Guerra russo-ucraina: l'imperialismo con la forza delle armi esaspera il nazionalismo di ogni paese

(«il comunista»; N° 172 ; Marzo 2022)

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Il “filo del tempo” del 1949 intitolato Pacifismo e comunismo inizia con queste parole:

«Nella tradizione dei marxisti rivoluzionari è ben solida l’opposizione al nazionalismo ed al militarismo, ad ogni guerraiolismo basato sulla solidarietà operaia con lo Stato borghese in guerra per i famosi tre motivi truffaldini: la difesa contro l’aggressore - la liberazione dei popoli governati da Stati di altra nazionalità - la difesa della civiltà liberale e democratica. Ma una non meno solida tradizione della dottrina e della lotta marxista è la opposizione al pacifismo, idea e programma poco definibile, ma che, quando non è maschera ipocrita dei preparatori di guerra, si presenta come la sciocca illusione che pregiudizialmente al definirsi e allo svolgersi dei contrasti sociali e delle lotte di classe si debba da opposte sponde di opinioni e di schieramenti classisti intendersi per l’obiettivo della “abolizione della guerra”, della “pace universale”» (1).

Lenin sulla guerra

«Ricorderemo i concetti fondamentali della dottrina socialista snaturati dai kautskiani. La guerra è la continuazione, con mezzi violenti, della politica che le classi dominanti delle potenze belligeranti applicavano già molto prima dell’inizio delle ostilità. La pace è la continuazione della medesima politica, tenuto conto dei cambiamenti avvenuti, in seguito alle operazioni militari, nei rapporti di forze avverse. La guerra di per sé non modifica la direzione a cui tendeva nel suo sviluppo la politica prima della guerra; essa non fa che affrettare questo sviluppo».

(da: A proposito del “programma di pace”, Lenin, Sotsial-Demokrat, n. 52, 25 marzo 1916, Opere, vol. 22, p. 167)

Nella guerra russo-ucraina sono emersi tutti questi motivi truffaldini, compresa la rivendicazione pacifista per l’abolizione della guerra e la pace tra i popoli.

Difesa contro l’aggressore: per la borghesissima Ucraina e per gli imperialisti euroamericani, oggi l’aggressore è la Russia di Putin, perché con i propri carri armati ha superato i confini che separano i due paesi, invadendo la mite, pacifica, democratica Ucraina. Per questo solo motivo, per il governo di Kiev e per le cancellerie imperialistiche occidentali, la “guerra di difesa” è più che giustificabile, e appoggiarla è un dovere da parte del mondo libero, del mondo democratico, del mondo che vuole la “pace universale”. Dunque, la questione della guerra, in piena epoca imperialista, viene ridotta semplicemente ad una questione di “aggressione” e di “difesa”. Dal punto di vista borghese, e imperialistico – cioè dal punto di vista delle borghesie che, da quando esistono, sono sempre in lotta e in guerra fra di loro – porla in questi termini è logico; fa parte della propaganda delle rispettive borghesie. Da un lato, ad esempio quello russo, l’aggressione viene giustificata perché il governo di Kiev opprime la minoranza russofona che abita soprattutto in Crimea e nel Donbass (oppressione linguistica, culturale, amministrativa e politica); perciò questa “aggressione” (chiamata “operazione militare speciale”) non sarebbe che la risposta militare “a difesa” della minoranza russofona che è stata aggredita dal governo ucraino attraverso il suo esercito e le sue milizie locali. Dal lato ucraino, la “guerra di difesa” viene giustificata perché si vuol difendere l’integrità territoriale della nazione, la sua “indipendenza” proclamata dopo il crollo dell’Urss nel 1991, la sua svolta democratica e la sua “libertà di scegliere” con chi allearsi: in questo caso, economicamente e politicamente, con l’Unione Europea e, militarmente, con la Nato. Ovvio che questa “scelta” vada a favore degli interessi imperialistici dei paesi dell’Europa occidentale, degli Stati Uniti e delle fazioni borghesi che hanno espresso i governi di Poroshenko e Zelensky, e vada direttamente contro gli interessi imperialistici della Russia (che al governo ci sia Putin o qualsiasi altro, la sostanza non cambia).

Difesa della civiltà liberale e democratica: per la borghesissima Ucraina la civiltà liberale e democratica non è che l’ideolgia con cui sono rivestiti gli interessi del capitalismo nazionale; ideologia e interessi che stanno alla base del nazionalismo ucraino contrapposto al nazionalismo russo, entrambi poggianti sul sistema economico, politico e sociale del capitalismo, con tutto quel che comporta la difesa degli interessi dei due capitalismi nazionali concorrenti in termini economici e militari, di trattati e di alleanze internazionali. La civiltà democratica (dopo la seconda guerra mondiale ha perso definitivamente il suo aspetto “liberale”) non è che la civiltà del capitalismo nell’epoca dell’imperialismo, dunque la congenita spinta all’accaparramento di territori economici, di zone di influenza, di annessioni, di scontri anche militari con le borghesie straniere per assicurarsi un potere atto a difendere e sviluppare sbocchi ai propri capitali e alle proprie merci e, naturalmente, lo sfruttamento di un proletariato nazionale sottomesso e controllato.

Il nazionalismo, nell’epoca storica delle sistemazioni nazionali quando i movimenti nazionalrivoluzionari abbattevano i vecchi poteri feudali e aristocratici, esprimeva un progresso storico sia dal punto di vista politico che economico. L’obiettivo dell’indipendenza politica dai poteri imperial-feudali dell’Ottocento (leggi Prussia, Austria-Ungheria, Russia, Giappone) era l’obiettivo principale delle borghesie dei popoli oppressi e le guerre rivoluzionarie per abbattere quei poteri, dal punto di vista del progresso storico, erano guerre giuste. Ai guerraioli che vogliono, nei paesi imperialisti, l’appoggio del movimento operaio e dei suoi partiti allo Stato borghese e alla sua guerra – come ricorda la citazione con cui inizia questo articolo – si oppongono i guerragiustisti, ossia coloro che appoggiano e sostengono la guerra di liberazione nazionale e che, con questa guerra, fanno fare un passo avanti alla storia. Entrambi vogliono l’appoggio del proletariato, lo cercano e lo sollecitano con ogni forma di propaganda e con ogni atto di forza, sebbene i due tipi di guerra non siano equiparabili. Nella lunga fase storica di sviluppo del nuovo modo di produzione capitalistico e della classe borghese, la guerra condotta contro i poteri feudali non era certo “di difesa”, era nettamente offensiva, era una guerra rivoluzionaria alla quale era interessato anche il proletariato, non solo perché era martoriato dallo sfruttamento e dalla repressione, ma anche per liberarsi dai mille vincoli personali che lo opprimevano. D’altra parte ogni rivoluzione ha carattere offensivo, sennò non sarebbe una rivoluzione. Ma le guerre che gli Stati borghesi si fanno uno contro l’altro per spartirsi i mercati non sono guerre rivoluzionarie, né quelle d’aggressione né quelle di difesa: sono, appunto, la continuazione della politica di conquista dei mercati, la politica condotta con altri mezzi, e precisamente con mezzi militari sia da una parte che dall’altra dei belligeranti.

Liberazione dei popoli governati da Stati di altra nazionalità: un popolo governato da uno Stato di altra nazionalità non si libererà se non attraverso la rivoluzione; non riuscirà mai ad ottenere la fine della sua oppressione attraverso un processo di democratizzazione, un referendum, pacifici negoziati per una “soluzione diplomatica” come propagandano i borghesi, né attraverso forme di guerriglia partigiana condotte secondo gli interessi di clan e di gruppi sociali che si spartiscono frammenti di potere locale all’interno di un più ampio sfruttamento di risorse naturali e di braccia da lavoro. E non ci riuscirà nemmeno grazie alla guerra che altri Stati borghesi condurranno, sventolando la bandiera della “libertà per il popolo oppresso”, contro lo Stato che lo governa e lo opprime, e in funzione della guerra preme sul proprio proletariato per una “unità nazionale” che serve soltanto a rafforzare il potere borghese e mantenere in vita il sistema economico capitalistico, dunque ad opprimere proletari e popoli più deboli. Come detto nel punto precedente, considerando che la fine della seconda guerra imperialista apriva un altro fronte, quello dei moti  nazionalrivoluzionari dei popoli coloniali, i popoli oppressi avevano una sola via d’uscita dall’oppressione coloniale, quella della rivoluzione nella quale le masse di borghesi, contadini e proletari avevano un interesse storico comune: abbattere il potere degli Stati colonialisti, conquistare l’indipendenza politica, sviluppare l’economia del paese in senso capitalistico che, come dimostrato dal marxismo, fornisce le basi alla lotta per il socialismo. Resta perfettamente integra la prospettiva rivoluzionaria socialista: il proletariato delle colonie ha un compito storico di classe che va aldilà dell’indipendenza politica e dell’economia borghese, per il quale la strada che deve percorrere diverge inevitabilmente da quella nazionalrivoluzionaria borghese: è infatti la strada della rivoluzione proletaria, antiborghese, una strada che esclude l’oppressione di altri popoli, le annessioni di altre nazioni e, quindi, l’alleanza con qualsiasi Stato borghese, imperialista o meno. L’unico alleato del proletariato di una nazione è il proletariato di tutti gli altri paesi, perché quest’alleanza è basata su interessi di classe che sono internazionali in quanto il proletariato in ogni paese, è l’unica classe, senza riserve, senza patria.  

Sui mercati si misura la forza economica, finanziaria, politica e militare con cui i capitalismi nazionali lottano in concorrenza gli uni contro gli altri; nella fase imperialista in cui stiamo vivendo da più di cent’anni, le forze determinanti sono date dalle grandi concentrazioni industriali e finanziarie, dai grandi monopoli e dai grandi Stati che ne difendono gli interessi a livello mondiale. Nello scontro fra questi interessi imperialistici contrastanti, le piccole nazioni, le semipotenze regionali tendono a disporsi – ma non sempre ce la fanno – sulle linee di minor tensione per poter sopravvivere più a lungo nel loro ruolo di comprimari delle grandi potenze mondiali e poter godere, grazie alle posizioni assunte, di vantaggi che in precedenza non avevano. Nel caso delle repubbliche federate che facevano parte dell’URSS, con la crisi del 1989 prolungatasi poi fino al suo crollo nel 1991, la gran parte dei paesi dell’Europa dell’Est, meno la Bielorussia, la Moldova e l’Ucraina, è stata attratta, tra il 1999 e il 2004, nella sfera d’influenza dell’Unione Europea e, attraverso di essa, in quella della Nato, quindi degli Stati Uniti d’America. Nel 1991 non sono crollati soltanto l’URSS e il suo sistema di satelliti, si è inevitabilmente sciolta anche l’alleanza militare del Patto di Varsavia istituita nel 1955 in opposizione all’avanzata della Nato in Europa.

Inevitabilmente la Russia si è trovata, nel giro di qualche anno, a confinare a occidente con paesi membri della Nato: direttamente con i Paesi Baltici, e indirettamente, visto che in mezzo ci sono Bielorussia, Ucraina e Moldova, con Polonia, Republica Slovacca, Ungheria, Romania. L’unico paese molto legato, sia economicamente che politicamente, a Mosca è la Bielorussia; infatti ha dato il pieno appoggio alle iniziative militari russe fin dal 2014, con l’annessione della Crimea, e all’attuale guerra in Ucraina.

Il crollo del muro di Berlino nell’89, l’annessione della Germania Est da parte della Germania Ovest (chiamata “riunificazione tedesca”), il crollo dell’URSS nel 1991, hanno prodotto in Russia le stesse conseguenze di una guerra perduta. Ma da grande potenza militare quale è sempre stata, perdipiù grande potenza nucleare, Mosca non sarebbe mai rimasta ferma ad aspettare di essere soffocata dagli imperialisti euroamericani. Mosca possiede, oltre alla potenza nucleare, grandi quantità di petrolio, di carbone, di gas che costituiscono la gran parte delle sue esportazioni, sia verso la Cina, sia verso l’Europa occidentale, mediante una serie di gasdotti che attraversano il Mar Baltico, la Bielorussia e l’Ucraina. La Bielorussia e l’Ucraina assumono pertanto importanza non solo per la loro posizione geografica e le loro produzioni minerarie e agricole – la Bielorussia conta su un’avanzata industria tecnologica, mentre l’Ucraina è una grande esportarice di cereali e possiede un’avanzata esperienza nella tecnologia del nucleare, come la Russia – ma anche perché possono costituire per Mosca un importante anello territoriale di protezione verso l’Europa occidentale, sul lato Ovest e Sud-Ovest. Le vicende storiche non hanno permesso alla Russia di conquistare i Dardanelli e, quindi, di controllare direttamente i flussi commerciali e militari tra il Mar Nero e il Mediterraneo; ma l’annessione della Crimea, con il tratto di continuità territoriale fino al Donbass che è oggetto degli scontri più devastanti di questo mese di guerra, con relativo controllo del Mar d’Azov, le consentirebbe di aumentare in modo importante il proprio peso nelle relazioni con la Turchia e con il Medio Oriente, perciò con tutti gli altri Stati imperialisti.

I motivi imperialistici della Russia sono sicuramente chiari, qualunque sia il clan di oligarchi al potere; i motivi che muovono l’Ucraina, invece, sono molto meno chiari, tanto più in considerazione del fatto che nessun paese dell’Unione Europea, né gli Stati Uniti, pur generosi nelle dichiarazioni di sostegno politico, economico e anche militare, ha interesse ad entrare in guerra contro la Russia per l’Ucraina. E’ evidente che non è una guerra locale tra due nazioni per la conquista di un pezzo di terra, per quanto importante sia quel pezzo di terra. E’ una guerra condotta localmente ma che ha pesanti risvolti internazionali perché si inserisce in un teatro geopolitico – l’Europa – in cui si sono svolte le due precedenti guerre imperialiste mondiali; e perché, essendo la Russia una grande esportatrice di materie prime energetiche di grande importanza per i paesi europei, le sue forniture non sono facilmente e rapidamente sostituibili.

Né Berlino, né Parigi, né Londra, né Washington, né Roma, e tanto meno Mosca o Pechino, hanno interesse oggi a scantenare una guerra mondiale; nessuno di loro è pronto per sostenerla, né dal punto di vista economico, né dal punto di vista militare. E’ certo che nel disordine mondiale seguito alla disgregazione dell’URSS, le diverse potenze imperialistiche cercano di saggiare la tenuta delle vecchie alleanze e l’eventualità di nuove alleanze di guerra. Tutti pronti a fare esercitazioni, manovre, operazioni militari che simulano attacchi, sbarchi e nelle quali si provano armamenti tra i più sofisticati e varie tattiche militari, sul terreno, nei mari o nei cieli; d’altra parte, è quel che hanno fatto finora nei diversi teatri di guerre locali (dalle guerre jugoslave all’Afghanistan, dalla Libia all’Iraq e alla Siria, dalla Cecenia al Ciad al Sudan, dal Congo all’Uganda, dal Burundi allo Yemen).

Il fatto che lo scontro tra potenze imperialistiche si svolga attraverso guerre locali, non toglie che si tratti di guerre imperialistiche, sebbene non mondiali nel senso che lo scontro non è giunto ancora alla guerra diretta tra le potenze imperialistiche che mirano a spartirsi il mondo in precise zone d’influenza.

Più lo scontro di guerra si avvicina ed entra in Europa, come già con le guerre jugoslave, più si leva la propaganda della difesa della patria. Nel caso della guerra russo-ucraina la difesa della patria è una parola d’ordine per entrambi i paesi belligeranti: la Russia che si “difende” dall’avanzata alle porte di casa dell’alleanza militare occidentale, la Nato, e che “difende” le popolazioni russofone abitanti in Ucraina dall’oppressione politica e culturale e dalla repressione applicate da anni dai governi di Kiev; l’Ucraina che “difende” la sua attuale “integrità territoriale” (peraltro mai conquistata attraverso una rivoluzione borghese contro lo zarismo, alla francese) dall’invasione dei carri armati russi, dopo essersi affittata all’imperialismo concorrente, quello occidentale. Chi ha sferrato il primo attacco o chi abbia iniziato per primo la guerra, per i comunisti rivoluzionari non ha importanza decisiva, non cambia la loro prospettiva e la loro tattica. A questo proposito, tra i numerosi scritti di Lenin sulla guerra, vogliamo citarne uno poco noto, ma di grande chiarezza. Si tratta delle risoluzioni scritte da Lenin e approvate alla Conferenza delle sezioni estere del POSDR tenuta a Berna tra febbraio e marzo del 1915 (2).

Dopo aver descritto sinteticamente il contenuto reale della guerra imperialistica in corso, Lenin passa a tracciare il contenuto della critica marxista, valido per tutte le guerre imperialistiche:

«Tutta la storia economica e diplomatica degli ultimi decenni dimostra che i due gruppi di nazioni belligeranti hanno appunto preparato sistematicamente una guerra di questo genere. La questione: quale è stato il gruppo che ha sferrato il primo colpo militare o che ha dichiarato per primo la guerra, non ha nessuna importanza nella determinazione della tattica dei socialisti. Le frasi sulla difesa della patria, sulla resistenza all’invasione nemica, sulla guerra di difesa ecc., sono, da ambo le parti, tutti raggiri per ingannare il popolo».

La critica marxista, infatti, aveva già inquadrato storicamente le guerre nazionali, quelle che in Europa si sono svolte dal 1789 al 1871; esse, scrive Lenin, «avevano come base una lunga successione di movimenti nazionali di massa, di lotta contro l’assolutismo e il feudalesimo, per l’abbattimento del giogo nazionale e la creazione di Stati su base nazionale, i quali erano la premessa dello sviluppo capitalistico». Quanto all’ideologia nazionale, dunque al nazionalismo, ecco le parole di Lenin: «L’ideologia nazionale, sorta in quel periodo, lasciò tracce profonde nelle masse della piccola borghesia e in una  parte del proletariato. Di questo fatto si valgono oggi, in un’epoca assolutamente diversa, vale a dire nell’epoca dell’imperialismo, i sofisti della borghesia e i traditori del socialismo che si mettono al loro rimorchio per dividere gli operai e distoglierli dai loro obiettivi di classe e dalla lotta rivoluzionaria contro la borghesia».

Non c’è alcun dubbio che i sofisti della borghesia – leggi i suoi intellettuali, i suoi propagandisti, i suoi cultori – e i traditori del socialismo, e del comunismo, hanno continuato il loro lavoro per deviare le masse proletarie dalla lotta per i loro interessi di classe, sia sul terreno immediato che sul terreno più generale, tanto più di fronte alle crisi di guerra. Il movimento proletario a livello internazionale è stato colpito in modo pesantissimo dalla controrivoluzione borghese che, prendendo le sembianze della “costruzione del socialismo in un solo paese” cara allo stalinismo e ai suoi epigoni, lo ha di fatto rigettato indietro di oltre cent’anni, tanto da avergli completamente distrutto anche la sola memoria delle lotte rivoluzionarie che lo videro protagonista nei primi decenni del Novecento e che lo portarono alla vittoria nell’Ottobre russo 1917, sebbene in un paese capitalisticamente arretrato.

Oggi, le parole di Lenin, come quelle, in continuità organica con le sue, ripetute mille volte dalla Sinistra comunista d’Italia, appaiono come parole al vento, come non avessero attinenza con la realtà concreta che il proletariato ha sotto gli occhi. Quelle tracce profonde dell’ideologia nazionale, ricordate da Lenin, e che lo stalinismo ha ancor più radicato in strati sempre più ampi del proletariato, stanno in realtà lavorando ancora a favore della difesa dello Stato borghese, della patria borghese, del sistema economico capitalistico. Distrutto il movimento di classe del proletariato internazionale e il suo partito di classe, alle generazioni proletarie di oggi non sono arrivate le lezioni che i proletari degli anni Venti del secolo scorso vivevano direttamente sulle proprie carni. Le forze controrivoluzionarie di conservazione sociale sono riuscite finora a cancellare dalla memoria del proletariato quelle esperienze, quelle lezioni. Questa guerra di rapina vede, da un lato, l’imperialismo russo alla conquista di un territorio economico perduto trent’anni fa, dall’altro il capitalismo nazionale ucraino, spalleggiato dagli imperialisti occidentali avversari di Mosca, svolgere il ruolo di punta avanzata dell’imperialismo euroamericano interessato ad allargare i territori economici già conquistati dopo il crollo dell’URSS nel 1991 e, dall’altro ancora, l’imperialismo cinese che siede come invitato di pietra ad un ipotetico tavolo di trattative per la spartizione di zone di influenza concentrate attualmente nella zona dell’Est Europa e del Medio Oriente. Si dimostra così che l’Europa sta tornando a rappresentare una delle zone di tempesta tra le più contese del mondo.

Già nel 2014, all’epoca dell’annessione della Crimea, la Russia, cercando una sponda nell’Europa occidentale, aveva proposto a Polonia, Romania e Ungheria la spartizione dell’Ucraina. La Russia per sé voleva non solo la Crimea, ma anche le regioni del Sud e dell’Est (Odessa, l’intero Donbass e la regione di Kharkiv), mentre alla Polonia sarebbero andate cinque regioni dell’ovest (Leopoli, Volinia, Ivano-Frankivs’k, Ternopil’ e Rive), alla Romania la regione di Èernivci e all’Ungheria la regione della Transcarpazia, riducendo il territorio dell’Ucraina a meno della metà di quello risultato dopo il crollo dell’URSS (3). La cosa non ebbe seguito, ovviamente, appartenendo i tre paesi alla Nato ed essendo stato svelato quel documento che evidentemente doveva rimanere segreto. Ma già allora la Russia aveva trasferito ai confini con l’Ucraina ben 100.000 soldati pronti ad invadere il paese... La guerra russo-ucraina di oggi, in realtà, aveva già messo le basi nel 2014.

L’andamento dell’attuale guerra, a più di un mese dal suo inizio, mostra come, da entrambi i fronti, si siano fatte previsioni sballate. La Russia di Putin credeva, molto probabilmente, di poter attuare una guerra-lampo, arrivando in poche settimane a costringere Kiev ad arrendersi di fronte alle richieste di Mosca (riconoscere l’annessione della Crimea e delle repubbliche autonome del Donbass, chiudere con la Nato come aveva fatto la Finlandia e procedere alla “smilitarizzazione”, cioè no ad armamenti pesanti e nucleari). La Russia, d’altra parte, non si aspettava un compattamento così rapido dei paesi europei e degli Stati Uniti, grazie al quale sono state applicate forti sanzioni economiche e finanziarie che la mettono in seria difficoltà, le cui conseguenze ricadranno inesorabilmente sulle condizioni di esistena dei proletari russi. L’Ucraina di Zelensky credeva, molto probabilmente, di poter coinvolgere anche militarmente i paesi europei e gli Stati Uniti, facendo leva sul loro interesse a contenere, anche con la forza, la Russia nei nuovi confini nati dalla caduta dell’URSS. E’ certo che l’Unione Europea è interessata a inglobare nella sua rete un paese come l’Ucraina (48 milioni di abitanti senza contare i 3 milioni circa di Crimea e Sebastopoli), per diverse ragioni: per il mercato che rappresenta, per lo sviluppo industriale (siderurgia, chimica, nucleare, alta tecnologia ecc.), per lo sviluppo agricolo (è una forte esportatrice di cereali. Lo sono ovviamente anche gli Stati Uniti per i quali rappresenterebbe un ulteriore avamposto della Nato da cui controllare più da vicino la flotta russa del Mar Nero che ha la sua base a Sebastopoli. Mala resistenza non solo dell’esercito ucraino, ma anche della sua stessa popolazione che, di settimana in settimana, si è trasformata in una milizia partigiana, ha in parte sorpreso gli strateghi russi che, da quanto emerso dalle notizie dei vari reporter, hanno mandato in guerra soldati molto giovani e inesperti. Dunque, carne da macello su entrambi i fronti, a che scopo? Allo scopo di mantenere a Kiev un potere borghese piegato interamente alle esigenze imperialistiche euroamericane o, al contrario, a quelle imperialistiche di Mosca, del tipo governo Yanukovich.

In questi 8 anni di guerra russo-ucraina, che, da guerra a “bassa intensità” con i suoi 20.000 morti, si è trasformata in guerra ad intensità massima, l’evidenza più drammatica è la distruzione delle città, il massacro sistematico della popolazione e la fuga di 8-10 milioni di persone dalle città e dai villaggi martoriati, che per metà hanno già raggiunto i paesi confinanti, Polonia, Slovacchia, Moldova, Romania, Ungheria, mentre l’altra metà vaga all’interno del paese da una regione all’altra alla ricerca di un posto dove sfamarsi e sopravvivere. Ma, come accaduto nelle guerre precedenti in Siria, in Iraq, in Libia, alla devastazione della guerra seguirà una situazione di incertezza permanente, di tensioni mai risolte, di una “pace armata” che sarà foriera di nuovi scontri bellici.

I “negoziati” non porteranno alcun risultato definitivo, perché i contrasti interimperialistici non verranno sanati, e solo temporaneamente, se non con atti di forza da una e dall’altra parte. Troppe volte, nella storia dello sviluppo del capitalismo europeo, un paese-chiave per gli equilibri (e gli squilibri) tra le potenze europee, come un tempo la Polonia, e come nei decenni recenti l’Ucraina, subisce le conseguenze della guerra tra potenze più forti: viene attaccato, smembrato, ricomposto, usato come oggetto di scambio per fini che non hanno nulla a che fare con gli interessi della nazione in oggetto. A maggior ragione perché il nazionalismo polacco, come quello ucraino, come del resto qualsiasi nazionalismo odierno, hanno senso esclusivamente per ingannare le masse proletarie, per piegarle ad esigenze che sono esclusivamente borghesi e capitalistiche, per deviare le spinte alla lotta classista dei rispettivi proletariati nella lotta a difesa della patria, dell’economia nazionale, a difesa di un sistema politico ed economico che si regge esclusivamente sullo sfruttamento più sfrenato della forza lavoro proletaria, sulla sua carne e sul suo sangue.

  

I proletari russi e ucraini, coinvolti direttamente in questa guerra, dal punto di vista dei loro interessi di classe sono completamente disarmati. Ingannati continuamente sulla capacità del sistema economico capitalistico di rifomarsi per andare incontro ai bisogni delle masse, dopo essere stati ingannati per decenni su un socialismo mai realizzato e identico come una goccia d’acqua al capitalismo, sono trascinati nella guerra come bestie al macello, convinti o meno, da una parte e dall’altra del fronte, di dover “difendere la patria”. E i proletari europei e americani, bombardati da una insistente propaganda di guerra contro Putin, il malvagio aggressore, il criminale, il terrorista del momento, vengono anch’essi coinvolti in un’operazione di unione nazionale che serve ai poteri borghesi sia all’immediato – per la ripresa economica dopo la crisi pandemica – sia per i futuri scontri bellici.

I proletari di ogni paese, che vengono preparati alla guerra imperialista, hanno e avranno una sola via d’uscita: la via della rivoluzione di classe, la via indicata dal marxismo e imboccata dai proletari francesi con la Comune di Parigi nel 1871, dai proletari russi nel 1905 e nuovamente, in modo molto più netto, nel 1917, dai proletari tedeschi, ungheresi, italiani, serbi durante e subito dopo la prima guerra imperialista mondiale, dai proletari cinesi nelle sollevazioni di Shangai e di Canton nel 1927: in un sessantennio circa, il proletariato europeo, russo e cinese ha fatto tremare le cancellerie di tutto il mondo, con un movimento rivoluzionario finalizzato non a cambiamenti di governo, non ad instaurare regimi democratico-borghesi, e tanto meno falsi socialismi, ma a rivoluzionare da cima a fondo l’intera società mondiale. L’obiettivo della rivoluzione proletaria è gigantesco, come gigantesca è l’oppressione borghese sull’intera umanità.

Contro la guerra borghese, contro la guerra imperialista il pacifismo ha mostrato il suo totale fallimento: da un lato perché la forza armata della classe borghese può essere fermata e vinta soltanto dalla forza armata della classe proletaria, dall’altro perché ogni movimento pacifista si è trasformato poi, sul piano della “difesa della patria”, guerragiustista, partecipando attivamente alle operazioni belliche.

Lenin, nello scritto ricordato sopra (4), afferma chiaramente: «Il pacifismo e la propaganda astratta della pace sono una delle forme di mistificazione della classe operaia. In regime capitalistico, e specialmente nella fase imperialista, le guerre sono inevitabili». La propaganda della pace, prima durante e dopo la guerra imperialista, semina soltanto illusioni, corrompe il proletariato «inculcandogli la fiducia nell’umanitarismo della borghesia e facendo di esso un trastullo nelle mani della diplomazia segreta delle nazioni belligeranti». Che cosa succede, infatti, negli incontri delle diplomazie russe e ucraine, mentre le due nazioni belligeranti si stanno bombardando una con l’altra? Portano al tavolo dei negoziati il peso dei reciproci proletariati massacrati, città perse e riconquistate, e chiamano a testimonianza della loro “volontà di pace” mentre si fanno la guerra, ora uno ora l’altro mediatore che, guarda caso, non è che il rappresentante di interessi borghesi sia che dalla guerra esca “vincitore” l’uno o l’altro dei belligeranti. Mediatori, tra l’altro, rappresentanti di Stati massacratori di popoli coloniali e di proletariati e che si sono armati e si stanno armano fino ai denti, proprio in previsione di guerre nelle quali sono e saranno coinvolti o si coinvolgeranno direttamente. I casi di Israele, massacratore di palestinesi dal 1948, della Turchia, repressore e massacratore di curdi dal 1980, sono lì a dimostrare che gli interessi borghesi e imperialistici non fanno differenza tra i massacratori di ieri e quelli di oggi: l’importante è che le situazioni contingenti non sconvolgano i disegni delle grandi potenze perché alla fine sono loro a definire il nuovo ordine mondiale. A meno che, prima, durante o subito dopo la guerra imperialista mondiale, non sia la rivoluzione proletaria a mandare all’aria i disegni delle potenze imperialistiche, come è successo durante la prima guerra imperialista mondiale. Per i comunisti rivoluzionari questa è l’unica prospettiva per la quale continuare a mantenere integra la teoria marxista e lottare contro ogni forma di opportunismo e di collaborazionismo perché il proletariato riconquisti il terreno della lotta di classe, ritrovi il suo partito di classe, la sua guida rivoluzionaria, la capacità quindi di portare a compimento il grande compito storico di affossare definitivamente la società della proprietà privata, dell’appropriazione privata di tutte le ricchezze prodotte dal lavoro umano, della mercificazione di ogni attività e di ogni sentimento umano, dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, per avviare la società ad uno sviluppo incessante delle forze produttive in armonia con le leggi della natura.

Perciò la parola d’ordine che al tempo di Lenin divenne il motto di tutti i proletariati del mondo: trasformazione della guerra imperialista in guerra civile, dovrà ridiventare la parola d’ordine di domani. Proletari di tutti i paesi unitevi, non dovrà più essere una frase scritta su bandiere pacifiste o falsamente comuniste da sventolare per ingannare i proletari, ma dovrà essere la chiamata alle armi, la chiamata dei proletari di tutto il mondo alla lotta rivoluzionaria, per instaurare la dittatura proletaria di classe, unico mezzo per sconfiggere definitivamente la controrivoluzione borghese ed avviare la società mondiale al socialismo.

Oggi questa prospettiva appare come fantasiosa, fuori dalla realtà, se non addirittura sconfitta dalla storia decretata dal crollo dell’Urss e dalla fine del “comunismo”. E’ quello che sostiene la propaganda dei sofisti borghesi e dei traditori della causa proletaria. Ma la borghesia sa, perché anch’essa ha tratto delle lezioni dalle rivoluzioni proletarie del passato, che il suo vero nemico storico, il nemico più pericoloso in assoluto è il proletariato alla condizione che rinasca come classe per sé, superando completamente la condizione di classe per il capitale. La classe proletaria non è un nemico morto e sepolto, perché il capitalismo vive solo alla condizione di sfruttare la forza lavoro salariata, e lo sviluppo del capitalismo è allo stesso tempo sviluppo delle masse proletarie. Per quanto sconfitto, piegato alle esigenze del capitale, deviato dai suoi veri interessi di classe, per quanto sia stata cancellata la sua “memoria recente”, che dal punto di vista storico può essere di cento o duecento anni, sono le stesse contraddizioni del capitalismo che ridaranno la memoria di classe al proletariato, una memoria passata che nella dialettica dello sviluppo sociale umano non muore mai, la memoria del suo corso storico determinato dalle condizioni materiali che l’hanno fatto nascere, sviluppare come classe salariata e lottare per superare ogni società divisa in classi, per seppellire ogni classe sociale in quella che Engels chiamò la preistoria della società umana (formata appunto dalle società divise in classi), per aprire finalmente la sua storia.

 


 

(1) Cfr. Pacifismo e comunismo, articolo della serie intitolata “Sul filo del tempo”, pubblicato nel n. 13 del 1949 del giornale di partito di allora “battaglia comunista”. La serie, che si occupò in particolare di criticare ogni aspetto dell’attacco dell’opportunismo, e della sua versione più insidiosa, lo stalinismo, al comunismo rivoluzionario e alla sua gloriosa tradizione (da Marx ed Engels a Lenin, alla Terza Internazionale del 1919-1921 e alla Sinistra comunista d’Italia), comprende ben 136 articoli, dal 1949 al 1955. Sono rintracciabili e scaricabili dal sito di partito www.pcint.org

(2) Cfr. Lenin, La Conferenza delle sezioni estere del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, in Opere, vol. 21, Editori Riuiniti, Roma 1966. Questa Conferenza si tenne a Berna tra il 27 febbraio e il 4 marzo del 1915. I partecipanti sono stati i rappresentanti bolscevichi delle sezioni estere, appunto, di Parigi, Zurigo, Ginevra, Berna e Losanna, mentre Lenin rappresentava il Comitato Centrale e l’organo centrale del partito, il Sotsial-Demokrat. E’ stato relatore del punto principale della Conferenza, La guerra e i compiti del partito.

(3) Cfr. La Russia propone alla Polonia “Spartiamoci insieme l’Ucraina”, l’Unità, 24 marzo 2014; anche in La Russia propone a Polonia, Romania e Ungheria la spartizione dell’Ucraina, 24 marzo 2014, wikipedia; notizia data dalla emittente televisiva polacca TVP, sempre il 24 marzo, annunciando un documento inviato dal vicepresidente della Duma russa Žirinovskij con tanto di cartina geografica: Mapa uwzgl¹dniaj¡ca propozycje Žyrinowskiego (TVP), https://pbs.twimg.com/media/BjeTDjfCUAANRFX.jpg:large.

(4) Cfr. La Conferenza delle sezioni estere del Partito Operaio Socialdemocratico Russo, cit. 

 

 

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