Mimmo Lucano, un democratico “fuorilegge” condannato peggio di un mafioso per essersi dedicato all’integrazione degli immigrati senza guadagnarci un centesimo

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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Riace, provincia di Reggio Calabria, sulla costa jonica. E’ uno dei numerosi borghi, abbarbicati sulle colline, prossime all’Aspromonte, che guardano il mare; ha subito, come molti altri borghi, un lento ma inesorabile spopolamento dovuto alla forte disoccupazione che caratterizza da più d’un secolo tutto il meridione d’Italia. Da Riace, negli Cinquanta e Sessanta del secolo scorso, emigrò quasi la metà degli abitanti, in particolare in provincia Torino, la città della Fiat, e precisamente a Santena dove esiste ancora una numerosa comunità riacese, e poi nel lodigiano e in provincia di Varese. E, mentre il borgo montano si spopolava, si sviluppava sulla costa, dove passava la ferrovia Cosenza-Reggio Calabria e la statale jonica, la frazione di Riace Marina.

Nell’agosto del 1972, Riace diventa nota in Italia e nel mondo per il ritrovamento di due possenti statue greche di bronzo del V secolo a.C., raffiguranti dei guerrieri e alte quasi 2 metri, che casualmente un sub scoprì durante un’immersione a 200 metri dalla riva. Il complicato e delicatissimo restauro richiese quasi quarant’anni, ma ora i “Bronzi di Riace” fanno bella mostra di sé al Museo archeologico di Reggio Calabria.

Ma Riace, dal 2004 in poi, assume una notorietà internazionale non tanto per le statue di bronzo affondate nel mare, ma per decine e centinaia di migranti (curdi, nigeriani, eritrei, maliani, camerunensi, somali, pakistani ecc.) fuggiti dalle guerre, dalla fame, dalla miseria, dalla repressione, dalle torture e dalla morte, in cerca di una terra in cui sopravvivere, come negli ultimi cinquant’anni avviene per milioni di migranti.

Nel 2004, e per tre mandati di seguito, Mimmo Lucano viene eletto sindaco nella lista civica di centro-sinistra, il cui programma è nello stesso tempo semplice e tremendamente complicato da attuare. Mira a ridare vita al borgo che si è spopolato, ripristinando vecchie attività artigianali come la tessitura, la lavorazione del vetro, la ceramica, la confettura grazie alle quali ospitare e integrare gli immigrati che le istituzioni ufficiali non sanno dove collocare. La Calabria, la Sicilia, la Puglia, sono storicamente mete di immigrazione dall’Oriente, dalla Grecia, dalla Siria, dall’Anatolia; il basso Adriatico, lo Jonio, il Canale di Sicilia sono diventati i mari più frequentati dalle rotte della sopravvivenza, ma sono anche i mari che sono stati trasformati in vasti cimiteri per le migliaia di migranti annegati che tentavano, e che tentano ancor oggi, di raggiungere una terra “più sicura” di quella da cui sono fuggiti. Contro l’atteggiamento conservatore, nazionalista e razzista di buona parte dei partiti politici che nei flussi immigratori hanno sempre visto un problema di sicurezza nazionale e di legalità, molti volontari delle Ong e politici della sinistra sociale esprimevano la necessità di dare a questi flussi di immigrati uno sbocco umanitario sulla base della comprensione delle cause immediate che li provocavano come le guerre, la siccità, la fame, la miseria, la repressione. Alla durezza della legge contro la clandestinità opponevano l’emergenza umanitaria e la volontà di trovare delle soluzioni che regolassero l’arrivo dei migranti sia per facilitare il loro viaggio verso altre destinazioni europee sia per un’integrazione nella società civile. Inutile dire che questo umanitarismo, quand’anche espresso senza fini di lucro, si andava a scontrare sistematicamente con le leggi che negli anni alzavano barriere sempre più alte al flusso immigratorio. Il Mediterraneo, da mare della speranza diventava un cimitero sempre più probabile; la sorveglianza militare di tutti gli Stati, a partire dall’Italia, sulle rotte usate dai “trafficanti di uomini” doveva scoraggiare la partenza dalle coste libiche e tunisine, mentre le rotte terrestri della Turchia e dei Balcani venivano sottoposte a misure militari sempre più spietate. Ma centinaia di migranti hanno continuato a fuggire dai loro paesi dell’Africa, del Medio Oriente, dell’Asia riversandosi sui confini della civilissima, opulenta e democraticissima Europa. Gli accordi che la UE e i singoli Stati prendevano con i governi turco, libico, tunisino, egiziano, marocchino, algerino, ossia con i governi dei paesi confinanti con il sud Europa, tendevano e tendono a fermare i flussi migratori in quei paesi confinanti sostenendoli generosamente con miliardi di euro, con vantaggiosi accordi commerciali, con armamenti e naviglio adatti al controllo delle proprie acque territoriali. Il caso dell’Italia e della Libia, prima di Gheddafi, poi di Sarraj e ora di Saleh, è emblematico: tutto il mondo sa che in Libia i migranti che attraversano il deserto per raggiungere la costa nella speranza di imbarcarsi verso l’Italia o Malta o la Spagna, vengono rinchiusi in veri e propri lager subendo ruberie, sevizie, torture, uccisioni, sfruttamento di ogni sorta. Ed è esattamente in quei lager che i migranti vengono riportati dalla guardia costiera libica, addestrata dagli specialisti italiani sulle motovedette regalate dall’Italia nel 2018 alla Libia.

Ebbene è contro questa disumanità – degli aguzzini che approfittano della estrema debolezza dei migranti e degli Stati europei che vogliono impedire il flusso spontaneo delle masse migranti che fuggono dai paesi che le stesse potenze europee hanno colonizzato, depredato, distrutto con le guerre – che persone come Mimmo Lucano hanno lottato e lottano con le armi – in realtà spuntate – della democrazia intesa come fosse davvero il “potere del popolo”.

E così, quando viene eletto sindaco, insieme alla sua giunta, cerca di mettere in pratica le cose per cui si batteva per la cittadina di cui conosce la gran parte degli abitanti, le loro difficoltà, le loro disgrazie e i loro bisogni; per far rivivere un borgo spopolato e che stava morendo, un borgo che ha conosciuto profondamente l’emigrazione e la lontananza dei propri cari in cerca di un lavoro altrove, e che per tradizione storica è sempre stato accogliente, dimostrando di esserlo anche nei confronti dei nuovi immigrati dalla pelle di ogni colore.

Solo che le leggi sull’immigrazione, sull’integrazione, sui permessi di soggiorno e sulle attivita lavorative pongono migliaia di ostacoli ad un percorso umanitario, perché i loro obiettivi non sono l’accoglienza e la vera e aperta integrazione degli immigrati che scappano dalle guerre, dalla miseria e dalla fame, ma selezionare in modo formale e burocratico quel determinato numero di immigrati che possono essere utilizzati nei lavori più pesanti e faticosi, pagati meno dei proletari autoctoni e possibilmente ghettizzati in certi quartieri. A partire dalla distinzione tra migranti economici e migranti rifugiati politici, le leggi restrittive, a cui hanno contribuito tutti i partiti dell’arco parlamentare, sotto qualunque sigla, PCI o PD, MSI o Alleanza Nazionale, DC o Forza Italia, rispondono alle esigenze dell’economia capitalistica nazionale che mette al primo posto la più larga flessibilità della manopera, una flessibilità che, negli ultimi quarant’anni, ha già colpito in modo pesante la classe operaia italiana alimentando una concorrenza sempre più acuta nelle sue file e che, con l’arrivo di centinaia di migliaia di migranti, non poteva che diventare la caratteristica principale richiesta ad ogni operaio. Sul piano sociale l’immigrazione non poteva porsi se non come un problema, perché alla disoccupazione diffusa, soprattutto al sud, degli operai italiani si aggiungeva una massa di lavoratori immigrati, clandestini e non,  impiegati solo alla condizione di lavorare in nero. La disumanità caratteristica del capitalismo ed espressa in modo evidente dalle leggi dello Stato borghese colpisce la dignità della persona; non la rende solo schiava del bisogno di sopravvivere in un mondo che non garantisce la sopravvivenza, ma le toglie qualsiasi difesa morale, qualsiasi umanità.

A Riace, dal 2004 al 2017, da quando Mimmo Lucano è stato eletto sindaco a quando è stato sospeso per poi processarlo con capi d’imputazione che vanno dall’associazione a delinquere alla concussione, dal peculato a vari “illeciti” nella gestione dei migranti, l’umanità tornò ad essere un valore reale. Gli immigrati che passarono per Riace in quegli anni furono più di 6.000; al 2017, quelli che vi si erano stabiliti furono circa 450 grazie a quello che è stato chiamato “modello Riace”, che consisteva nell’utilizzare i fondi pubblici, messi a disposizione dei comuni per l’integrazione e la “gestione” dei migranti, per avviare attività artigianali nel campo della tessitura, della lavorazione del vetro e della ceramica, attività agricole legate alla raccolta di olive e al frantoio, nella scuola e negli interventi di riparazione delle abitazioni abbandonate dai riacesi che se ne erano andati dal paese per lavorare al nord e che, consultati uno per uno, avevano accettato che le loro vecchie abitazioni fossero affittate ai migranti, che nel frattempo le rimettevano a posto. Il “modello Riace”, ovviamente, non piaceva ai governi, né di destra né di sinistra (1), ma aveva ricevuto nel corso degli anni una serie di riconoscimenti anche internazionali proprio per i risultati ottenuti nell’accoglienza e nell’integrazione dei migranti. Perfino la prefettura di Locri, quella che, tra il 2017 e il 2018, ha indagato e poi mandato a processo Mimmo Lucano e i suoi collaboratori, nell’agosto del 2018 fece le lodi del “modello Riace” perché nei confronti dell’emergenza immigrati “è un modello che funziona” (2).

Ovvio che ai governanti dava estremamente fastidio che un piccolo paesino della Calabria, fosse in prima fila nell’accoglienza dei migranti e avesse una notorietà internazionale inaspettata (3), costituendo un esempio concreto di come una diversa gestione dei rifugiati politici e degli immigrati in genere poteva contribuire ad avviare un’integrazione nel tessuto sociale esistente. I migranti che raggiungevano, in un flusso inarrestabile, le coste italiane, nonostante i pericoli della traversata del Canale di Sicilia o del Mar Jonio, per i governanti costituivano, e costituiscono, un problema spinoso che non sono mai riusciti a risolvere se non affrontandolo sistematicamente con impedimenti di ogni tipo perché i barconi zeppi di migranti non raggiungessero le coste (e quando riuscivano comunque a sbarcare lasciassero nella loro scia affondamenti e morti affogati), e imprigionandoli nei Centri di identificazione ed espulsione il cui obiettivo non è mai stata l’integrazione ma l’espulsione.

L’illusione di Mimmo Lucano e dei suoi collaboratori è stata quella di gestire l’immigrazione clandestina dal punto di vista umanitario, utilizzando tutte le scappatoie che le leggi consentivano e andando contro l’interpretazione della lettera delle leggi e contro le procedure burocratiche pur di risolvere in tempi rapidi le difficoltà incontrate dai migranti.

Questo “modello” non solo non doveva espandersi, ma doveva essere cancellato, seppellito, colpendo in modo esemplare i loro ideatori e realizzatori. E così è stato, con i 13 anni e due mesi che la sentenza di primo grado ha comminato a Mimmo Lucano, raddoppiando praticamente le richieste della stessa procura di Locri col sistema di sommare ogni singolo reato col massimo della pena prevista. Tale conteggio tecnico-burocratico non ha tenuto conto del “medesimo disegno criminoso” come aveva sostenuto l’accusa, ma ha considerato ogni reato disgiunto da tutti gli altri, distinguendoli in due capitoli di accusa: la gestione dei fondi pubblici da un lato, la gestione delle politiche migratorie, dall’altro. «Peculato e truffa – scrive il Corriere della sera dell’1/10/2021 – a cui si aggiunge l’associazione a delinquere perché commessi in collaborazione con altri imputati», e poi abuso d’ufficio e falso in atto pubblico.

La vendetta del potere politico borghese si è mostrata in tutta la sua forza. Il fuorilegge Mimmo Lucano è stato condannato ad una pena che nemmeno i più incalliti delinquenti hanno mai subito.

Certo, la sua “colpa” è stata quella, in conclusione, di aver utilizzato la sua investitura istituzionale e il suo potere locale per fini umanitari non previsti dalla legge. Si dimostra così, per l’ennesima volta, che il pugno di ferro del potere borghese è sempre rivestito dalla maschera della democrazia che ispira una giustizia formale che, anche in tempi lunghi, si abbatte su coloro che rappresentano “modelli” che non rispondono ai criteri di gestione politica, economica, sociale con cui il potere borghese centrale intende trattare la “questione dell’immigrazione”.

La grande solidarietà che Mimmo Lucano sta ricevendo da parte di personaggi in vista come da parte di gente comune, si base sostanzialmente sulla condanna esagerata che è stata comminata e, ovviamente, su quell’umanitarismo che, in ultima analisi, non cambia sostanzialmente l’impianto economico e sociale del capitalismo, tanto meno influisce direttamente sul piano legislativo perché le leggi non possono certo ammettere il principio di umanità come giustificazione di una gestione illegale di fondi pubblici e di politiche migratorie. Da questo punto di vista Mimmo Lucano è stato considerato alla stregua di un capo mafioso, sebbene abbia sempre combattuto la criminalità organizzata, con qualsiasi sigla si vestisse, e proprio in forza della gestione “garibaldina” dei fondi pubblici per l’immigrazione sia riuscito a strappare agli artigli della ‘ndrangheta e al lavoro nero centinaia di immigrati clandestini.

Egli ha rappresentato per quindici anni una profonda contraddizione del sistema economico e sociale capitalistico. Da un lato, questo sistema genera acute diseguaglianze, miseria e morte, sfruttamento bestiale e guerre devastanti; dall’altro, compensa questo quadro osceno, in cui una minoranza di borghesi accentra l’intera ricchezza e il potere politico che ne deriva, contro una massa sempre più vasta di proletari, di senza riserve, di senza patria, di senza tetto, di senza lavoro, con una democrazia che, all’atto pratico, di fronte alle grandi diseguaglianze sociali si mostra impotente, illusoria, ma, nonostante ciò, utile a deviare energie sociali che dalle contraddizioni emergono con forza tentando di appianare le contraddizioni più acute e raddrizzare politiche e orientamenti che si dimostrano disumani.

Una volta ancora si dimostra che il sistema politico e sociale capitalistico non è riformabile attraverso i suoi stessi metodi e mezzi di governo. Le rare riforme che prevedono un minimo di protezione degli strati sociali più disagiati e delle classi lavoratrici sono dovute alle loro dure lotte svolte nei decenni passati; ma il crollo di quelle lotte, di quegli scioperi, di quelle manifestazioni di forza, che già erano intrisi di illusioni democratiche, e dovuto soprattutto all’opera sistematica del collaborazionismo interclassista, ha favorito la sicumera del potere borghese che di anno in anno si è rimangiato una grande quantità di quelle “protezioni” degli strati più disagiati e delle classi lavoratrici, aumentando di fatto la disoccupazione, i licenziamenti, il lavoro nero, il lavoro sottopagato, il precariato, l’abbattimento dei salari e delle pensioni. Di fronte a tutti questi attacchi programmati contro la forza sociale che sola potrebbe reagire contrastandoli, cioè il proletariato, era inevitabile che ci andasse di mezzo ancor di più una parte più debole in assoluto come la massa di migranti; e con loro tutti quelli che andavano controcorrente, come Mimmo Lucano e i suoi vecchi collaboratori. Questi dovevano essere colpiti in modo esemplare perché ad altri non venisse in mente di fare le stesse cose.

La forza dello Stato si esprime attraverso la polizia, l’esercito, la magistratura, il fisco. La legge protegge la legalità, sia in campo pubblico che privato, e la legge non la fanno “i cittadini”, ma il potere borghese  che per ingannare meglio le grandi masse veste i panni delle toghe chiamate a rispondere al falso motto scritto in tutti i tribunali “la legge è uguale per tutti”; i panni dei parlamentari chiamati a rappresentare il teatrino della democrazia e del “bene comune”sotto il cappello dell’interesse nazionale e della patria. E veste i panni dei partiti democratici che svolgono ciascuno il ruolo di esprimere gli interessi degli strati della popolazione suddivisi in fazioni, corporazioni, lobby, gruppi economici e politici che dimostrano concretamente l’esistenza di disuguaglianze che tendono ad approfondirsi nonostante le ciance sulla lotta alla povertà, alla disoccupazione, al disagio sociale; e dei sindacati venduti fin dalle origini, durante la seconda guerra mondiale, alle fazioni borghesi vincitrici della guerra e dominanti sulla società assumendo il ruolo di pompieri sociali, di sabotatori delle lotte operaie, di collaborazionisti ben pagati e protetti dal sistema politico borghese.

Contro l’apparato complesso e ramificato del potere borghese non c’è azione democratica che tenga, tanto meno una politica che riduca la divisione della società in classi contrapposte. L’umanitarismo espresso dai numerosi gruppi del volontariato giovanile spesso in mano alle organizzazioni religiose, dalle Ong, dalle associazioni ambientaliste, che indiscutibilmente portano conforto nell’immediato ai molti disgraziati ed emarginati (e certamente ai più disgraziati, gli immigrati clandestini), abbandonati dallo Stato e dalle sue istituzioni, svolge in realtà un ruolo simile a quello svolto dai sindacati collaborazionisti: attenuare le tensioni sociali, intervenire nelle situazioni di contrasto più acuto come soccorritori perché quelle situazioni non degenerino causando prima o poi una sollevazione violenta e incontrollata. Su questa stessa linea si era mosso Mimmo Lucano, portando sicuramente conforto e dignità ai migranti che coinvolgeva, ma contro la legge che, in quanto sindaco, avrebbe dovuto rispettare e applicare, ma che, mettendo in primo piano il soccorso umanitario, era costretto necessariamente ad aggirare. Il suo obiettivo non è mai stato quello di arricchirsi personalmente, non ha mai comprato voti né si è fatto largo nell’agone politico con l’appoggio dei clan che nella Locride dominano; sapeva di dover aggirare le leggi e le procedure burocratiche tutte le volte che c’erano di mezzo delle vite perché se avesse seguito nelle procedure e nei tempi quel che indicavano le leggi sulla gestione dell’immigrazione avrebbe dovuto gettare la spugna, arrendersi – come hanno fatto e fanno migliaia di sindaci – all’impossibilità anche solo di pensare ad un altro modo di accogliere e integrare gli immigrati.

Il “modello Riace”, tanto osannato da molte istituzioni internazionali, e nazionali, ai tempi in cui di fronte al grave problema della gestione dell’immigrazione le istituzioni non sapevano che pesci prendere, non doveva vivere a lungo; potevano pensare che si esaurisse “naturalmente” date le grandi difficoltà che inevitabilmente incontrava, ma non si esauriva, ed è durato per ben 15 anni. Doveva essere distrutto con le armi più antiche del mondo: la denigrazione, l’accusa infamante di lucrare sulla vita degli immigrati e di ricavare dei vantaggi economici e politici personali, rubando, falsando, abusando.

Probabilmente negli appelli i suoi avvocati dimostreranno che tutte queste accusa non hanno fondamento, ma il “modello Riace” è morto e sepolto. Così voleva il potere politico borghese, così vuole la magistratura, così vogliono tutte quelle forze economiche e sociali che trafficano nei corridoi delle istituzioni per accaparrarsi appalti, favori, prebende, fette di potere, a qualunque partito parlamentare facciano riferimento.

La Democrazia ha fatto vedere per l’ennesima volta il suo vero volto: non protegge i poveri, gli affamati, i diseredati, i lavoratori; protegge gli interessi della classe dominante borghese e di tutti coloro che si piegano al suo volere. I proletari devono tirare una importante lezione anche da episodi come questo: per cambiare la situazione, per migliorare le condizioni di esistenza e di vita, la lotta va condotta con mezzi e metodi di classe, accettando la realtà dell’antagonismo di classe che divide gli interessi proletari – a qualsiasi nazionalità si appartiene – dagli interessi della classe borghese e dei suoi servi. La via, dunque, è nella lotta di classe che per obiettivo storico non ha il miglioramento del sistema capitalistico borghese attuale, ma la sua distruzione, sostituendolo con un sistema che non abbiamo timore di chiamare socialista e che mira a superare definitivamente la società divisa in classi, quindi ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ogni oppressione, ogni diseguaglianza sociale.

Soltanto le masse proletarie, spinte dalle necessità economiche immediate e dall’esperienza nelle lotte contro i padroni e il potere borghese, unendosi al di sopra delle differenze di nazionalità, di genere, di età, di specializzazione o di religione, possono riuscire ad imporre una direzione finalmente positiva alle battaglie che oggi sono ancora prigioniere delle illusioni della democrazia. Allora, la spinta umanitaria di cui è dotato ogni essere umano alla sua nascita, non sarà più la valvola di sfogo di un sistema sfruttatore e oppressivo, ma una forza in più per il cambiamento radicale della società.

La rivoluzione non sarà più una parola del passato che si studia malamente a scuola, ma rinascerà dalle contraddizioni sociali stesse, dal loro acutizzarsi, dai fatti stessi che i proletari potranno toccare con mano. Allora il nemico non sarà lo straniero che, dopo essere scampato alla morte per annegamento, arriva col barcone a toccare la costa, o che, scampando alla sorveglianza militare sui muri dei confini terrestri giunge in una terra che crede possa offrirgli una speranza di vita. Il nemico sarà il potere politico borghese che, mentre permette ai capitalisti di sfruttare il lavoro salariato nei modi più bestiali, lasciando al lavoro nero e al caporalato il compito di fornire braccia a poco prezzo e ricattabili 24 ore su 24, nega alle masse diseredate del mondo una sopravvivenza decente nei loro paesi e, nello stesso tempo, nega loro la “libertà” di cercare una fonte di sopravvivenza in altri paesi e, in particolare, nei paesi che si sono arricchiti sfruttando, col colonialismo prima e con la pressione imperialista poi, quelle stesse masse.

 

7 ottobre 2021

 


 

(1) Negli scranni del governo, tra il 2004 e il 2021, hanno piazzato i loro deretani Berlusconi, per tre volte, Prodi, Monti, Letta, Renzi. Gentiloni, Conte per due volte e da quest’anno Draghi; ma i centri di raccolta degli immigrati non sono stanzialmente cambiati, sono sempre stati e sono rimasti centri di detenzione e di espulsione.

(2) Cfr. Il Sole-24 Ore, 24 agosto 2018.

(3) Ad esempio, ai tempi della famosa crisi umanitaria di Lampedusa nel 2008-2009, Riace, insieme ai comuni vicini di Stignano e Caulonia, che complessivamente facevano 10.200 abitanti, diedero la disponibilità di 200 posti, mentre una città grande come Milano, 1.400.000 abitanti, fu disponibile per 20 posti!

 

 

Partito comunista internazionale

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