L'Italia all'appuntamento annuo con le alluvioni

(«il comunista»; N° 165 ; Luglio-Ottobre 2020)

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Dopo un'estate calda, siccitosa e di pandemia, l'ottobre 2020 regala al Bel Paese la tradizionale dose di alluvioni, frane, smottamenti, ponti crollati, case distrutte, coltivazioni disastrate, morti e dispersi.

Ormai anche il famoso "uomo della strada", quando guarda il cielo che si riempie di nuvole nere e sente alzarsi un vento più forte del solito, capisce che deve attendersi piogge torrenziali, tetti scoperchiati ed esondazioni di torrenti che soltanto qualche settimana prima erano in secca.

Naturalmente, oggi, tutti sono diventati provetti metereologhi anche se insistono a guardare le previsioni del tempo alla tv ma con la segreta speranza che dalla bocca di un "esperto" esca una previsione meno pessimista di quel che si attendono.

Come abbiamo sostenuto da sempre, in questa società, indirizzata esclusivamente al profitto capitalistico, le catastrofi non sono causate da eventi naturali, almeno per il 99%, ma da cause sociali e tutte dipendenti dal modo di produzione capitalistico e dal dominio sociale della classe borghese. Ogni catastrofe, per il capitale, è una manna che cade dal cielo, perché distrugge quantità di prodotti e forze produttive diventate sovrabbondanti e solo la loro eliminazione può far posto a nuovi prodotti e a nuove forze produttive che consentono al capitale di rivalorizzarsi. Ogni catastrofe comporta dei morti; nelle catastrofi provocate dalle guerre i morti sono messi in conto da tutti gli uffici strategici che dirigono le operazioni militari; nelle catastrofi in tempo di pace, quelle cosiddette "naturali" perché vi sono coinvolte le forze della natura (alluvioni, inmcendi, terremoti, tsunami ecc.), i morti diventano un optional, potrebbe anche non esserci nemmeno un morto, e sarebbe del tutto casuale e fortuito, ma è raro che non ci scappi il morto.

Le alluvioni e le frane di ottobre 2020 hanno provocato, tra il Piemonte e la Liguria, più di 22 dispersi che, dopo 3 giorni di ricerche vengono dati praticamente per morti. I fiumi Tanaro e Sesia, importanti affluenti del Po, sono i "colpevoli" ai quali si sono uniti fiumi e torrenti molto meno importanti come il Roya  e il Cervo che sboccano nel mar Ligure, ma che, improvvisamente ingrossatisi date le abbondantissime piogge cadute in un giorno solo, hanno avuto la loro "rivincita" comparendo nelle prime pagine dei giornali e dei servizi tv. Parliamo di "rivincita" dei fiumi e dei torrenti perché, in realtà, essi hanno subito almeno per tutto l'ultimo secolo, attacchi violentissimi da parte della borghesia capitalistica. In che cosa sono consistiti questi attacchi? Prima di tutto in una urbanizzazione sfrenata, con conseguente aumento della cementificazione (autostrade, superstrade, viadotti, costruzioni di stabilimenti e magazzini nei terreni che costano meno, e quindi in campagna, canalizzazione di tutti i corsi d'acqua per recuperare più terreno per le costruzioni ecc.); poi, con lo sviluppo dell'economia mercantile e con l'antagonismo congenito tra città e campagna, tra industria e agricoltura, le campagne, le colline e le montagne si sono via via spopolate spingendo i loro abitanti verso le città.

Questo spopolamento, unito all'attitudine  del capitalismo di risparmiare il massimo su ogni opera di prevenzione, sia che riguardi l'uomo sia che riguardi l'ambiente, ha provocato, e continua a provocare, situazioni in cui le forze della natura riescono a soprendere sistematicamente l'uomo moderno, il borghese che si vanta dei risultati tecnologici delle sue ricerche, ma che non è in grado - anche se arriva a capire che tutta una serie di opere di prevenzione e di corretto equilibrio tra ambiente naturale e società umana sarebbe oltremodo necessaria -  di intervenire efficacemente nel rimediare i danni fatti all'ambiente. Spinta spasmodicamente verso il profitto, la borghesia agisce, e di conseguenza pensa, come classe dominante, come proprietaria di tutti i mezzi di produzione, perciò anche della terra e di tutte le risorse naturali, disponendone a suo volere e piacere. Dispone e mette in funzione tutto quel che produce guadagno, che produce profitto e, dato che la concorrenza nel mercato si è fatta e si fa sempre più agguerrita, ogni distrazione da questo suo obiettivo principale le costa caro; non può permettersi di impiegare energie, tempo, mezzi e capitali se non in funzione del massimo profitto.

E la prevenzione, ormai lo sanno anche le pietre, è un problema che in generale rallenta, alle volte rallenta molto, la corsa al profitto; perciò, se prevenzione ci deve essere, che sia il minimo indispensabile, che non intralci il corso sempre più accelerato dell'economia capitalistica, e che non assorba, se non una minima quantità di capitali, perché il capitale, per valorizzarsi, deve circolare ad alta velocità, meglio se alla velocità della luce (e qui il capitale finanziario ha insegnato molto al capitale industriale e commerciale, mentre le comunicazioni di ordine militare, per la loro importanza nella difesa del capitalismo nazionale, sviluppavano, in un primo tempo in gran segreto, il sistema che oggi tutti conoscono: il web).

Quel che è di fronte a tutti, ogni volta che un fiume esonda, una campagna viene alluvionata, un centro abitato viene coperto di fango, un pezzo di montagna si stacca e cade a valle, un ponte si sbriciola sotto la furia dell'acqua, una casa crolla con tutte le sue fondamenta, è un quadro già visto, già conosciuto e rispetto al quale monta la rabbia ma, insieme, la rassegnazione. Allora si sentono i più anziani del posto che ricordano che tutto quel che sta succedendo sotto i loro occhi era già successo in passato, non una sola volta, ma molte volte.

Abbiamo citato il Tanaro, e prendiamolo ora come esempio. Nel 1994, dopo 3 giorni di piogge intense, superò gli argini nelle province di Cuneo, Torino, Asti e Alessandria. La quantità d'acqua che il fiume portava al Po fece esondare anche questo fiume, insieme ad alcuni suoi affluenti. Era il 5 novembre quando si creò un'onda di piena con la quale il Tanaro si riversò, in tutto il suo corso, su tutti i centri abitati esistenti, comprese le città di Mondovì, Alba, Asti e Alessandria che venne sommersa per il 50%. Alla fine si contarono 70 vittime e più di 2.200 sfollati.

Da quell'alluvione, che nel Piemonte è stata la più grave degli ultimi 50 anni, quale esperienza si ricavò?

Secondo i dati raccolti all'epoca - vedi www.museodelfiume.it/museo_web/tanaro_2002/i/alluvione94_i.htm -, le prime cause dell'alluvione indagate sono state, naturalmente, quelle atmosferiche, e cioè:

- una perturbazione ciclonica proveniente dalla Costa Azzurra, - una tempesta sciroccale dall'Africa, - una bassa pressione sulle vallate dell'alto Tanaro, - un'area anticiclonica sulla Lombardia che costringe la perturbazione a fermarsi sul Piemonte per parecchi giorni. Tra il 4 e il 6 novembre era caduto circa il 30% delle precipitazioni annue. I metereologi non hanno avuto difficoltà, a cose avvenute, a ricostruire le cause dell'alluvione; del resto lo fanno anche i vulcanologi dopo i terremoti. Ma quel che è più interessante è l'elenco delle cause legate all'attività dell'uomo.

E queste, in sostanza, possono valere per qualsiasi evento alluvionale simile:

- mancanza di manutenzione dei corsi d'acqua; - mancanza di salvaguardia della regione fluviale; -riduzione delle sezioni di deflusso per la presenza di ponti; - costruzione nelle aree di divagazione dei fiumi; - innalzamento di barriere innaturali quali ferrovie, autostrade e argini; - riduzione delle aree di laminazione naturali; - disboscamento per l'introduzione di pratiche agricole; l'acqua che, scivolando a valle trasporta terriccio, fango e vegetazione che aumentano il volume delle acque del fiume; - opere di cementazione fluviali e trasformazione di zone boschive in superfici asfaltate impermeabili che fanno diminuire il tempo di corrivazione (cioè il tempo che l'acqua impiega a trasferirsi dal punto di caduta al punto di misurazione).

Queste sono esattamente le stesse cause che vengono individuate ogni volta che gli eventi atmosferici, nella loro variabilità anche improvvisa, fanno quello che naturalmente sono portati a fare e di cui l'uomo - conoscendoli ormai in anticipo per lunghe esperienze vissute - dovrebbe tener conto  nell'organizzare la sua attività e la sua vita sociale.

Ne può tener conto il borghese di oggi, il civilissimo, modernissimo uomo di oggi? Sì, ne tiene conto, nella figura del professionista, dell'esperto, ma solo per riempire report e documentazioni a titolo di conoscenza astratta, utili per scrivere articoli, fare conferenze sull'ambiente e sulla necessità di rimediare ai danni provocati, pubblicare libri e accedere a qualche cattedra universitaria. In realtà, il borghesi di oggi, con tutta la sua "coscienza ambientale", è prigioniero, quanto il borghese non ambientalista, del sistema sociale da cui trae i suoi privilegi. Un sistema che vorrebbe tanto modificare "in meglio", ma contro il quale rema nella realtà quotidiana.

La natura, che sia fiume, montagna, lago, bosco, campagna, mare, di tanto in tanto reagisce allo stupro subito dal capitalismo e chiede oggettivamente, non al tribunale borghese, ma alla classe proletaria di mandare all'aria con la sua rivoluzione questo sistema prendendo in mano il potere col quale, dittatorialmente - come fa la natura - cambiare completamente i rapporti sociali e i rapporti con l'ambiente. 

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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