A cent’anni dalla prima guerra mondiale

Le posizioni fondamentali del comunismo rivoluzionario (10)

(«il comunista»; N° 164 ; Giugno 2020)

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A continuazione del lavoro sulle posizioni della Sinistra comunista d'Italia coincidenti con quelle di Lenin e con le tesi dei primi due congressi dell'Internazionale Comunista, ci sembra importante collegare a quanto già esposto l'argomento della "Difesa nazionale" nel caso in cui lo Stato proletario già instaurato venisse attaccato non da tutti gli altri Stati borghesi.

Al IV Congresso dell’Internazionale Comunista era previsto che Bucharin presentasse un Rapporto sul Programma dell’Internazionale, nel quale si tenesse conto della situazione mondiale in cui, dopo la vittoria della rivoluzione proletaria in Russia e l’instaurazione della dittatura proletaria esercitata dal partito comunista rivoluzionario – dunque la costituzione dello Stato proletario – gli Stati imperialisti concertavano, con gli eserciti delle Guardie Bianche guidate dai vecchi generali zaristi, i propri attacchi militari al potere sovietico dall’esterno allo scopo di rovesciarlo e restaurare il potere borghese. Si era ancora nel periodo in cui il proletariato europeo occidentale si mobilitava e si organizzava anche militarmente per scatenare la propria rivoluzione; in alcuni casi, come in Baviera e in Ungheria si erano costituiti poteri proletari che avrebbero potuto fare da trampolino alla rivoluzione vittoriosa in Germania e, quindi, in Europa,mentre la costituzione dell’Internazionale Comunista e il suo rafforzamento, come partito unico mondiale del proletariato internazionale, potevano essere il suo vero punto di forza qualora i partiti comunisti che ne facevano parte avessero dato un contributo fondamentale all’impostazione programmatica e politica e alla direzione del movimento comunista internazionale sgravando in questo modo l’enorme peso che il solo partito bolscevico, fin dall’inizio, si era preso doverosamente sulle spalle. Mentre i primi tre congressi dell’Internazionale si sono dovuti occupare di stabilire i principi generali e la tattica che ne discende su cui tutti i partiti aderenti dovevano conformarsi, il aurto congresso aveva l’obiettivo di affrontare l’applicazione delle direttive emesse dai precedenti sulla base delle esperienze pratiche acquisite nel quadro di un orientamento unitario dell’azione futura. Mentre restava ancora aperto il problema di rendere realmente omogenei tutti i partiti aderenti all’Internazionale Comunista e, da parte di questa, sostenerne l’attività in tutti i suoi aspetti, emergeva con grande forza il problema della difesa del potere sovietico, impegnato com’era in una guerra civile scatenata fin dal 1918 e che terminò nel 1921 con la vittoria dell’Aramata Rossa, e nella ricostruzione di un’economia distrutta e devastata prima dalla guerra imperialista e poi dalla guerra civile. Era, dunque, una necessità politica urgente che l’Internazionale fissasse un nuovo Programma e definisse delle linee tattiche che tenessero conto della nuova situazione mondiale che si era creata. Ma questo Programma, di cui si occupò Bucharin, non ebbe il tempo di essere discusso né all’interno del Partito bolscevico, né nei partiti aderenti all’I.C.; perciò, al IV Congresso, fu proposta una serie di argomenti che tutti i partiti dovevano discutere in modo che al congresso successivo l’Internazionale potesse deliberare anche su questo.

Il Discorso di Bucharin affrontò, quindi, i diversi argomenti: la questione della rivoluzione non solo nei paesi sviluppati ma anche nei paesi arretrati, la questione dello Stato, la questione dell’opportunismo il cui maggior esponente era il rinnegato Kautsky, la questione dell’evoluzione del capitalismo e dell’imperialismo, la questione della nuova politica economica in Russia e la questione della “difesa nazionale” nell’ipotesi di una futura guerra in cui sarebbe stato necessario definire con intelligenza i rapporti con gli Stati borghesi da cui non si poteva evidentemente prescindere. Ipotizzava, inoltre, che nella guerra scatenata da alcuni Stati borghesi contro lo Stato proletario – come era successo nella recentissima guerra civile – si poteva presentare una situazione in cui uno Stato borghese si scontrasse con gli altri, spezzando in questo modo il fronte borghese anti-Stato proletario ed aprendo nello stesso tempo un’opportunità tattica di temporanea “alleanza” tra questo Stato borghese e lo Stato proletario. Ciò non doveva impedire la preparazione alla rivoluzione nello Stato borghese temporaneamente “alleato” per rovesciare alla prima occasione la sua borghesia. E’ su questa ipotesi che si innestò una salva di critiche da parte di tutte le forze borghesi e opportuniste, in particolare in Francia dove i socialsciovinisti alla Frossard si distinsero per una particolare acrimonia contro Bucharin.

Su tema della Difesa nazionale trattato da Bucharin intervenne anche Amadeo Bordiga, con un articolo intitolato «Comunismo e guerra», pubblicato nell’unico quotidiano rimasto in mano al Partito comunista d’Italia, Il Lavoratore, di Trieste e che ripubblichiamo ora insieme alla parte del discorso di Bucharin dedicata, appunto, alla Difesa nazionale.

 

 

La Difesa Nazionale

 

«(...) Il secondo problema tattico è quello della difesa nazionale. Questo problema della difesa nazionale che, per noi comunisti, era del tutto chiaro all’inizio della guerra, perché comportava la negazione pura e semplice della difesa nazionale, si pone attualmente in maniera un po’ differente, e più complicata.

«La più grande complicazione è data dal fatto che noi ci troviamo in presenza di una dittatura proletaria e, beninteso, l’esistenza di uno Stato proletario, e ciò modifica subito l’insieme della situazione. In generale, bisogna che, noi marxisti e dialettici, teniamo molto in conto simili modificazioni. Mi accontenterò di fare un esempio. Quando eravamo un partito rivoluzionario di opposizione, non ci era mai permesso di far sostenere la nostra azione rivoluzionaria da uno Stato borghese. Nulla sarebbe stato più stupido.

«Ricevendo del denaro dalle mani dei nostri nemici, avremmo compromesso per sempre la nostra causa. Anche la borghesia internazionale guardava questo problema, dal suo punto di vista, molto giudiziosamente, quando cercava di dimostrare che noi eravamo gli agenti dell’imperialismo tedesco, o che Karl Liebknecht era un agente dell’imperialismo francese.

«Noi abbiamo deciso una volta per tutte che non faremo mai nulla di simile e siamo rimasti oppositori ad ogni tentativo di questo genere. Ma oggi esiste uno Stato proletario e se può contrattare un prestito verso un qualsiasi Stato borghese sarebbe egualmente stupido di rifiutarsi per principio. E’ un piccolo esempio che permette di mostrare il voltafaccia di principio che può diventare necessario da quando è sorto uno Stato proletario.

«Stessa cosa sulla questione della difesa nazionale. E’ chiaro che “paese proletario” significa “Stato proletario” (perché, in tutte queste questioni, la parola “paese” è sinonimo della parola “Stato” con tale o tal altra caratteristica di classe). Quando la borghesia parla di difendere il “paese”, essa sottintende la difesa dell’apparato amministrativo borghese, e quando noi parliamo di difendere il “paese” sottintendiamo la difesa dello Stato proletario. E così è necessario che il nostro programma ponga chiaramente che lo Stato proletario può e deve essere difeso non soltanto dal proletariato del paese in questione, ma anche dal proletariato di tutti gli altri paesi. Ecco l’elemento nuovo che si è introdotto nella questione dopo il 1914.

«La seconda questione è di sapere se gli Stati proletari, conformandosi alla strategia dell’insieme del proletariato, devono o no fare blocco militare con gli Stati borghesi. In principio, non vi è alcuna differenza fra un prestito e un’alleanza militare. E io affermo che noi già abbastanza grandi per poter concludere un’alleanza militare con questo o quel governo borghese allo scopo, con l’aiuto di Stati borghesi, di rovesciare un’altra borghesia. Voi potete facilmente immaginare cosa arriverà più tardi, dopo un cambiamento nei rapporti di forza presenti. E’ una questione di pura opportunità strategica e tattica che deve essere posta chiaramente nel programma.

Supponendo che un’alleanza militare sia conclusa con uno Stato borghese, il dovere dei compagni di ogni paese consiste nel contribuire alla vittoria del blocco dei due alleati. Se anche in una fase, la borghesia di questo Stato è vinta, un altro problema sorgerebbe (Risate) che non ho bisogno di abbozzare qui, ma che voi comprenderete agevolmente.

«Un altro punto di tattica da menzionare è il diritto all’intervento rosso. A mio avviso, è la pietra di paragone di tutti i Partiti comunisti. Tutti parlano di “militarismo rosso”. Bisogna affermare nel nostro programma il diritto all’intervento di ogni Stato proletario. (Interruzione di Radek: Tu sei il capo onorario di un reggimento, è quel che ti fa parlare così. Risate). Leggiamo nel Manifesto Comunista che il proletariato deve conquistare il mondo. Ebbene, non ci si può arrivare con il mignolo (Risate), non ci si può arrivare che con l’aiuto delle baionette e dei fucili. Anche l’estensione del sistema sul quale si basa ogni armata rossa è nello stesso tempo l’estensione del socialismo, del potere proletario, della rivoluzione. Si ha allo stesso modo il diritto di ricorrere all’intervento rosso, sotto certe condizioni puramente tecniche che rendono la sua realizzazione possibile.

«(...)»

 

Comunismo e guerra

 

Le decisioni del IV Congresso dell’Internazionale Comunista sulla questione francese hanno sollevato la viva opposizione di quegli elementi di destra del Partito Comunista di Francia, presi di mira dalle misure deliberate dal Congresso. Questi elementi, detti oggi in Francia i “resistents” (1) per affinità coi “dissidants” del Congresso di Tours che formano il Partito Socialista, hanno aperto una campagna contro l’Internazionale sulla quale specula ampiamente tutta la stampa anticomunista francese.

L’Humanité ha riprodtto il manifesto dei “resistents” intercalando ad esso una esauriente risposta polemica che confuta le molte asserzioni tendenziose sulla portata e il significato delle decisioni del IV Congresso. Il dibattito, specie nel momento politico tanto delicato che attraversiamo, presenta un interesse grandissimo. Intendiamo lumeggiare un punto di esso che ci pare particolarmente degno di rilievo.

Col sistema comune a tutti i denigratori del Comunismo e dell’Internazionale di Mosca, i “resistents” accennano come se facessero rivelazioni su di un dietroscena misterioso al programma di Bucharin (2), la cui accettazione è stata rinviata al V Congresso, e al discorso da Bucharin stesso pronunziato nel presentarlo, per la parte che concerne l’attitudine dei partiti comunisti in caso di guerra. Gli opportunisti francesi vogliono far credere che su questo delicato argomento in quel programma vi siano delle direttive nuove e imprevedibili, sulle quali si è sospesa la discussione salvo, come essi affermano a vanvera, a demandare all’Esecutivo allargato la loro adozione anche prima del IV [refuso, in realtà si tratta del V, NdR] Congresso. Queste direttive consisterebbero nella possibilità che i comunisti appoggino in caso di guerra uno Stato capitalistico...

Il discorso di Bucharin non è affatto un documento misterioso e la stampa comunista lo ha già pubblicato (3), come lo pubblicherà ulteriormente anche nel testo stenografico. Bucharin non era incaricato né pretendeva di esporre cose nuove e proposte di modifica di vedute e di indirizzi politici. Si trattava, nel programma, di codificare in modo esatto le basi ben note del pensiero comunista quali sono fornite dalla nostra dottrina e dalle risoluzioni dei congressi internazionali, si trattava cioè di ordinare e raccogliere in un documento politico un materiale già elaborato nella coscienza e nell’esperienza del movimento comunista mondiale. Le affermazioni di Bucharin hanno potuto stupire solo gente che, come i destro-centristi francesi, deve ancora capire che cosa è il Comunismo, e che lo andrà comprendendo nella misura in cui sarà convinta di anticomunismo inguaribile.

Ma quello che è addirittura umoristico è che i signori resistenti mostrano di scandalizzarsi delle eresie di Bucharin, affermando che esse significano, colla dichiarazione che la questione della difesa nazionale è una questione di opportunità, la “negazione di uno dei principi fondamentali dell’Internazionale Comunista”. Indipendentemente da quello che è il vero pensiero di Bucharin e dei comunisti, tutto ciò fa ridere perché si sa benissimo come quegli elementi zoppicanti del Partito francese che le decisioni, tutt’altro che troppo severe per essi, del recente Congresso di Mosca hanno messo in subbuglio, sono quegli stessi che puzzano a mille miglia del social-sciovinismo del 1914. Ancora una volta gli opportunisti cercano di coprire il loro gioco atteggiandosi a difensori dei puri principi. In Italia ne sappiamo qualche cosa di questo metodo.

Vediamo un po’ di stabilire quello che Bucharin ha affermato o, molto più semplicemente, quello che un comunista deve pensare in materia di guerra e difesa nazionale, attenendoci al lato più ovvio di un simile problema.

Nel 1914 quei cari amici e parenti dei resistenti francesi di oggi, che ovunque in nome del Socialismo inneggiarono all’unione sacra e alla guerra, fabbricarono un principio, che pretendevano di inserire nel pensiero socialista: quello della difesa nazionale! Quando la nazione a cui si appartiene è minacciata, aggredita, invasa, dagli eserciti stranieri, i proletari socialisti, messa da parte la lotta di classe ed i propositi rivoluzionari di rovesciare il regime, devono dare allo Stato anche capitalistico il loro consenso per la difesa del territorio nazionale.

Fin d’allora i socialisti sul serio, comunisti sulla linea che va da Marx e Lenin, dalla dottrina del Manifesto dei comunisti a quella di Mosca, fecero la critica di questo preteso principio, che non era che la maschera di un tradimento, e che fu propugnato da quanti, da allora in poi, sono senz’altro rimasti nel campo dei nemici del proletariato. Non ripeteremo tutta questa critica, il cui fondamento elementare consisteva nell’osservare che ogni popolo e ogni Stato avevano la possibilità e il diritto di considerarsi, anche se non invasi, aggrediti, e, anche se non aggrediti, esposti alla minaccia dell’invasione dal fatto stesso dello scoppiare della guerra. Il principio della difesa nazionale veniva ad uccidere senz’altro ogni possibilità d’azione del proletariato internazionale contro la guerra capitalistica, ed infatti fu con gli stessi argomenti invocato da una parte  e dall’altra del fronte: e chi può negare che come una rivolta dei soldati francesi o anche una forma meno spinta di sabotaggio del sovversivismo francese poteva condurre il nemico a Parigi, così poteva per una analoga azione tentata in Germania, un’ora dopo che la fatale dichiarazione di guerra era partita, verificarsi un successo degli eserciti dell’Intesa? Il principio della difesa nazionale e il principio della guerra tra i proletariati, e la sua applicazione, uccide ogni possibilità di arrestare con un’azione della classe lavoratrice le minacce di guerra, di provocare la guerra rivoluzionaria contro il capitalismo.

La posizione teoretica del socialismo marxista dinanzi a questo problema è dunque la negazione del principio della difesa nazionale, ossia la negazione del dovere e della necessità pregiudiziali in cui i lavoratori e i partiti della loro classe si troverebbero di aiutare la causa militare del loro paese.

L’Internazionale comunista è stata ed è sul terreno della negazione teorica e pratica di un tale principio e di tutto il ciarpame di retorica patriottica col quale lo si circonda dai rinnegati della lotta di classe. Questa posizione non è stata e non potrà essere mai abbandonata da Bucharin o da alcuno di noi, e non potrà che essere riconfermata in tutti i testi dell’Internazionale.

Adunque fin qui l’esame del problema ci fornisce una prima conclusione negativa nella demolizione del sofismo della difesa nazionale. Ma per giungere alle indicazioni positive circa il compito dei partiti comunisti in caso di guerra non basta capovolgere formalmente i termini della negazione stabilita, per dire senz’altro: il compito dei lavoratori comunisti è la lotta contro il proprio Stato, quando questo è impegnato in una guerra. I resistenti francesi, e i loro compari di altri paesi, probabilmente hanno attribuito all’Internazionale quello che chiamano “uno dei suoi principi fondamentali” con questo metodo che può constatare errato chiunque abbia un minimo di buon senso logico, anche se non sono le regole colle quali in matematica elementare si cavano dai teoremi i loro inversi e i loro contrari.

Scartiamo la “regola” tratta dal principio della difesa nazionale, ma con questo non siamo arrivati ancora alla regola dell’”antidifesa”. La soluzione positiva pratica del problema esige che si ricorra ad elementi più completi, e che si tenga conto dei rapporti delle forze storiche rappresentanti nella situazione dati dagli Stati in conflitto e dai partiti rivoluzionari proletari. Dinanzi alla grande guerra del 1914, i comunisti russi di oggi, e modestamente anche noi comunisti italiani di oggi, presero subito la posizione positiva completa: è una guerra imperialista, è il conflitto tra due gruppi di Stati capitalisti, e nessuno di essi merita la solidarietà del proletariato. Quindi la lotta contro i fautori rinnegati della difesa nazionale francese o tedesca, italiana o austriaca, e lotta, condotta da Zimmerwald a Brest-Litovsk (4), per volgere la guerra degli Stati capitalisti nella guerra rivoluzionaria del proletariato. Quindi il disfattismo dei bolscevichi russi, impeccabile dal punto di vista teorico, una volta spazzato via dal pensiero socialista il principio della difesa della patria ed anche quello (sua parodia) del “dovere di non sabotare la guerra”, è giustificato nella pratica dagli sviluppi reali che, dalla disfatta dell’esercito zarista, fecero uscire il trionfo della Rivoluzione in Russia.

Negato il principio della “difesa nazionale”, il pensiero e il metodo rivoluzionario comunista vi contrappongono non il principio del disfattismo, ma quello dell’impiego delle forze reali politiche a determinare la guerra di classe e la rivoluzione proletaria. Il disfattismo dunque non è un principio, ma un mezzo, uno dei mezzi, coi quali si può far svolgere rivoluzionariamente la situazione creata dalla guerra. Mezzo che può non essere sempre utilmente applicabile, poniamo per la poca forza del partito proletario del dato paese, o perché ve ne sia uno migliore.

Quando noi ci poniamo il problema dinanzi a una possibile guerra nel 1923, cominciamo, come nel 1914, a spazzar via dalle nostre file chi voglia apportarvi il criterio della concordia nazionale e della difesa della patria (ed è per questo, signori resistenti francesi, che siamo felicissmi di esserci liberati di voi, oggi che... comincia a far caldo, e vanno anche in caldo les demi-vierges della politica, malgrado la verginità dei principi). Quindi guardiamo lo scenario del conflitto, e constatiamo che vi è qualche cosa di mutato. Tra i mezzi che non respingiamo per principio, come vi è il disfattismo e il sabotaggio della guerra, vi sono anche dei mezzi politici e storici atti sommamente al nostro fine, e che si chiamano armi, eserciti e Stati. Nella situazione storica di oggi vi è uno Stato proletario, un esercito proletario. Ecco l’elemento fondamentale della nostra valutazione.

Se noi ci troveremo in presenza del conflitto militare tra gli Stati, non potremo trascurare questa considerazione veramente “fondamentale”: come si schiera nel conflitto lo Stato Russo? (5)

Quindi seguitando a negare il principio della difesa della patria, e chiamando alcuni partiti comunisti ad impiegare il mezzo del disfattismo senza esclusione di colpi, noi potremo benissimo indicare un’altra via ad altri partiti se lo Stato del loro paese si trovasse, poniamo, a fianco dello Stato proletario.

Si può escludere una tale possibilità storica? No, certamente. E si convinca, chi ha qualche dimestichezza col Socialismo, che non esiste nemmeno alcun principio che escluda la eventualità di un simile cammino dei fatti storici, e la legittimità per i partiti proletari di scegliere quell’azione che meglio può accelerarlo.

La politica dello Stato Proletario e dell’Internazionale rivoluzionaria si fonda sul principio di svolgere dalla situazione di crisi del mondo capitalistico la guerra e la vittoria rivoluzionaria di classe. Il fatto stesso che oggi sono in presenza Stati borghesi e Stati proletari dà la possibilità che date fasi della lotta si presentino come una guerra degli Stati. In questo caso tutte le forze rivoluzionarie saranno dalla parte dello Stato proletario. E potrà darsi che un Partito Comunista, e il suo Stato borghese, che esso tende programmaticamente a rovesciare, si trovino sulla stessa linea d’azione in una guerra a fianco dello Stato proletario: oggi la Russia.

Non vogliamo qui svolgere il lato concreto del problema, ma solo sgombrare il campo da equivoci di ordine dottrinale su di esso, e chiarire che non si è dinanzi a rinunzie o a mutamenti di indirizzo, ma a conclusioni logiche che ognuno può trarre dai principi genuini del Socialismo rivoluzionario. Nulla di tenebroso e misterioso si avvolge dunque nel discorso del compagno Bucharin, e non è certo dai resistenti francesi che egli può ricevere lezioni di fedeltà ai principi comunisti.

L’obiezione che i comunisti verrebbero a trovarsi su di un piano d’azione comune collo Stato borghese, non significa nulla. Il fatto, non impossibile, ma che sarebbe accompagnato da molte complicazioni e darebbe luogo in ogni caso al più instabile equilibrio nella politica interna, che uno Stato borghese sostenga la Russia in una guerra, e che il Partito Comunista sostenga la stessa causa bellica e militare, non cancellerebbe l’antitesi tra quello Stato ed il Partito rivoluzionario.

Il borghese, e peggio Kemal Pascià, ha potuto con l’appoggio della Russia proletaria, ed il plauso di noi comunisti internazionali, fregare l’imperialismo inglese in Oriente. Ciò non toglie che i comunisti turchi siano tanto in rapporto di... collaborazione di classe con Kemal, che questi li fa imprigionare e giustiziare. E verrà un giorno in cui la nostra soddisfazione si completerà con l’apprendere che i comunisti turchi avranno fregato Kemal.

L’esercito rosso, pensiamo, non farà una dimostrazione militare per salvarlo... Positivamente il risultato non sarebbe certo accelerato se la nostra simpatia o la politica del partito turco tendessero a far vincere i greci e gli inglesi.

Non crediamo dunque che molti Stati borghesi siano pronti ad accettare come alleati i nostri valorosi compagni dell’Armata Rossa. Ma ci preme per ora di stabilire il buon diritto teoretico di Bucharin a dire: siamo contro il balordo principio della difesa nazionale, ma affermiamo che lo stabilire la tattica dei partiti comunisti in caso di guerra è una questione di “opportunità”. Il che, per chi sia meno sciocco di un “resistente”, significa che questo problema si risolve con gli elementi della situazione, fuori del principio della difesa come fuori di un principio inesistente e inimmaginabile di antidifesa.

In realtà i fautori della mezogna della difesa nazionale diventano in tempo di pace i fautori della non meno idiota menzogna del pacifismo di principio, della negazione quacquera e sterile della guerra e della violenza. Ma i principi comunisti sono ben altra cosa da questa robaccia.

Noi siamo per la guerra rivoluzionaria. Si emozionino pure i fessi, ma si può scrivere senza fare nessuno strappo alla nostra ortodossia marxista che noi, meritevoli già dell’epiteto di “caporettisti”, se il Governo italiano partisse in guerra contro gli Stati che avessero assalito la Russia... non faremmo nulla per impedirgli il succeso. E guarderemo con fiducia nello svolgersi di una tale situazione spinosa fin che si vuole per i mille tentennamenti dell’opportunismo (quegli stessi che temeranno di aiutare la Rivoluzione nella situazione inversa) del permesso dei quali la storia ha sempre fatto a meno, ma chiara per un partito pronto ad assolvere tutti i suoi doveri verso la causa della Rivoluzione.

 

[Pubblicato ne Il Lavoratore, organo del PCd’I, n. 5223, Trieste, 13 gennaio 1923.]

 


 

(1) Venivano definiti résistents i membri del Partito Comunista-Sezione Francese dell’Internazionale Comunista (PC-SFIC), capeggiati da Louis-Oscar Frossard che opposero resistenza alle decisioni nei confronti di questo partito adottate dal IV Congresso dell’IC (Mosca, novembre-dicembre 1922). Va ricordato che Frossard si era dimesso dal partito perché appartenente alla Massoneria e alla Lega dei diritti dell’uomo, appartenenze ovviamente vietate dal Comintern.

(2) Nell’originale pubblicato ne Il Lavoratore di Trieste è scritto Bucarin.

(3) Il discorso di Bucharin è stato pubblicato nel Bulletin Communiste (organo del PC-SFIC), Anno quarto, n. 1, 4 gennaio 1923 [Feltrinelli Reprint, Milano 1967]

(4) Nell’originale pubblicato ne Il Lavoratore di Trieste è scritto Brest-Litowsk.

(5) E’ evidente che si tratta dello Stato proletario, della Stato della dittatura proletaria guidato dal partito comunista rivoluzionario, com’era ancora allora lo Stato Russo.

 

 

Partito comunista internazionale

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