Sul movimento degli scioperi in Francia

(«il comunista»; N° 163 ; Marzo 2020)

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Il grande movimento degli scioperi in Francia contro la riforma governativa delle pensioni  ha rivelato una forte combattività da parte di alcuni settori operai, a partire dai ferrovieri e dai dipendenti dei trasporti pubblici di Parigi, combattività che ha trascinato nelle manifestazioni di protesta e negli scioperi i lavoratori di molti altri settori, dalla scuola alla chimica, dai dipendenti delle compagnie dell'elettricità ai pompieri, a cui si sono accodati perfino gli avvocati. Ma la grande spinta alla lotta dei proletari non è bastata per raggiungere l'obiettivo principale della lotta: il ritiro definitivo del progetto di riforma. I sindacati operai collaborazionisti (CGT, FO, Sud, Solidaires ecc.), sorpresi in un primo momento dalla forte combattività dei ferrovieri SNCF e dei dipendenti parigini della RATP e dall'iniziativa della base di entrare in sciopero senza preavviso e senza limiti di tempo, hanno fatto di tutto per arginare gli scioperi, isolare gli scioperanti nelle varie sedi e nelle varie città, ma, nello stesso tempo, cercando di negoziare sottobanco con il governo e i diversi partiti parlamentari per trovare delle risposte accettabili da parte degli scioperanti. Contro la determinazione, soprattutto dei ferrovieri e dei dipendenti della RATP, i sindacati, e in primo luogo la CGT, hanno adottato la tattica di cavalcare il movimento, rassicurando in questo modo il governo e le forze politiche ed economiche che dirigono il paese, che il "movimento", per quanto duro e deciso a non mollare, non sarebbe sfuggito al loro controllo. Alle parole di lotta, però, non seguivano le azioni di unificazione e di allargamento degli scioperi a tutte le categorie di lavoratori, ma i continui tentativi di negoziare col governo delle "soluzioni" meno gravi di quelle previste dalla riforma delle pensioni. Da questo punto di vista non si può dire che i sindacati collaborazionisti non abbiano ottenuto qualche risultato, almeno a parole, come per esempio la promessa di escludere dall'attuale riforma alcuni settori ritenuti strategici per l'economia nazionale o la riduzione per certi settori dell'età pensionabile dai 64 anni previsti dalla riforma come età obbligatoria per andare in pensione.

Il 20 febbraio il quotidiano "Libération" scrive che questo giovedì è la decima "giornata d'azione" organizzata dall'Intersindacale (CGT, FO ecc.) che in realtà ha visto un drastico calo della partecipazione da parte degli scioperanti che dal passato 5 dicembre hanno continuato a mobilitarsi per sette/otto settimane consecutive. Inevitabile la stanchezza degli scioperanti, e in parte la demoralizzazione visto che il risultato principale - il ritiro della riforma progettata dal governo - non è stato raggiunto. Poteva essere messo in conto che il governo avrebbe continuato a mantenere la volontà di attuare una riforma delle pensioni che, almeno in gran parte, intende attuare? Sì. Nonostante lo sciopero dimostratosi il più combattivo e lungo da decenni? Nonostante questo.

Ma ciò che i proletari in lotta non potevano prevedere è il grado di manipolazione della loro lotta da parte dei sindacati opportunisti e collaborazionisti che, per non perdere la loro presa sui propri iscritti, da un lato hanno alzato la voce contro la riforma, dichiarando anche  scioperi duri di 24 ore (come fece la Federazione CGT dei Servizi pubblici, dopo lo spontaneo e combattivo sciopero iniziato il 5 dicembre), ma depositando i preavvisi di sciopero per le giornate dal 9 al 31 dicembre;  dall'altro lato, cercando di frenare l'allargamento degli scioperi agli altri settori e di isolare il più possibile ogni azione di sciopero per comparto e per città, e da un altro lato ancora mantenendo con il governo e le direzioni delle diverse amministrazioni pubbliche un discorso aperto per poter passare dall'azione di lotta alla negoziazione. Che l'intenzione dei sindacati collaborazionisti fosse quella di chiudere al più presto possibile la fase iniziale e più combattiva degli scioperi si è reso evidente quando hanno lanciato la tregua per le feste di natale e capodanno; e, mentre i sindacalisti sono effettivamente andati in vacanza, gli scioperanti hanno continuato cercando di organizzarsi in comitati di sciopero e in coordinamenti per non perdere il grado di pressione contro il governo che avevano raggiunto nelle prime settimane di sciopero. Resta il fatto che, con lo scorrere delle settimane, anche se in molti hanno continuato a scioperare per 50 giorni e oltre, il movimento cominciava a mostrare i suoi limiti e la fatica di fronte alla resistenza del governo che rimaneva sostanzialmente sulle sue posizioni, all'isolamento della loro lotta e alla continua contropressione sindacale che spingeva perché i lavoratori riprendessero il lavoro. Per non perdere la faccia, CGT, FO e altre sigle dell'Intersindacale, mentre da una parte spaccavano gli scioperi, dall'altra chiamavano alla mobilitazione nelle cosiddette "giornate d'azione", come il 6 e il 20 febbraio. A Le Monde che, il 20 febbraio, chiede alla CGT: "Abbandonare?", il segretario generale della CGT Matinez risponde: "Ah, no, non è nell'ordine del giorno", mentre il segretario dipartimentale della FO, Lerestif, gli fa eco: "Abbiamo vinto la battaglia. Tenere è già una vittoria" come se la tenuta dello sciopero per sette settimane fosse merito dei bonzi sindacali e non invece della rude combattività dei lavoratori che hanno scavalcato la bonzeria sindacale! Ma il leader della CGT, Martinez, va oltre e svela il suo vero interesse: "E' grazie alla mobilitazione che dura dal 5 dicembre che c'è una tale discussione all'Assemblea Nazionale". Quindi, 50 giorni di sciopero sarebbero serviti perché l'Assemblea nazionale - il ramo del parlamento francese più importante perché il governo ha bisogno di far passare le sue leggi con una maggioranza di parlamentari - decidesse di riesaminare il progetto di legge di riforma delle pensioni? Ma gli operai sono scesi in sciopero perché il governo ritirasse la riforma delle pensioni, non perché i deputati la emendassero in qualche punto! I sindacati collaborazionisti hanno dimostrato per l'ennesima volta di non essere i rappresentanti degli interessi proletari contro il governo e il padronato, ma di rappresnetare gli interessi del governo e del padronato all'interno del proletariato! E contro questa continua opera di deviazione e di sabotaggio delle lotte operaie, i proletari non devono e non dovranno limitarsi alle rivendicazioni, anche le più forti, lasciando però la conduzione delle lotte e dei negoziati alle direzioni sindacali collaborazioniste; essi dovranno riorganizzarsi indipendentemente da quelle direzioni, come hanno tentato di fare in alcune occasioni attraverso i comitati di sciopero e i coordinamenti al di fuori degli apparati sindacali ufficiali, e utilizzare i mezzi e i metodi della lotta di classe, ossia della lotta che tenga conto esclusivamente degli interessi operai unificando le loro lotte sul fronte antiborghese e anticapitalistico. Ed è in questa prospettiva che la voce del nostro partito ha cercato di farsi sentire, e continuerà a rivolgersi ai proletari, affinché la loro spontanea combattività e il loro materiale antagonismo agli interessi padronali e borghesi si indirizzino alla riorganizzazione indipendente sul terreno della difesa immediata.

 

 

Partito comunista internazionale

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