Covid-19, un’epidemia come pretesto per la borghesia di ogni paese per arroccarsi in una spietata lotta di concorrenza e prepararsi ad una guerra guerreggiata che per teatro avrà il mondo intero

(Supplemento a «il comunista»; N° 163; Marzo 2020)

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La società borghese non è fatta per organizzare prioritariamente la prevenzione degli eventi naturali e dell’insorgere di epidemie o pandemie

 

Nella nostra presa di posizione dello scorso 11 marzo, a proposito delle misure restrittive eccezionali che la classe dominante borghese – a partire dalla Cina, e poi dall’Italia e, a seguire, da Russia, Germania, Francia, Austria, Spagna, Svizzera ecc., e alla fine dalla boriosa America dello strafottente Trump – ha preso e sta prendendo, abbiamo scritto: «La borghesia, condizionata dal suo stesso modo di produzione che mira essenzialmente alla valorizzazione del capitale sfruttando selvaggiamente le energie fisiche, nervose e sociali del proletariato e degli strati più deboli della popolazione in ogni paese, e nella sua impossibilità congenita di strutturare la società con una prevenzione efficace mirata alla salvaguardia della salute del genere umano nella sua vita economica e sociale, come non è in grado di razionalizzare l’economia capitalistica per armonizzarla con i bisogni della vita sociale umana e con l’ambiente naturale, portando l’intera società in situazioni di crisi sempre più devastanti, così non è in grado di affrontare gli eventi naturali – i terremoti, gli tsunami, le alluvioni, le epidemie, i cambiamenti climatici ecc. – con metodi e mezzi capaci di ridurre drasticamente gli effetti negativi e mortali di questi eventi. La scienza e le scoperte scientifiche, che tanta parte hanno avuto nello sviluppo delle forze produttive nell’epoca rivoluzionaria in cui la borghesia, con il contributo fondamentale delle masse proletarie e contadine povere, ha abbattuto violentemente le vecchie e superate forme feudali di produzione, di proprietà e di gestione sociale, sono state inesorabilmente piegate agli interessi del profitto capitalistico e del mantenimento dei rapporti di proprietà e di produzione che garantiscono il dominio di classe del capitale e, quindi, della borghesia».

Fin dalle prime notizie di questa epidemia, giunte dalla Cina, emergeva il pericolo di una sua diffusione planetaria, come già era successo in occasione di precedenti epidemie, dalle più recenti, come la Sars, la Mers, l’Ebola, alle più vecchie, come la cosiddetta “Spagnola” o il vaiolo, per non parlare della peste. Il fatto che si siano effettivamente diffuse nel mondo o meno, con percentuali di contagio e di letalità alte o basse, è dipeso, e dipende, da molti fattori; ad esempio dal tipo di virus, o batterio, dalle condizioni sociali e igieniche presenti nei diversi paesi, dallo sviluppo della scienza e delle scoperte scientifiche, dalla facilità o meno di contatti umani determinata dai mezzi di trasporto, dall’ammasso di abitanti in limitati spazi, dalla quotidianità di vita in comune con animali ecc. e, in generale, dalla congenita mancanza di una efficace prevenzione sulla base delle esperienze e delle conoscenze già acquisite.

L’interesse economico e affaristico, tipico della borghesia di ogni paese, prevale su qualsiasi interesse di benessere e di salute pubblica. Basta riferirsi al secolo scorso, il secolo del grande sviluppo industriale e imperialistico, e delle grandi guerre mondiali del capitalismo. Di fronte alla “Spagnola”, un’epidemia che si diffuse durante la prima guerra imperialista – che studi successivi stabilirono fosse una forma virale già nota nell’estate del 1918 nel Mid-West americano, e prima ancora, nella primavera del 1918, a Canton, a Shangai e in Manciuria (rispettivamente sottoposte all’oppressione coloniale inglese, francese e russa) –, gli Stati nascosero la gravità dell’epidemia per evitare che le truppe sui diversi fronti di guerra si paralizzassero per il panico o si ribellassero violentemente contro i rispettivi comandi. In Italia, ad esempio, in un trafiletto pubblicato nel “Corriere della Sera” del 24 ottobre 1918, si annunciava una «Circolare di Orlando contro le voci false ed esagerate sull’epidemia» (V. E. Orlando era il presidente del Consiglio e anche ministro dell’Interno). In quella Circolare, era scritto: «Si parlò di una malattia terribile, misteriosa, ignota nella sua causa e invincibile nei suoi effetti, e di fronte a qualche caso eccezionale di complicanze polmonari particolarmente gravi (...) si è voluto poi identificare l’affezione, così, come in altri Paesi provati prima del nostro si era fatto, con la peste cinese (...). Ora si tratta di voci arbitrarie, assurde, frutto di incompetenza e di fantastica sovraeccitazione. Le osservazioni cliniche come le indagini di laboratorio hanno escluso ed escludono, in modo assolutamente indubbio, l’origine esotica della malattia e la attribuiscono a quella forma morbosa che è conosciuta sotto il nome di “influenza”» (1). Le “voci” erano talmente false ed esagerate che la “spagnola”, nel mondo, secondo molte fonti ufficiali, fece oltre 50 milioni di morti; enormemente più della prima guerra mondiale coi suoi 16 milioni di morti (e 20 milioni di feriti e mutilati). I morti di quell’epidemia, tenuta nascosta per molto tempo, furono più del triplo di quelli della “grande guerra”, aggiungendosi a quest’ultima che, dal 1914, per interessi esclusivamente borghesi di rapina e di conquista imperialista, stava massacrando milioni di soldati e di civili, in particolare in Europa, dimostrando che i politici borghesi di allora erano criminali quanto i politici borghesi di oggi. Per non parlare della seconda guerra imperialista, che di morti ne ha fatti, in totale, tra civili e militari, 70 milioni, di cui 55 in Europa (23 in Urss e 7,5 in Germania).

Orlando, 102 anni fa, anticipava quel che Trump ha detto solo una decina di giorni fa, declassando il Covid-19 ad una semplice influenza. Trump, infatti, dichiara che «Lo scorso anno 37 mila americani sono morti per la comune influenza. La media è tra i 27 mila e i 70 mila per anno. Nulla viene chiuso, la vita e l’economia vanno avanti» (2). Nello stesso giorno i mercati finanziari registravano un serio tonfo, e Trump dichiarava che questa caduta era dovuta a “fake news” come quella della mortalità dell’infezione e dello scontro fra Arabia Saudita e Russia che aveva impedito il rinnovo dell’accordo Opec sul taglio della produzione di petrolio e, quindi, il mantenimento di prezzi elevati. Salvo poi, una volta che i contagi si sono evidenziati pericolosamente anche negli Stati Uniti, fare l’ormai abituale giravolta. Dopo che la Casa Bianca, vista la rapida diffusione del coronavirus in Europa e i tonfi nelle borse di tutto il mondo, aveva deciso di chiudere i voli da e per l’Europa, il 16 marzo (Wall Street  chiude a -12,9%, il peggiore calo dal 1987) Trump ammette che la situazione causata dal coronavirus negli Stati Uniti «non è sotto controllo», e che la crisi sanitaria causata dal Covid-19 (ha scoperto che questo virus è un “nemico invisibile”) potrebbe durare fino ad agosto, ipotizzando che l’economia americana potrebbe andare verso una recessione (3).

E’ ben vero che le influenze stagionali fanno ogni anno decine di migliaia di morti, ed ogni paese ne viene colpito; ma l’industria farmaceutica dà per scontato che queste influenze si ripresentino ogni anno facendo migliaia di morti e ha tutto l’interesse a vendere i suoi farmaci e i suoi vaccini, in attesa che si presenti una nuova e più insidiosa epidemia, provocata da virus sconosciuti e che, perciò, allarmano molto di più  la popolazione. Allora, mentre la “comune influenza” non fa più paura, perché la propaganda borghese ha abituato le masse ad accettare che, tra le centinaia di milioni di infettati, un certo numero di persone muoia,  l’apparizione di un nuovo virus sconosciuto alla scienza borghese – ma atteso dalle industrie farmaceutiche come un’occasione d’oro per fare ulteriori profitti – se, da un lato, è motivo per diffondere paura sociale e incertezza della vita, per la classe dominante borghese diventa anche un’occasione per aumentare il suo controllo sociale e, in particolare, il controllo sul proletariato piegandolo ancor di più alle esigenze del capitalismo e cercando, nello stesso tempo, di paralizzarlo nelle sue lotte e nel suo movimento sociale.

Ormai è assodato che la borghesia cinese – il fatto che si mimetizzi sotto il nome del partito comunista cinese e sbandieri il drappo rosso non è che un modo per dare continuità alla controrivoluzione originalmente stalinista e schiacciare il proletariato cinese sotto una dittatura che è apertamente capitalistica e imperialistica borghese – ha tenuto nascosto per mesi la presenza di questo nuovo coronavirus per motivi esclusivamente economico-finanziari e politici, dichiarandone la presenza solo alla fine di dicembre 2019; è questo silenzio del potere che ha contribuito alla diffusione del virus, divenuto globalmente il “nemico invisibile”. Ma le borghesie degli altri paesi si sono comportate allo stesso modo, da un lato alzando muri e chiudendo le frontiere come se i cinesi fossero gli “untori” del XXI secolo, dall’altro lato diffondendo paura e panico all’interno dei paesi in cui i contagi e le morti da Covid-19 stavano moltiplicandosi velocemente – e così gli “untori”, oltre ai cinesi, diventavano gli italiani e poi, via via, gli europei e domani magari gli africani; da un altro lato ancora, utilizzando la sua portata infettiva e letale per “serrare i ranghi”, chiamare il popolo, e il proletariato in particolare, all’unità nazionale nella “guerra contro il coronavirus”. E così, ogni borghesia, in un periodo in cui erano già presenti notevoli difficoltà per l’economia mondiale, mentre dimostra la sua impotenza rispetto ad eventi naturali le cui conseguenze disastrose sono in gran parte determinate dalla sua dedizione esclusiva agli affari, al benessere del capitale e delle aziende, presa in contropiede da un virus che la sua scienza non ha saputo e potuto individuare per tempo, è costretta a prendere misure raffazzonate, del tutto incoerenti e per la maggior parte non supportate da un’organizzazione sociale capace di affrontare ed intervenire velocemente al fine di limitare efficacemente gli effetti negativi e mortali di un’epidemia come questa. L’impreparazione delle strutture sanitarie pubbliche di ogni paese, evidenziata da questa pandemia, è la dimostrazione lampante del fatto che la classe borghese investe i capitali solo dove e quando l’investimento comporti rapidi e cospicui profitti e che interviene con mezzi d’emergenza quando la situazione sanitaria rischia di mettere in pericolo per lungo tempo l’economia reale; non solo, è la dimostrazione che il benessere sociale e la salute dell’umanità dipendono, in ogni paese, dall’interesse specifico dell’economia finanziaria e dalla lotta di concorrenza di ogni paese con gli altri. L’appello, che tutti i governi democratici hanno fatto e stanno facendo, all’unità nazionale per combattere contro questa epidemia va di pari passo con l’applicazione di misure indirizzate ad aumentare il controllo sociale per fare in modo che il proletariato – forza lavoro produttiva dell’economia reale – sia piegato alle esigenze del capitalismo anche in tempi di emergenza sanitaria. 

La borghesia, dicevamo, come non può razionalizzare la sua economia capitalistica per armonizzarla con i bisogni della vita sociale umana e con l’ambiente naturale, così non può affrontare gli eventi naturali con metodi e mezzi in grado di ridurre drasticamente i loro effetti negativi e mortali. Anzi, da questi effetti negativi e mortali essa trae nuovi impulsi per rimettere successivamente in moto la macchina del profitto capitalistico ad ulteriore detrimento della vita sociale umana ed ulteriore devastazione dell’ambiente naturale, generando, in una spirale senza fine, i fattori di crisi economiche, sociali e ambientali sempre più vaste e gravi.

Nessun Istituto per la sanità, nazionale o internazionale, e nessun governo è in grado di prevedere quanto durerà l’emergenza sanitaria da coronavirus. Tutti sono costretti ad attendere l’evoluzione della pandemia cercando di tamponare in un modo o nell’altro le situazioni di emergenza che si presentano; equiparando il “nemico invisibile”, il Covid-19, ad una divinità negativa di cui non è possibile stabilire in anticipo la pervicacia, si giustifica la fatalità di un evento che colpisce indifferentemente tutti, prìncipi e derelitti, ed è motivo, per ogni borghesia, di appellarsi all’unione nazionale al disopra delle classi e delle diseguaglianze.

 L’esperienza delle precedenti epidemie avrebbe dovuto spingere i governi ad utilizzare le grandi risorse economiche e scientifiche a loro disposizione per mettere la popolazione umana nelle condizioni di non subire più gli effetti negativi e mortali che epidemie di questo tipo provocano inesorabilmente in assenza di una reale prevenzione. Una reale prevenzione non può consistere esclusivamente nelle vaccinazioni (dalle quali, in realtà, a parte la loro relativa efficacia soprattutto contro virus soltanto umani, i capitalisti traggono profitti iperbolici) o nella cosiddetta “immunità di gregge”, invocata dall’attuale governo britannico di Boris Johnson, una immunità che risulterebbe dopo che la gran parte della popolazione si è infettata ed è guarita corrispondendo all’equazione: più è elevato il numero di persone che non trasmettono più una malattia infettiva, e meno è probabile che il resto della popolazione venga contagiato. Gli stessi virologi dicono che i virus finora conosciuti (sarebbero 5000, contro una probabile esistenza di milioni) per lo più hanno la caratteristica di modificarsi, anche velocemente, soprattutto quando vengono trasmessi da animali all’uomo, ed ammettono, sempre a denti stretti, che la loro maggiore o minore diffusione dipende dalle condizioni sociali in cui l’uomo vive.

E quali sono le condizioni sociali in cui la maggioranza degli esseri umani vive in questa società? Dal punto di vista dell’igiene pubblica, su 7 miliardi e mezzo di abitanti della terra, la metà – cioè parte consistente dell’India, della Cina, del continente africano, del Medio Oriente e dell’America Latina – vive in condizioni di abbrutimento, senza acqua, senza fognature, senza assistenza medica, convivendo con animali ecc. e una parte significativa dell’altra metà della popolazione mondiale vive nelle condizioni proletarie e sottoproletarie, dal cui sfruttamento quanto ad energie fisiche, nervose e mentali, deriva un abbrutimento sociale e una debilitazione fisica che la medicina borghese ha il compito di “combattere” al solo scopo di far rimettere in piedi questa forza lavoro perché possa essere sfruttata giorno dopo giorno, ingozzandola di antibiotici, antidepressivi, antifiammatori e spingendola a “rinvigorirsi” e a “dimenticare” le proprie frustrazioni offrendole alcol e droghe in quantità. Con lo sviluppo del capitalismo, non solo si acuiscono le diseguaglianze tra la minoranza di capitalisti e la maggioranza della popolazione, peggiorando in tutto il globo le condizioni sociali di quest’ultima, ma si indeboliscono le stesse difese immunitarie dell’animale uomo che, col tempo, vengono sostituite da difese artificiali date dai farmaci, a scapito dell’irrobustimento delle generazioni umane che si succedono, esponendole sempre più non solo all’attacco di epidemie virali o batteriche, ma di malattie nervose e psichiche che nei tempi antiche non erano conosciute. Perfino una “semplice” influenza stagionale riesce a fare ogni anno decine di migliaia di morti, morti che le autorità politiche e sanitarie danno per scontati, come fossero un “danno collaterale” di una vita che deve essere dedicata forsennatamente a produrre e riprodurre capitale, a far soldi, a combattere contro il concorrente del momento, a calpestare la vita degli altri insieme alla propria. Per non parlare delle malattie cardiache e respiratorie, di quelle provocate da ogni sorta di inquinamento dell’aria, della terra e dell’acqua o del problema più tipico dell’era capitalistica, lo stress che, a sua volta, abbassando le difese immunitarie è causa di malattie cardiache, psicosomatiche, nervose, comportamentali, cognitive.

 

Gli economisti borghesi al tempo del Coronavirus

 

Sono passati poco più di dieci anni dall’ultima crisi economica mondiale del 2008-2009 che fece tremare le borse di tutto il mondo, mandando in rovina montagne di capitali e peggiorando notevolmente le condizioni sociali del proletariato e degli strati inferiori della società, aumentando con progressione geometrica la povertà nel mondo, l’incertezza di vita del 99% della popolazione mondiale, i contrasti economici, politici e militari tra le diverse potenze, grandi o piccole che fossero. Erano ragioni più che sufficienti per innescare una crisi sociale in tutti i paesi e rimettere in moto la classe operaia e gli strati più poveri della società che, come sempre, hanno subito e subiscono le conseguenze più negative generate dalle crisi economiche; una crisi sociale che tarda a comparire anche grazie all’opera pluridecennale delle forze opportuniste e della conservazione sociale. Le sempre più forti emigrazioni di masse affamate e impoverite verso i paesi più ricchi e apparentemente più stabili, le improvvise esplosioni sociali e i movimenti di sciopero sorti in tutti i continenti, dall’America (Venezuela, Colombia, Argentina, Ecuador, Cile, Bolivia, Haiti) al Medio Oriente e all’Asia (Hong Kong, Iraq, Libano, India), dall’Africa (Algeria, Marocco, Sudan) all’Europa (Belgio, Francia, Finlandia, Italia), le guerre che non finiscono mai, come in Siria e in Libia, sono la dimostrazione che il potere in mano alle classi borghesi non è in grado di risolvere nessuna crisi se non con metodi e misure che generano fattori di crisi ancor più acuti e gravi. Ogni borghesia nazionale è spinta inevitabilmente, soprattutto in tempi di crisi economica e finanziaria, ad usare tutta la sua forza per contrastare la concorrenza delle borghesie straniere, alleandosi di volta in volta, a seconda della convenienza immediata o futura, con altre borghesie ma allo scopo di mantenere e, se ne ha la forza e l’occasione, allargare il suo potere e la sua influenza su aree più vaste per assicurarsi mercati di sbocco alle proprie merci e ai propri capitali. Il gioco è lo stesso per tutte le borghesie, ma è un gioco in cui le borghesie più forti, più determinate, più aggressive dettano le regole preparandosi, nel frattempo, a scontri di grandi dimensioni, fino alla guerra guerreggiata tra gli Stati imperialisti. E’ già successo nel secolo scorso, con scontri di guerra che, da locali, si sono trasformati in mondiali. Lo sviluppo del capitalismo dal 1945 in poi, dopo lo straordinario bagno di giovinezza costituito dalle vaste distruzioni della seconda guerra imperialista, ha registrato un ritmo accelerato di crescita tale da portare diversi paesi, come la Russia, la Cina, l’India, il Brasile, la Turchia, fuori dalla loro storica arretratezza, gettandoli nella lotta di concorrenza mondiale come è logico per ogni paese popoloso, possessore di grandi riserve d’acqua e minerali, con ambizioni egemoniche mai sopite e spinto all’industrializzazione dallo stesso sviluppo capitalistico dei più vecchi paesi coloniali e imperialisti.

Ebbene, lo sviluppo del capitalismo non è avvenuto e non avviene mai secondo un andamento pacifico e graduale; è violento, rompe gli equilibri sociali e ambientali precedenti, sconvolge le forme sociali esistenti e le sostituisce con forme più consone alle esigenze del capitale, e pone le classi borghesi dei paesi investiti dal suo sviluppo al servizio del capitale, nazionale e internazionale, e della sua forza sociale. Ogni ambizione ideologica ispirata alla democrazia, alla pace sociale, alla famosa trinità “liberté, egalité, fraternité”, viene soffocata dalla brutale legge del profitto capitalistico, ma continua ad essere sventolata ipocritamente di fronte alle classi lavoratrici al solo scopo di piegarle, consenzienti, alle esigenze capitalistiche – e qui l’opera delle forze politiche e sindacali opportuniste e collaborazioniste si mostra indispensabile –; se, però, non si piegano consenzienti, interviene la forza militare dello Stato borghese per difendere e ripristinare un ordine pubblico che non è nient’altro che la conservazione dei rapporti di produzione e di proprietà borghesi grazie ai quali la classe borghese è la classe dominante. Sviluppo capitalistico, crescita economica nella società capitalistica, da un lato aumentano la potenza economica e sociale della classe borghese, ma dall’altro aumentano la dipendenza delle classi lavoratrici dai rapporti sociali borghesi e il loro asservimento alla classe imprenditoriale e allo Stato borghese. Ma sono le condizioni materiali di schiavitù salariale che, quando si fanno intollerabili, spingono le masse lavoratrici a ribellarsi contro queste condizioni e a scontrarsi con i detentori del potere. L’antagonismo di classe esistente tra le classi possidenti e le classi che non possiedono nulla, sebbene nascosto nei paesi più industrializzati dalle forme democratiche, ad un certo punto riemerge in superficie e spinge le masse, seppur incoscientemente, contro tutto ciò che rappresenta il potere, organizzando la propria protesta e la propria rivolta per difendersi dai colpi dello Stato borghese. Ed è su questa spinta materiale, oggettiva che può innestarsi l’azione del partito di classe, per indirizzare questa enorme forza sociale verso gli obiettivi del tutto opposti a quelli per i quali le classi possidenti coinvolgono e organizzano il proletariato.

Contro l’eventualità che le masse lavoratrici si rendano conto di possedere una forza sociale dirompente a beneficio dei propri interessi di classe, e contro l’eventualità che questa forza sociale sia influenzata e diretta dal partito di classe, comunista e rivoluzionario, i poteri borghesi hanno tutto l’interesse non solo a lottare per batterla prima che diventi travolgente, ma a prevenire il più possibile la sua formazione, la sua organizzazione e la comprensione di avere un obiettivo non solo immediato, ma storico, per il quale la sola via da imboccare è la rivoluzione. Questa è la vera prevenzione a cui è sommamente interessata la classe borghese dominante, perché ne va del suo potere. Dalla Rivoluzione d’Ottobre 1917 e dal movimento rivoluzionario che il proletariato europeo e mondiale generò in quegli anni, la stessa borghesia ha tratto lezioni vitali. Se, da un lato, la borghesia non è in grado di dominare la propria economia, ma è da questa dominata, e ad ogni crisi del suo sistema economico è costretta a smentire sistematicamente ogni sua soluzione ricadendo ciclicamente in crisi sempre peggiori, dall’altro lato ha però la forza di mantenere le classi lavoratrici in condizioni di subalternità non solo utilizzando la sua forza repressiva, ma alimentando continuamente la concorrenza tra proletari grazie alla quale li divide, li isola, li devia, sottomettendoli più facilmente alle sue esigenze. Questa concorrenza tra proletari è, da sempre, l’arma più efficace del potere borghese nei confronti del proletariato, ma non impedisce alla borghesia di appellarsi all’unione nazionale quando si presentano situazioni di estremo pericolo per la vita di milioni di persone come di fronte ad una guerra militare, una guerra contro il “terrorismo” o a una “guerra sanitaria”, come oggi rispetto alla pandemia da coronavirus. E, visto che l’estremo pericolo per la vita di milioni di persone è causato, in realtà, dallo stesso modo di produzione capitalistico, dalle sue sempre più acute contraddizioni e dai contrasti fra Stati per sole ragioni di rapina e di sopraffazione, la borghesia ha bisogno di trovare il capro espiatorio, l’aggressore a cui dare la colpa di questo pericolo. Questo vale per ogni scontro armato e guerra il cui il nemico è visibile, e vale per ogni epidemia o pandemia il cui nemico è invisibile.

E così questo pericolo diventa il pretesto per militarizzare la società in nome di un “bene comune” che, in realtà, è solo ed esclusivamente il bene dei capitalisti, del loro sistema economico e del loro Stato politico; in questo modo i governi tentano di salvarsi la faccia, facendo vedere che si danno da fare per tutti i cittadini e che prendono misure che si rendono necessarie per “forza maggiore”... Il controllo sociale è un obiettivo permanente della borghesia dominante, soprattutto quando i periodi di crisi economica, come l’attuale, spingono le masse lavoratrici a ribellarsi. Nello stesso tempo, soprattutto nei paesi occidentali, dopo decenni di vita democratica, di condizioni salariali sicuramente migliori di quelle dei paesi più deboli e della periferia dell’imperialismo, di abitudini negli spostamenti e negli acquisti molto radicate e di inni all’individualismo, non è facile far piombare repentinamente un’intera popolazione in un clima da “guerra”, limitando drasticamente le libertà personali. La casta politica al governo se, da un lato, deve adottare misure restrittive importanti, dall’altro, ha interesse a tener viva l’influenza elettorale che l’ha mandata al governo e cerca di far passare l’idea che soltanto con l’unione di tutti i cittadini si potrà combattere e vincere l’emergenza del momento.

Nel caso dell’esplosione e della diffusione planetaria dell’epidemia da coronavirus, le misure restrittive che ogni governo, via via, è stato costretto a prendere, seguendo l’esempio iniziale della Cina e poi dell’Italia, e che, vista la persistenza dell’epidemia, diventeranno ancora più restrittive, incidono e incideranno pesantemente sull’economia di ogni paese, e in particolare dei paesi più colpiti dal Covid-19. Gli stessi economisti e professoroni borghesi stanno prevedendo un importante calo della crescita mondiale, con segni negativi consistenti per paesi come la Cina (che era diventata la “locomotiva” dell’economia mondiale), la Germania, la Francia, la Gran Bretagna, per non parlare dell’Italia che era già in recessione, e un segnale molto preoccupante per l’economia degli Stati Uniti – il cui andamento, come si sa, influenza sia in positivo che in negativo l’economia mondiale –, un’economia che negli ultimi tre anni ha segnato dei record nella crescita del suo Pil. Il 2018, per gli Stati Uniti, è stato, nell’arco di un decennio, un anno di crescita eccezionale del Pil, segnando dei record nei «principali indicatori economici: occupazione, disoccupazione, fiducia degli investitori e dei consumatori, produzione industriale», senza dimenticare che tale crescita «è stata favorita dalla riforma fiscale che ha diminuito le imposte societarie dal 35% al 21% e dall’aumento della spesa pubblica che ha spinto sulla domanda (facendo però anche salire a livello record il deficit federale)» (4). Secondo il FMI, l’economia globale nel 2017 e nel 2018 era cresciuta del 3,7% e la stima di crescita del 2019 era più o meno in linea con quella percentuale, risultato che è stato raggiunto, evitando una “grande depressione”, grazie alla politica della Fed americana e della BCE europea del quantitative easing, mantenendo molto bassi, o quasi a zero, i tassi di interesse. Ma, secondo alcuni economisti di fama (5) queste “munizioni” potevano esaurirsi già nel 2019, incrociandosi con un’enorme bolla alimentata dal debito della Cina, con la Brexit che comporterà un calo significativo della crescita economica britannica con dei riflessi di non poco conto nell’Europa e nel mondo, e con la guerra dei dazi scatenata dagli Stati Uniti contro la Cina e l’Europa, a cui nell’ultimo periodo si aggiunge la guerra dei prezzi del petrolio. La comparsa dell’epidemia da Covid-19, perciò, è giunta in un periodo in cui l’economia dei principali paesi capitalisti del mondo aveva già il fiato corto, facendo prevedere una crisi globale che gli economisti borghesi paventano avere le stesse caratteristiche della crisi del 2008-2009.

Dando un’occhiata ad alcuni paesi, la situazione di forte recessione descritta e ipotizzata dai media è evidente:

 

Cina: nei primi due mesi del 2020, -13,5% della produzione industriale, -20,5% delle vendite al dettaglio, -24,5% degli investimenti in attività fisse, mentre calano notevolmente le borse cinesi e la borsa di Hong Kong (ansa.it, 16/3/2020). Il crollo del settore manifatturiero si accompagna con la picchiata del settore dei servizi (alberghi, voli, eventi ecc.) (firstonline.info, 7/3/2020). Con la diffusione del Covid-19 a tutto il mondo, la Cina non risulta più il solo paese infettato, ma, trascinando nella recessione il resto del mondo, risulta, data la sua posizione centrale nell’economia mondiale, come il paese la cui crescita, o crisi, possono determinare sull’economia capitalistica mondiale, la sua tenuta o la sua crisi generale. D’altra parte, il Pil della Cina è secondo soltanto a quello degli Stati Uniti, ed è poco meno della somma dei Pil di Giappone, Germania, Regno Unito e Francia (6). La Banca centrale cinese (Pboc) non poteva che correre ai ripari, «immettendo sui mercati 100 miliardi di yuan (14,28 miliardi di dollari)», al tasso di interesse del 3,15% annuo, naturalmente «per aiutare le banche commerciali a mantenere la liquidità prendendo in prestito fondi dalla Pboc» (ilsole24ore.com, 16/3/2020), e nel tentativo di limitare al minimo i danni.   

 

USA: all’annuncio di Trump che l’epidemia potrebbe durare fino ad agosto (16.3.2020), Wall Street, che già calava da giorni, chiude a -12,9%, il calo peggiore dal 1987. Dalla previsione fatta, la Casa Bianca indica a tutti gli Stati che devono chiudere bar, ristoranti, palestre e altre strutture di aggregazione di persone, annunciando che sta prendendo in considerazione una quarantena a livello nazionale, come sta avvendo in questi giorni in Italia e in Europa (milanofinanza.it, 16/3/2020). Il settore manifatturiero che già cominciava a perdere slancio tra dicembre e gennaio, a febbraio 2020 si posiziona appena sopra la stagnazione, come in Spagna, Olanda, Brasile, Indonesia, India, mentre il settore dei servizi è in forte calo come in Giappone e in Australia (firstonline.info, 7/3/2020). Mickey Levy, ex capoeconomista di Bank of America, dichiara che «l’economia statunitense è in recessione», pronosticando che negli USA ci sarà «una dura contrazione dell’attività economica e del Pil nella prima metà dell’anno, con un calo del 4,5% nel primo trimestre e dell’11,7% nel secondo»; crolleranno gli investimenti, tra marzo e maggio «sparirannno almeno 2 milioni di posti di lavoro», i profitti aziendali crolleranno «al passo di molti multipli della caduta del Pil, schiacciati da debiti, tracolli della domanda e del commercio». Ed è esclusa una ripresa a “V”, ossia una ripresa che dopo il crollo verticale si rialzi con altrettanta, se non maggiore, forza.

 

Unione Europea: il 16 marzo la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, propone di chiudere lo spazio Schengen impedendo la circolazione delle persone in tutta l’Unione europea, quando, in realtà, l’epidemia si era già diffusa in tutta Europa e 8 paesi della Ue (Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Danimarca, Polonia, Germania, Spagna e Lituania, oltre alla Svizzera) avevano già chiuso le proprie frontiere... Il suo vicepresidente, Valdis Dombrovskis, alla recente conferenza dei ministri del Lavoro, ha dichiarato: «Il nostro compito è lavorare insieme per ammortizzare lo shock. Possiamo aspettarci che la crescita nella zona euro possa scendere ben sotto lo zero nel 2020. Una risposta economica coordinata è la chiave. Abbiamo tutti gli strumenti che ci servono a disposizione, li useremo pienamente e senza esitazione, passo dopo passo con l’evolversi della situazione» (startupitalia.eu, 19/3/2020). Peccato per Dombrovskis che i paesi, non solo della zona euro, ma dell’intera Unione Europea, di fronte alla crisi da Covid-19 si siano mossi ciascuno per proprio conto, tendenzialmente uno contro l’altro, abbandonando l’Italia – il paese europeo colpito per primo e in modo virulento dall’epidemia – al suo destino, salvo poi, quando l’epidemia ha iniziato a dilagare col suo contagio e coi suoi morti in Germania, in Francia, in Spagna, in Gran Bretagna, cercare di correre ai ripari. La stessa BCE, in un primo momento, per bocca della sua presidente Lagarde, aveva snobbato la richiesta italiana di un consistente aiuto, per poi doversi rimangiare la smargiassata. Negli ultimi giorni, la Commissione non poteva che ratificare quanto i diversi paesi stavano già decidendo, e cioè di sospendere per il bilancio degli Stati il famoso tetto del 3% del debito pubblico. E così la BCE ha annunciato una iniezione di liquidità di 750 miliardi di euro, mentre ogni Stato dell’Ue mette in campo misure imponenti, in merito a prestiti garantiti dallo Stato, a sostegno delle proprie economie nazionali: l’Italia con 350 miliardi, la Germania con 550, la Francia con 300, la Spagna con 200, il Regno Unito con 330 miliardi di sterline (circa 360 mld di euro), gli Stati Uniti con 1.000 mld di dollari (circa 917 mld di euro) ecc.

 

Italia: nel 2009, in corrispondenza della crisi mondiale scatenata dalla bolla dei subprime, il Pil italiano crollò del 5,5%; quest’anno, secondo previsioni più recenti, ci sono economisti che sostengono che potrebbe andare peggio; ad esempio, la banca d’affari tra le più importanti d’America, Morgan Stanley, stima per l’Italia un crollo per il 2020 del 5,8% (agi.it, 18/3/2020). Lo stop forzato della produzione e dei servizi (turismo, voli, eventi ecc.) non spinge le maggiori agenzie di rating, come Ficht e Goldman Sachs, ad essere così pessimisti; prevedono, infatti, più ottimisticamente, un -2% dell’economia 2020 (peggio della Spagna, per la quale prevedono un -1%), sempre che a giugno finiscano gli effetti negativi dell’epidemia sul mercato mondiale... (startupitalia.eu, 19/3/2020). Ma, come dichiaravano i diversi istituti economici e finanziari euroamericani, l’Italia era già in recessione dagli ultimi mesi del 2019. La decisione di disporre di 25 miliardi di euro per gli interventi immediati “per gli ospedali, le imprese e le famiglie”, all’interno di un flusso di 350 miliardi, è stata una prima misura che andava contro il famoso “patto di stabilità” (che imponeva di non superare il 3% di debito rispetto al Pil) e che ha indotto anche gli altri paesi europei a stabilire pesanti interventi a difesa delle rispettive economie. Naturalmente, ogni governo ed ogni istituzione finanziaria ed economica, per non parlare dei media, degli “opinionisti”, degli “esperti”, dei politicanti di ogni risma, si lanciano in ipotesi e previsioni di come andrà a finire e che cosa “ci dobbiamo aspettare”; chi, come i primi, cercando di fare delle ipotesi economiche sulla base di dati oggettivi, sebbene sempre dipendenti dall’andamento dei mercati finanziari e dei rapporti di forza fra le economie dei paesi più decisivi, mettendo la loro oggettività continuamente in forse, e chi, come i secondi, per cavalcare la situazione allo scopo di rafforzare la propria credibilità, e i propri vantaggi economici, politici, elettorali. Ma lo scenario con cui confrontarsi, per i capitalisti, è prima di tutto descritto in termini di ricavi e perdite. E così, ad esempio, una società come la Cerved (7) ha ipotizzato due scenari, il primo con l’emergenza sanitaria che termina a maggio 2020, il secondo portando il termine a dicembre 2020. Il periodo ipotizzato è di due anni, 2020 e 2021. Nel primo caso «per le imprese italiane verrà bruciato un giro d’affari complessivo di 275 miliardi di euro», rispetto all’evoluzione dell’economia che era prevedibile prima dello scoppio dell’epidemia; nel secondo, «se ne andranno in fumo ricavi complessivi per 641 miliardi, tra gli oltre 469 di quest’anno e i quasi 172 dell’anno prossimo» (8). L’elaborazione dei dati riguarda anche i settori economici che vengono più colpiti dalla crisi sanitaria attuale. Nello scenario “ottimistico”, si prevede che «le imprese italiane riuscirebbero già dal prossimo anno a recuperare un livello di fatturato superiore dell’1,5% rispetto a quello ottenuto nel 2019, pari secondo le stime di Cerved a 2.410 miliardi di euro», e perciò in tutti i settori economici più importanti si rileverebbe una crescita importante. Nello scenario pessimistico, invece, «la crisi cambierà il volto dell’Italia e del suo sistema di imprese (...) Il fatturato degli alberghi scenderebbe dai 12,5 miliardi del 2019 a 3,3 miliardi di quest’anno, un crollo del 73% che sarebbe seguito a ruota da agenzie di viaggio e tour operator (-68%), strutture ricettive extra alberghiere come agriturismi e bed&breakfast (-64%) e aeroporti (-50%). Ma l’ictus produttivo e il crollo dei consumi assesterebbero una mazzata anche alla manifattura con un crollo del 45,8% per la produzione di auto (da 39,5 a 21,4 miliardi), di veicoli industriali (da 12,7 a 6,7 miliardi) e del cruciale e diffusissimo settore dei componenti per l’automotive (da 23,3 a 12,6 miliardi) che i produttori italiani esportano o fabbricano direttamente in tutto il mondo» (9). A fronte dei settori colpiti dalla crisi sanitaria attuale, vi sono settori che invece ci guadagnano, o comunque vengono meno penalizzati. Rispetto allo scenario di base, con emergenza terminata a maggio, le aziende che operano nel commercio online, nella grande distribuzione alimentare e farmaceutica, conoscono una crescita di fatturato inimmaginabile in precedenza, ma se l’epidemia continuasse anche dopo l’estate, la crescita sarebbe molto più consistente: nella grande distribuzione alimentare i 108 miliardi del 2019 diventerebbero 132, nel commercio all’ingrosso dei prodotti farmaceutici e medicali passerebbero da 33 a 38, nel commercio online da 4,3 a 6,7, e la stessa crescita toccherebbe anche le aziende connesse all’informatica e all’automazione (10).

Mentre queste elaborazioni sono in genere molto dettagliate, e riempiono le pagine dei media, riguardando ogni settore economico ed ogni regione in cui le imprese hanno sede, non ci sono elaborazioni altrettanto dettagliate per le ipotesi di chiusura delle aziende nei diversi settori e degli inevitabili licenziamenti della manodopera; certo, diffondere queste ipotesi comporterebbe una forte reazione da parte degli operai e dei proletari in generale che i capitalisti non hanno alcun interesse ad alimentare. In ogni caso, tutte le grandi aziende, a partire dalla FCA-Fiat, hanno sospeso l’attività e, secondo le disposizioni governative, rimangono aperte solo le aziende alimentari, farmaceutiche, energetiche e tutte quelle che sono ritenute essenziali per la vita quotidiana. L’Italia, paese della piccola e media impresa, subirà contraccolpi non indifferenti da queste chiusure. Molte piccole imprese non ce la faranno a riprendersi quando l’epidemia sarà calata e ciò significa che ci sarà una sfilza di “ristrutturazioni” e di licenziamenti.

 

Germania: nel 2019, «l’economia tedesca è cresciuta solo dello 0,6%, il ritmo più basso dal 2013 e ben al disotto dell’1,5% del 2018», mentre, a livello tendenziale, vista la temuta diffusione dell’epidemia da coronavirus in Germania e nel mondo, gli istituti finanziari temono un crollo significativo, del 6,8% (repubblica.it, 9/2/2020), mentre Morgan Stanley lo stima in un 4,5% (agi.it, 18/3/2020). Se, come spesso succede in situazioni di questo tipo, gli istituti finanziari dei diversi paesi, quindi anche della Germania, sono molto prudenti quando si stratta di rendere pubblici ipotesi e dati negativi sull’andamento delle proprie economie (ne va degli indici di borsa e della “fiducia” degli investitori), resta il fatto che la Germania è praticamente alle soglie di una reale recessione perché, sebbene il mercato interno abbia un peso significativo per l’economia tedesca, saranno soprattutto le esportazioni che subiranno una consistente caduta. Cina e Italia sono rispettivamente il primo e il quinto partner commerciale della Germania; il blocco delle attività nel Nord Italia sposta le lancette degli scambi commerciali tra questi due paesi verso lo zero; nel 2019 il volume dei loro scambi valeva oltre 125 miliardi di euro (la Germania, il partner commerciale più importante per l’Italia, vale il 16,3% delle esportazioni italiane, e il 12% delle sue importazioni). E, a causa dell’epidemia da coronavirus, sono state annullate numerose fiere molto importanti: la ITB di Berlino, la più grande fiera del turismo del mondo, la fiera della ferramenta di Colonia, quella dell’illuminazione di Francoforte, la fiera internazionale della tecnica metallurgica di Düsseldorf, e la ProWein 2020 di marzo, una delle più importanti fiere europee del vino, sempre a Düsseldorf e che, da sola, lo scorso anno aveva registrato un fatturato di 369 milioni di euro (ilsole24ore.com, 14/2/2020).

Ovvio che la recessione tedesca, sommata a quella italiana e degli altri paesi, darà un colpo significativo alla tanto osannata crescita che ogni capitalismo nazionale rincorre con tutti i mezzi; e, come in ogni crisi economica, sarà la classe operaia di ogni paese a subire le conseguenze più negative, di fronte alle quali è augurabile che il proletariato tedesco si ricolleghi alla sua grande tradizione di lotta anticapitalistica e antiborghese.

 

Francia: nel 2019 il Pil è stato, secondo i dati del FMI, di 2.795 mld di dollari; quest’anno la crescita è prevista al ribasso, andando in recessione nel 2020 di -1%; naturalmente se l’epidemia da coronavirus dovesse prolungarsi oltre maggio-giungo, il calo sarebbe molto più consistente. Il 18/3, Morgan Stanley ha stimato per la Francia un crollo del 4,8% (agi.it,18/3/2020). Intanto, dopo la chiusura delle scuole, delle università e degli esercizi commerciali non essenziali, le maggiori case automobilistiche hanno chiuso i loro stabilimenti, sicuramente fino al 27 marzo, salvo aumento dei contagi e delle morti da coronavirus: PSA (Citroen e Peugeot) e Volkswagen hanno chiuso le fabbriche in Francia, in Spagna, in Germania, in Slovacchia, e Renault ha chiuso tutto in Francia fino a data da destinarsi. Per far fronte al blocco della vita produttiva del paese, data la corsa che il Covid-19 ha preso anche in Francia, Macron ha messo in campo 45 miliardi di euro come piano d’urgenza da investire immediatamente in sostegno delle aziende e per non abbattere in modo drastico i salari dei lavoratori. Ma la cosa che ora interessa di più alla borghesia francese, oltre a tamponare il più possibile la caduta economica, è il giro di vite da applicare in questa situazione critica determinata dalla diffusione del Covid-19. Nei mesi scorsi, il governo ha dovuto fronteggiare la pressione di una serie di scioperi molto combattivi, incentrati soprattutto nel rifiuto della riforma delle pensioni ideata dal governo Macron, ma ripresa da diversi governi precedenti; il movimento di sciopero, dopo un paio di mesi di dure lotte, si è chiuso ottenendo, se non altro, il rinvio della riforma, e perciò i proletari francesi se la ritroveranno tra i piedi in un futuro prossimo. Ma oggi, col pretesto dell’epidemia da coronavirus, e l’applicazione di misure drastiche da parte del governo, è il recupero del controllo sociale che sta a cuore alla borghesia dominante. Ed è contro questo controllo sociale, oltre a condizioni di vita peggiorate a causa della crisi economica, che il proletariato dovrà combattere.

 

La situazione degli altri paesi europei è simile a quelle appena descritte. Dopo che in Italia è scoppiata l’epidemia intorno al 20 febbraio, gli altri governi europei pensavano di poter essere esenti dal contagio semplicemente limitando o chiudendo i voli e i contatti diretti con le regioni del nord Italia in cui erano comparsi i primi casi gravi di Covid-19. Ma nel giro di tre settimane il nuovo coronavirus si è mostrato non solo molto contagioso ma anche molto letale, ha superato bellamente ogni confine colpendo brutalmente decine di migliaia di persone che continuavano a condurre la loro vita quotidiana come se questa epidemia non le riguardasse, tranquillizzate dai propri governi che non solo non prendevano alcuna seria precauzione rispetto alla sua certa diffusione nei propri paesi, ma non allertava e, tanto meno, preparava le strutture ospedaliere a far fronte ad una epidemia che già in Italia stava facendo collassare gli opedali esponendo tutti i malati e tutto il personale medico e ospedaliero al contagio, quindi alle necessarie quarantene, e alla morte. Solo negli ultimissimi giorni in Germania, in Francia, in Spagna si sono dovuti decidere ad applicare misure d’emergenza tardive che una prevenzione inesistente ha reso necessarie. I grandi paesi superindustrializzati, che esportano la loro civiltà e la loro democrazia nel mondo, si ritrovano senza mascherine, senza ventilatori medici e macchinari per la terapia intensiva, costretti a impiantare in fretta e furia ospedali da campo e a richiamare medici e personale ospedaliero in pensione o da altri paesi. E’ una dimostrazione ulteriore che la politica borghese – e non importa quali siano i partiti al governo nel dato periodo – è una politica criminale che, proteggendo in ogni situazione soprattutto il profitto capitalistico, non protegge il tanto venerato popolo da situazioni critiche come quelle che si stanno vivendo oggi.

Quel che ci si può aspettare d’ora in poi non sarà la diffusione tra i vari Stati di una “solidarietà” reciproca per combattere “insieme” la pandemia, una solidarietà che non solo arriverebbe con estremo ritardo e che sarebbe indirizzata solo verso gli “amici” con cui si condividono cospicui interessi economici e finanziari, ma che non cancellerebbe la ragione di fondo dell’esistenza degli Stati borghesi. Questa ragione di fondo va cercata nella concorrenza che si fa sempre più spietata a livello internazionale e che, dopo la parentesi dell’epidemia da coronavirus, scatterà ancora più aggressiva. E sarà la crisi economica che darà l’ulteriore pretesto ad ogni borghesia nazionale, a partire dalle più forti e aggressive – americana, cinese, tedesca, britannica, francese, italiana, russa – per rilanciare quell’unione nazionale tra tutte le classi che  sta cercando di ricompattare nel periodo critico dell’attuale pandemia.

I proletari, se non vogliono per l’ennesima volta essere trasformati da “cittadini” con tanti diritti formali e nessun diritto reale, a carne da macello in una futura guerra imperialistica, devono tornare a lottare con i metodi e i mezzi della lotta di classe che già nel passato – certo, lontano, ma non sepolto – li hanno portati a far tremare i poteri borghesi a Mosca come a Berlino, a Londra come a Parigi, a Vienna come a Roma o Shanghai. Gli interessi proletari non potranno mai essere comuni agli interessi borghesi, e sono gli stessi borghesi che lo dimostrano ogni giorno!

 

21 marzo 2020 (aggiornamento del 20 maggio 2020)

 


 

(1) Cfr. Corriere della Sera, 5 marzo 2020, “Dalla ‘spagnola’ alla poliomelite del ’52, le altre epidemie”.

(2) Cfr. Il fatto quotidiano, 9 marzo 2020.

(3) Cfr. Milano Finanza, 16 marzo 2020.

(4) Cfr. Il Sole 24 Ore, 30.12.2018.

(5) Si tratta di Rana Foroohar del Financial Times e del premio Nobel Edmund S. Phelps, cfr. Il Sole 24 Ore, cit.

(6) Secondo i dati del FMI sul Pil dei paesi del mondo (2018-2019), in milioni di $US, gli USA quotano 20.510.604, la Cina 13.092.705, il Giappone 5.070.269, la Germania 4.029.140, il Regno Unito 2.810.000, la Francia 2.794.696. 

(7) Cerved è una società che analizza i bilanci di tutte le imprese italiane e raccoglie una grande quantità di informazioni sul numero dei dipendenti, sui fatturati e i pagamenti, sulle compravendite di immmobili ecc., Repubblica Affari&Finanza, 16/3/2020.

(8) Ibidem. / (9) Ibidem. / (10) Ibidem.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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