Brucia un’altra torre: dopo la Grenfell Tower di Londra, va a fuoco la Torre dei Moro a Milano

(«il comunista»; N° 169 ; Giugno / Agosto 2021)

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Nel pomeriggio di domenica 29 agosto, un palazzo di lusso di 18 piani, sedici piani esterni e due sotterranei, noto come la Torre dei Moro, in via Antonini a Milano, abitato da 70 famiglie, va a fuoco. L’incendio si è propagato sulla parte esterna ed estetica dell’edificio. Al momento dell’incendio erano in casa 46 persone, fuggite in strada di corsa e tutte salve.

Questo palazzo, come molti altri a Milano, fa parte di una riurbanizzazione della città che approfitta della dismissione di fabbriche, capannoni e vecchi edifici nelle zone della periferia, costruendo residenze e palazzi alti o grattacieli, su suoli che costano molto meno di quelli in centro-città; occasioni succulente per le società di costruzione che fanno affari d’oro. Alla Torre dei Moro – si chiama così perché la società costruttrice è la Moro Real Estate – gli appartamenti costavano dai 5 mila agli 8 mila euro a metro quadro. Infatti se li potevano permettere solo ricchi imprenditori, come Diana Bracco, presidente del cda della multinazionale Bracco spa.

Da tempo va di moda una nuova tecnica per le facciate delle abitazioni, quella che viene chiamata “facciata ventilata”, alla quale magari aggiungere come rivestimento esterno, per puro sfizio estetico, dei pannelli che, nel caso di cui stiamo parlando, sono stati chiamati “vele”, per dare un tono “marinaro” e “nobile” al palazzone di cemento. La “facciata ventilata” dovrebbe contribuire in modo importante a tenere gli edifici freschi d’estate e caldi d’inverno, quindi, contribuirebbe a un risparmio energetico consistente sia in termini di riscaldamento che di condizionamento d’aria. Per “facciata ventilata” si intende che tra il “cappotto” vero e proprio, che dovrebbe essere fatto di materiale ignifugo (in genere lana di roccia), il materiale isolante e il rivestimento ci sia un’intercapedine d’aria. Si sa che un incendio si propaga in presenza di ossigeno; perciò, se il materiale usato nel cappotto o nell’isolamento, o nel rivestimento, non è totalmente ignifugo, basta la scintilla di un corto circuito, come avvenne, nel giugno del 2017, ad un frigorifero del quarto piano della Grenfell Tower di Londra (1), per propagare l’incendio su tutta la facciata mandando a fuoco l’intero stabile. E’ successo a Londra, in una torre di 24 piani, è successo nuovamente a Milano in una torre di 18 piani.

In entrambi i casi, la causa dell’incendio e, soprattutto, della tremenda velocità della sua propagazione all’intera facciata, non è tanto l’intercapedine d’aria, ma probabilmente i materiali usati per il “cappotto termico”, materiali che dovevano essere ignifughi e che, invece, non lo erano. Naturalmente, come succede sempre nella società borghese, prima che vengano emanate leggi e norme precise sull’uso di determinati materiali nelle tecniche di costruzione, o di lavorazione, dando la priorità alle misure di sicurezza di chi li fabbrica, di chi li trasporta, di chi li lavora e di chi, alla fine, li usa, debbono succedere delle tragedie. Dopo che un edificio come la Grenfell Tower è andato a fuoco facendo 72 morti, in Inghilterra è stata intrapresa una serie di azioni legislative e normative col proposito di evitare drammi del genere, costituendo in generale un esempio anche per altri governi. Ma siamo sempre in regime capitalistico, e la priorità è sempre data alla valorizzazione del capitale, quindi al profitto, che, sempre più spesso, si realizza aggirando le leggi, non applicando le normative di sicurezza, costruendo autorizzazioni e certificazioni ad hoc per utilizzare materiali più economici al posto dei materiali sicuri che solitamente costano molto di più. 

La Torre dei Moro è andata a fuoco rapidamente, questa volta, fortunosamente, senza fare morti perché un condomino del sedicesimo piano si è accorto in tempo di un piccolo incendio sviluppatosi al piano sottostante – la causa dell’innesco non è ancora stata stabilita definitivamente – ed ha avvisato subito gli abitanti dell’edificio attraverso una chat comune. Ma, da subito, tutti hanno sospettato che la causa dell’incendio, anche per la rapidità con cui si è propagato – l’edificio è andato a fuoco interamente nel giro di un quarto d’ora – doveva essere cercata nei materiali utilizzati che, probabilmente, non erano quelli dichiarati. Prima ancora che le indagini facciano il loro corso e che stabiliscano, magari dopo anni, le cause e le concause dell’incendio e quali aziende siano da ritenere responsabili, appare lampante che si siano utilizzati materiali altamente infiammabili, altrimenti l’incendio sarebbe stato domato in tempi rapidi, sia perché non si sarebbe propagato ad alta velocità, sia perché il calore prodotto non avrebbe impedito ai vigili del fuoco di intervenire da vicino per spegnerlo.

La Torre dei Moro è stata costruita dieci anni fa; solo nel 2013 sono state emanate delle linee guida sugli edifici considerati alti (dai 35 ai 100 m di altezza, quindi mediamente dai 12 ai 39 piani), il che significa che secondo le normative in essere nel 2010 – molto lasche per quanto riguarda le coperture delle facciate – la Torre dei Moro era perfettamente legale. Rispetto alle nuove linee guida del 2013 avrebbe però dovuto essere “messa a norma”, praticamente rifacendo il cappotto, cosa che l’assemblea condominiale stava prendendo in considerazione approfittando del risparmio fiscale detto del 110%.

Il problema, in generale, è che le normative aggiornate rispetto ai nuovi materiali e in seguito a esperienze drammatiche – come per esempio la diga del Vajont o il Ponte Morandi – vengono emanate sempre molto dopo (decenni se non cinquantenni) che siano state verificate le vere cause delle tragedie; e spesso con leggi che lasciano aperte molte porte perché vengano aggirate. Il capitale investito nelle infrastrutture come negli edifici, nei macchinari e, in genere in tutti i mezzi di produzione e di distribuzione, non solo deve valorizzarsi più profittevolmente possibile in breve tempo, ma deve anche essere “ammortizzato” in tempi lunghi – perché è un “costo” – e, se non si distrugge o si autoconsuma, può fruttare ancora profitto e rendita. Dalla serie: l’ultima cosa che sta a cuore al capitale è la vita umana.

Di fronte ad ogni tragedia le autorità aprono fascicoli di indagine, producono rapporti, istruiscono processi, talvolta condannano l’individuo tale o tal altro perché ritenuto “responsabile” della tragedia. Ma i palazzi continuano ad andare a fuoco, i viadotti e i ponti continuano a crollare, le voragini nelle strade ad aprirsi, le alluvioni a invadere campi e città distruggendo case e provocando morti, i treni a deragliare, gli aerei a cadere, le navi ad affondare, le foreste a bruciare... Una tragedia chiama l’altra e, come se non bastasse, gli scontri di guerra aumentano il conto dei morti, delle distruzioni, degli sfollati, dei profughi, della massa di esseri umani che perdono tutto e sprofondano nelle condizioni di schiavitù perenne e di emarginazione come fossero rifiuti.

Tra poco tempo i media passeranno ad altre tragedie che prenderanno il posto della “tragedia del giorno”, la speculazione edilizia continuerà la sua attività seppellendo tra le carte processuali e i rinvii le indagini di ieri per dare elementi drammatici all’apertura di ulteriori indagini e ulteriori processi e così via, in una spirale senza fine... Tra un po’ di tempo si dimenticherà l’incendio di oggi perché ci sarà un altro disastro che prenderà le prime pagine dei giornali e, mentre si rivolgerà l’attenzione delle masse alle grandi imprese spaziali, ai grandi ritrovati della moderna scienza borghese, alle grandi operazioni di solidarietà internazionale verso qualche migliaio di profughi e di affamati scelti tra i milioni e milioni di sradicati che le guerre guerreggiate e le guerre di concorrenza producono con una continuità terrificante, mentre la propaganda borghese cerca di nascondere la realtà drammatica in cui sprofonda l’intera umanità, la società del capitale gonfia il suo ventre di speculazioni, interessi, operazioni di borsa, intrallazzi politici ed economici imbastendo alleanze e contro-alleanze, preparandosi a tragedie ben più mastodontiche: la tragedia della guerra mondiale, di fronte alla quale il palazzo bruciato a Milano in via Antonini sarà archiviato come un’insignificante puntura di spillo.

I proletari di ogni paese vengono sistematicamente accecati da un bombardamento mediatico incessante col quale i poteri borghesi mirano a diffondere il terrore di una tragedia che può verificarsi in un qualsiasi punto della città in cui si vive, in qualsiasi momento e a causa di qualsiasi evento di cui non si ha assolutamente coscienza. In questo periodo, in cui il coronavirus Sars-CoV2 e la pandemia di Covid-19 sono stati elevati a terribili nemici invisibili,  la società borghese vuol dimostrare di essere in grado di affrontarli e sconfiggerli solo a patto che le popolazioni intere si  pieghino ai diktat che la scienza medica sforna in queste occasioni e il potere politico utilizza per incrementare un controllo sociale sempre più stretto. Ogni tragedia, ogni disastro e ogni sciagura che colpiscono “ciecamente”, ora in un luogo ora in un altro, talvolta i ricchi ma normalmente i proletari e i poveri, vengono utilizzati dai poteri borghesi per incolpare il fato o, al massimo, il signor tal dei tali che non ha seguito le indicazioni della legge. In realtà, il colpevole di tutti questi disastri va cercato non nella fatalità, ma nel sistema economico e politico che domina la società: il modo di produzione capitalistico su cui si basa il potere politico borghese che, a sua volta, genera speculatori, affaristi, faccendieri, intrallazzatori, dirigenti d’azienda, approfittatori, parlamentari di professione e via di questo passo.

I proletari devono aprire gli occhi e guardare oltre la cortina fumogena della propaganda borghese. Devono mettere al primo posto la lotta per i propri interessi di classe, che sono in contrasto netto e irrisolvibile con gli interessi dei borghesi; devono dare ascolto al proprio stomaco e affratellarsi con tutti coloro che vivono nelle stesse condizioni economiche e sociali, lontano e contro la pelosa solidarietà interclassista che di fronte ad ogni disastro viene somministrata dai borghesi come una panacea che guarisce tutti i mali... Devono semplicemente riprendere in mano la propria lotta di difesa sul terreno immediato come sul terreno più generale, organizzandosi in modo indipendente da ogni apparato borghese e interclassista. Questa strada è lunga, ardua, irta di difficoltà e di trabocchetti, ma è l’unica seguendo la quale ci si sottrae dall’abbraccio mortale della solidarietà “nazionale” e si dà un senso vitale e un futuro alla propria lotta.

Ci si domanderà: che c’entra la lotta del proletariato con un palazzo, per di più di lusso, che è andato a fuoco perché sono stati usati materiali non ignifughi. A prima vista non c’entra nulla; ma approfondendo il problema delle vere cause di disastri come questo e allargando lo sguardo alle migliaia di disastri che spesso comportano feriti e morti, non si può non vedere che alla base di questi, che non sono “incidenti” ma disastri annunciati, ci sta un sistema economico e politico generale che genera tutti i fattori che contribuiscono al disastro. Colpire solo in superfice alcuni di questi fattori – come punire i responsabili di aver utilizzato materiali non appropriati per la sicurezza di quel particolare stabile – se, da un lato, risulta utile perché gli stessi non continuino a provocare danni in futuro (ma anche di questo non è possibile essere sicuri), dall’altro non risolve il problema più generale proprio perché sono il sistema economico stesso e la sua sovrastruttura politica, che ne difende le componenti di base attraverso la sua dittatura di classe, a generare costantemente la contraddizione, sempre più spesso mortale, tra il profitto e la sicurezza dei mezzi di produzione e della vita umana. Se non si colpisce la fonte di questa contraddizione, chiusa una tragedia se ne apre un’altra in un altro settore, in un altro paese; dunque non se ne esce.

Gli interessi capitalistici di cui è rivestita ogni attività umana in questa società, e di cui la classe dominante borghese è chiamata a difendere lo sviluppo e la continuità nel tempo e nello spazio, si combattono efficacemente solo colpendoli alla radice. Ma storicamente esiste soltanto una classe sociale che ha dimostrato di avere la forza di combattere contro gli interessi del capitale, e quindi della borghesia: la classe del proletariato, la classe dei senza riserve, di coloro che, in quanto lavoratori salariati, producono tutta la ricchezza sociale di cui, però, si appropria esclusivamente la classe borghese che la usa, nello stesso tempo, per schiacciare i proletari nella condizione di schiavitù salariale. Più si arricchisce, più il capitale viene valorizzato dal lavoro salariato, e più si accresce il potere della borghesia. La strada per colpire seriamente questo potere è quella della lotta classista del proletariato, unito dai suoi interessi di classe che sono totalmente contrapposti a quelli borghesi; la strada perché il potere borghese venga una volta per tutte abbattuto e, quindi, non abbia la possibilità di essere restaurato, è quella della rivoluzione proletaria vittoriosa internazionalmente e della dittatura proletaria che si contrappone frontalmente alla dittatura della borghesia. Certo, la strada perché la rivoluzione proletaria – sulle orme della Comune di Parigi e della rivoluzione d’Ottobre del 1917 – si ripresenti come soluzione storica delle profonde contraddizioni della società capitalistica, oggi non è visibile all’orizzonte. Ma le contraddizioni di questa società, nonostante tutte le pezze che il potere borghese ci mette per mantenerle entro limiti economicamente e socialmente gestibili, lavorano contro lo stesso modo di produzione che le genera, ne minano i fattori sociali e politici di base spingendo le masse proletarie alla ribellione e alla lotta contro le condizioni di vita e di lavoro che, a un certo grado di peggioramento e di tensione, diventano del tutto insopportabili.

Da comunisti rivoluzionari guardiamo oltre al singolo disastro. Sappiamo che alla base è il capitalismo il vero responsabile, e non il capitalismo di questa o quella nazione, ma il capitalismo come sistema economico mondiale rappresentato politicamente e socialmente in ogni paese dalla classe borghese nazionale ancor oggi dominante. Ma sappiamo che i proletari potranno iniziare a rendersi conto della propria forza dirompente quando cominceranno a rompere i lacci sociali, politici, ideologici che li legano alle sorti della classe borghese dominante, contrapponendosi alle sue esigenze oggi in tempo di “pace” per poter lottare con più efficacia domani, in tempo di “guerra”.

 


 

(1) Cfr. la nostra presa di posizione (Archives) La Grenfell Tower è andata completamente a fuoco. La speculazione edilizia ringrazia, 23 giugno 2017, in www.pcint.org

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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