Spagna. Alla Nissan 3.000 licenziamenti diretti e altri 13.000 indiretti quel che non chiudono oggi, lo chiuderanno domani

(«il comunista»; N° 164 ; Giugno 2020)

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Giovedì 28 maggio, la Nissan ha annunciato che chiuderà il suo stabilimento di Barcellona.

Dopo diversi mesi di voci, richieste di calma da parte del governo e uno sciopero dei lavoratori di oltre venti giorni, la società, che aveva la sua fabbrica principale in Spagna nella Zona Franca di Barcellona, ha reso noto che la sua decisione è definitiva.

Come conseguenza di questa chiusura, i tremila lavoratori dello stabilimento verranno licenziati e quasi altri tredicimila delle industrie ausiliarie che fabbricano componenti per la multinazionale seguiranno presto la stessa sorte. Per la Nissan in Spagna dagli anni ’80, questi licenziamenti rientrano nel piano di ristrutturazione dell’alleanza Renault-Nissan-Mitsubishi. Questo piano prevede la riorganizzazione della produzione di automobili nelle diverse aree del mondo sulla base di criteri di vendita: là dove ogni azienda è più forte, verranno prodotti i veicoli dei diversi marchi (Nissan in Asia e Nord America, Renault in Europa e Sud America, Mitsubishi nel sud-est asiatico). In questa distribuzione, i primi a perdere sono i lavoratori di Nissan e delle sue aziende ausiliarie in Spagna, ma ce ne saranno molti altri.

Il piano di riorganizzazione della produzione che il gruppo Nissan-Renault ha lanciato è la sua risposta alla crisi del settore automobilistico. Questa crisi, sebbene sia in atto dal 2016 (anno a partire dal quale le vendite di auto sono praticamente stagnanti), è peggiorata nell’ultimo anno in parallelo alla crisi dei profitti che il settore metalmeccanico subisce, soprattutto in Europa, ma anche in Cina e negli Stati Uniti, e che, in parte, la crisi economica e sociale causata dalla pandemia da coronavirus è riuscita a nascondere. Infatti, non è solo la Nissan a chiudere: quello stesso giovedì la stampa ha riferito che anche la multinazionale Alcoa, dedicata alla produzione di armi e che ha la sua fabbrica-base di alluminio in Spagna, chiuderà, lasciando un migliaio di lavoratori sul lastrico, tra personale assunto direttamente o dipendente in diverse forme. E all’inizio di questo mese Arcelor Mittal ha annunciato un ERTE  (cassa integrazione) per 8.000 lavoratori fino a dicembre! (molto più di quanto previsto dalla legislazione sul lavoro imposta durante lo stato di emergenza). La crisi capitalistica cade sempre sulle spalle dei proletari e quando scoppia spazza via tutto quel che trova sul suo cammino.

Sempre nel settore automobilistico, anche la Renault ha annunciato che svilupperà un piano di ricollocazione della produzione e che aggiungerà anche una riduzione dei costi di produzione a quello che ha chiamato Self-Help. Questo taglio consiste nel promuovere l’automazione in termini di ingegneria, aumentando la produzione per ciascun lavoratore, passando da 80 veicoli per operatore a 91 nell'arco di due anni e, infine, riducendo la forza lavoro totale di circa 15.000 lavoratori in tutto il mondo. La Renault segue quindi la stessa tendenza della Nissan negli ultimi anni: eliminare tutti i lavoratori che non sono strettamente necessari e aumentare la pressione su coloro che non vengono licenziati aumentando i loro ritmi di lavoro.

La realtà è che una situazione simile si vive in tutto il settore. Non ci sono casi particolari: le aziende che chiudono oggi e licenziano tutti i loro lavoratori stabiliscono la regola per quelle che lo faranno domani. La crisi economica è causata da un’eccessiva produzione di attrezzature e beni che il mercato non può assorbire ed è esacerbata dalla rivalità tra le potenze imperialiste che combattono tra loro, per dare alle loro aziende una quota maggiore in un mercato saturo. Le aziende possono rispondere a questa crisi solo riducendo l’onere, riducendo i costi, in particolare la manodopera, al fine di mantenere i loro profitti entro i limiti di ciò che considerano redditizio.

Il piano Renault-Nissan ne è un chiaro esempio: prima lo stabilimento di Barcellona,  †che era da mesi un obiettivo della multinazionale, poi il piano di ristrutturazione della Renault, che cercheranno di far passare per il migliore dopo che i lavoratori saranno stati piegati con la paura di essere licenziati. Così, queste aziende fanno da avanguardia della classe borghese: sono quelle che controllano buona parte della forza lavoro in regioni come Barcellona o Valladolid. Imponendo le proprie misure ai lavoratori, aiutano altre aziende ad imporre più facilmente le loro. “Ristrutturando” per settore, impediscono che si estenda un possibile movimento di solidarietà fra i lavoratori, dividendo ogni territorio allo scopo di evitare in tutti i modi l’unificazione delle lotte operaie. Rompendo l’energia classista dei lavoratori della Nissan e la loro potenziale influenza sulla classe proletaria nell’area di Barcellona,  †sperano di poter piegare più facilmente tutti gli altri proletari.

Di fronte a questa situazione, la risposta che stanno dando sia i grandi sindacati dell’automotive, sia i diversi partiti politici che si definiscono operai, consiste unicamente nell’accettare la sconfitta o diffondere assurdi proclami apparentemente radicali ma impotenti. Durante i mesi precedenti alla chiusura della Nissan, le CC.OO e la UGT, hanno lanciato un unico obiettivo: dato che lo stabilimento di Barcellona è redditizio, il governo deve dare all’azienda tutte le facilitazioni perché si mantenga in funzione. La strategia delle organizzazioni collaborazioniste, politiche e sindacali, è fondamentalmente quella di chiedere che la borghesia locale e nazionale facciano uno sforzo sotto forma di aiuti pubblici, agevolazioni fiscali ecc. per mantenere la produzione. È una strategia incentrata sulla difesa del posto di lavoro a tutti i costi, accettando perdite in tutto il resto, licenziamenti nelle categorie inferiori, ERTE ecc.: una strategia che ha alle spalle una lunga storia di sconfitte.

Dalla riconversione industriale, quando si esigeva la “redditività economica” per intere regioni che sono state devastate dalla chiusura di grandi aziende metalmeccaniche, di miniere ecc., le organizzazioni sindacali collaborazioniste hanno imposto ai proletari ogni tipo di sacrificio perché le fabbriche fossero tenute aperte... fino al sacrificio finale e ai licenziamenti. Denaro pubblico, sussidi e aiuti di ogni genere, straordinari, tagli agli stipendi, licenziamenti... tutto per mantenere in vita l’industria locale, per assicurarsi il posto di lavoro... Come se i proletari si alimentassero col posto di lavoro, come se l’industria locale pagasse i mutui.

Nella società capitalistica, i proletari, nel settore automobilistico, nell’alberghiero, nelle campagne o in qualsiasi altro settore, vivono del salario che guadagnano solo se la loro forza lavoro viene comprata dagli imprenditori. E’ il salario, insieme alle condizioni di lavoro che lo accompagnano, che deve essere sempre e intransigentemente difeso: un salario, che il lavoro ci sia o non ci sia.

I proletari della Nissan difendono da mesi la fabbrica perché non chiuda. Ora sta per chiudere. Cosa fanno i sindacati come CC.OO., UGT, USO ecc.? Lasciano questi proletari in strada, come ha fatto l’azienda. Per anni hanno preteso dai proletari responsabilità, disciplina, e che dessero una mano perché l’azienda fosse redditizia... E ora che non lo è più, non trovano spazio di manovra per lottare!

Come esempio di questa politica antioperaia, vediamo come i sindacati della Renault si congratulino per il fatto che le sue fabbriche in Spagna siano redditizie... Mentre l’intera associazione padronale dell’automotive si prepara a un’offensiva contro i propri proletari, CC.OO. e UGT affermano nei loro comunicati che le loro buone pratiche sindacali rendono redditizio il modello di business della Renault in Spagna. Esaltano il particolarismo, l’egoismo, qualsiasi aspetto meschino come l’idea che la sorte che tocca ai lavoratori Nissan non tocca ai lavoratori della Renault.

Ma per i proletari della Renault questa politica significa solo pane per oggi e fame per domani. Le leggi economiche di un sistema basato esclusivamente sul profitto impongono le loro esigenze all’intera borghesia e queste prima o poi piombano sui proletari: riduzioni salariali, licenziamenti ecc. Se i proletari rinunciano alla lotta anche per esigenze minime, si consegnano ai padroni mani e piedi legati.

La classe proletaria non deve preoccuparsi se un’azienda è economicamente redditizia o meno. Mentre la Nissan era a Barcellona,  †riceveva costantemente aiuti pubblici, lo Stato sovvenzionava parte della produzione per renderla efficiente, per non parlare dei piani di incentivazione del consumo come il Prever, grazie ai quali ai fabbricanti viene pagata direttamente una parte del costo di produzione di ogni auto. Ciò significa che la borghesia può pagare, può cedere... lo fa tutti i giorni per mantenere la produzione, per aumentare i profitti. La lotta dei proletari, quindi, può piegarla, ma solo se la lotta è condotta con mezzi e metodi classisti, e se tende  all’unificazione dei proletari di tutti i settori sul terreno dell’esclusiva difesa degli interessi proletari.

Quando si abbattono i salari, si aumentano i ritmi di produzione, si licenzia... la borghesia usa sempre la redditività come pretesto. Ma la verità è che queste non sono leggi incise col fuoco. I borghesi possono essere sconfitti... se si lotta, se gli interessi proletari vengono difesi al di sopra di tutte le altre considerazioni, se si utilizzano mezzi e metodi della lotta di classe, se si estende la solidarietà di classe oltre i limiti della fabbrica, della città o del paese. E anche quando una fabbrica chiude, quando, come in questo caso, la crisi la rende non concorrenziale dal punto di vista economico, è la stessa borghesia, il suo Stato capitalista che devono prendersi in carico la sopravvivenza dei proletari.

Lo Stato borghese è sempre pronto a difendere gli interessi dei capitalisti e i loro profitti, e li difende a spese del proletariato. Il proletariato non può e non potrà mai ottenere dallo Stato una reale difesa delle condizioni della propria esistenza perché gli interessi borghesi che difende e di cui è espressione sono totalmente antagonistici a quelli del proletariato. Ecco perché i proletari, come sono obbligati a lavorare contro un salario per vivere, e sono costretti a lottare perché il salario sia parametrato almeno al costo della vita, così sono obbligati a lottare per un salario da disoccupazione quando le aziende li licenziano gettandoli sul lastrico. La lotta dei proletari, se fatta sul terreno di classe, non dipende e non dipenderà mai da quanti soldi l’azienda che li licenzia ha accumulato negli anni o si è fatta dare dallo Stato per rimanere in funzione. Ai proletari non deve interessare entrare nei meandri della contabilità borghese, perché essa risponde a criteri di redditività e di profitto capitalistici, ed è a questi criteri che rispondono anche le organizzazioni sindacali e politiche della collaborazione di classe. Capitalisti e collaborazionisti sono nemici del proletariato quanto la contabilità borghese. L’interesse di classe del proletariato si pone in opposizione frontale ad ogni interesse direttamente borghese e di conservazione sociale; per difendere gli interessi proletari anche sul terreno immediato, come lottare contro l’aumento dei ritmi di lavoro, per la diminuzione drastica della giornata lavorativa, contro i licenziamenti e per il salario di disoccupazione, gli operai devono rompere il patto di solidarietà con il padronato e lo Stato che i sindacati collaborazionisti hanno imposto, alla Nissan, alla Renault come a qualsiasi altra azienda.

Gli effetti della crisi, che torneranno con la fame, la disoccupazione e la miseria, possono essere mitigati solo attraverso la lotta reale e quotidiana della classe proletaria, al di sopra delle divisioni di settore, categoria, genere, età, nazionalità e territorio; una lotta che riconosca nel padronato e nello Stato che lo difende il nemico di classe, contro cui organizzare le proprie forze in assoluta indipendenza e al di fuori di ogni collaborazione interclassista.

 

Lottare contro i licenziamenti e contro le imposizioni dell’azienda significa lottare per il salario, significa lottare per l’unità operaia contro il padronato e contro i sindacati collaborazionisti.

Per la riorganizzazione indipendente sul terreno sindacale, per l’estensione della lotta a tutte le aziende del gruppo Nissan-Renault-Mitsubishi nella prospettiva di allargarla a tutto il settore automotive!

Per la riduzione drastica della giornata lavorativa! Per l’abbattimento dei ritmi di lavoro!

O salario da lavoro o salario di disoccupazione!

 

30/05/2020

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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