Quarant'anni di ricostituzione del partito di classe

(«il comunista»; N° 175 ; Dicembre 2022)

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Sono passati quarant'anni, dall'ottobre 1982, in cui il nostro partito di ieri andò ad infrangersi contro una serie di scogli che lo mandarono in pezzi.Non  vogliamo nascondere questo drammatico evento, perché le lezioni da tirare da tutti gli errori, gli sbandamenti, le deviazioni che hanno contribuito far esplodere l'organizzazione di partito che nel 1952, dopo una inevitabile scissione, si era ricompattatto su basi teoriche, politiche, tattiche e organizzative organicamente coerenti e omogenee. Perciò torniamo su questo tema, per rivendicare la lotta politica che abbiamo condotto allora affinché fosse possibile, nonostante la crisi esplosiva, radunare nuovamente forze omogenee e coerenti con il bagaglio delle battaglie di classe che caratterizzarono la Sinistar comunista d'Italia e il nostro partito di ieri. 

 

Durante la crisi esplosiva del partito del 1982-84, i vari gruppi di militanti in cui si era frammentato, e che intendevano continuare un’attività politica, hanno preso strade diverse. In Francia/Svizzera un piccolo gruppo si era formato con compagni di Parigi, Strasburgo, Lione, Losanna continuando a pubblicare le prolétaire. I contatti con i compagni di Spagna, Germania, Belgio e di molte altre sezioni francesi si interrupero; rimasero in piedi, fino al giungo 1983, dei contatti con il vecchio centro situato a Milano, ma i tentativi di riorganizzazione a livello internazionale furono molto deboli e confusi. Con il colpo di mano di un sedicente «comitato centrale» formato dai responsabili delle sezioni italiane più importanti (Milano, Mestre, Napoli, Roma, Catania), il vecchio centro fu dichiarato decaduto e sostituito appunto da questo comitato centrale. All’inizio l’intenzione della nuova direzione del partito fu di riorganizzare le forze rimaste salvando formalmente il bagaglio teorico-programmatico che aveva caratterizzato il partito fino alla crisi esplosiva, ma pretendendo di attuare una svolta radicale alla linea politica, tattica e, ovviamente, organizzativa, che il partito aveva seguito fino alla crisi generale.

La nuova linea politica consisteva nel rimettere in discussione la linea politica precedente (considerata insufficiente a rispondere alle nuove situazioni che si erano create dopo la crisi generale del capitalismo mondiale del 1975, con la nascita di nuovi organismi di tipo sindacale fuori dalle strutture tradizionali di CGIL,CISL e UIL e nei confronti delle nuove lotte operaie portate avanti, localmente e nell’isolamento, da disoccupati, precari, operai non sindacalizzati. La nuova direzione del partito fondava la sua attività soprattutto nell’intervento in questi nuovi organismi operai (comitati di fabbrica, coordinamenti, circoli sociali ecc.) e nel dare alla propaganda politica del partito un formulazione ritenuta più accattivante e comprensibile dalle masse rendendola più semplice e ispirata ad atteggiamenti e comportamenti meno intransigenti, più aperti ad assumersi compiti pratici su terreni mai sfruttati in precedenza (lotte per la casa, contro il lavoro nero, contro la repressione ecc.). Passare dall’oscurare i compiti che il partito si era sempre dato sull’assimilazione teorica permanente ad individuare il ritardo e il fallimento del partito nel campo dell’influenza sulle masse operaie in un sedicente «vizio d’origine» della Sinistra comunista d’Italia (consistente in un atavico teoricismo e in una incapacità di «fare politica”), fu molto veloce. Il «fare politica» per la nuova direzione significava utilizzare tutti i mezzi, compresi gli espedienti pratici e tattici, al fine di aumentare l’influenza sul proletariato in tempi brevi e, aumentare, di conseguneza, il numero di militanti aderenti al partito. Uno degli espedienti utilizzati, al fine di accelerare il processo di influenzamento delle masse, consisteva nell’entrare nei nuovi organismi proletari nati sia dal bisogno dei proletari più combattivi di organizzarsi al di fuori dei sindacati tradizionali, sia dalla loro necessità di organizzarsi socialmente e territorialmente sulle questioni legate alla casa, alla repressione, alla lotta contro il riarmo nazionale e all’invio di truppe italiane all’estero, alla lotta contro il nucleare, al sostegno delle lotte antimperialiste nei paesi della periferia dell’imperialismo ecc., prenderne la testa e legarli all’organizzazione di partito. Questi campi di intervento erano in realtà già stato presi in considerazione dal partito in tutti gli anni Settanta, dunque non erano una novità per i militanti, ma la novità consisteva nell’atteggiamento pratico e negli obiettivi posti all’azione del partito. Atteggiamento pratico dipendente dall’obiettivo di ottenere risultati immediati e dall’obiettivo di aumentare la consistenza numerica del partito. La valutazione generale da cui discendeva la giustificazione di questo “cambio di rotta” consisteva in questi punti: 1) i gruppi di proletari che si organizzavano al di fuori dei sindacati tradizionali dimostravano che questi sindacati stavano perdendo la loro influenza sul proletariato, 2) le lotte di popoli oppressi, come i palestinesi, i curdi ecc., indebolivano la tenuta delle potenze imperialiste che li opprimevano, 3) la situazione di crisi prolungata del capitalismo successiva alla grande crisi mondiale del 1975 non veniva superata, come in periodi precedenti, come dimostravano ad es. le lotte del proletariato polacco, perciò poteva essere il terreno favorevole alla ripresa della lotta classista del proletariato e, quindi, favorevole alla sua lotta rivoluzionaria. Si trattava, perciò, di superare il ritardo del partito nella sua funzione di guida degli strati proletari più combattivi e pronti alla lotta, accelerando il suo intervento tra le masse col proposito di dimostrare di essere all’altezza di porsi alla guida delle loro lotte nell’immediato e, come proprietà transitiva, essere all’altezza di porsi alla guida della futura rivoluzione.

Contro questo repentino «cambio di rotta» e «cambio di direzione centrale» si opposero sia i militanti italiani – in verità la minoranza – che rifiutavano, giustamente, la tesi del «vizio d’origine» della corrente della Sinistra comunista d’Italia, difendendo l’integrità teorico-politica del partito mantenuta per trent’anni, opponendosi inoltre all’idea che aumentando gli interventi pratici nelle lotte e nei comitati di base proletari il partito avrebbe contribuito ad accelerare la ripresa della lotta di classe, e opponendosi alla riorganizzazione del partito attraverso l’autoelezione di un «comitato centrale» al posto del vecchio centro difendendo i criteri organizzativi che rispondevano al centralismo organico contro il centralismo democratico; sia i militanti che, non accettando questo «cambio di rotta” e il «cambio di direzione centrale», esprimevano un sfiducia completa nella possibilità per il partito, dopo i colpi ricevuti dalla crisi generale interna del 1982 e dalla successiva crisi dell’1983 in Italia, di rimettersi sulla rotta giusta anche se con pochi elementi e, perciò, abbandonavano il partito ripiegando sulla vita privata. La testata con cui il partito era conosciuto da trent’anni e non solo in Italia, «il programma comunista», era finita nelle mani del nuovo «comitato centrale» che aveva anche il controllo della cassa del partito, perciò il giornale, dal luglio 1983, finì per rappresentare esclusivamente la nuova linea politica.

Presentando nel nostro sito, tra le vecchie pubblicazioni del partito, la testata il programma comunista, abbiamo scritto:

Nella crisi del 1982-84, una deviazione evidente dall’impostazione teorica e storica della Sinistra comunista d’Italia, e del partito che l’ha rappresentata nella forma-partito per più di trent’anni, fu avanzata in un primo tempo dai liquidatori del 1982, secondo i quali il partito «aveva fallito» e doveva perciò sciogliersi e confondersi con i movimenti sociali ribelli, e dai liquidatori di altra origine in un secondo tempo, nel 1983-84, che pretesero di rimediare ad un «centralismo» che non funzionava più con un centralismo «democratico», per poi giungere a teorizzare, visto che nemmeno il loro centralismo «democratico» dava «garanzie» di disciplina e di compattezza, un «vizio d’origine» della Sinistra comunista d’Italia che sarebbe consistito nel non saper «fare politica», nel non saper «dirigere politicamente» né il partito né le masse (ci riferiamo al gruppo che si definì «combat»). Dare la colpa della propria incapacità politica di comprendere quali effettivamente sono i compiti di un partito di classe (nella situazione rivoluzionaria di ieri, nella situazione controrivoluzionaria di oggi e nella situazione di ripresa della lotta di classe di domani) ad un particolare virus che avrebbe attaccato la Sinistra comunista d’Italia sembrò loro il miglior modo per uscire dall’impasse che li portò in breve tempo ad autoliquidarsi. Di fronte a questi attacchi concentrici al partito e al suo patrimonio teorico e storico, il gruppo che dal 1984 riprese nelle proprie mani la testata «il programma comunista» con un’azione legale del tutto simile a quella attuata nel 1952 dal gruppo di Damen contro il partito, si caratterizzò non solo per questa vergognosa azione, ma anche per l’assenza completa di lotta politica all’interno dell’organizzazione-partito che era rimasta in piedi e attiva nonostante la crisi esplosiva del 1982; in sostanza, non diede alcun punto di riferimento teorico, programmatico e politico ai compagni, in Italia e all’estero, che erano rimasti del tutto disorientati dall’éclatement. Si rifugiò nel sentimentalismo di partito e nell’azione legale, consegnando al tribunale borghese la «decisione» di quale gruppo politico aveva «diritto» a farsi rappresentare dal giornale «il programma comunista». In forza della legge borghese e carpita la proprietà commerciale del giornale, questo gruppo pretende di essere riconosciuto come «erede» del partito di ieri, del partito comunista internazionale, un partito per il quale, nello svolgimento della crisi che alla fine lo mandò in mille pezzi, non fece alcuna battaglia politica; agì per suo conto il tribunale borghese ed è per questo motivo che valgono le stesse parole che nel 1952 scrivemmo a proposito del gruppo di Damen e della legge borghese: quelli che se ne sono avvalsi non potranno più venire sul terreno del partito rivoluzionario. Per noi, in effetti, come «battaglia comunista», insieme a «Prometeo», sono stati la voce del partito fino al 1952, così «il programma comunista» è stato la voce del partito, rappresentandolo per più di trent’anni anche a livello internazionale, fino alla fine del 1983, quando la sua pubblicazione fu interrotta dall’azione legale attuata dal gruppo che oggi ancora lo possiede «in proprietà».

E’ utile ricordare, a quarant’anni di distanza, che dal giugno 1983, alla riunione generale del partito, quando con un colpo di mano si impose il citato Comitato Centrale, si accese una nuova lotta politica interna da parte di alcuni compagni che condivisero l’iniziativa legale per riappropriarsi della testata «il programma comunista» e di alcuni altri compagni che, opponendosi sia al «nuovo corso» istituito attraverso il sedicente Comitato Centrale sia all’iniziativa legale dell’altro gruppo di compagni, cercarono di strappare più compagni possibile alle molteplici deviazioni che avevano colpito il partito e che lo avevano terremotato completamente. Quest’ultimo gruppo di compagni, combattendo all’interno di quel che rimase del partito comunista internazionale dopo la crisi esplosiva del 1982 e fino a quando gli fu data la possibilità pratica di agire politicamente al suo interno – cioè fino alla fine del 1984 – e combattendo nello stesso tempo il ripiegamento nei confini italiani dei due gruppi ora richiamati, darà vita, fin dal maggio 1983, alla nuova testata il comunista e, dal febbraio 1985, insieme ai compagni franco-svizzeri del prolétaire, alla ricostituzione del partito sulla base di un vitale bilancio politico delle crisi che hanno colpito il partito dalla sua nascita nel secondo dopoguerra – bilancio che partiva indiscutibilmente dalle basi teoriche, programmatiche, politiche, tattiche e organizzative che avevano distinto da sempre la corrente della Sinistra comunista d’Italia e il nostro partito di ieri, e con una visione internazionalista e internazionale come è altrettanto vitale per un partito che vuole essere comunista e rivoluzionario.

All’epoca ricordammo non solo la giusta posizione che prese il partito nel 1952 quando il gruppo che faceva riferimento a Damen intraprese una causa legale per appropriarsi della testata «battaglia comunista», ma anche il fatto che le funzioni formali che la legge borghese impone (la «proprietà  commerciale» di una testata e la responsabilità editoriale da parte di un «direttore» obbligatoriamente iscritto all’Ordine dei gionalisti) non davano, ai compagni che necessariamente dovevano assolverle, una sorta di privilegio politico all’interno del partito, né tantomeno assegnavano a loro il ruolo di primi e indiscutibili rappresentanti delle posizioni del partito di fronte al partito stesso e all’esterno del partito. Per il partito erano, e sono, semplicemente funzioni burocratiche che devono essere assolte per pubblicare legalmente la stampa di partito, niente di più. Infatti, i compagni che risultavano formalmente «proprietari commerciali» e «direttori responsabili» del giornale di partito non necessariamente condividevano sempre le posizioni del partito. Questo vale per i numeri del «programma comunista» dal 7, luglio 1983, all’11, gennaio 1984, come per il successivo «combat» dal febbraio al dicembre 1984 (testata il cui indirizzo non è mai stato da noi condiviso).

 

Ebbene, ciò che ci divise dal gruppo che si impossessò della testata il programma comunista, furono due posizioni di fondo: la lotta politica all’interno del partito per costituire, a livello internazionale, un punto di riferimento solido teoricamente, programmaticamente e politicamente, e il lavoro per un bilancio politico delle crisi del partito. Noi sostenemmo la necessità primaria di queste due posizioni; coloro che condivisero la posizione opposta, ossia nessuna lotta politica all’interno del partito e nessun bilancio delle crisi, la giustificarono con la considerazione che il partito era caduto nelle mani di una cricca di liquidazionisti che non meritava una lotta «politica», ma contro la quale si doveva semplicemente avviare un’azione legale per riprendere il completo controllo della testata storica del partito, e che un bilancio delle crisi del partito non era necessario farlo in quanto, una volta eliminata quella cricca si trattava semplicemente di «riprendere il cammino» interrotto disgraziatamente per un anno e mezzo. Inoltre, il gruppo che si impossessò de «il programma comunista» si chiuse nei confini italiani con l’idea di consolidarsi innanzitutto in Italia con l’obiettivo di seguire lo stesso processo di sviluppo che seguirono, nel secondo dopoguerra, i compagni provenienti dalla Sinistra comunista d’Italia, pretendendo di essere i soli a rappresentare la continuità teorico-politica e organizzativa del partito di ieri. In realtà, questo loro atteggiamento – visto che questo gruppo si era organizzato intorno al vecchio rappresentante del Centro del partito – fu considerato dai compagni de le prolétaire, ancora in attività come sezioni del partito in Francia e Svizzera, come un abbandono delle sezioni estere del partito al loro destino. Cosa che un partito che si definiva internazionale e che pretendeva di rappresentare la continuità anche organizzativa del partito di ieri non avrebbe mai dovuto fare. Ma questa chiusura nei confini italiani faceva parte del loro congenito rifiuto di lotta all’interno del partito contro le posizioni che ritenevano deviate. D’altra parte, era naturale che coloro che avevano messo nella mani di un tribunale borghese la decisione di essere riconosciuti come i «veri» rappresentanti del partito comunista internazionale, avessero un atteggiamento simile.

 

L’uscita de il comunista, in un primissimo tempo, tra il 1983 e il 1984, perciò in piena crisi della sezione italiana del partito, faceva parte del progetto del partito, deciso in una riunione centrale del 1982, di uscire con quest’altra testata, per dotare l’organizzazione di un foglio più specificamente politico e di intervento, destinando la testata storica programma comunista a rappresentare in lingua italiana la rivista teorica del partito come già avveniva per la lingua francese, spagnola, tedesca, inglese, greca. A questo proposito vedi la Presentazione de «il comunista» nel sito di partito www.pcint.org. Dal 1985, dopo un’ulteriore battaglia politica all’interno di quello che rimaneva del partito in Italia («combat»), e dopo aver riallacciato i contatti con i compagni del prolétaire, il comunista rappresentò in Italia la ricostituzione dell’organizzazione di partito, distinguendosi nettamente sia dal nuovo programma comunista che da combat che rappresentavano i nuovi liquidatori del partito.

La Presentazione del nostro giornale citata concludeva così:

«Certi di proseguire un lavoro di partito che non è mai legato al tempo di vita dei singoli compagni, e tanto meno al tempo di vita dei capi, ma procede in forza di una combinazione dialettica tra le contraddizioni sempre più acute della società capitalistica, in un respiro internazionalista e internazionale, e la lotta politica di classe che gli elementi più coscienti si incaricano di portare avanti, organizzandosi in partito, noi, per dirla con Lenin del “Che fare?”, noi “piccolo gruppo compatto, noi camminiamo per una strada ripida e difficile tenendoci con forza per mano. Siamo da ogni parte circondati da nemici e dobbiamo quasi sempre marciare sotto il fuoco. Ci siamo uniti, in virtù di una decisione liberamente presa, allo scopo, di combattere i nostri nemici e di non sdrucciolare nel vicino pantano”. Sappiamo bene, ce lo ha insegnato la Sinistra comunista d’Italia, oltre a Lenin, che il vicino pantano è costituito dalla conciliazione fra le classi, dalla collaborazione fra le classi, dalla democrazia e da tutti gli orpelli che la “vita democratica” di questa società in putrefazione si inventa. Le crisi che hanno colpito il partito comunista internazionale – come d’altra parte quelle che hanno colpito partiti ben più potenti e solidi come fu il partito bolscevico e il partito comunista tedesco – sono state crisi di “crescita” e crisi “degenerative”, come succede in natura ad ogni corpo organico. La forza del partito di classe, che unisce “coscienza” (la teoria) e “volontà” (l’attività di partito), sta nel difendere, lottare per mantenerla e riconquistarla, la linea che da Marx va a Lenin, alla fondazione dell’Internazionale Comunista e del Partito comunista d’Italia, alla lotta irriducibile contro ogni degenerazione opportunista – qualsiasi nome l’opportunismo si prenda – contro ogni pretesa di arricchimento del marxismo o di elaborare nuove e più “innovative” teorie e contro ogni cedimento di carattere individualista e personale, dunque contro ogni illusione democratica e libertaria.

«La prospettiva della rivoluzione proletaria e comunista per noi non è un ideale che aleggia impalpabile nel mondo delle idee e delle speranze, non è una consolazione morale a fronte di una vita individuale precaria e insoddisfacente: è una certezza storica alla quale il materialismo dialettico ci ha insegnato a conformare la nostra attività pratica nella concreta vita quotidiana inserita però nell’arco storico che ci lega alla futura società di specie, al comunismo. Facciamo parte, come qualsiasi gruppo umano, di una generazione di passaggio che il progressivo sviluppo delle forze produttive, pur nelle sue fortissime contraddizioni generate dalle società divise in classi, lega organicamente alle generazioni passate e alle generazioni future. Il nostro compito è di lottare, non solo teoricamente e politicamente ma anche praticamente, perché la classe rivoluzionaria per eccellenza, il proletariato, riconquisti con la sua lotta di classe la forza perché il salto storico che l’umanità farà necessariamente dalla società mercantile e capitalistica alla società socialista e, infine, al comunismo pieno, diventi finalmente una realtà».

Non possiamo che ribadire con forza quanto detto allora, proseguendo il nostro lavoro di ricollegamento con la storia della Sinistra comunista e di riassimilazione del potente patrimonio teorico e politico del comunismo rivoluzionario, tenendo ferma la rotta già tracciata – come richiamato nel Distingue il nostro Partito: la linea che va da Marx a Lenin, alla fondazione dell’Internazionale Comunista e del Partito comunista d’Italia, alle battaglie di classe della Sinistra Comunista contro la degenerazione dell’Internazionale Comunista e dei Partiti ad essa aderenti; alla lotta contro la teoria del socialismo in un solo paese e la controrivoluzione stalinista, al rifiuto dei fronti popolari e dei blocchi partigiani e nazionali, alla lotta contro il principio democratico e la sua prassi, contro l’intermedismo e il collaborazionismo interclassista politico e sindacale, contro ogni forma di opportunisno e di nazionalismo. La dura opera del restauro della dottrina marxista e dell’organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, a contatto con la classe operaia e la sua lotta di resistenza quotidiana alla pressione e all’oppressione capitalistiche e borghesi, fuori del politicantismo personale ed elettoralesco, fuori di ogni forma di indifferentismo, di codismo, di movimentismo o di avventurismo lottarmatista. Il sostegno di ogni lotta proletaria che rompa la pace sociale e la disciplina del collaborazionismo interclassista; il sostegno di ogni sforzo di riorganizzazione classista del proletariato sul terreno dell’associazionismo economico nella prospettiva della ripresa su vasta scala della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario e della lotta rivoluzionaria anticapitalistica.

 

Nei quarant’anni passati dalla crisi esplosiva del partito di ieri abbiamo sviluppato il nostro lavoro dando forzatamente, data la situazione ancora di grande depressione della lotta classista, la priorità alle pubblicazioni e alla propaganda. Mentre le prolétaire continuò ad uscire anche durante la crisi del 1982-84 (dopo una breve interruzione dovuta alla crisi scoppiata nella riunione internazionale di Parigi nell’ottobre 1982, uscì il n. 367 a dicembre per proseguire poi le pubblicazioni regolarmente), il comunista (dopo la prima serie uscita tra il 1983 e il 1984) uscì regolarmente dal febbraio 1985 come organo italiano del partito. La prospettiva che ci eravamo dati era di pubblicare, appena le forze e le finanze lo permettevano, le riviste teoriche in francese programme communiste e in spagnolo el programa comunista; che fino al 1982 la prima uscì con 88 numeri e la seconda con 40 numeri. «Programme communiste» riprese le pubblicazioni, col n. 89, nel maggio 1987, «el programa comunista», col n. 41, nel settembre 1992. Nel febbraio 2002, grazie ai compagni di lingua inglese uscimmo col n. 1 del periodico proletarian; in agosto dello stesso anno con il Supplemento Venezuela. Dal maggio 2010 riprendemmo ad uscire anche in Spagna col periodico Supplemento per la Spagna, sostituito dal dicembre 2012, grazie all’attività della sezione spagnola ricostituita da qualche anno col periodico el proletario. E’ nel febbraio di quest’anno che abbiamo ripreso la pubblicazione della rivista in inglese Communist program che, d’ora in avanti, uscirà regolarmente ogni anno/anno e mezzo. Per quanto riguarda la lingua spagnola, la crisi che colpì la sezione spagnola allontanò dal partito praticamente tutti i compagni spagnoli che, qualche anno dopo uscirono con un loro giornale al quale diedero il nome del vecchio giornale di partito «El comunista», come organo del partito comunista internazionale anche se, del partito di ieri, furono anch’essi liquidatori del partito su posizioni sindacaliste e genericamente teoriciste. Quando decidemmo di uscire con un periodico in lingua spagnola, per non creare ulteriore confusione vista la stessa denominazione di partito, scegliemmo come testata el proletario che così andava ad accompagnare la già esistente rivista «el programa comunista».

 

La ripresa della lotta di classe è purtroppo ancora lontana, ma le contraddizioni economiche e politiche delle potenze imperialistiche avvicinano sempre più il punto di rottura sociale che, inesorabilmente, metterà all’ordine del giorno il grande dilemma storico: guerra o rivoluzione. E’ dalla fine della seconda guerra imperialista mondiale che gli imperialismi si stanno attrezzando per sostenere una terza guerra mondiale; i  numerosi convegni mondiali e le stucchevoli dichiarazioni sulla pace di ogni cancelleria del mondo non riescono certo a nascondere. Alle numerosissime guerre cosiddette locali, nelle quali gli imperialisti più potenti del mondo sono sempre intervenuti, direttamente o indirettamente, fin dalla guerra di Corea del 1950 per giungere alla guerra russo-ucraina attuale, non è seguito e non seguirà un periodo di pace: il capitalismo, nella sua ultima fase storica di sviluppo, l’imperialismo, è condannato a mantenersi in vita e a svilupparsi esclusivamente attraverso le guerre, borghesia contro borghesia, potenza contro potenza, blocchi imperialisti contro blocchi imperialisti, perché la sua economia ciclicamente produce non solo espansione e sviluppo, ma soprattutto crisi, crisi sempre più acute, profonde e mondiali.

L’unica classe sociale di questa società che ha la potenzialità storica di mettere fine allo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, alle distruzioni delle forze produttive e dell’ambiente, ad ogni tipo di oppressione e alle guerre, è la classe del proletariato, dei lavoratori salariati. Questa classe ha un vantaggio enorme sulle altre classi sociali: è la più numerosa in assoluto, è la classe lavoratrice che produce la ricchezza economica e sociale di ogni paese ed è la classe che storicamente ha il compito di spezzare tutte le catene sociali, economiche e politiche con cui le classi borghesi di ogni paese la dominano. Ed ha un altra caratteristica fondamentale: i proletari, i lavoratori salariati subiscono la stessa oppressione, le stesse condizioni di esistenza e di vita non importa in quale paese nasce o in quale paese lavori ed emigri; è una classe oggettivamente internazionale perché non esiste patria in cui non sia oppressa, sfruttata, ingannata, repressa e macellata. Ma ha uno svantaggio altrettanto potente: senza una ferma, solida, cosciente, disciplinata, organizzata guida rivoluzionaria, il proletariato è un giocattolo in mano al burattinaio di turno. I proletari possono contare su un dato materiale indiscutibile: da classe oppressa, sfruttata, macellata sui luoghi di lavoro e nelle guerre, è spinta a ribellarsi alla sua condizione di schiava salariata; ci mette la forza d’urto, la spinta ad organizzarsi sul terreno immediato e a solidarizzare con i proletari di altre fabbriche e di altre nazioni, ma è continuamente frenata, deviata, sconfitta dalla concorrenza tra proletari che la borghesia alimenta a piene mani ed è perciò cieca, non riuscendo, normalmente, ad individuare obiettivi che vadano al di là della lotta immediata. La società divisa in classi è un organismo estremamente contraddittorio e, nello sviluppare le forze produttive, dunque il lavoro salariato, spinge le classi dominanti ad opprimere e sfruttare sempre più la forza lavoro salariata al fine di lottare contro la caduta tendenziale del saggio di profitto di cui soffre cronicamente l’economia capitalistica e al fine di superare le crisi di sovraproduzione che si presentano ormai con periodicità sempre più stretta. La borghesia non ha altri mezzi per affrontare e cercare di superare le crisi del suo sistema economico e sociale se non creando le condizioni per crisi ancora più acute, ancora più devastanti e per affrontarle non può che alzare il livello dello scontro fra le classi, dal livello strettamente economico e immediato al livello politico riportando il proletariato ad intervenire anche sul piano politico. Solo che il proletariato, influenzato ancora in modo pesante dalla collaborazione di classe e dal politicantismo elettoralesco, attua questo intervento, non più con i mezzi rivoluzionari ai quali la borghesia rivoluzionaria e antifeudale del suo primo periodo storico addestrato le masse proletarie e contadine per la sua rivoluzione di classe, ma con i mezzi politici e di propaganda di una democrazia del tuitto conservatrice e reazionaria forniti direttamente dalla borghesia imperialista.

Nel corso storico delle lotte fra le classi, è successo ad ogni società divisa in classi di attraversare un primo periodo rivoluzionario, teso ad abbattere la vecchia struttura economica e sociale per dare il massimo sviluppo alle forze produttive a loro volta già sviluppatesi all’interno della vecchia società, un periodo successivo di consolidamento del dominio della nuova classe dominante (periodo delle riforme sociali) ed un periodo reazionario caratterizzato dal mantenimento del potere politico ed economico-sociale con una politica atta a contenere forzatamente lo sviluppo oggettivo delle forze produttive nei rapporti di produzione e di proprietà che non corrispondono più ai bisogni oggettivi di sviluppo generale della società.

L’imperialismo capitalistico corrisponde a quest’ultimo periodo in cui, eliminate praticamente in ogni angolo della terra le tensioni nazionalrivoluzionarie delle classi borghesi emergenti, all’ordine del giorno non ci sono più le rivoluzioni nazionali guidate da una borghesia nazionale e rivoluzionaria capace di trascinare dietro di sé le masse proletarie urbane e le grandi masse contadine, rivoluzioni che si scontrano inevitabilmente non solo contro i vecchi poteri feudali e dispotici, ma anche, e soprattutto, contro i poteri imperialisti, ossia con la massima rappresentanza dello sviluppo capitalistico – come è successo sia nel primo dopoguerra e soprattutto nel secondo dopoguerra.

Ciò non significa che tutti i paesi del mondo sono sviluppati alla stessa maniera; anzi, l’ineguale sviluppo del capitalismo nel mondo, proprio in forza dello sviluppo imperialistico, tende ad aumentare le differenze tra i paesi imperialisti e il resto del mondo che viene in questo modo, nonostante l’avvenuta “decolonizzazione” degli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, sottomesso con la forza finanziaria e militare agli interessi dei grandi paesi imperialisti e dei grandi trust che dominano il mercato internazionale.

In prospettiva non resta che la lotta di classe del proletariato in ogni paese contro la classe dominante borghese, prima di tutto di casa propria. Ed è a questa lotta, di respiro oggettivamente internazionale, che il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario si prepara e si deve preparare da quando è stato scritto il Manifesto di Marx-Engels nel 1848. I tempi storici delle guerre e delle rivoluzioni non sono dettati dalla volontà di poteri oligarchici o di grandi capi; sono dettatti dallo sviluppo materiale delle contraddizioni sociali e dalla maturazione dei fattori oggettivi e soggettivi della lotta di classe e rivoluzionaria. E’ in questa prospettiva, e sulla scorta delle lezioni delle rivoluzioni passate e, soprattutto, delle controrivoluzioni, che il partito per il quale lavoriamo dovrà essere all’altezza del compito rivoluzionario nel momento storico in cui la soluzione della grande crisi sociale che inevitabilmente si presenterà – come già successe nel 1848 europeo, nel 1871 parigino, nel 1917 russo e nel 1919/20 europeo – prenda la direzione della rivoluzione proletaria e non della controrivoluzione borghese.

Certo, la crisi esplosiva a causa della quale il partito di ieri è andato in frantumi ha ridotto inevitabilmente le forze militanti del partito, riducendo il nostro gruppo ad un pugno di militanti. Non è la prima volta che succede nella storia del partito proletario; lo è stato con la Prima Internazionale, distrutta dalle tendenza opportuniste anarchiche e immediatiste, e poi con la Seconda portata al fallimento dalle tendenze riformiste, socialdemocratiche e scioviniste; lo è stato, nonostante la grande vittoria della rivoluzione bolscevica in Russia nel 1917 e la formazione della Terza Internazionale, a causa delle tendenze anticentraliste, nazionaliste e, per l’ennesima volta, scioviniste dei grandi partiti proletari europei. Sebbene la classe borghese abbia riportato, con la sua controrivoluzione diretta e quella «indiretta» come fu lo stalinismo, i fattori oggettivamente favorevoli alla rivoluzione proletaria a livello internazionale, seppure inabissati, hanno continuato a lavorare erodendo lentamente l’edificio economico-sociale capitalistico, pian piano facendo cadere la maschera di un socialismo che si pretese attuato nella Russia, nei suoi paesi satelliti e in Cina, e anche la maschera di una democrazia che liberale non è più, diventando sempre più una democrazia fascistizzata.

Ciò non vuol dire che l’attività di partito si sia semplificata; è tale l’intossicazione democratica e individualista nel proletariato causata dall’ideologia, dalla propaganda e dalle azioni delle classi borghesi, che per ridestare i proletari alla loro lotta di sopravvivenza sul terreno classista – cioè sul terreno in cui si difendono esclusivamente gli interessi di classe proletari – ci vuole un grande terremoto economico e sociale a causa del quale nel proletariato rinasca la volontà di lottare contro la classe borghese al potere riconosciuta come il suo nemico principale, rinasca la volontà di organizzarsi indipendentemente non solo dalla borghesia al potere ma anche dalla piccola borghesia e cerchi una guida non solo per vincere una battaglia su terreno immediato, ma per lottare e vincere sul terreno politico generale.

Questa guida non può essere che il partito di classe, il partito comunista rivoluzionario che rappresenta nell’oggi il futuro delle lotte proletarie, che rappresenta nell’oggi i compiti storici della classe proletaria a livello mondiale perché possiede la teoria del comunismo rivoluzionario, perché conosce l’intero percorso storico della lotta fra le classi e della lotta rivoluzionaria del proletariato in particolare, perché condensa in sé stesso l’esperienza delle lotte proletarie e delle lotte del movimento comunista internazionale traendo dalle sconfitte le necessarie lezioni per non ricadere negli stessi errori.

E’ per questo partito che noi lavoriamo, fuori e contro ogni espedientismo, fuori e contro ogni cedimento opportunista, brandendo l’intransigenza teorico-programmatica come l’unica arma capace di attuare la giusta linea politica e tattica nelle situazioni che si presentano, valutando correttamente i rapporti di forza e i compiti non solo del partito ma anche della classe proletaria.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

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