia nel proletariato, e quindi alla società senza classi e senza Stato politico - ma caratterizzata da una economia collettiva ad amministrazione centrale.

Ma questo processo sarà almeno tanto lungo, quanto occorrerà perché non solo ogni privilegio borghese sia sradicato, ma sia anche in massima eliminato tutto il mostruoso bagaglio di eredità degenerative lasciate dall’assetto borghese nell’insieme organico dell’umanità.

Le tare fisiche e sociali derivanti dal pauperismo non spariranno che lentamente, in conseguenza della soppressione dello sfruttamento umano.

Fino allora ci saranno non solo i borghesi da espropriare con la forza, ma anche degli elementi in genere restii ad accettare le forme comuniste nelle loro necessarie successive applicazioni. Fino allora ci sarà necessità del potere, della coazione e dell’autorità.

Il resto é leggenda che può vivere nella retorica, non nella storia; nella follia, non nella politica rivoluzionaria. Sarebbe interessante addentrarsi nella critica della concezione libertaria del processo rivoluzionario (abolizione di ogni potere a gioco della illimitata libertà individuale, che sbocca nella ricostituzione comunista della società) per dimostrare quanto essa sia metafisica e perciò pre-marxistica, puramente illusionista, appunto perché non vede dialetticamente il processo storico della rivoluzione. In questo, lo Stato proletario é il capovolgimento dello Stato borghese: esso é ancora una macchina per l’oppressione di classe ma é il proletariato che l’impiega contro la borghesia - anziché difendere il privilegio di classe, esso lo investe prima, per sopprimerlo poi «nel corso di una evoluzione».

La «libertà» non erompe metafisicamente all’ora B del giorno C dalla maggiore demolizione del concetto autoritario, ma essa emerge come logico risultato di nuove condizioni economiche, ossia dalla concreta soppressione dello sfruttamento. Meravigliarsi che per giungere alla «libertà» occorrano fatti di «autorità», che per abolire il dominio di classe occorra un dominio di classe, vuol dire non intendere nulla di dialettica ed essere degni di essere nati cinquant’anni prima di Carlo Marx e della sua dottrina. E non è un perfetto metafisico l’anarchico, che nega la necessità della storia, e la causalità del socialismo nel capitalismo, per rimasticare il suo teorema favorito, se non fosse esistito lo «Stato autoritario», l’umanità avrebbe vissuto da millenni nell’età dell’oro del comunismo?

Ma arrestiamoci in questa discussione e torniamo al vostro Appello, per concludere. La dittatura proletaria - se ne adonti chi vuole - è la caratteristica sostanziale ed universale della rivoluzione comunista. Grave inesattezza è dire che vi si ricorrerà qualora la borghesia resista: essa resisterà sempre ed ovunque, e in ogni modo dove é regime soviettista ivi é la dittatura proletaria. Sarà un periodo transitorio. È vero. Ma che vuol dire ciò? Ogni periodo storico é transitorio. Ma il periodo della dittatura - non diciamo del terrore - potrà durare anche alcune generazioni. Non vivono nell’odierna società borghese, dopo centinaia di anni, forme di feudalismo, sebbene questo sia stato spazzato via dal potere della rivoluzione borghese?

E se col «transitorio» si vuol acquietare chi non vuol accettare il criterio programmatico della dittatura, si fa opera dannosa di anti-preparazione rivoluzionaria. Lasciare nell’ombra certe linee del programma per aumentare gli aderenti - ecco un metodo anti-rivoluzionario per eccellenza.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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