Italia: il politicantismo dei partiti accomuna le forze al governo e le forze all'opposizione

(«il comunista»; N° 166 ; Dicembre 2020)

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Le sceneggiate teatrali dei partiti parlamentari italiani sono una caratteristica difficilmente eguagliabile. Tra gli ultimi esempi eccellono i "nuovi partiti" che hanno sostituito da qualche decennio i vecchi partiti borghesi e opportunisti. L'epoca della Democrazia Cristiana, del PSI, del PCI, del Partito Socialdemocratico, del Partito Repubblicano, del Partito Liberale, del MSI è definitivamente tramontata. Questi partiti avevano il compito di traghettare la politica italiana dal regime fascista al regime democratico, e tale operazione non poteva che essere condotta sotto l'effetto ideologico della lotta antifascista, della lotta contro il "totalitarismo" mussoliniano che agiva agli ordini del "totalitarismo" tedesco, per aprire anche per l'Italia un periodo di "libertà", di "democrazia", di "pace", di "benessere", seppellendo gli orrori della guerra e innestando nel corpo martoriato della popolazione la speranza e l'ambizione di uscire "per sempre" da quegli orrori.

Il contributo fondamentale perché questa traghettata funzionasse l'hanno dato i grandi partiti che influenzavano la classe operaia, il PCI e il PSI, che hanno mantenuto in piedi per decenni non solo il mito della democrazia, ma anche il mito di un "socialismo reale" che lo stalinismo aveva coniato per la Russia e per i paesi sotto il suo dominio, dopo aver distrutto il glorioso partito bolscevico di Lenin e aver assassinato centinaia di migliaia di comunisti rivoluzionari che non intendevamo piegarsi alla politica nazionalista e anticomunista di Stalin.

Ma, finiti gli orrori della guerra imperialista mondiale sono iniziati gli orrori delle guerre locali che le diverse potenze imperialiste - "vincitrici" sugli orrori nazifascisti - hanno condotto, direttamente e indirettamente, per rimettere in discussione la spartizione delle zone di influenza uscita dalla stessa guerra mondiale, ma che non soddisfaceva nessuna di loro.

I borghesi italiani non ci misero molto a cambiare casacca; smessa la camicia nera indossarono la camicia bianca, rossa o verde (guarda caso, i tre colori della bandiera nazionale), a seconda delle convenienze personali e di gruppo. Ma la camicia nera non è mai stata distrutta realmente; ha continuato a simboleggiare un modo apertamente aggressivo di difendere il capitalismo nazionale, modo che la borghesia dominante ha modificato dopo la sconfitta militare del fascismo con gli atti di sottomissione al comando americano, il vero vincitore della guerra e l'unico imperialismo da cui si potevano avere i capitali per la ricostruzione postbellica. La dittatura del dollaro - passato come veicolo della democrazia - andava a prendere il posto della dittatura della lira o del marco. I fascisti si trasformarono in democratici, i monarchici, dopo un po' di resistenze, si trasformarono in repubblicani, i "comunisti" del PCI, indicati come la lunga mano sovversiva della Russia, si erano già trasformati in anticipo, con lo stalinismo, in nazionalisti e controrivoluzionari e per molti anni ancora si sono vantati, pur sventolando bandiere rosse, come i più coerenti difensori della democrazia e della patria.

Il PCI, quale maggiore forza opportunista  in grado di controllare la classe operaia italiana, e agli ordini della Russia stalinista, una volta completato il suo compito di guidare la resistenza operaia non contro l'intera classe borghese di casa propria, ma contro alcune delle sue frazioni a favore di altre, ha continuato a tenere il proletariato nell'illusione che la "via democratica" fosse la via pacifica e parlamentare per giungere al "socialismo", fino a quando la stessa falsa "costruzione socialista" in terra russa è crollata miseramente. Ma l'infezione democratica che ha colpito il proletariato, e non solo italiano, ha continuato ad agire in profondità per decenni e a tal punto che la classe borghese non ha avuto problemi nell'accogliere nelle proprie fila quelli che un tempo erano gli odiati "rappresentanti" della classe lavoratrice. La lotta di strada, che un secolo fa caratterizzava la mobilitazione della classe operaia negli scioperi e nelle proteste, e che rappresentava un reale pericolo per l'ordine costituito, fu sostituita definitivamente con la lotta "parlamentare" sulla cui base si costituiva una casta di politicanti che si aggiungeva alle caste borghesi già presenti e operanti. I nuovi politicanti assimilavano rapidamente costumi, tradizioni, abitudini e, soprattutto, l'attitudine all'intrallazzo. Col tempo, hanno cercato di nobilitarsi discutendo e facendo passare talvolta qualche legge apparentemente favorevole ai proletari, ma occupando il 99% del tempo e delle energie, in qualità di "onorevoli", nella difesa dei loro privilegi.

Gli ingranaggi del potere politico borghese rispondono agli interessi capitalistici sia nazionali che locali, e il loro continuo utilizzo per scopi sempre contrastanti provoca un'inevitabile usura, tanto da spingere i politicanti a cambiare casacca, programmi, organizzazioni, partiti. Più la lotta di concorrenza si acuisce e più i diversi gruppi di interesse hanno biosgno di modificare i propri comportamenti dando ad essi nuovi simboli e nuova immagine, anche se sostanzialmente, come da tradizione gattopardesca ultracentenaria, si cambia "tutto" per non cambiare niente. In questo, la borghesia italiana non ha nulla da imparare da altri. Cambiare immagine, cambiare nome, è l'arte del mercante, il cui fine è sempre quello di fregare il prossimo per tornaconto personale.

Così, i grandi carrozzoni di un tempo hanno terminato la loro funzione passando la staffetta ad altri concorrenti, più dimensionati e più agili ma non meno arraffoni, sempre ansiosi di spartirsi fette di potere nazionale, regionale e locale. Il PCI si è via via liquefatto cambiando man mano nome e dando vita a diversi rivoli e rigagnoli. La DC è scomparsa, come unica casa politica della borghesia bianca e cristiana, sotto i colpi di corruzioni a tutti i livelli su cui la magistraturta non se l'è sentita di passar sopra completamente, aprendo e chiudendo la cosiddetta stagione di "mani pulite" Il PSI, da vecchia baldracca, ha sparpagliato i suoi personaggi nei meandri del sottobosco parlamentare, nei sindacati e nelle più varie organizzazioni pseudoumanitarie allo scopo di continuare a succhiare soldi e privilegi senza troppa pubblicità. Ed anche il vecchio MSI, che tentava di ridare al fascismo mussoliniano una veste democratica, è andato estinguendosi dando spazio a nuovi partiti parlamentari, ma anche a gruppi utilizzabili a fini di controllo sociale come manodopera bombarola.

L'intrallazzo politico, fatto di scappatoie, di condoni, di voti di scambio, di tangenti e di leggi ad personam, è diventato il normale agire della politica borghese, ed è una porta aperta alla malavita e alla criminalità organizzata. Anche in questo la borghesia italiana non teme rivali. Non per niente, ancora oggi, nonostante l'arresto di molti boss della mafia, della camorra e della 'ndrangheta, queste organizzazioni sono perfettamente funzionanti costituendo quello che gli stessi borghesi chiamano "uno Stato nello Stato".

Finita l'epoca dei grandi carrozzoni politici si è aperta l'epoca dei partiti più dimensionati che, in qualche modo, rappresentano meglio la struttura economica italiana, fatta soprattutto di medio-grandi, medie e piccole imprese. La classe media, la piccola borghesia, al cui interno - come nella grande borghesia - si agitano interessi contrastanti, è sempre alla ricerca di una rappresentazione politica che difenda i molteplici parziali e particolari interessi; ed è sempre alla ricerca di forme di pressione grazie alle quali mettere le mani sul denaro pubblico. A tutti i livelli, comunale, provinciale, regionale e nazionale, i politicanti  e i faccendieri di ogni risma si mettono al servizio di imprenditori e di banchieri che vogliono ritagliarsi fette di potere a detrimento dei loro concorrenti, e da questo servizio ricavano mazzette, posti, carriere, privilegi, appoggi, coperture in una trama così fitta da mescolare e confondere tutti coloro che, pur provenendo da partiti e da clan diversi, ci finiscono dentro. Non c'è quindi da stupirsi se capi-partito o esponenti politici importanti esprimono un giorno una determinata posizione e il giorno dopo la posizione contraria. E non parliamo solo degli esponenti delle opposizioni, ma anche di quelli che di volta in volta sono a capo delle amministrazioni locali o al governo.

Il denaro pubblico, la sua gestione, la sua destinazione nei diversi comparti dei servizi pubblici, costituiscono un'attrazione fatale sia per la criminalità organizzata, sia per i clan dei politicanti. E' denaro che per la gran parte proviene dalle tasse che  pagano i cittadini e le imprese e che non è direttamente accumulato dall'attività specifica imprenditoriale; è denaro che appare senza un capitalista padrone d'azienda, ma in possesso di uno Stato che si presenta come ente al di sopra delle classi, come un organismo al servizio della "comunità nazionale". Nella realtà della società capitalistica, lo Stato è un organo del potere esclusivamente borghese: è al servizio della classe dominante borghese ed è in mano ad un ceto politico che risponde alle esigenze del capitalismo nazionale. Lo Stato democratico dà l'illusione di essere un organismo al di sopra delle classi, e il parlamento, con i suoi dibattiti e con le sue votazioni, rafforza questa illusione dato che al parlamento ci vanno gli "eletti dal popolo". Ma tutta la carnevalata elettorale e le istituzioni che fanno da contorno, per le quali d'altra parte la borghesia investe miliardi, serve proprio per mantenere l'illusione che il popolo sia sovrano, perché è col suo voto che manda in parlamento i suoi "rappresentanti". Basta dare una scorsa ai dati, per quanto manipolati, relativi ai disoccupati, agli emarginati, alla povertà diffusa, alle famiglie abbandonate alla miseria e alla fame, e confrontarli con i dati delle corruzioni, delle tangenti, del malaffare, del mercato della droga, della prostituzione, delle armi per rendersi conto che la sovranità sullo Stato borghese, e su tutte le sue istituzioni, non è del "popolo", ma dei gruppi di potere borghesi che usano lo Stato a difesa dei propri interessi e, quindi, contro gli interessi generali del tanto accarezzato "popolo" e, in particolare, contro gli interessi della classe lavoratrice che è la vera produttrice della ricchezza sociale.

Le mani sullo Stato le ha messe la classe borghese fin dalla sua rivoluzione antifeudale, ma a quell'epoca costituiva un passo avanti nella storia. Consolidato il capitalismo, il suo modo di produzione e avviato il suo sviluppo a livello nazionale e internazionale, lo Stato è stato piegato completamente alle esigenze della classe dominante borghese, in pace e in guerra. E' diventato, inoltre, l'arena in cui si combattono i gruppi di potere per far prevalere gli interesssi degli uni contro gli interessi degli altri.

E' in questa arena che i politicanti incrociano le proprie spade. Un giorno per dare addosso agli immigrati, accusandoli di essere portatori di delinquenza e di malattie, un giorno per deviare determinati investimenti su certi settori economici piuttosto che su altri; un giorno per far passare una legge che faciliti gli affari ad un determinato settore di imprese, un giorno per rafforzare le misure di sicurezza e di repressione; un giorno per fare lo sgambetto a quella determinata coalizione di partiti, un giorno per  elargire ulteriori privilegi all'intera casta parlamentare.

La vecchia rappresentazione dei grandi partiti che si sono sempre divisi i compiti del controllo sociale - in Inghilterra bastano i conservatori e i laburisti, in America i repubblicani e i democratici - non esiste più; ora in Italia ci sono partiti che a stento arrivano al 30% dei voti, alcuni arrivano al 20 o 25% con un codazzo di partiti e partitini che raggiungono percentuali intorno al 15, al 12, al 9, al 6, al 5, ed altri che sono ben sotto al 5%. Questo vero e proprio spezzatino costringe i partiti a coalizzarsi sia per governare, sia per fare opposizione. Ma ognuno di loro rappresenta interessi che non sono esattamente gli stessi dei coalizzati, perciò capita che un partitino che sulla carta conta come il due di picche quando la briscola è a denari, può mettere in difficoltà l'intera coalizione mettendosi di traverso in una tornata parlamentare in cui per far passare una legge diventa indispensabile anche soltanto 1 voto in più dei voti espressi dall'opposizione. E' il caso, attualmente, di Italia Viva, il partitino dell'ex leader del PD, dell'ex rottamatore, che i sondaggi danno ad uno scarso 3% in caso di elezioni politiche, ma che oggi diventa l'ago della bilancia del governo Conte2 che, d'altra parte, ha contribuito a far nascere dopo che un altro tipo di rottamatore, Salvini della Lega, aveva affondato il governo Conte1 visto che non riusciva ad avere "i pieni poteri" con cui credeva di poter modificare, attraverso passaggi successivi, la repubblica unitaria, uscita dalle elezioni del 1946, in una repubblica federale nella quale le regioni del Nord, le più richhe e industrializzate, avrebbero comandato.

Il fatto stesso che per governare, in Italia, sia necessaria una coalizione variegata grazie alla quale assicurarsi quel famoso voto in più per far passare le leggi e le misure di un governo, la dice lunga sulla "stabilità" politica tanto cercata, ma mai trovata. Non solo il parlamento, ma il governo stesso sono diventati un mercato in cui è normale l'improvvisazione, il colpo di teatro, lo sgambetto, il ricatto, la lotta per ottenere un favore in più da poter spendere elettoralmente.

Non che nella cosiddetta prima Repubblica non ci fosse mercato dei voti e dei favori, ma i contendenti erano grossi e, per la maggior parte, i membri dei partiti rispettavano le indicazioni delle loro segreterie. Finita la grande espansione economica del dopoguerra, e a causa degli effetti della grande crisi mondiale del 1975, i pilastri su cui si reggevano i grandi partiti sono crollati. Lo spazio che hanno lasciato è stato riempito dai loro frammenti, più o meno grossi, che sono  sopravvissuti in una situazione in cui veniva continuamente messo in discussione qualsiasi accordo, e qualsiasi decisione presa successivamente non era mai definitiva. La politica, con cui i grandi partiti di un tempo davano l'impressione di governare l'economia, era continuamente sbilanciata dalle crisi nazionali e internazionali, rivelando con sempre maggior forza che erano i fatti economici  internazionali che determinavano la tenuta o meno di una data politica nazionale.

Tutti i tentativi che la classe borghese faceva per riportare la gestione politica del paese su accordi tra grandi partiti fallivano. E allora, la lotta per spartirsi fette e fettine di potere nazionale e locale, che un tempo si svolgeva all'ombra di una unitarietà formale nella quale però tutte le diverse frazioni che costituivano i partiti trovavano sufficientemente soddisfatte le proprie esigenze, con la fine del periodo delle vacche grasse - cioè con la fine dell'espansione economica grazie alla quale si trovavano risorse per accontentare i vari appetiti - è emersa alla luce del sole, senza ritegno, senza la preoccupazione di doverla nascondere. Anzi, nonostante fosse evidente che si trattava sempre e comunque di privilegi e di interessi esclusivamente personali e di clan, questa lotta veniva formalmente nobilitata con le chiacchiere sulla "trasparenza", sul "contributo di idee e di programmi per il bene comune", sul "bene delle categorie sociali più disagiate" e via cantando.

Tutto il mondo è paese, si diceva un tempo, intendendo che si intorbidavano apposta le acque perché non si capisse chi pescava, che cosa pescava e chi si avvantaggiva rispetto agli altri.

La chiamano lotta politica, in realtà di politico nel senso classico del termine - riferito alla costituzione, all'organizzazione e all'amministrazione dello Stato per il bene pubblico - ha ben poco. La "politica" della borghesia, superato il periodo storico della sua rivoluzione e del suo consolidamento come classe dominante (per l'Italia si tratta di 160 anni), si è trasformata in politicantismo, cioè in una lotta in cui nel comportamento di ogni "politico" prevale l'interesse personale, la faziosità, l'assenza di ideali e di scrupoli. Il politicantismo si abbina naturalmente con il trasformismo: l'ideale non è più quell'alto e disinteressato obiettivo generale per il quale impiegare le proprie energie e la propria vita, ma la via più breve e meno difficile per soddisfare l'interesse personale.

Mandare all'aria questo putrefatto sistema è uno dei compiti della rivoluzione proletaria.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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