20-21 luglio 2001: sui fatti di Genova, durante il G8

Operazioni di polizia e violenta sopraffazione per sfogare istinti di vendetta repressi, ieri come oggi

(«il comunista»; N° 160 ; Luglio 2019)

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I diciottenni di oggi non hanno idea, o hanno un’idea molto approssimativa, di quel che successe a Genova, nel luglio del 2001, in occasione del G8 e delle manifestazioni dei cosiddetti “no-global”, delle misure di sicurezza e della blindatura della città come se invece di manifestazioni pacifiste ci si dovesse attendere lo scoppio di una guerra civile.

Chi erano i no-global? Il “movimento no-global” nasce, nel 1997, in Australia (nelle città di Melbourne, Perth, Sydney, Darwin) dalla forte contestazione di diversi strati sociali – dalla classe media all’aristocrazia operaia – nei confronti di una generalizzazione del “libero mercato”, nella quale dominano il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale e l’Organizzazione Mondiale del Commercio (la WTO), ossia i più grandi centri del capitale finanziario e le più grandi potenze imperialiste del mondo. Ma è a Seattle (USA) dove, nel novembre del 1999, si tenne il vertice del WTO che doveva dare l’avvio appunto agli accordi internazionali sotto la direzione delle potenze finanziarie mondiali, che il movimento “no-global” assume notorietà internazionale influenzando i movimenti fino a tutto il 2001, quando, dopo l’attacco terroristico alle Torri Gemelle di New York, il peso della propaganda borghese si sposta tutto sulla “lotta al terrorismo internazionale”, islamico in particolare.

Le contestazioni vertevano su argomenti inerenti lo strangolamento dei paesi nel Sud del mondo (che subivano la delocalizzazione industriale per la quale il centro dirigente manteneva la sede nel paese capitalista avanzato, mentre la manodopera a basso costo produceva nei paesi arretrati), la salvaguardia dell’ambiente, l’inquinamento, le condizioni di vita delle popolazioni ecc. A Seattle i manifestanti impedirono ai delegati dei vari paesi di raggiungere la sede del vertice e i loro stessi alberghi, scontrandosi duramente con la polizia che usò a profusione lacrimogeni, spray al pepe e molte bastonate. A Seattle fecero anche la comparsa, per la prima volta, i Black Bloc (1) che assaltarono banche e negozi. E’ da queste vicende che il movimento “no-global” prese il nome di “Popolo di Seattle” e, come in ogni manifestazione popolare, gli obiettivi che si poneva erano tutti riconducibili al vecchio e logoro riformismo socialdemocratico: si imploravano i potenti di avere riguardo per i poveri del mondo, di avere rispetto delle tradizioni, dei costumi e delle civiltà degli altri popoli, di limitare lo sfruttamento rendendolo più sopportabile, di non danneggiare l’ambiente; insomma, di accontentarsi di meno profitti per sè e di distribuire più “equamente” la ricchezza posseduta. Per quanto queste manifestazioni mobilitassero decine di migliaia di persone, rivendicanti legalità e pacifismo, le grandi potenze continuarono nei loro progetti anche perché non c’è nessuna borghesia al mondo che riuscirebbe, anche se lo volesse, ad invertire il corso oggettivo dello sviluppo capitalistico nella forma dell’imperialismo che vede, inevitabilmente, un numero ristretto di potenze mondiali dominare il mondo.

Gli anni successivi sono stati densi di manifestazioni e scontri, tra cui i più noti e importanti sono stati: gennaio 2000, a Davos, in Svizzera, in occasione del Forum economico mondiale, alla presenza del presidente americano Bill Clinton che difendeva la WTO anche se suggeriva di riformarla; aprile 2000, è stata la volta di Washington, dove i grandi del mondo di riunivano per discutere della crisi dei mercati e dei debiti dei paesi poveri;  marzo 2001 a Napoli, dove il governo italiano aveva organizzato un Global Forum con l’OCSE e la Banca Mondiale; giugno 2001, a Göteborg, in Svezia, per il vertice dell’UE in cui si discusse dell’allargamento dell’UE ai paesi dell’Est Europa, del protocollo di Kyoto sull’ambiente e, naturalmente, di politica economica legata all’instaurazione della moneta unica, l’euro.

Si arriva così a luglio 2001, a Genova, dove il governo Berlusconi decise di organizzare il vertice del G8, ossia degli 8 paesi più potenti del mondo (Usa, Giappone, Germania, Francia, Regno Unito, Italia, Canada ai quali dal 1998 si aggiunse la Russia).

Genova 2001 segnerà un punto cruciale nell’attuazione della politica italiana relativamente all’ordine pubblico. Da allora, in ogni città in cui si terranno i vertici delle potenze mondiali si organizzerà, per tutti i giorni interessati, una zona rossa, corripondente alla parte di città blindata e controllata da imponenti forze di polizia e nella quale vengono applicate misure da coprifuoco. Le manifestazioni di protesta sono ammesse (come vuole la democrazia) in altre parti delle città, ma sotto stretta sorveglianza di tutte le forze dell’ordine mobilitate per l’occasione (polizia, carabinieri, guardia di finanza, forestale, polizia locale ecc.).

Il 19 luglio, a Genova, prima delle manifestazioni dei “no-global” previste dal Global Forum per il 20 e 21 luglio, era stata organizzata una manifestazione di extracomunitari e di immigrati alla quale parteciparono anche molti abitanti genovesi rivendicando diritti che, sebbene scritti, non venivano mai applicati. La partecipazione fu notevole, almeno 50mila persone, e la manifestazione si svolse senza scontri. Ma il 20 luglio, di fronte alla mobilitazione di 200 mila persone, la polizia intervenne pesantemente contro i manifestanti, in più punti, lungo il corteo delle varie organizzazioni ambientaliste e pacifiste, con il pretesto fornito da alcune centinaia di black bloc che, da un lato attuavano atti vandalici contro le vetrine di negozi e banche e, dall’altro, con i cassonetti dell’immondizia costruivano barricate, incendiandole, al riparo delle quali lanciavano bottiglie molotov e oggetti contro la polizia (1). Quel che fu subito chiaro, sia agli organizzatori della manifestazione, sia ai manifestanti, fu l’atteggiamento della polizia: attaccava con lacrimogeni e manganellava il corteo dei pacifisti, ma tollerava i vandalismi dei black bloc tenendosene a debita distanza. Nel pomeriggio di venerdì 20, da via Tolemaide stava sopraggiungendo in piazza Alimonda il corteo delle “tute bianche”, dei cobas operai, ed è lì che, negli scontri seguiti dagli attacchi dei carabinieri e della polizia, colpi di pistola sparati dall’interno di un Defender dei carabinieri colpiscono Carlo Giuliani, uccidendolo. Sabato, 21 luglio, diventerà un’altra giornata di manifestazioni e di attacchi della polizia ai cortei con lacrimogeni e manganelli; quasi 300mila persone vi parteciparono, nonostante gli scontri del giorno precedente. La scuola Diaz, designata dal comune di Genova come sede del media center degli organizzatori delle manifestazioni, è il luogo in cui, dopo le 23, la polizia fa irruzione con il pretesto di cercare armi; saranno trovate, in effetti, due bottiglie molotov, ma dalle testimonianze e dalle documentazioni fotografiche emergerà che furono gli stessi poliziotti a portarle all’interno della scuola. L’irruzione della polizia si trasforma immediatamente in una vera e propria “macelleria messicana”, come verrà chiamata subito dai giornali in tutto il mondo, perché tutti i presenti, molti dei quali colti nel sonno, furono bastonati a sangue e portati via; insieme con altri, arrestati durante le manifestazioni, finiranno alla caserma di Bolzaneto, dove i poliziotti della penitenziaria sfogheranno la loro crudeltà, verbale, psicologica e fisica (2).

Genova 2001, fu colta dal governo italiano come occasione per far vedere ai rappresentanti degli Stati più potenti del mondo che l’Italia era all’altezza di qualsiasi altro grande paese rispetto al controllo sociale, con preparatissime forze dell’ordine che avrebbero utilizzato ogni mezzo a loro disposizione (compresa la brutalità della repressione e la tortura) perché le masse, accorse a manifestare contro i signori del potere economico e politico mondiale, dovevano essere terrorizzate al fine di impedire preventivamente che movimenti di questo tipo (soprattutto se di carattere effettivamente proletario) potessero sviluppare nel paese una vasta e profonda rivolta contro il potere costituito. Si dimostrò, così, che anche le manifestazioni più pacifiche e più partecipate possono rappresentare per il potere costituito un fastidio e, nello stesso tempo, un’occasione per le forze dell’ordine di fare pratica, di fare esperienza perché un domani, quando il proletariato si riorganizzerà sul terreno della lotta di classe e si batterà per i suoi interessi di classe senza alcun timore degli apparati militari dello Stato borghese, la polizia e l’esercito avranno le città come teatro degli scontri, con le loro strade, le loro piazze, i loro ponti e i loro abitanti.

Erano talmente abbondanti le prove documentali, le foto, i video, le testimonianze, che era impossibile per la magistratura archiviare rapidamente i processi, salvando da ogni accusa le forze di polizia. Solo dopo anni, però, alcuni questori, vicequestori e vari responsabili furono incriminati e condannati, ma non i gradi superiori tra cui spiccava, e spicca, l’ex capo della polizia De Gennaro; quest’ultimo non solo è stato promosso, e mantenuto nelle sue cariche sia dai governi di destra che da quelli di sinistra, ma è stato alla fine fatto presidente della Finmeccanica (ora Leonardo-Finmeccanica), la più importante industria militare italiana.

Tutto ciò non deve sorprendere, perché i borghesi si aiutano e si proteggono a vicenda, soprattutto nei confronti di chi, per le funzioni svolte, è venuto a conoscenza di molti segreti. Poteva imbarazzare il PD, per il fatto che De Gennaro era indagato dalla magistratura per i fatti di Genova 2001, quando Letta nel 2013 lo ha nominato presidente di Finmeccanica? No, come non aveva imbarazzato Monti, nel 2012, quando lo nominò segretario di Stato con delega alla sicurezza della Repubblica. Su facebook, il pentastellato Grillo alzò la voce contro i governanti che nel 2013 promuovevano De Gennaro: “Vi ricordate del G8 di Genova? La mattanza della Diaz? E’ appena uscita questa notizia. Inaccettabile!” (3). Ma ora che il Movimento 5 Stelle è al governo e condivide la politica repressiva della Lega, silenzio su tutta la linea: i borghesi mettono il vestito più adatto a seconda delle circostanze..., non c’è da aspettarsi nulla di diverso da loro.

E i poliziotti, che dovrebbero essere i garanti dei diritti previsti dalla costituzione democratica, erano davvero tutti d’accordo nelle azioni repressive e di tortura applicate a Genova? Dagli atteggiamenti immediati rispetto ai black bloc, all’assassinio di Carlo Giuliani, alla mattanza della Diaz e alle torture di Bolzaneto, e dalle dimostrazioni di solidarietà e di cameratismo, di depistaggi e di coperture, a partire dalle alte sfere, che vi furono successivamente, cosa dedurre se non che stanno tutti dalla stessa parte, per convinzione o per convenienza poco importa. E’ successa la stessa cosa all’epoca degli anarchici o dei brigatisti arrestati, e così nei confronti di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini tanto per non dimenticare gli assassinati più recenti (4).

Ma la democrazia è bifronte: alla faccia dura, spietata, repressiva, giustificata sempre come difesa della stabilità politica del paese, come dell’ordine pubblico e della sicurezza repubblicana, risponde l’altra faccia, quella compassionevole, del diritto, della verità, della giustizia e del disgusto per atti di violenza contro inermi. Se alle forze dell’ordine, come è ovvio, viene riconosciuto il ruolo della difesa militare delle istituzioni e dei loro rappresentanti, alle altre istituzioni, i media, gli avvocati, l’opposizione politica, la chiesa, i registi, gli scrittori e quella vasta gamma di “opinionisti” e “commentatori” che pullulano nelle redazioni, nei talk show e, oggi, nei socialnetwork viene riconosciuto il ruolo della critica e della difesa della morale pubblica, del diritto sopra ogni cosa, della difesa della vita umana prima di tutto ecc. ecc. Nella divisione dei compiti, la democrazia borghese giustifica prima o poi tutto e, naturalmente, riduce sempre le trasgressioni e gli atti “al di fuori delle regole” a colpe individuali; ma l’obiettivo fondamentale è sempre uno solo: la difesa del capitalismo e del sistema politico che meglio lo difende, obiettivo per il quale, alla fine, tutto è permesso!

Ogni anno, a luglio, c’è chi ricorda Genova 2001 e la mattanza della Diaz, invocando una giustizia che dovrebbe sempre calare dall’alto e della quale ogni individuo, ogni abitante di un paese democratico dovrebbe sentire l’urgenza. Anche i poliziotti sono individui, sono cittadini di un paese democratico, e anche tra di loro dovrebbe prevalere il senso dell’onestà, della rettitudine, della dirittura morale, insomma della Giustizia con la g maiuscola. Ma in un ambiente in cui l’addestramento militare e di polizia prevede necessariamente l’intervento della forza “per combattere il crimine”, qualunque forma il crimine assuma – anche quella pacifica e disarmata –, e  prevede il rigoroso rispetto della gerarchia e degli ordini, il quotidiano lavoro di polizia non può che contare su quello che viene definito generalmente “spirito di squadra” e che spesso, nei telefilm, è messo in risalto come “fiducia tra partner” al punto che uno copre l’altro, e viceversa, anche nel caso in cui uno la faccia sporca.

E così, visto che, nella vita reale, i casi come quelli successi a Genova durante il G8 del 2001, possono far scendere notevolmente la credibilità e la fiducia nella polizia e, in genere, nelle forze dell’ordine, si mobilitano le forze democratiche che vogliono salvare il ruolo delle forze dell’ordine come servizio di difesa dei cittadini e della democrazia, condannando moralmente e con i “giusti processi” coloro che si sono macchiati di atti inutilmente violenti e di torture. Operazione difficile, ma non impossibile. Ci pensano da tempo le serie tv sui distretti di polizia, sui carabinieri o sulla forestale, e ci pensano naturalmente gli scrittori di gialli da cui trarre film e fiction.

Tra questi ultimi, in occasione del 20 luglio, Radio Popolare di Milano ha ricordato un libro di Camilleri, Il giro di Boa, pubblicato nel 2003, che prende le mosse proprio dai fatti di Genova del 2001, in cui, per l’appunto, il famoso commissario Montalbano rimane molto colpito e disgustato da quel che hanno fatto i suoi colleghi a Genova e alla Diaz, e dalla notizia, data in tv, che erano stati proprio i poliziotti a portare all’interno della Scuola Diaz le due bottiglie molotov per creare il pretesto della mattanza. Nella telefonata con la sua fidanzata di Genova, Livia, dopo che entrambi avevano ascoltato la notizia alla televisione, Montalbano le comunica di voler dare le dimissioni. “Arrabbiato e deluso. – gli dice Livia – Tu vuoi lasciare la polizia perché ti senti come chi è stato tradito dalla persona nella quale aveva più fiducia e allora...”; Montalbano la interrompe: “Livia, io non mi sento tradito. Io sono stato tradito. Non si tratta di sensazioni. Ho sempre fatto il mio mestiere con onestà. Da galatuomo. Se davo la mia parola a un delinquente, la rispettavo. E perciò sono rispettato. E’ stata la mia forza, lo capisci? Ma ora mi siddriai, m’abbuttai”, e continuò: “Manco contro il peggio delinquente ho fabbricato una prova! Mai! Se l’avessi fatto mi sarei messo al suo livello. Allora sì che il mio mestiere di sbirro sarebbe diventato una cosa lorda! Ma ti rendi conto, Livia? Ad assaltare quella scuola e a fabbricare prove false non è stato qualche agente ignorante e violento, c’erano questori e vicequestori, capi della mobile e compagnia bella!” (5). Chi ha letto questo libro, o magari visto l’episodio in tv, sa che Montalbano non darà le dimissioni, convinto poi dal suo vice e amico Mimì Augello, proprio in nome di quell’onestà, dei poliziotti del commissariato di Vigàta che sono tutte persone per bene, dei colleghi stimati e amici, in uno spirito di squadra che non svolge il ruolo di coprire “questa lurdia che è dintra di noi”, ma un ruolo di salvaguardia dell’onestà e del diritto. E così si salva il mestiere di sbirro di cui andare fieri.

Se di fronte a manifestazioni di pacifica protesta contro le decisioni dei grandi della terra, lo Stato borghese istiga le sue forze dell’ordine a sfogare contro i manifestanti, che protestano contro quell’ordine, i più bassi e violenti istinti di vendetta usando tutto il loro potere, di che cosa sarà capace di fronte alle manifestazioni proletarie, organizzate sul terreno di classe, ispirate non da illusori principi democratici di eguaglianza sociale, ma dagli obiettivi di classe che poggiano sulla sempre più profonda diseguaglianza sociale e sull’antagonismo di classe? Cose, d’altra parte, che la borghesia dominante conosce molto bene perché costituiscono la vita quotidiana nella società capitalistica su cui si basano lo sfruttamento del lavoro salariato, la repressione e la guerra nella quale i proletari sfruttati vengono trasformati in carne da macello. Quando il proletariato, come è già avvenuto nella storia, abbandonerà il suo stato di massa confusa e impotente, si rialzerà come classe e, sotto la guida del suo partito di classe, si porrà di fronte al nemico storico – che è sempre la borghesia, in qualsiasi paese del mondo – con l’obiettivo di abbatterne il potere, allora le polizie, gli eserciti, le guardie bianche, le squadre fasciste, non avranno più a che fare con masse inermi e rincoglionite dalle illusioni democratiche, ma con il proletariato rivoluzionario che non avrà alcun timore di accettare il terreno dello scontro di classe con la borghesia e i suoi sgherri. Lo scontro di classe diverrà finalmente palese, il castello di ipocrisie e di illusioni borghesi cadrà miseramente, al diritto si sostituirà la forza, e questa volta non da parte della sola borghesia, ma da entrambe le parti.   

 


 

(1) Così descrive i Black Bloc la Corte di Appello di Genova, nelle motivazioni della sentenza di secondo grado sui fatti della scuola Diaz: «Il termine Black Bloc non individua una particolare e specifica associazione di soggetti, ma solo una tecnica di guerriglia adottata da estremisti che intendono manifestare violentemente il loro dissenso rispetto a eventi o simboli del sistema capitalista: si tratta di una tecnica sorta in Germania e utilizzata in diverse occasioni in altri stati, quale in particolare gli Stati Uniti d’America. Al di là del modus operandi che in qualche modo individua tale tecnica, l’unico elemento soggettivo che ne accomuna i fautori è l’uso di abbigliamento e di maschera neri, da cui il nome della tecnica. Ciò premesso risulta evidente che non esiste una sorta di “tipo di autore” definibile Black Bloc, e come tale individuabile senza ombra di dubbio per il solo colore dell’abbigliamento usato. In altri termini gli autori delle devastazioni e saccheggi compiuti a Genova durante il vertice G8 del 2001 erano riconoscibili come tali o perché colti nella flagranza dei relativi reati, o, secondo le ordinarie regole di valutazione della prova indiziaria, per il concorso di elementi oggettivi sintomatici della responsabilità, fra i quali il colore nero dell’abbigliamento o il possesso di maschere nere hanno un ruolo certamente utile ma non risolutivoRepubblica Italiana in nome del popolo italiano La corte di appello di Genova Terza Sezione Penale, processig8.org.

(2) Cfr. Sui fatti di Genova, del G8 e dei movimenti antiglobal, “il comunista” n. 77, ottobre 2001. Per una sintesi di quel che successe allora, basta anche dare una lettura a “Fatti del G8 di Genova”, wikipedia. Per mostrare che quelle violenze gratuite dovevano essere condannate, perfino il Parlamento europeo, su quegli eventi, sentì l’obbligo morale di pubblicare una Relazione, richiamando “i diritti fondamentali nell’Unione Europea”, nella quale “deplora le sospensioni dei diritti fondamentali avvenute durante le manifestazioni pubbliche, e in particolare in occasione della riunione del G8 a Genova, come la libertà di espressione, la libertà di circolazione, il diritto alla difesa, il diritto all’integrità fisica”, e, riferendosi a molti Stati dell’Unione, “esprime grande preoccupazione per il clima di impunità che sta sorgendo in alcuni Stati membri dell’Unione europea (Austria, Belgio, Francia, Italia, Portogallo, Svezia e Regno Unito), in cui gli atti illeciti e l’abuso della violenza da parte degli agenti di polizia e del personale carcerario, soprattutto nei confronti dei richiedenti asilo, dei profughi e delle persone appartenenti alle minoranze etniche, non vengono adeguatamente sanzionati ed esorta gli Stati membri in questione a privilegiare maggiormente tale questione nell’ambito della loro politica penale e giudiziaria” (Joke Swiebel, Relazione sulla situazione dei diritti fondamentali nell’Unione europea, su europarl.europa.eu, 12 dicembre 2002). Parole che hanno lasciato le cose praticamente invariate, come i casi Cucchi, Aldrovandi ecc. e degli immigrati “clandestini” dimostrano.

(3) Cfr. anche Genova e il G8 2001, polemica sul M5s e le dimissioni “dimenticate” di De Gennaro, “la Repubblica”, edizione Genova, 20/7/2019.

(4) Cfr., ad esempio, https://tg24.sky.it/cronaca/2018/05/31/uva-cucchi-aldrovandi.html

(5) Cfr. Andrea Camilleri, Il giro di boa, Sellerio, Palermo 2003, pp. 11-12. Per i due verbi: “mi siddriari, m’abbuttai”, la traduzione, in questo contesto, è: “mi sono seccato, ne ho pieni i coglioni”.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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