Spagna: inondazioni sulla costa orientale

I fiumi straripano e le strade lungo il mare vengono invase dall’acqua, ma è il capitalismo che annega la vita

(«il comunista»; N° 161 ; Ottobre 2019)

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Il bilancio di cinque giorni di inondazioni nell’area della costa mediterranea spagnola che va da Malaga a Valencia è di 6 morti, diverse città e paesi allagati, milioni di euro di danni materiali, l’esercito (l’Unità di emergenza militare, ma anche la legione e i cosiddetti berretti verdi) dispiegato in tutta l’area interessata... Un’altra catastrofe che poco ha di naturale e che molto dipende dalla logica infernale del capitalismo, che mette in cima ai suoi interessi il profitto, la redditività economica e la sua proiezione a breve termine contro i bisogni umani, sia individuali che collettivi.

I media, supportati da resoconti squisitamente scientifici di meteorologi e studiosi ambientali, non smettono di affermare che la tragedia è venuta esclusivamente dal cielo, che questo tipo di piogge torrenziali se, per disgrazia, non si interrompono in un paio giorni, si trasformano in vere e proprie trombe d’aria data l’orografia della zona del Levante... E citano dozzine di esempi di situazioni simili con cui tentano di dimostrare che questa zona della Spagna è condannata alla tragedia ogni volta che la pioggia assume queste caratteristiche .

Certamente c’è un’immensa distanza tra le piogge torrenziali e le morti e le distruzioni avvenute in questi giorni: queste ultime possono essere una conseguenza inevitabile delle prime, ma sono certamente una conseguenza della cattiva pianificazione idrografica, dell’intensa cementificazione dell’intera costa mediterranea, dell’assenza di pulizia e manutenzione di canali, fiumi e strade, dell’assoluta ignoranza delle leggi naturali di base... In breve, sono una conseguenza dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, del suo dominio dispotico sulla natura e sugli uomini.

Usando lo stesso argomento dei media e delle istituzioni locali e nazionali, possiamo guardare indietro per confermare che alluvioni, forti temporali e inondazioni avvengono regolarmente nell’area del Levante. A Valencia, nel 1951, più di ottanta persone morirono per lo straripamento del fiume Turia; nel 1973, l’inondazione della Rambla di Nogalte, nella Murcia, fece 13 morti; nel 1982, per lo straripamento del bacino di Tous, 40 persone morirono a Vega Baja; nel 1989, nuovo straripamento del Segura che spazzò via le città vicino alla sua foce; nel 2012, vi furono cinque morti a causa delle inondazioni nell’area di Murcia e Almeria... Si giunge quindi facilmente a una conclusione: tutto lo sviluppo produttivo e tecnologico di cui la borghesia si vanta quotidianamente non è in grado di prevenire le morti nel Levante causate dalle piogge torrenziali. Si può dire che le inondazioni nella zona che va da Almeria a Valencia sono note da quando esistono documenti storici e che il capitalismo e la sua classe dominante, la borghesia, hanno ereditato solo un problema che è impossibile risolvere perché è nella natura stessa dalla regione orientale. Questo argomento viene usato da tutti i difensori del capitalismo e del suo Stato come unico garante della sicurezza delle popolazioni che vivono sotto il suo controllo; ma si dimentica che mai piogge torrenziali e alluvioni sono state tanto micidiali come negli ultimi duecento anni, proprio nel periodo in cui lo sviluppo economico e sociale dell’area corrisponde allo sviluppo del modo di produzione capitalistico. Il capitalismo affronta i problemi idrografici con la stessa logica con cui affronta qualsiasi problema naturale e sociale, mescolando sforzi tecnici impraticabili e disinvestimenti in tutto ciò che non è immediatamente redditizio.

La “gota fria”, a cui in Spagna viene dato tecnicamente il nome di DANA (Depressione isolata ad alti livelli), consiste nella presenza in strati alti dell’atmosfera di una massa d’aria con temperatura e pressione molto più basse della norma. Questa massa d’aria, se ne ha vicino un’altra con le stesse caratteristiche, si associa ad essa e, insieme, iniziano un movimento di rotazione congiunta che, nel caso della zona di Levante, implica l’ingresso di aria estremamente umida dal Mediterraneo, ancora calda a causa dell’estate, sulla terraferma. Così l’aria umida si raffredda e si scarica sotto forma di piogge torrenziali. E’ un fenomeno che si ripete regolarmente, dando origine a forti piogge nei mesi di settembre e ottobre nella zona di Valencia, Alicante e Murcia e che in linea di principio non dovrebbero essere catastrofiche, come non lo sono in altre regioni del mondo dove si verificano periodicamente. Ma nella zona del Levante la peculiare orografia, caratterizzata dall’esistenza di corsi d’acqua solitamente asciutti ma che diventano torrenziali quando le precipitazioni aumentano, fa sì che le piogge associate alla “gota fria” si incanalino lungo questi torrenti attraversando orti, frutteti e città con livelli d’acqua molto alti, straripando continuamente. Questi straripamenti non dovrebbero essere particolarmente pericolosi per l’uomo: l’agricoltura nasce e si sviluppa nelle zone fertili della Mesopotamia, usando le tecniche di idrografia di base per sfruttare i fanghi lasciati dalle esondazioni dei fiumi, qualcosa di simile a quello che succedeva col Nilo nell’antico Egitto o nella zona del Fiume Giallo in Cina...

L’essere umano sa come vivere e trarre vantaggio da questi fenomeni naturali. Ma, ancora una volta, a questa situazione si aggiunge un altro fattore: le depressioni fluviali, cioè quelle aree formate dal corso dei fiumi e che costituiscono la zona della loro massima espansione, sono state popolate e urbanizzate proprio come conseguenza dell’uso delle risorse fluviali fin dai tempi antichi. È sotto il capitalismo, con il forte sviluppo urbano a partire dal XVIII secolo, che a Valencia e in altre aree a sud della città queste zone di espansione naturali sono state completamente urbanizzate, superando i limiti che la zona imponeva. E questo accade in tutti i luoghi attraversati da canali e fiumi a regime intermittente, arrivando a costruire perfino nei loro alvei. Una volta creato il problema, la borghesia si inventa una soluzione e inizia la costruzione di argini che superano il livello naturale del fiume creando una sorta di barriera per impedire agli straripamenti di raggiungere i centri abitati. La prima industria delle costruzioni beneficia della soluzione di un problema che essa stessa ha causato, dando così inizio a una terribile logica che continua ancora oggi. Ma il passaggio dei fiumi attraverso le canalizzazioni urbane sempre più strette tra le costruzioni fa sì che tutto ciò che essi trascinano dalla loro nascita in montagna si depositi in queste aree urbane e il fondo del canale stesso si sollevi in  †modo tale che le dighe artificiali, costruite a monte, diventino inutili o controproducenti, e le fognature, costruite in parallelo, contribuiscano alle inondazioni delle aree urbane.

Se a tutto questo si aggiungono la costruzione di dighe per creare invasi che forniscano riserve idriche ai grandi centri abitati del Levante, la deviazione artificiale dei fiumi ecc., si può vedere in che cosa consista la “prevenzione” capitalista: cercare soluzioni a breve termine che, in realtà, aumentano il potenziale pericolo a lungo termine. Per questo, secondo i registri delle confederazioni idrografiche del Levante, dall’inizio del XX secolo ci sono state meno inondazioni, ma molto più virulente e letali. Le grandi città costruite nei bacini fluviali, l’urbanizzazione degli stessi alvei fluviali, la mancanza di pulizia, l’uso di corsi d’acqua per i lavori autostradali, la costruzione di sbarramenti e dighe che aumentano la pressione dell’acqua e innescano il rischio di alluvioni..., questi non sono fenomeni naturali, non hanno nulla a che fare con il ciclo atmosferico delle masse di aria umida... Ma non sono neppure fenomeni genericamente “umani”: sono fenomeni caratteristici del modo di produzione capitalista, un modo di produzione basato sull’appropriazione privata della ricchezza sociale, nello sfruttamento del lavoro salariato, nello sfruttamento distruttivo della natura...

Le trombe d’aria e le tempeste non scompariranno mai. Come non scompariranno molti altri fenomeni naturali e climatici con cui gli esseri umani hanno fatto i conti nel corso della loro storia e contro cui hanno lottato per difendere la vita della specie. Quel che deve scomparire è il capitalismo, che non solo si è dimostrato incapace di evitare i danni causati all’uomo da questi fenomeni, nonostante il grande sviluppo economico, produttivo, tecnologico ecc., ma, anzi, li ha aumentati, innalzando continuamente i fattori di rischio, mettendo in pericolo le popolazioni che abitano queste regioni, permettendo alle “catastrofi” di ripresentarsi periodicamente.

Solo la classe proletaria è in grado di spedire all’inferno, una volta per tutte, questo sistema della catastrofe. Come abbiamo già scritto negli anni ’50 del secolo scorso (1), riguardo ad alcune alluvioni che, anche allora, strapparono vite e beni, sotto gli occhi “stupiti” dei borghesi e dei loro portavoce:

 

“Anche il fiume immenso della storia umana ha le sue irresistibili e minacciose piene. Quando l’onda si eleva, essa mugge contro i due argini che la costringono: a destra quello conformista, di conservazione delle forme esistenti e tradizionali; e lungo esso salmodiano in processione preti, pattugliano sbirri e gendarmi, blaterano i maestri e i cantastorie delle menzogne ufficiali e della scolastica di classe.

L’argine di sinistra è quello riformista, e vi si assiepano i “popolari”, i mestieranti dell’opportunismo, i parlamentari ed organizzatori progressivi; scambiandosi ingiurie traverso la corrente, entrambi i cortei rivendicano di avere la ricetta perché il fiume possente continui la sua via imbrigliata e forzata.

Ma ai grandi svolti la corrente rompe ogni freno, esce dal suo letto e “salta”, come saltò il Po a Guastalla e al Volano, su una direttrice inattesa, travolgendo le due sordide bande nell’onda inarrestabile della rivoluzione eversiva di ogni antica forma arginale, plasmando alla società come alla terra una faccia nuova”.

 

15 settembre 2019

 


 

(1) Cfr. il “filo del tempo” intitolato Piena e rotta della civiltà borghese, nel quale ci si riferisce allo straripamento del fiume Po, in Italia, nel dicembre 1951. Allora furono alluvionate vaste zone del Polesine, il territorio tra Rovigo e Venezia, nell’Italia del Nord-Est, facendo circa un centinaio di morti. Puoi leggere questo filo del tempo nel sito www.pcint.org, andando nella sezione "Testi e tesi fondamentali", Fili del tempo (1949-1955), Anno 1951, "Piena e rotta della civiltà borghese".

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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