Il capitalismo e la sua natura

(«il comunista»; N° 165 ; Luglio-Ottobre 2020)

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L'assetto dell'economia capitalista così come lo vediamo svilupparsi nel nostro paese e nei paesi più progrediti di quello in cui viviamo, si presenta, da quando il regime capitalista si è sostituito alle vecchie forme feudali, come un'economia ad aziende divise, autonome, isolate; è l'economia della proprietà privata e, per essere più esatto, l'economia dell'esercizio privato delle aziende produttive: azienda la quale - è questo il carattere peculiare dell'ambiente economico del capitalismo - raggruppa in sé notevoli quantità di forze produttive; intendendo per forze produttive così gli uomini che sono addetti a una data lavorazione, come anche tutti quei mezzi e quelle risorse tecniche di cui questi uomini si avvalgono per poter arrivare alla manipolazione ultima dei prodotti che dall'azienda devono uscire.

L'epoca capitalistica si aprì appunto con l'affermazione di quella tecnica produttiva moderna, che determinò il sorgere di grandi fabbriche, utilizzando le ultime scoperte della scienza, le grandi forze del vapore e dell'elettricità, e che quindi agglomerò un un'unica organizzazione divisa in varie parti un gran numero di persone addette alla lavorazione dello stesso prodotto che in quella unità produttiva veniva elaborato; raggruppando moltissimi operai i quali erano contraddistinti nelle loro funzioni di un'esatta speculazione. Poiché il capitalismo economico comincia quando nel campo tecnico ci troviamo dinanzi alla speculazione, alla divisione delle funzioni del lavoro e nello stesso tempo alla concentrazione di un gran numero di lavoratori addetti alla preparazione dello stesso genere, dello stesso articolo che deve essere riversato sul mercato. Mentre nelle epoche precapitalistiche la produzione degli articoli manifatturati si faceva dall'artigiano il quale non aveva che due o tre garzoni presso di sé e avvalendosi di segreti tecnici e dell'esperienza della sua arte da solo manipolava gli oggetti che dovevano essere messi in commercio, l'utilizzazione di questi mezzi più moderni ci conduce invece alla specializzazione nelle lavorazioni. Noi abbiamo una serie di fasi che ci conducono dalla materia prima all'articolo che si produce in grande quantità. A ogni fase è addetta una squadra determinata di operai con determinate macchine e procedimenti: ognuno è capace di compiere non tutto il ciclo produttivo, ma è addetto a una sola fase di questo periodo. Quindi specializzazione, divisione del lavoro tra tutti quanti questi elementi che compongono l'unità produttiva, dal semplice manovale fino al tecnico, il quale dirige e compie operazioni di ordine scientifico, calcoli che possono essere necessari per condurre a felice termine questo meccanismo della produzione.

Fondamento tecnico del regime capitalista è dunque l'esistenza di queste grandi unità produttive.

Queste unità produttive sono proprietà di singoli o di associazioni, di aggruppamenti di individui che chiameremo capitalisti, industriali, che sono i detentori delle azioni dell'officina, allorquando assume la forma di società; ma in questi grandi impianti produttivi l'assieme delle risorse della produzione non appartiene a coloro che vi lavorano. Mentre l'antico artigiano disponeva dei mezzi, degli strumenti che erano necessari per compiere il suo lavoro, il nuovo operaio che lavora al fianco di centinaia, di migliaia di suoi compagni, non ha più a sua disposizione i mezzi produttivi, non è più possessore degli strumenti produttivi e per conseguenza non è nemmeno possessore dei prodotti. L'artigiano vendeva come meglio gli conveniva quanto era il risultato dell'opera sua: l'operaio industriale, invece, non ha alcun diritto sui prodotti che escono dall'officina, dall'industria, dallo stabilimento. Questi prodotti sono a disposizione degli intraprenditori, dei capitalisti, siano questi rappresentati da un singolo individuo, da una società anonima o da altra forma qualsiasi. Il compenso del lavoro che l'operaio compie è rappresentato dal "salario", cioè da un pagamento in moneta, il quale, come la teoria marxista dimostrava, rappresenta non la parte corrispondente a tutto quanto l'operaio ha dato, ma solamente una frazione; in quanto l'altra frazione, il cosiddetto plusvalore, viene prelevato nell'interesse dell'intraprenditore capitalista e va a rappresentare il profitto della speculazione che ha organizzato con quell'intrapresa.

Quindi l'operaio viene compensato sotto forma di salario solamente di una parte del lavoro che esso dà: l'altra parte va a costituire il guadagno, il profitto del capitalista, che è elemento completamente passivo della produzione, perché allorquando calcoliamo questo profitto, supponiamo di averne detratto non solo tutti i salari degli operai, ma anche degli impiegati amministrativi, dei tecnici, degli ingegneri, di tutti quelli che hanno funzione reale e utile nella produzione; rimane sempre una certa quota parte che rappresenta il vantaggio, il profitto che ricava il capitale impiegato, che corrisponde a una funzione che la critica economica socialista denunziava come passiva. Questo è il carattere dell'economia capitalista: Apppropriazione privata, appropriazione da parte di un singolo dei prodotti del lavoro associato in grandi unità produttive che conglobano in sé gran numero di lavoratori specializzati in determinate funzioni.

(1 - continua)

 

(Dall'economia capitalista al comunismo. Conferenza di A. Bordiga, Milano il 2 luglio 1921)

 

 

Partito comunista internazionale

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