Sullo sciopero dei portuali (Clpt) di Trieste e Monfalcone contro l’obbligo del green pass per i lavoratori

(«il comunista»; N° 170 ; Settembre / Novembre 2021)

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Il 21 settembre scorso segna una svolta nei rapporti che il governo di Roma intende imporre nei confronti dei lavoratori italiani: è in questa data che viene ufficializzata, col decreto legge 127, una ghigliottina contro tutti i lavoratori che si macchiano del particolare reato di non possedere il green pass, il lasciapassare per accedere al lavoro.

La ghigliottina consiste in questo: sospensione immediata dal lavoro, sospensione immediata del salario (e di tutte le sue contribuzioni), cancellazione dei giorni di ferie, di malattia, di tfr, di cassa integrazione e sussidi equipollenti ecc. che maturerebbero in tutto il periodo di sospensione dal lavoro. Unica voce non punitiva valida per tutto il periodo di “emergenza” che scade il 31 dicembre 2021: il lavoratore senza green pass viene sospeso ma non licenziato, il che però lascia aperte le porte nel periodo successivo a licenziamenti “legali”...

A questo vigliacco ricatto che il governo, dopo averlo introdotto nei confronti dei lavoratori della sanità e della scuola, ha esteso a tutti i lavoratori dei settori pubblico e privato, molti lavoratori si sono opposti, manifestando e scioperando, ma in una situazione di completo isolamento e di forzata frammentazione. I sindacati tricolore, fedeli alla loro lurida opera di collaborazione con il padronato e con la classe dominante borghese, e nella più efficace opera di sabotaggio delle lotte operaie, non potevano non svolgere il compito loro assegnato dalla borghesia: dividere la massa proletaria tra coloro che si sottomettevano, per convinzione o per necessità, alla vacinazione come da programmi governativi, e coloro che non intendevano vaccinarsi, per paura delle conseguenze a lungo termine o per convinzione, e che non intendevano piegarsi a questa ulteriore misura di repressione e di controllo sociale. Contro il green pass obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro, invocato anche dai sindacati tricolore Cgil, Cisl e Uil, si mobilitava il sindacalismo di base, che si definisce “conflittuale” (1) per distinguersi dal sindacalismo concertativo che caratterizza i sindacati collaborazionisti tradizionali. Si attivava anche la Federazione Italiana Sindacati Intercategoriali (Fisi) (2), a cui si riferiva il Coordinamento Lavoratori Portuali di Trieste, distintosi per aver dichiarato, e iniziato, uno sciopero dal 15 al 20 ottobre, con l’intenzione di bloccare il porto di Trieste rivendicando il ritiro del green pass non solo per i lavoratori del porto di Trieste, ma per tutti i lavoratori italiani. Sciopero di cui hanno parlato tutti i media e su cui torniamo di nuovo più avanti. 

Se il governo è giunto a prendere una misura repressiva così dura nei confronti di quei 5 o 6 milioni di lavoratori che non hanno voluto vaccinarsi, è perché intendeva forzare questa grossa massa di “disobbedienti” a sottomettersi alle disposizioni concordate tra governo-associazioni padronali-sindacati collaborazionisti al fine di far funzionare la ripresa produttiva a pieno regime recuperando percentuali importanti di incremento dopo che il 2020, l’anno più critico della pandemia, aveva segnato un crollo dei profitti capitalistici. Questi lavoratori non si sono convinti della necessità di vaccinarsi? Li convinciamo svuotando la loro busta-paga! Vediamo quanto durano nell’opporsi alle disposizioni governative...

Gli ultimi dati sulla “ripresa economica” dei trimestri scorsi indicano, secondo i calcoli degli istituti di statistica borghesi, che quest’anno l’economia italiana potrebbe segnare oltre il 6% di incremento sull’anno scorso. E’ un “treno” che il capitalismo italiano non intende perdere, soprattutto in un periodo in cui la lotta di concorrenza sui mercati internazionali si è fatta ancora più aggressiva; e l’Italia non è solo un paese manifatturiero, è anche un importante paese esportatore. Tutta l’attività del governo Draghi è incentrata sulla ripresa economica, per la quale, d’altra parte, la stessa Unione Europea si è attivata fin dallo scorso anno per un totale di 2.364 miliardi di euro (tra prestiti a tassi agevolati e sovvenzioni a fondo perduto) a sostegno di questa ripresa per tutti i paesi membri, tra i quali l’Italia è il paese al quale è destinata la quota più alta (191,5 mld di euro); come ormai tutti sanno si tratta del cosiddetto PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (3), altare sul quale vengono immolate le vite, i salari e la dignità dei lavoratori salariati.

 

L’attacco che il governo ha sferrato contro i lavoratori che non si sono voluti vaccinare è, in realtà, un attacco contro l’intera classe lavoratrice: in primo luogo perché discrimina e divide i lavoratori tra coloro che hanno accettato di sottomettersi a questo ricatto governativo e coloro che gli resistono; in secondo luogo perché toglie il salario a lavoratori che non si piegano, oggi, a una misura repressiva particolarmente odiosa contro chi non si vuole vaccinare, ma domani potrebbe essere una misura adottata contro rifiuti su altri campi; in terzo luogo perché fa parte di un programma generale di controllo sociale e di misure repressive che la borghesia dominante intende concretizzare nel giro di qualche anno al fine di ottenere una massa proletaria pecorona da utilizzare come barriera difensiva contro la concorrenza straniera e come forza lavoro flessibile e disponibile a qualsiasi sacrificio pur di salvare l’economia nazionale e i suoi profitti.

Questo attacco, che ha trovato governo e Confindustria completamente d’accordo, è stato facilitato dall’opera pluridecennale dei sindacati della concertazione, sindacati che si sono assunti il compito di far passare tutte le esigenze del capitalismo, come sistema generale, e di ciascuna azienda, come unità produttiva, a detrimento degli interessi esclusivamente proletari, sabotandoli sistematicamente ogni volta che si doveva scegliere se difendere gli interessi delle aziende o gli interessi dei proletari. Nel clima generale e nelle pratiche supercollaudate di collaborazione interclassista, i proletari si sono trovati anno dopo anno sempre più nudi, sempre meno difesi, sempre più martoriati da uno sfruttamento che non ha mai accennato a diminuire, anzi, è aumentato di fronte ad ogni crisi. Gli infortuni e le morti sul lavoro sono lì a dimostrarlo anno dopo anno, così come l’aumento della precarietà del lavoro, della disoccupazione, del lavoro nero.

Alla borghesia capitalistica interessa avere a disposizione un grande bacino di proletari da cui pescare di volta in volta quelli che servono alla produzione di profitti, alla valorizzazione dei capitali investiti e nel quale rigettare quelli che non servono più o che costano troppo rispetto ad altri.

 

Trieste, ma non solo

Tutte le misure che la borghesia è disposta a prendere per tamponare in qualche modo le situazioni più tragiche in cui i proletari sono piombati – e questa volta si tratta di miliardi di euro – sono misure atte a lenire le ferite che il proletariato subisce in una guerra che non è la sua, ma è la guerra della borghesia: la guerra di concorrenza con le borghesie straniere.

In questa guerra di concorrenza, quindi, anche uno sciopero, tanto più se “ad oltranza”, come quello lanciato dai portuali di Trieste e Monfalcone, assume un valore simbolico sia per il governo e la borghesia, sia per i loro alleati più stretti come i partiti parlamentari e i sindacati collaborazionisti, sia per i proletari, ovviamente con motivazioni completamente diverse tra i proletari e tutte le altre “parti” sociali.

Al porto di Trieste lavorano 950 portuali e di questi circa il 40% non è vaccinato (circa 350); al porto di Monfalcone lavorano 300 portuali di cui tra il 30 e il 50% non sono vaccinati. Il porto di Trieste è diventato, fin dal 2013, il primo porto italiano per flusso di merci (soprattutto prodotti petroliferi), superando Genova. Nel 2019 ha movimentato 61.997.000 tonn. di merci contro le 52.750.000 di Genova. L’agitazione, partendo dal porto di Trieste, si sarebbe allargata anche agli altri porti, Genova, Ancona, Civitavecchia ecc., cosa che è avvenuta. Si capisce, quindi, perché dal governo all’ultima ditta che traffica nel porto, è stato dato l’allarme: se il porto venisse bloccato ad oltranza le perdite sarebbero consistenti. Il green pass ha evidenziato un altro problema: molti Tir che raggiungono quotidianamente il porto di Trieste, provenienti dai paesi dell’Est, sono guidati da camionisti vaccinatisi con lo Sputnik, che non è riconosciuto dall’Ema e dall’Aifa, perciò dal 15 ottobre, non possedendo il green pass, non sono autorizzati ad entrare in porto.

Il Coordinamento dei Lavoratori del Porto di Trieste (Clpt), come annunciato nei giorni precedenti, ha dato vita allo sciopero a partire dalle 6.00 del mattino di venerdì 15 ottobre 2021. L’atteggiamento del Clpt è stato fin dall’inizio fermo per quanto riguarda lo sciopero dei suoi aderenti, ma oltremodo pacifico, dichiarando da subito che chi voleva entrare al lavoro poteva farlo. Perciò il gruppo di portuali che sostavano all’entrata dei Varchi n. 1 e 4 in realtà non costituiva un picchetto, ma un pacifico presidio. Avendo ricevuto la solidarietà di molte persone al di fuori del porto, il 15 ottobre una massa di qualche migliaio di persone di fatto bloccava l’entrata del Varco 4. Inutile dire che lo sciopero proclamato dal Clpt è stato immediatamente dichiarato “illegittimo”, il che significa che i partecipanti rischiano condanne per interruzione di pubblico servizio e occupazione della sede stradale. Ma l’agitazione va comunque avanti, nonostante pressioni e minacce piombino da tutte le parti. A detta della Prefettura, dell’Autorità portuale e delle aziende interessate alla movimentazione delle merci, le giornate decisive sarebbero state il lunedì 18 e il martedì 19 successivi. Ma già da sabato 16 ottobre la vicenda comincia a prendere una piega completamente diversa. All’interno dello stesso Clpt nascono contrapposizioni, soprattuto contro la “gestione” impressa dal suo portavoce (S. Puzzer) che evidentemente non ha saputo “guidare” lo sciopero mantenendolo distinto nettamente dal movimento estremamente eterogeneo di “solidarietà” che ha finito per soffocare l’iniziativa operaia trasformandola in una manifestazione genericamente “no vax”. Il lunedì 18, il portavoce del Clpt aveva dichiarato “vittoria” per il semplice fatto che gli scioperanti avevano ottenuto – non si sa bene grazie all’intercessione di quale personaggio delle istituzioni – un incontro il 30 ottobre a Roma, al Senato, per “discutere” del green pass per accedere ai luoghi di lavoro, dichiarando la fine di uno sciopero che avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni iniziali, “ad oltranza”, o almeno fino al 20 di ottobre, come aveva indicato la Fisi attraverso il suo comunicato del 18 ottobre a tutte le istituzioni governative, ministeriali, e a tutte le associazioni padronali dei settori di lavoro pubblico e privato.

La spaccatura nel Clpt era inevitabile; lo sciopero aveva perso nel giro di un paio di giorni la sua caratteristica principale, la spinta operaia di lotta. Poteva essere un esempio da seguire per gli operai di tante altre aziende, ma la contaminazione piccoloborghese di una “solidarietà” che nulla poteva portare di positivo ad una lotta di segno proletario perché votata invece a utilizzare un’agitazione operaia per finalità politiche del tutto incoerenti con la lotta che i portuali di Trieste – vaccinati e non vaccinati – stavano conducendo insieme perché fosse ritirato l’obbligo del green pass per entrare ai luoghi di lavoro e quindi la conseguente sospensione del salario.

E questo tipo di solidarietà classista, tra lavoratori vaccinati e non, non è stata una caratteristica dei soli portuali triestini; il 15 ottobre ci sono stati scioperi di questo tipo anche alla Elettrolux di Susegana (TV), alla DHL di Liscate (MI), alla Camst e all’Interporto di Bologna, nel casertano e in molte altre fabbriche.

I portuali di Trieste, e con loro i portuali di Genova (che hanno tentato di bloccare il Varco Etiopia), si sono trovati a dover fronteggiare non solo la polizia – che, il 18, dopo una giornata di uso di idranti e lancio di lacrimogeni è riuscita a “liberare” il Varco 4 del porto di Trieste – non solo le pressioni e le minacce dell’Autorità portuale e della magistratura, non solo il sabotaggio più o meno silenzioso e pavido dei sindacati collaborazionisti (4); hanno dovuto fronteggiare anche l’azione del movimento eterogeneo, confuso, ma nello stesso tempo arrogante, dei no-vax per principio e di quelle frange di destra che strumentalizzano il malcontento sociale e il malessere proletario sbandierando spudoratamente la Costituzione repubblicana e i “diritti” in essa sanciti, inneggiando alla democrazia “diretta” contro quella parlamentare e blaterando di “autodecisione dei popoli”, insomma un movimento che vorrebbe distinguersi per essere “anti-sistema” ma che, come tutti quelli che l’hanno preceduto, punta ad avere un seguito numeroso – come avvenne ad esempio per i 5 stelle – per potersi sedere prima o poi sugli scranni del potere...

All’inizio i portuali di Trieste volevano l’abolizione dell’obbligo del green pass per accedere ai luoghi di lavoro, non solo per sé ma anche per tutti gli altri lavoratori, e rifiutavano i tamponi anche se fossero stati forniti gratuitamente (mentre per i portuali di Genova, la USB del porto di Genova, pur contraria al green pass per andare al lavoro, si limitava a richiedere che i tamponi fossero forniti gratuitamente ai lavoratori che non intendevano vaccinarsi).

Ebbene, quale danno è stato provocato al porto dallo sciopero?

A detta di tutte le autorità, nessun danno. Solo qualche rallentamento nelle operazioni di carico e scarico. Lo sciopero quindi è fallito su tutta la linea, non solo perché non è stato ad oltranza come dichiarato all’inizio, non solo perché la sua guida si è disintegrata nel giro di due giorni, non solo perché è stato isolato e sabotato in ogni maniera dai sindacati confederali, ma soprattutto perché non ha recato alcun danno al traffico delle merci. E’ esattamente quello che volevano tutti, le autorità pubbliche e le aziende private, i politici e i sindacalisti collaborazionisti, per il quale risultato hanno mosso tutti i mezzi che avevano a loro disposizione; ovviamente, dopo che è stata presa la decisione di fornire gratuitamente i tamponi a tutti i portuali non vaccinati, i sindacati confederali hanno premuto l’acceleratore propagandando che ora non c’era alcun motivo per continuare a protestare e che bisognava terminare immediatamente lo sciopero per sventare il pericolo che ci fossero dei danni all’attività economica del porto... fosse anche soltanto un rallentamento delle operazioni.

In verità, dichiarando fin dall’inizio che lo sciopero dei suoi aderenti non avrebbe bloccato nessuna attività del porto, è stato lo stesso Clpt a infilare la propria lotta nel vicolo cieco dell’impotenza. Se una lotta operaia non provoca alcun danno all’attività capitalistica, che è l’unico modo per avere ascolto e per ottenere soddisfazione o, perlomeno, per rappresentare una forza che in seguito può diventare più decisiva, allora perché scioperare? Perché lottare, se fin dall’inizio la grande rivendicazione per cui si è dichiarato lo sciopero – ritiro del green pass obbligatorio per accedere ai luoghi di lavoro, e quindi ritiro della sospensione del salario, non solo ai portuali ma a tutti i lavoratori – è stata inserita in un contenitore che la soffoca rendendo vana la stessa rivendicazione e impotente la stessa lotta?

Scrivevamo nella nostra presa di posizione del 13 ottobre:

«L’esempio dei portuali di Trieste è emblematico: il Coordinamento dei lavoratori portuali di Trieste (Clpt) ha dichiarato di scioperare ad oltranza, a partire dal 15 ottobre, se non viene tolto l’obbligo del green pass non solo per i lavoratori del porto di Trieste, ma per tutti i lavoratori. E’ questa impostazione, decisamente di classe, che gli ha fatto dichiarare che non accetteranno nemmeno i tamponi gratuiti promessi dalle aziende solo per loro purché vadano a lavorare: Non siamo in vendita!, è il grido che accomuna tutti i portuali di Trieste, sia quelli che si sono vaccinati sia quelli che non hanno voluto vaccinarsi.

«E’ ciò che dovrebbero fare i proletari in tutte le aziende, di qualsiasi settore, seguendo l’esempio dei portuali di Trieste» (5).

 

Ma lo sciopero dei portuali di Trieste e Monfalcone, da quel che si è saputo, ha subìto fin dal primo momento le conseguenze negative della politica collaborazionista praticata da più di settant’anni dai sindacati confederali: il Clpt non è riuscito ad utilizzare i mezzi della lotta classista che soli potevano mettere in pratica le dichiarazioni di lotta che verbalmente aveva lanciato sull’onda di una rabbia che il decreto governativo di sospensione del salario a tutti i lavoratori non vaccinati aveva provocato. Le contraddizioni evidenti di questo decreto venivano chiaramente denunciate dal Clpt di Trieste che, nel comunicato del 16 ottobre, sottolineava che la lotta era iniziata «per impedire l’applicazione del criminale e ricattatorio decreto Green pass, che nulla ha a che fare con la sicurezza sanitaria e la lotta contro il Covid-19, ma che ha lo scopo di dividere i lavoratori, costringendo una loro parte a pagare per poter lavorare. Il tutto dopo che per quasi due anni hanno lavorato in condizioni di sicurezza sanitaria che dire ridicole è molto gentile»; che la risposta ricevuta è stata «l’offerta di tamponi gratuiti per i portuali di Trieste e Monfalcone, ma non per tutti (...), ulteriore discriminazione nella discriminazione»; ed evidenziava che l’iniziativa di sciopero aveva «suscitato un’ondata di solidarietà da tutta Italia che ci ha sorpreso ma anche fatto capire che non eravamo soli», mentre nello stesso tempo denunciava che le aziende «per far fronte allo sciopero» impiegavano «lavoratori senza Green Pass, violando il decreto governativo».

Il Clpt, dopo aver dichiarato apertamente che tutti i lavoratori che volevano entrare al lavoro in porto potevano farlo tranquillamente, invece di contare sulla compattezza e sulla forza della lotta operaia in quanto tale – compattezza e forza che però non nasce dal nulla, ma è il risultato solo di un lavoro fatto per lungo tempo già da prima – si è appoggiato sulle manifestazioni dei no-green-pass e su una “solidarietà” di migliaia di persone accorse a Trieste per obiettivi che specificamente nulla avevano a che fare con questa lotta dei portuali, ma che cavalcavano questa lotta (e la notorietà che aveva conquistato oggettivamente perché il blocco del porto di Trieste, se ci fosse veramente stato, avrebbe provocato certamente un danno non solo al porto, ma all’economia nazionale) per rafforzare un movimento populista “anti-sistema”.

Il Clpt ha fatto dipendere la conduzione dello sciopero da questo movimento; e ciò risulta dalle stesse frasi scritte il quel comunicato del 16 ottobre con le quali denuncia il fatto che le istituzioni «hanno cercato di impedire l’espressione democratica della volontà di una grossa parte della popolazione con minacce e falsità», deducendo da tutto ciò la necessità «di fare un passo avanti assieme alle migliaia di persone e gruppi con cui siamo entrati in contatto in questi giorni». In che cosa consisteva questo passo avanti? «Da domani torniamo al lavoro – chi può – (per i portuali dal primo turno di lavoro del 17/10/2021) ma non ci fermiamo. Il primo passo sarà il 30 ottobre, quando delegazioni di lavoratori portuali di Trieste e Monfalcone e degli altri scali italiani, delle forze dell’ordine, di sanitari, di giornalisti e di altre categorie di tutta Italia saranno accolte al Senato di Roma per far valere le ragioni di chi chiede l’abolizione del Green Pass per lavorare» (6).

I portuali di Trieste – e degli altri porti – sono scesi in sciopero il 15 ottobre perché il decreto governativo colpiva i non vaccinati sul salario; hanno chiesto l’abolizione del green pass per lavorare non solo per sé ma per tutti i lavoratori. Ma si sono fatti illudere dal movimento eterogeneo dei «no-green-pass» che la loro mobilitazione di «solidarietà» avrebbe rafforzato l’agitazione operaia; non solo, si sono illusi che la promessa di un incontro al Senato di Roma insieme alle delegazioni «delle forze dell’ordine, di sanitari, di giornalisti e di altre categorie di tutta Italia», avrebbe portato la loro protesta ad un risultato positivo. Nella realtà – e lo scriviamo oggi 22 ottobre, prima dell’incontro fatidico del 30 – lo sciopero è già stato sconfitto prima ancora di aver avuto la possibilità di costituire un esempio pratico di lotta operaia; questa lotta, avvolta nell’abbraccio piccoloborghese del movimento populista dei «no-green-pass», è risultata un’arma spuntata. Hanno avuto gioco facile le «controparti», quando già il 17 ottobre al presidio del Varco 4 i portuali presenti si erano ridotti ad una settantina. Il presidente dell’Autorità portuale di Trieste, D’Agostino, poteva fregarsi le mani e affermare che «il porto non ha mai smesso di operare, se pure a ritmi rallentati», i varchi «non sono stati bloccati, chi voleva entrare ha potuto lavorare», concludendo che i portuali triestini, visto che non hanno bloccato il porto, hanno infine «compreso di essere precipitati in una situazione assurda, più grande di loro e priva di sbocchi» (7). D’Agostino ha letto la situazione per come si era svolta: senza sbocchi per la lotta dei portuali; mentre il Clpt annunciava la “vittoria” dello sciopero per aver ricevuto la solidarietà degli attivisti dei no-green-pass portuali e la promessa di un incontro a Roma, uno dei rappresentanti più importanti dell’economia locale e nazionale godeva invece della sconfitta – questa sì reale – della loro lotta.

Nella nostra presa di posizione del 13 ottobre scorso a cui abbiamo fatto riferimento poco sopra, concludevamo con delle domande:

«Si vedrà cosa succederà a Trieste il 15 ottobre: i portuali hanno dichiarato che non si muoveranno di un millimetro dal blocco del porto. La polizia che farà?, interverrà con la forza per liberare l’accesso al porto? Sembra che anche molti camionisti che debbono raggiungere il porto non abbiano il green pass, in particolare quelli che vengono dall’estero e che si sono vaccinati con lo Sputnik russo che non è accettato dall’Italia. E’ certo che la tensione si è accumulata in questo ultimo periodo e che il governo si trova di fronte ad un bivio: prendere a mazzate i portuali di Trieste per evitare il blocco del porto, che è tra i più importanti d’Italia, o soprassedere trovando la solita scappatoia della situazione eccezionale?» (8).

Che cosa è successo l’abbiamo scritto ora, anche se sinteticamente. Il blocco del porto non c’è stato, e in realtà non si è mai voluto che ci fosse. La polizia, nonostante il presidio dei portuali procedesse pacificamente, con il pretesto dell’assembramento dei manifestanti “no-green-pass” nel piazzale antistante il Varco 4, è intervenuta con la forza e ha liberato l’accesso al porto da quel varco, che non era certo l’unico da cui potevano entrare e uscire i Tir. Il governo, per bocca della stessa ministra dell’Interno Lamorgese, ha deciso di intervenire con la forza perché la lezione fosse sufficientemente dura contro i proletari che avevano osato opporsi alle disposizioni governative, anche se pacificamente e senza schierare picchetti, rischiando di interrompere il traffico di merci e i relativi profitti anche solo per un giorno e, soprattutto, di costituire un esempio per la lotta in altri porti e in altre situazioni. Il fatto, inoltre, di aver attirato a Trieste migliaia di manifestanti contro il “green pass” è stato un elemento in più perché la repressione delle loro manifestazioni fosse un ulteriore avvertimento verso tutti coloro che avessero in animo di uscire dai limiti stretti in cui ormai ogni manifestazione di dissenso viene di fatto costretta. E’ stato anche un ammonimento a tutti coloro che, spontaneamente, sentivano di voler sostenere con la propria presenza la lotta dei portuali perché questa lotta fosse più decisa e perché non si sentisse isolata.

Alla ripresa economica, di qualsiasi settore pubblico o privato, il governo intende liberare la strada da ogni possibile intoppo e non gliene importa nulla se nell’intervenire in questo senso va e andrà sempre più contro le “libertà individuali” e contro i “diritti” previsti dalla Costituzione. Oggi, l’emergenza Covid-19 è ancora un ottimo pretesto per adottare misure “d’emergenza” che, d’altra parte, le leggi prevedono; domani l’emergenza sarà un’altra, il pretesto per reprimere e impedire che la lotta operaia si esprima in tutta la sua forza non mancherà di certo. Ebbene, a tutto questo i proletari si devono preparare, sia ideologicamente che praticamente.

 

Dall’esperienza della lotta dei lavoratori del porto, e non solo di Trieste, come, d’altra parte, della lotta dei lavoratori della logistica, dei riders, delle aziende multinazionali che licenziano con estrema facilità, e di tutte le situazioni in cui i lavoratori in nome della ripresa economica, della produttività, della competitività, vengono sfruttati ancor più bestialmente di prima, da queste esperienze si devono tirare delle lezioni che hanno validità per tutti i proletari.

 

1) E’ necessario organizzarsi in modo indipendente e non solo dagli apparati statali e istituzionali, ma anche dagli apparati sindacali e politici collaborazionisti, su piattaforme di lotta che difendano esclusivamente gli interessi immediati proletari. Ciò significa andare verso associazioni economiche proletarie che non facciano distinzione tra autoctoni e immigrati, tra specializzati e non specializzati, e che mettano tra le proprie rivendicazioni quelle che prioritariamente sono unificanti di tutti i lavoratori salariati, come la drastica diminuzione dell’orario giornaliero di lavoro, l’aumento del salario alle categorie peggio pagate, il salario pieno ai cassintegrati, ai licenziati e ai disoccupati.

2) I mezzi della lotta di difesa delle condizioni di lavoro e di esistenza dei proletari devono corrispondere certamente alla reale forza proletaria che si mobilita, ma devono porsi al di sopra e contro le esigenze dell’attività economica delle aziende; la lotta contro la nocività, l’aumento dei ritmi di lavoro, l’aumento delle mansioni da svolgere, gli straordinari, la lotta per le misure di sicurezza, devono far parte delle rivendicazioni di base dei proletari; la lotta contro il crumiraggio fa parte della lotta classista proletaria perché i crumiri sono un’ulteriore arma dei capitalisti contro la lotta operaia. Le assemblee operaie devono tornare ad essere il mezzo principale della partecipazione diretta di tutti i proletari alla difesa dei loro interessi, attraverso le quali decidere obiettivi e mezzi di lotta. Il “diritto di sciopero” se non è sostenuto dalla forza della lotta non vale nulla, come lo sciopero dei portuali triestini ha dimostrato; le trattative e i “negoziati” con le “controparti” vanno portati avanti con la lotta in piedi. E per non soffocare nell’isolamento, nelle rivendicazioni corporative e nel silenzio generale, la lotta va portata fuori dai luoghi di lavoro, verso i proletari delle altre aziende, nelle manifestazioni di strada.

3) La lotta operaia va difesa non solo contro l’opera e l’attività delle organizzazioni sindacali e politiche collaborazioniste che hanno il compito di approfondire la concorrenza tra operai, ma anche contro tutte le manifestazioni di solidarietà che in realtà hanno il compito di sminuire e deviare la lotta di difesa delle condizioni operaie di lavoro e di lotta per indirizzarla verso fini politici interclassisti e, quindi, di fatto, antiproletari. La solidarietà proletaria è di classe, se condivide pienamente ed esclusivamente le rivendicazioni di difesa proletarie; è una solidarietà falsata, insidiosa, intossicante, in ogni caso da tenere lontana e separata dalla lotta proletaria se la sua finalità non è di rafforzare la lotta proletaria, ma utilizzare il peso e la forza della lotta proletaria per rafforzare gli interessi di bottega di questo o quel movimento popolare.   

 

22 ottobre 2021

 


 

(1) Le sigle che fanno parte di questo sindacalismo conflittuale sono molte; le più note: ADL Cobas, Cib Unicobas, Clap, Confederazione Cobas, Cobas Sanità Università e Ricerca, Cobas Scuola, Cub, Fuori Mercato, SGB, Si Cobas, Sial Cobas, Slai Cobas S.C., ISB, Usi Cit . Queste sigle hanno firmato insieme la proclamazione dello sciopero generale dell’11 ottobre scorso.

(2) Fisi Nazionale, è un’organizzazione “politico-sindacale” costituitasi di recente che si è fatta notare nel 2020 per le sue posizioni antivaccinazione per il Covid-19 e contro la cosiddetta “dittatura sanitaria” con la quale il governo ha limitato enormemente la “libertà individuale”. Tra i suoi fondatori c’è chi proviene dall’area della destra estrema (CasaPound). Hanno fondato nel 2020 anche un blog, “L’Eretico”, molto presente nei social network.

(3) Il PNRR, Piano nazionale di ripresa e resilienza, è appunto il piano economico-sociale studiato a livello Unione Europea perché ogni paese membro sia sostenuto a suon di miliardi di investimenti nella ripresa economica; una ripresa concepita a livello europeo – come se l’Unione Europea fosse un’unica entità economico-politica – con una serie di condizioni nazionali necessarie per accedere ai fondi messi a disposizione. Ovvia la condizione primaria: presentare un progetto di investimento relativamente al sostegno delle imprese, alla digitalizzazione, all’avvio della green economy, alla semplificazione burocratica e allo snellimento giuridico affinché le imprese possano accelerare la loro attività ed espanderla senza essere ritardate dal groviglio burocratico che caratterizza quasi tutti i paesi europei, e l’Italia in particolare. L’Italia ha ottenuto una quota maggiore dei fondi rispetto agli altri paesi: la considerazione della Commissione europea era puntata soprattutto sul fatto che è stata colpita in modo pesante dalla pandemia e che, essendo il secondo paese manifatturiero europeo dopo la Germania, la sua ripresa economica avrebbe portato benefici a tutta l’Unione Europea riguardo non solo gli scambi inter-europei ma anche a livello di concorrenza mondiale.

(4) In una nota congiunta Cgil, Cisl e Uil hanno sottolineato il “forte legame tra il porto, i suoi lavoratori e la città” che “non può e non deve essere compromesso da persone che con il porto non hanno nulla a che fare” e che stanno “impedendo a un porto e a una città di continuare a generare reddito” (www.huffingtonpost.it, 17/10/2021). Parole perfettamente in linea con quelle del presidente dell’Autorità portuale di Trieste che dichiarava la situazione “non più tollerabile” visto che alcune navi inizialmente dirette a Trieste hanno cambiato rotta per approdare altrove. Quanto all’intervento della polizia con idranti e lacrimogeni vedi https://telequattro.medinordest.it/13447/trieste-sgombero-del-porto-la-polizia-interviene-con-idranti-e-laxcrimogeni, 18/10/2021.

(5) Cfr. Contro il green pass obbligatorio per tutti i lavoratori! (Presa di posizione, 13 ottobre 2021, www.pcint.org).

(6) Il testo del comunicato del Clpt del 16 ottobre 2021 può essere letto su https://www. Triestecafe .it/it/ news/cronaca/clpt-da-dopmani-torniamo-al-lavoro.html

(7) Cfr. https://www.open.online/2021/10/17/trieste-presidente-porto.d-agostino-porto-aperto/  17/10/2021.

(8) Vedi nota 5.

 

 

Partito comunista internazionale

www.pcint.org

 

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