Finlandia: ondata di scioperi nel “paese più felice del mondo”

(«il comunista»; N° 163 ; Marzo 2020)

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Nel marzo del 2019, l’ONU ha pubblicato il suo rapporto sulla felicità nel mondo (1): per il secondo anno consecutivo la Finlandia si è classificata al primo posto.

La Finlandia è un piccolo paese nordico di 5,5 milioni di abitanti che ha la reputazione di godere di uno Stato-assistenziale modello. I media mondiali hanno descritto un suo progetto per creare un reddito universale garantito a tutti i suoi abitanti allo scopo di sradicare la povertà.

Ma la realtà è meno rosea e pare che i proletari finlandesi, sulle proprie condizioni di vita e di lavoro, non abbiano la stessa opinione delle statistiche borghesi dell’ONU.

Se prendiamo in esame questo famoso “reddito universale” istituito nel 2017, in realtà si constata che si tratta di uno stadio di sperimentazione previsto per due anni, da applicare su 2000 disoccupati di lungo periodo tirati a sorte, per la somma di soli 560 euro, cioè una somma equivalente alla indennità di disoccupazione di cui ha preso il posto, e col solo vantaggio per i beneficiari di comprendere anche i disoccupati ai quali sta scadendo il diritto al sussidio. Ma questa misura non è stata rinnovata data l’ostilità del padronato e degli strati piccoloborghesi che si lamentano del livello troppo elevato della spesa sociale e delle tasse per finanziarla.

La Finlandia era un paese prospero che, come altri paesi del nord Europa, ha potuto finanziare per molto tempo una Stato-assistenziale capace di garantire la pace sociale e legare il proletariato al sistema capitalistico e allo Stato borghese. Non è più il caso; il paese è stato colpito duramente dalla crisi economica del 2008 le cui conseguenze si sono fatte sentire per anni. Un esempio simbolico è stato il crollo di Nokia: il vecchio gigante delle telecomunicazioni è sfuggito al fallimento solo spezzettando una gran parte delle sue attività e sopprimendo migliaia di posti di lavoro in Finlandia e nel mondo. Una forte crisi ha riguardato anche l’industria del legname e della carta che sono tradizionalmente il primo settore di attività (2) e che rappresentano da sempre più del 20% delle esportazioni del paese. La produzione di carta, ad esempio, è stata delocalizzata in Asia e in America Latina, mentre le imprese più deboli sono sparite.

Le difficoltà economiche di questo vecchio paradiso capitalista hanno toccato e minacciato anche larghi settori della piccola borghesia; ciò ha suscitato la comparsa di un partito politico di estrema destra che, nel giro di qualche anno, è diventato la terza forza politica del paese: “La Vera Finlandia”. Nei primi posti del suo programma c’è la “difesa dei padroni delle piccole e medie imprese”, a fianco della difesa dell’”identità finlandese” (3) e di posizioni anti-immigrati ed euroscettiche . Dopo il loro risultato eccezionale alle elezioni legislative del 2015 (19% di voti), i Veri Finlandesi sono entrati nel governo diretto dal Partito del Centro col Partito della Coalizione nazionale, due partiti borghesi della destra tradizionale.

L’obiettivo centrale di questo governo reazionario era il raddrizzamento del capitalismo finlandese, che significava restaurare il tasso medio di profitto abbassando il “costo del lavoro” e riducendo le spese sociali.

Lo strumento principale è stato un “patto di competitività” negoziato con i sindacati, presupponendo un abbattimento del 3,5% del costo del lavoro. Si trattava di una serie di misure di austerità e antioperaie di cui la principale è stato il congelamento dei salari e l’aumento del tempo di lavoro (3 giorni di lavoro supplementari all’anno non pagati), l’aumento a 65 anni dell’età pensionabile a partire dal 2025 (età che varierà, in seguito, a seconda dell’aumento dell’aspettativa di vita), l’abbassamento delle indennità di disoccupazione, una riduzione del 30% del pagamento dei giorni di ferie dei dipendenti pubblici, un aumento delle trattenute sociali dei salari (e un abbassamento equivalente dei contributi delle aziende); per quanto riguarda invece il padronato, il “patto” prevedeva una diminuzione delle imposte.

Degradando la situazione dei proletari e delle larghe masse, queste misure hanno migliorato la salute delle aziende, ma non sono riuscite, d’altra parte, a far uscire il paese da una recessione provocata dalla diminuzione delle sue quote di mercato per quel che riguarda le esportazioni. L’impopolarità crescente del governo ha spinto i Veri Finlandesi a lasciare il governo nel 2017, provocando una crisi al loro interno: i “moderati” hanno abbandonato il partito pur di rimanere nella coalizione di governo. Questa crisi e il suo posizionamento più apertamente all’estrema destra non hanno per nulla indebolito questo partito, contrariamente a quel che credevano gli analisti politici.

Le elezioni legislative dell’aprile 2019 sono state, in effetti, marcate dal rinculo dei partiti che erano al governo, in particolare il Partito del Centro dell’ex primo ministro, che ha conosciuto un vero e proprio crollo, mentre il partito socialdemocratico ha conseguito un buon risultato col 17,5% dei voti, ma è tallonato dai Veri Finlandesi, col 17,2%. Il nuovo governo è stato costituito grazie all’alleanza con i Verdi (col 12% hanno conseguito un risultato storico), l’”Alleanza di sinistra” (ex-PC) e... il Partito del Centro, anche se sconfessato dai suoi elettori.

A dispetto delle promesse elettorali dei partiti di sinistra, il nuovo governo non prevede un’attenuazione della politica d’austerità del precedente governo; si è impegnato, in particolare, a portare a termine la “riforma” della sicurezza sociale e del sistema sanitario, messa in cantiere dal Partito del Centro, che prevedeva la riduzione dei costi tagliando le prestazioni. Ma questo non ha impedito ai sindacati di sostenerla, molto più sensibili alle promesse di investimenti produttivi che agli interessi dei proletari.

 

VITTORIA DEGLI SCIOPERANTI

 

Non c’è voluto molto tempo perché i lavoratori finlandesi si rendessero conto, ammesso che avessero dei dubbi, da che parte stava il nuvo governo. La Posta, azienda parastatale alla ricerca di una redditività, aveva deciso di trasferire 700 salariati in una filiale, infliggendo loro un abbassamento fino al 30% del loro salario!

Appena conosciuto il progetto, l’11 novembre, i lavoratori sono scesi in sciopero. Per quasi 2 settimane sono stati circa 10.000 i postini in sciopero, in solidarietà con i lavoratori minacciati e per rivendicare aumenti di salario. Ma il conflitto si è esteso al di là delle Poste: scioperi di solidarietà sono scoppiati il 25 novembre nei trasporti di terra, aerei, nei ferryboats ecc.

Profilandosi la minaccia di un blocco dei porti, se non di uno sciopero generale, la direzione delle Poste ha ritirato il progetto di trasferimento, e con ogni probabilità anche su sollecitazione del governo per il timore di un blocco dell’economia (le esportazioni, principalmente per via marittima, rappresentano il 40% del PIL). Qualche giorno più tardi, e sotto la pressione del Partito del Centro, il primo ministro, accusato di debolezza nei confronti dei lavoratori, è stato costretto a dimettersi. L’8 dicembre, a prendere il suo posto è stata la ministra dei trasporti che, a 34 anni, è la più giovane capo di governo del mondo.

Questo innegabile successo della lotta proletaria è servito di incoraggiamento ai lavoratori degli altri settori. E così, il 9 dicembre, 100 mila lavoratori dell’industria (chimica, del legno, petrolifera ecc.) e dei servizi hanno anch’essi iniziato uno sciopero, durato 3 giorni, rivendicando aumenti di salario, la fine del lavoro non pagato e, più in generale, delle misure antisociali che il nuovo governo non aveva nessuna intenzione di abrogare; lo sciopero relativo agli straordinari non pagati era molto seguito fin da settembre.

Il ritiro del progetto delle Poste non è che una prima vittoria dei lavoratori finlandesi di fronte agli attacchi portati contro di loro dal governo attuale, sicuramente pressato dai capitalisti, e che non intende ritirare. Ma questa vittoria può e deve servire di lezione per le lotte a venire e come esempio per i proletari degli altri paesi: è rompendo con le pratiche ben radicate della collaborazione di classe e del consenso sociale, lanciandosi negli scioperi ad oltranza e appellandosi ai lavoratori degli altri settori, che è possibile far tornare un governo sui suoi passi.

Non ci sono dubbi che i sindacati finlandesi faranno tutto ciò che è in loro potere per tentare di far dimenticare questa lezione.

Ai proletari di Finlandia e degli altri paesi il compito di non dimenticarsela e di metterla in pratica!     

 

28 dicembre 2019

 


 

(1) Cfr. “World Happiness report”, 20/3/2019. Questo rapporto si basa su una serie di indici che vanno dalla durata della vita al Pil pro capite, per giungere poi alle sue conclusioni.

(2) Il 60% della superficie forestale sfruttata appartiene a proprietari privati (26% allo Stato e il resto a compagnie forestali ecc.), che sono più di 600.000 (il 14% circa della popolazione), di cui la metà sono piccoli proprietari, con meno di 2 ettari cad.

(3) Sono ostili, in particolare, all’apprendimento obbligatorio dello svedese nelle scuole. Lo svedese è la seconda lingua ufficiale del paese e la minoranza svedesofona costituisce circa il 5% della popolazione.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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