Manuel Ellis, un altro nero soffocato dagli agenti di polizia

(«il comunista»; N° 164 ; Giugno 2020)

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6 giugno 2020. Mentre stiamo per dare alla stampa il giornale, veniamo a sapere che il 3 marzo scorso a Tacoma, nello Stato di Washington, un nero di 33 anni, Manuel Ellis, è stato fermato dalla polizia, buttato a terra, immobilizzato – come George Floyd – e incapucciato perché non mordesse o sputasse. Poco dopo, arrivata l'ambulanza, Manuel Ellis, è morto, dopo aver pronunciato le stesse parole di Floyd: «Non riesco a respirare» (cfr. la Repubblica, 6/6/2020).

Una donna, alla guida della sua auto dietro la volante della polizia, ha ripreso la scena ed è il suo video a svelare la vicenda. Questa donna, fermata l'auto, era anche intervenuta perché i poliziotti la smettessero di picchiarlo, ma inutilmente; scopre, in questa settimana di proteste per la morte di Floyd, che anche Manuel Ellis, a Tacoma, quel 3 marzo era morto per mano della poliza, e ne parla al New York Times. Così, attraverso quel video, la vicenda diventa di pubblico dominio.

La pattuglia di poliziotti, sempre formata da 4 elementi, era composta da due bianchi, un nero e un asiatico. La presenza di un nero e di un asiatico non ha fatto alcuna differenza; nessuno di loro è interventuto per interrompere la brutalità dell'intervento contro Manuel Ellis che, in realtà, non aveva fatto nulla per essere fermato e bastonato. Evidentemente, oltre al razzismo – elemento costante negli interventi della polizia in America – l'uso della violenza e della brutalità gratuita dei corpi della polizia americana fa parte delle loro caratteristiche specifiche, soprattutto nei riguardi degli afroamericani.

Ma è una violenza e una brutalità rivolta, in realtà, in generale verso tutti coloro che, per motivi anche soltanto presunti, si ribellano all'ordine pubblico, un ordine sacro per la classe borghese e che viene messo in discussione soprattutto dalle masse proletarie e popolari più povere che si ribellano alle loro condizioni di esistenza.

Le scene di poliziotti che si inginocchiano di fronte alle masse che manifestano pacificamente chiedendo «più giustizia», gridando «Black lives matter» (Le vite dei neri contano),  cambieranno i rapporti sociali tra lo Stato e le sue istituzioni (polizia e magistratura comprese), e le masse proletarie? NO! L'ordine pubblico è l'ordine imposto dalla classe dominante borghese e difeso dagli apparati militari del suo Stato, mediante i loro mezzi e le loro regole. E quando i proletari scenderanno in lotta, organizzati indipendentemente dagli apparati dei sindacati e dei partiti collaborazionisti, sul terreno aperto della lotta classista, accettando lo scontro di classe contro tutte le forze della conservazione borghese, non importa il  colore della loro pelle o la loro nazionalità, allora sarà ancor più chiaro che la violenza borghese non potrà mai essere mitigata e sconfitta dal pacifismo, dal legalitarismo e, tanto meno, dalla collaborazione interclassista, dalla «solidarietà civile». Finché esistono condizioni sociali diseguali e antagoniste – e il capitalimo è fondato su questi antagonismi – esisterà la necessità della violenza di classe, nella prospettiva che può essere solo rivoluzionaria.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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