Napoli. Meb Meridbulloni, come la Whirlpool: chiude e se ne va licenziando gli operai

(«il comunista»; N° 167 ; Gennaio / Marzo 2021)

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Un’altra fabbrica storica della città metropolitana di Napoli, questa volta  di Castellammare di Stabia, la  Meb Meridbulloni s.p.a chiude i battenti lasciando sul lastrico circa un’ottantina di famiglie e l’indotto senza prospettive future.

Senza nessun preavviso, nella mattinata prima di natale, gli operai si sono visti chiusi i cancelli presidiati dalle guardie giurate. Nell’ultimo turno della notte precedente nulla faceva presagire la decisione dell’azienda.

Ed è così che in un primo rituale incontro tra i sindacati e i vertici aziendali svoltosi il 23 dicembre, nella prefettura di Napoli è emerso l’assoluto rifiuto della Meridbulloni di cercare una soluzione diversa da quella già decisa.

Naturalmente non potevano mancare, nel periodo natalizio, iniziative istituzionali per esprimere un’ipocrita “vicinanza” agli operai. Così anche il sindaco della cittadina ha effettuato un incontro di rito con i lavoratori recandosi personalmente fuori dei cancelli mentre gli operai svolgevano un sit-in. Ma non è finita. Nella notte di San Silvestro, un corteo di dieci pattuglie di vigili urbani ha reso omaggio alle maestranze presentandosi con i lampeggianti accesi e le sirene spiegate, scortati da due agenti in motocicletta. E la mattina di capodanno il parroco del rione raggiunge gli operai davanti ai cancelli e tutti insieme si mettono a pregare. L’abbraccio delle istituzioni si è fatto sempre più stretto..., in realtà sempre più soffocante perché il timore di reazioni violente da parte dei lavoratori, trattati come rifiuti della società, è sempre presente presso le istituzioni.

La cittadinanza, intanto, esprimeva una sua semplice solidarietà ai lavoratori portando dolci e viveri di ogni genere.

La Meb Meridbulloni, una delle ultime fabbriche che aveva finora resistito alla crisi della siderurgia degli anni Ottanta, ha deciso di chiudere lo stabilimento di via De Gasperi e concentrare, dal primo febbraio, tutte le attività nelle fabbriche del nord Italia.

Gli operai ora si ritrovano in cassa integrazione, pare fine alla fine di giugno; dopo, potranno rientrare nel ciclo produttivo solo se disposti a trasferirsi insieme con l’azienda tra Torino e Milano. E’ evidente che si tratta di un vero e proprio licenziamento silenzioso.

Una decisione alla quale si sarebbe opposta formalmente una parte del governo attraverso il Movimento 5 Stelle, che fa sapere: “Ottanta lavoratori lasciati fuori dai cancelli dell’azienda per la quale hanno lavorato per anni, senza alcun preavviso e senza il coinvolgimento delle parti sociali. Quanto accaduto allo stabilimento Meridbulloni di Castellammare di Stabia è l’ennesima dimostrazione che nel nostro Paese c’è una tendenza da invertire al più presto, con norme ad hoc a tutela di chi, con sacrificio e dedizione, ha contribuito a rendere grande la realtà nella quale ha lavorato per anni. 80 famiglie campane non possono ritrovarsi, dalla sera alla mattina, ad affrontare la prospettiva di essere trasferite a Torino”. Sono le stesse lacrime di coccodrillo rifilate alla vertenza Whirlpool!

Come se lo Stato e il suo governo fossero entità astratte, al di sopra delle parti, mentre sappiamo bene che tutelano gli interessi del capitale a prescindere dalla forma di governo del momento.

Quello che c’è da invertire, semmai, è il rapporto di forza tra i lavoratori e le aziende. Decenni di concertazione e opportunismo politico e sindacale hanno piegato i lavoratori agli interessi esclusivi delle aziende, permettendo ai padroni di ricattare ed attaccare la classe operaia a proprio piacimento e senza alcuno scrupolo. Dai padroni gli operai devono aspettarsi anche questo, non devono essere sorpresi, perché è nell’interesse immediato e futuro di ogni capitalista. Ma i sindacati che organizzano gli operai dovrebbero organizzare la difesa degli interessi immediati operai contro quelli dei padroni, a meno che non siano venduti ai capitalisti come le attuali confederazioni tricolori sulla cui scia agiscono anche i cosiddetti sindacati alternativi. 

Il governo, con il sostegno dei sindacati tricolore, utilizza qui la stessa manovra messa in campo nella vertenza della multinazionale Whirlpool, illudendo i lavoratori che, attraverso negoziati, pourparler e minacce che non fanno paura a nessuno, si troverà una “soluzione”...

Di fronte agli imprenditori che decidono di chiudere i battenti che cosa fanno i sindacati e il governo?  Cercano di  “persuadere” i  vertici aziendali  a “modificare atteggiamento”; cercano di riportarli al “buon senso” o, in alternativa, cercano un nuovo acquirente che possa sostituirsi ai vecchi imprenditori, magari riconvertendo la produzione... ma con ciò gli interessi dei capitalisti non cambiano: se ad un certo punto, per tutelare meglio i loro interessi,  devono licenziare, lo fanno! Teorema  questo ampiamente collaudato e che in passato ha dato i suoi frutti: i capitalisti ne uscivano senza troppi contraccolpi, andando a  investire in altri paesi con mano d’opera a costi più bassi, mentre ai lavoratori, dopo averli isolati fabbrica per fabbrica grazie all’aiuto prezioso e indispensabile di Cgil, Cisl, Uil e dei cosiddetti sindacati alternativi, arrivava la mazzata finale del licenziamento.

Negli anni passati, la chiusura delle fabbriche e quindi la perdita del posto di lavoro venivano compensate da un sistema di ammortizzatori sociali ben diverso da quello attuale. La loro durata era praticamente illimitata e meglio retribuita, ed è per questo che quel sistema è stato smantellato. L’utilizzo successivo del terziario e dei servizi, e la costituzione di società ad hoc, per non dire fantasma, allo scopo di assorbire in qualche modo migliaia di lavoratori in “esubero”, ha visto i decenni passati caratterizzati da una lunga pace sociale dove lo Stato si faceva “garante” degli interessi delle aziende dismesse, ma appariva anche “garante” degli interessi  dei lavoratori da ricollocare. Il sindacato, già dal dopoguerra integrato in ambito istituzionale, dal ruolo essenzialmente concertativo passava alla mera rappresentanza formale dei lavoratori con il compito di notificare i dettami governativi.

I lavoratori, oggi, non sono più tutelati dagli attuali ammortizzatori sociali, perché questi non solo sono ridotti alla somministrazione di pane e acqua, ma sono diventati l’arma per licenziamenti rapidi e indolori per i capitalisti.

Le pur energiche reazioni dei lavoratori, come alla Whirlpool nell’ultimo anno, non hanno portato a un sostanziale cambiamento di rotta. Semmai sono cambiati i tempi di attuazione delle misure in attesa che i lavoratori si sfiancassero in una lotta sterile perché isolata e priva di una piattaforma programmatica di lotta.

Ma, in questa confusa e difficile situazione, un segnale seppur minimo, ma importante, si è concretizzato tra i lavoratori di cui stiamo parlando.

La mattina del 28 dicembre una delegazione di operai della Whirlpool si è recata ai cancelli della Meridbulloni a portare la propria solidarietà. Probabilmente l’iniziativa è partita dalla base dei lavoratori, ma smorzata dai sindacati visto che solo una decina di tute blu di via Argine con tanto di striscione si è unita alle tute blu stabiesi, augurandosi un finale positivo per entrambe le vertenze, con tanto di stretta di mano.

Ma poi nulla più è successo; ma questo gesto, però, potrebbe essere come una piccola scintilla, un segnale perché si diffondano altre scintille simili grazie alle quali dare inizio a forme di lotta più concrete e determinate. Forme di lotta che richiamano quelle dell’inizio del secolo scorso quando la parola solidarietà non era solo una stretta di mano, ma era costituita da un percorso di lotta unitario coinvolgendo quante più fabbriche e proletari possibile con un’unica piattaforma di lotta basata su rivendicazioni di classe.

La solidarietà, perché dia forza alla lotta operaia, deve essere di classe, ossia deve caratterizzarsi come lotta contro la concorrenza fra operai, nella quale lotta gli operai riconoscono come nemici i padroni e tutte le forze di conciliazione e di collaborazione fra le classi. Significherebbe, allora, che gli operai hanno riconquistato fiducia nelle proprie forze, organizzandosi in modo indipendente dagli apparati del collaborazionismo e dello Stato, intorno a piattaforme di lotta che avanzano rivendicazioni in difesa esclusiva degli interessi operai di classe.

Si tratterebbe, quindi di un vero cambiamento di rotta che, però, può avvenire solo sul terreno della lotta inesorabilmente antagonista fra le classi, nella quale gli operai colgono ogni occasione per rafforzare le loro organizzazioni di classe e la solidarietà di classe, rifiutando gli abbracci soffocanti delle istituzioni, anzi combattendole.

Per i comunisti rivoluzionari questa è l’unica prospettiva reale ed efficace perché la lotta operaia abbia una finalità e non venga sterilizzata o usata a fini di conservazione sociale. Ed è su questa strada che i proletari potranno riconoscere che i loro interessi immediati, legati ai loro interessi di classe futuri, fanno parte di una lotta che non si limita alla necessaria difesa del posto di lavoro e del salario, ma che si pone un compito molto più alto e generale: cambiare completamente la società e il suo sistema economico, che solo la ripresa della lotta di classe generale, guidata dal partito di classe, può avviare.

 

Napoli, 3 gennaio 2021

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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