Vita di Partito

Proseguono le riunioni con i giovani simpatizzanti di Trento

(«il comunista»; N° 177 ; Marzo-Maggio 2023)

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Due anni fa, alcuni giovani di Trento hanno preso contatto con il nostro partito dopo aver smaltito in discussioni tra di loro e tra compagni di scuola tutta una serie di incrostazioni di carattere democratico e opportunistico riguardo il socialismo e il suo fondamentale significato. La lettura dell’Antidühring di Engels ha dato loro gli strumenti per comprendere gli aspetti fondamentali del socialismo e della lotta necessaria per raggiungerlo. Il bisogno di approfondimento della conoscenza del marxismo e la ricerca di una corrente politica che rispondesse a questo bisogno li hanno portati a prendere contatto con noi. La scoperta, attraverso i siti internet, della corrente comunista di sinistra, e di Bordiga, ha aperto loro un orizzonte nel quale non è stato per nulla facile orientarsi. Hanno deciso di prendere contatto con noi dopo aver scartato quanto sostengono gli stalinisti, i maoisti, i trotskisti e “lotta comunista”e dopo aver messo a confronto quanto sostengono “battaglia comunista”, il nuovo “programma comunista” e “il comunista”.

Così abbiamo cominciato ad incontrarci con loro regolarmente, ogni due mesi circa, affrontando i più diversi temi in modo da chiarire le nostre posizioni sulle diverse questioni che stavano loro a cuore e, contemporaneamente, dimostrando il nostro metodo di lavoro e il tipo di rapporto che intratteniamo con lettori e simpatizzanti. I temi discussi finora sono stati: Bilancio della crisi esplosiva che ha frantumato il partito e differenze principali tra noi e i diversi gruppi che si dicono eredi della Sinistra comunista d’Italia e del partito di ieri; Punti caratteristici della teoria del socialismo in un solo paese e dello stalinismo; il Partito tra attivismo e attendismo; la Comune di Parigi; Guerra e antimilitarismo di classe; Terrorismo brigatista e terrorismo di classe della dittatura proletaria; Democrazia borghese, suo sviluppo storico e sua modificazione da democrazia liberale a democrazia fascistizzata. Nell’ultima riunione di aprile abbiamo iniziato a trattare il tema del Fascismo: come si è originato, quali sono state le sue caratteristiche e che tipo di sviluppo ha avuto.

Nelle prossime riunioni affronteremo questi altri temi: Rivoluzioni nazional-borghesi e Rivoluzione proletaria; Rapporti tra Partito di classe e proletariato; Rivoluzione e Dittatura proletaria; Economia capitalista ed economia socialista. Incontrandoci regolarmente e affrontando i più diversi temi abbiamo avuto modo di chiarire le nostre posizioni sulle diverse questioni che stavano loro a cuore e, contemporaneamente, di dimostrare il nostro metodo di lavoro, in particolare nei confronti di lettori e simpatizzanti. 

Il clima sociale generale, certamente non favorevole alla discussione ideologica e politica, tende a incanalare le energie dei giovani verso il divertimento, lo sport, la carriera professionale, e li porta a considerare la politica  o come l’applicazione del metodo democratico attraverso il quale tutto si può fare, tutto si può cambiare o aggiustare, basta solo discutere e avere la volontà di trovare gli accordi che faciliterebbero il cambiamento, oppure come il modo per emergere sugli altri, per assicurarsi dei privilegi. Ma le contraddizioni sempre più acute della società, insieme alle difficoltà economiche delle famiglie proletarie, spingono anche a mettere in discussione il quadro sociale dentro il quale i giovani dovrebbero costruire il loro futuro; spingono talvolta a mettere in dubbio il metodo democratico, visto che i cambiamenti promessi non si presentano mai e spingono a guardare oltre lo stretto orizzonte dentro il quale ognuno dovrebbe accontentarsi delle “soluzioni” offerte dalle autorità riconosciute: genitori, professori, padroni, politici. E allora nasce la voglia di spaziare, di oltrepassare quell’orizzonte ristretto, di andare controcorrente, di cercare altro, di dare un senso alla propria vita in senso diverso da quello in cui si è stati incasellati dalla nascita, e anche di rischiare su terreni fino a quel momento inesplorati o indicati come pericolosi, devianti, contrari al “senso comune”. Alcuni, spinti da un senso umanitario spontaneo, si offrono come volontari nei servizi sociali o attraverso la chiesa; altri, abbracciano una visione politica già confezionata nei partiti istituzionalizzati, altri ancora cercano risposte ai dubbi che la vita quotidiana stessa pone in termini di sopravvivenza, di lavoro, di futuro, e si affidano ad organizzazioni che propagandano visioni di un futuro individuale o collettivo a portata di mano, secondo il luogo comune “basta volerlo” e faticando il meno possibile. Ed altri ancora, frustrati da una vita grama e indotti a imboccare la via della droga e della delinquenza, si lasciano corrompere dai soldi facili, dalla forza bruta con cui sottomettere e schiavizzare persone emarginate e senza lavoro. La società non sta ferma, non “abbandona” del tutto i suoi “figli” alla loro sorte, si preoccupa invece di offrir loro ogni possibile “soluzione”, naturalmente nel quadro dei propri rapporti sociali; rapporti che condizionano ogni essere vivente e nascituro a vivere secondo le dure e violente leggi del capitalismo, del mercantilismo, idealizzando l’individuo come unico vero protagonista della propria storia individuale.

Quando, studiando la storia e mettendo a confronto i diversi periodi storici, si arriva a capire che la società attuale non potrà essere eterna come non lo sono state quella del comunismo primivitivo, quella schiavistica e quella feudale, allora agli occhi di qualcuno si apre un altro orizzonte più ampio, un orizzonte in cui il futuro di ciascuno non è semplicemente – come vuole la società capitalistica – il prolungamento del presente e del proprio personale presente, ma un rivoluzionamento totale e generale in forza del quale, invece di essere schiavi di un sistema che opprime, che costruisce molto ma che distrugge molto più di quel che costruisce, di un sistema basato sul capitale, sulle merci, sullo scambio di merci e di denaro e sullo sfruttamento della grandissima maggioranza degli esseri umani da parte di una piccola minoranza superprivilegiata, si vivrà finalmente liberi, liberi da ogni oppressione e da ogni sfruttamento. Si intuisce che il futuro può essere molto diverso da quello che la società presente propone, che il futuro individuale dipende dal movimento delle grandi masse e che questo movimento, perché cambi il mondo, non può che essere rivoluzionario; si scopre che la società è divisa in classi e che ogni classe possiede un suo movimento caratteristico, una sua forza sociale e una prospettiva storica in cui muoversi e che tutto questo è immerso in un oceano di contraddizioni che spingono piccoli e grandi gruppi umani a combattersi in difesa di interessi che vanno oltre la vita individuale di ciascuno e che accomunano strati sociali e classi in termini economici e sociali, mettendo gli uni contro gli altri e facendo della concorrenza l’alfa e l’omega della vita sociale.

Nella società borghese la grande massa dei produttori, dunque dei lavoratori salariati, è costretta non a vivere, ma a sopravvivere, piegata, da quando nasce fino alla morte, alle esigenze del profitto capitalistico, perciò a subire il maggior peso e le peggiori conseguenze delle contraddizioni irresolvibili della società presente.

La storia insegna che per liberarsi di questo peso una volta per sempre non esistono vie alternative alla lotta, alla rivoluzione e che questa rivoluzione deve assumere caratteristiche di classe ben precise come lo è stato per la rivoluzione borghese che ha aperto il mondo alla società moderna. Perché una rivoluzione si attui deve esistere una classe rivoluzionaria che si riconosca in un programma politico e un fine sociale e storico rivoluzionario e questa classe non può essere la stessa che ha imposto e universalizzato i rapporti di produzione e di proprietà che l’hanno caratterizzata come classe capitalistica dominante, viste le enormi e sempre più acute contraddizioni che accompagnano il suo sviluppo. La classe rivoluzionaria moderna, creata dalla stessa classe dominante borghese, è la classe dei lavoratori salariati, la classe del proletariato, la classe dei produttori che non posseggono se non la propria forzalavoro e che sono costretti, appunto dai rapporti di produzione e di proprietà borghesi, a venderla per un salario alla classe dominante borghese che possiede tutto, i mezzi di produzione, il potere politico oltre quello economico e l’intera produzione sociale generata dal lavoro salariato. La società moderna non esisterebbe se non ci fosse stato il progresso economico e tecnico nella produzione e se questo progresso non consistesse nel lavoro associato, nell’industria e nel suo sviluppo grande-industriale; non esisterebbe se non ci fosse stata la distruzione dei rapporti di produzione e di proprietà  caratteristici della società feudale che frenavano lo sviluppo economico, come, d’altra parte, questa società feudale non si sarebbe imposta se non con la distruzione dei precedenti rapporti di produzione e di proprietà della società schiavistica.

La storia ha dimostrato che lo sviluppo sociale è determinato, quindi, dallo sviluppo delle forze produttive e che sono le forze produttive il vettore della rivoluzione economica e sociale, dunque anche politica, della società. Ma ha anche dimostrato che con la società borghese, con lo sviluppo mondiale del capitalismo e con la conseguente imposizione del lavoro salariato sotto ogni cielo, il vero progresso sociale sta in una produzione sociale che non dipenda più dalle esigenze del capitale, del mercato e del profitto capitalistico, ma che sia indirizzata esclusivamente a soddisfare le esigenze di vita della specie umana. Perché ciò accada è indispensabile che la classe dei produttori, la classe dei lavoratori salariati prenda su di sé il compito di rivoluzionare l’intera società capitalistica. Il proletariato moderno non possiede se non la forza fisica di lavoro, è una classe economicamente – e quindi socialmente e politicamente – nullatenente; dalla sua parte ha il numero, visto che rappresenta la stragrande maggioranza degli abitanti del mondo e la forza lavoro umana senza il cui sfruttamento capitalistico non si sarebbero sviluppate le forze produttive in ogni paese; forze produttive che il capitale, e per lui la classe borghese dominante, a causa delle sue contraddizioni intrinseche, sono costretti a frenare e a distuggere in tutti i periodi di crisi che inevitabilmente lo sviluppo del capitalismo incontra nel suo cammino. La violenza delle crisi capitalistiche si abbatte inesorabilmente sulle grandi masse proletarie che sono completamente nude, senza riserve, alla mercé della miseria, della fame, delle guerre.

La borghesia poggiava le sue esigenze rivoluzionarie – ossia lo sviluppo delle forze produttive borghesi, cioè il capitale e il lavoro salariato – su un’economia che si stava già sviluppando all’interno del feudalesimo. Il proletariato, invece, non ha alcuna possibilità concreta di sviluppare un’economia di specie, dunque un’economia non mercantile, non capitalistica, all’interno delle forme sociali ed economiche capitalistiche; esso deve necessariamente puntare direttamente sull’organismo sociale il cui compito è di difendere gli interessi generali dei capitalisti, di salvaguardare la struttura economica e sociale del capitalismo, di mantenere il potere politico e militare nelle mani della classe dominante attuale, nelle mani della borghesia e al suo esclusivo servizio: lo Stato. Per questo motivo la rivoluzione proletaria non può che essere, prima di tutto, politica e, solo dopo la conquista del potere politico e l’instaurazione della sua dittatura di classe, economica. La borghesia usò la sua forza economica per mettere sotto scacco lo Stato retto dalle monarchie, dalle chiese e dalle signorie feudali; organizzò i proletari e i contadini sul terreno rivoluzionario per abbattere una forma statale che non corrispondeva più allo sviluppo economico della società, sostituendola con un’altra forma statale più corrispondente alla produzione sociale capitalistica e al suo diffondersi nel mondo. Una forma statale che aveva un duplice compito: abbattere tutti i vincoli e tutti i limiti allo sviluppo della produzione manifatturiera e del commercio, insomma del capitalismo, e facilitare alla borghesia il compito di raggruppare masse sempre più numerose di forzalavoro – di lavoratori salariati – organizzandone il lavoro associato, strappandole dalle campagne (anche attraverso l’espropriazione forzata delle terre dei contadini) e dalle botteghe artigianali mandate in rovina grazie alla produzione manifatturiera. La rivoluzione politica era, per la borghesia, una conseguenza oggettiva della rivoluzione economica: non poteva non attuarsi, e non fu certo pacifica, sebbene non dappertutto i re siano stati ghigliottinati. Allo Stato che difendeva gli interessi dei feudali fu sostituito lo Stato che difendeva gli interessi dei capitalisti; la classe dominante borghese, una volta contrastata e vinta la restaurazione feudale, mentre si disponeva a sottomettere tutti gli strati sociali e tutte le classi al proprio dominio, rafforzava il proprio potere e il proprio dominio come nessun’altra classe dominante precedente era riuscita a fare.

La centralizzazione politica, con le sue forme repubblicane e democratiche, facilitava la creazione di quel mercato nazionale che doveva diventare il trampolino di lancio del capitalismo per la conquista del mondo; nello stesso tempo organizzava politicamente le masse urbane e contadine che avevano costituito la forza d’urto rivoluzionaria per abbattere i poteri feudali, e alle quali prima o poi dovette aprire la possibilità di organizzarsi sul terreno economico e su quello politico per dare alle grandi parole rivoluzionarie della libertà, della fraternità e dell’eguaglianza un senso meno astratto. E così la borghesia, oltre a creare la classe del proletariato, la classe dei lavoratori salariati – i futuri seppellitori della borghesia e del suo sistema sociale – ha dovuto educarla politicamente e istruirla affinché potesse operare con le capacità necessarie a maneggiare le attrezzature tecniche e sempre più moderne dei mezzi di produzione. Lo sfruttamento del lavoro salariato, con le innovazioni tecniche continue, non poteva rimanere allo stadio della manovalanza, doveva passare allo stadio delle diverse professionalità necessarie a far girare la macchina produttiva a velocità e a specializzazioni sempre più precise come la concorrenza mercantile richiedeva costantemente.

La libertà, come affermava Marx, era in realtà la libertà dei borghesi di sfruttare il lavoro salariato nella quantità e nelle forme utili ai propri profitti; la fraternità veniva declinata nelle forme della supposta solidarietà familiare e nella richiesta solidarietà nazionale, a seconda si trattasse di problemi di sopravvivenza individuale o di problemi legati alla concorrenza internazionale se non alla guerra contro altri Stati; l’uguaglianza non era che il mito astratto appiccicato alle leggi di ogni Stato (propagandato come organismo “al di sopra delle classi”, dunque “imparziale”) per cui in ogni tribunale è scritto: la legge è uguale per tutti, mentre si sa che la legge borghese difende per il 99% gli interessi individuali borghesi e per il 100% gli interessi generali della borghesia e del suo sistema sociale.

Il mito delle forme repubblicane e democratiche con cui la classe dominante borghese ha vestito il suo Stato nasconde in realtà una concreta ed effettiva dittatura economica e politica della borghesia, una dittatura che la classe borghese difende e protegge con ogni mezzo, legale e illegale, coinvolgente e dirompente, riformista e autoritario, corruttivo, criminale e poliziesco. Una dittatura che, perlopiù, cerca di nascondere con le forme di una democrazia che ormai non è nemmeno più quella liberale dell’Ottocento, ma quella di un parlamentarismo così logoro che non ha più nemmeno il compito di essere un mulino di parole e dove, al massimo, si ratificano decisioni prese comunque segretamente in altri luoghi. Nel tempo, l’illusione borghese di costruire una società in cui tutti gli strati sociali potessero giungere ad un soddisfacente benessere si è infranta rapidamente sugli scogli delle contraddizioni economiche e sociali che inevitabilmente il sistema capitalistico produce aldilà delle intenzioni di governanti, capi d’industria, capi delle più diverse chiese, politici e intellettuali delle più diverse tendenze.

La borghesia, di fronte al susseguirsi delle crisi e dei contrasti non solo tra le classi ma anche tra gli Stati, crisi e contrasti che non possono essere nascosti,ha tutto l’interesse a far nascere ideologie e tendenze politiche che propongano “soluzioni” temporanee o alternative alle politiche adottate di volta in volta dai diversi governi, senza mai mettere in discussione il sistema economico capitalistico. Il suo interesse è tale da alimentare e sostenere anche economicamente e finanziariamente tutta una serie di teorie e di organismi (non solo partiti e sindacati, ma qualsiasi tipo di associazione dalle attività più diverse, naturalmente legali e illegali) che hanno il compito di incanalare i malesseri, il malcontento, i bisogni sociali, le aspirazioni, le preoccupazioni, in una miriade di torrentelli e fiumiciattoli che diano l’illusione di una democrazia operante, rappresentante di ogni anche piccolo e limitato interesse di gruppo, come in un clima di concorrenza mercantile è normale che sia. E tutto ciò viene proposto come forme che il proletariato potrà (e dovrà, se vuole restare nei limiti consentiti dalla legge) utilizzare per avanzare le proprie richieste, le proprie rivendicazioni, i propri bisogni immediati. La lotta fra le classi, che i borghesi avevano ammesso e che cercavano di stemperare attraverso le più diverse riforme sociali, resta comunque un nodo mai sciolto, è una realtà che i borghesi cercano di nascondere, di falsare, di trasformare in contrasti tra gruppi e fazioni che si interessano soltanto dei propri privilegi, dei propri interessi privati e parziali.

Ogni altra alternativa che, nel corso di due secoli, è stata proposta dalle più diverse tendenze politiche amarxiste e antimarxiste – dai riformisti alla Bernstein e alla Turati agli anarchici bakuninisti, dagli operaisti e dai sindacalisti rivoluzionari agli ordinovisti, dagli stalinisti ai maoisti e ai pacifisti di ogni ordine e grado – non ha cambiato la direzione materiale e storica che lo sviluppo del capitalismo aveva preso dalla sua comparsa in poi. Allo sviluppo incessante e straordinario del modo di produzione capitalistico è corrisposto uno sviluppo dello sfruttamento del lavoro salariato altrettanto incessante e straordinario; ed ogni fase di sviluppo economico e finanziario capitalistico produceva fattori di crisi sempre più gravi, sempre più internazionali. Ma lo stesso sviluppo tecnico del modo di produzione capitalistico, la sua inevitabile e sempre più decisa concentrazione e centralizzazione, sviluppano allo stesso tempo i fattori dirompenti di tutti gli equilibri che le classi dominanti borghesi di volta in volta costruiscono per conservare più a lungo possibile il loro dominio. La storia delle società divise in classi ha dimostrato non solo che lo sviluppo economico porta a sviluppare la lotta fra le classi, ma anche che questa lotta fra le classi ad un certo punto di tensione sociale si trasforma in lotta rivoluzionaria: le forze produttive non sono più controllabili dalle forme della produzione. Ciò è valso per la società schiavista, per la società feudale e ciò vale per la società capitalistica. Ogni società divisa in classi presenta alla propria storia classi conservatrici e classi rivoluzionarie, e le classi rivoluzionarie, rappresentando dal punto di vista sociale la reale evoluzione storica della società umana, prima o poi vincono sulle classi conservatrici. La grande differenza tra la classe borghese e la classe proletaria, le due classi principali della società moderna, è che il proletariato non poggia la sua spinta storica alla rivoluzione su una economia che lo rappresenti e che si sviluppi gradualmente all’interno dell’involucro economico-sociale-politico precedente come è stato per le classi dominanti precedente.

Il proletariato è l’unica classe sociale, ed è l’ultima delle classi sociali, che rappresenta, nell’oggi, la futura società senza classi, appunto il comunismo, e lo rappresenta in forza dello stesso sviluppo mondiale del capitalismo che, attraverso l’evoluzione tecnica della produzione e organizzativa del lavoro associato, rende possibile un’economia non più dipendente dal mercantilismo, dalla proprietà privata e dall’appropriazione privata della produzione sociale. L’ostacolo più grande che il proletariato si trova a fronteggiare nella sua lotta storica di emancipazione dal lavoro salariato è di carattere prima di tutto politico; ed è perciò che la sua rivoluzione, a differenza di tutte le rivoluzioni classiste che l’hanno preceduto nella storia delle società umane, è prima di tutto politica. Soltanto abbattendo l’organismo politico-militare, quindi lo Stato borghese, che è il difensore massimo del dominio borghese sulla società, il proletariato potrà intervenire poi sull’organizzazione sociale e sull’economia.

Dopo lo stravolgimento completo del marxismo da parte dello stalinismo e del post-stalinismo, rifarsi al marxismo originario, autentico, è stato sempre molto arduo. Il proletariato rivoluzionario è stato non soltanto battuto, è stato intossicato dalla borghesia per decenni da ogni forma di riformismo e di opportunismo, sia sotto il regime democratico che sotto il regime apertamente totalitario e fascista. Come ha ribadito più volte Amadeo Bordiga, uno dei lasciti del fascismo più intossicanti per il proletariato è stato l’antifascismo democratico, la rinnovata rivendicazione di una democrazia che, tra l’altro, non poteva nemmeno essere più la democrazia liberale dell’Ottocento e dei primi del Novecento, ma si era trasformata nella democrazia fascistizzata, nella democrazia blindata, ossia in un regime che mantiene formalmente tutti i simboli della democrazia liberale e parlamentare ma che, nella realtà, nasconde la più forte concentrazione del potere politico ed economico e la più forte centralizzazione borghese richieste dallo sviluppo imperialistico del capitalismo.

Da questo punto di vista anche le organizzazioni sindacali del proletariato subivano una trasformazione; nei paesi dove il fascismo era stato vinto in guerra, rinascevano come organizzazioni liberamente costituitesi su basi politiche plurime – cattoliche, socialdemocratiche, nazionalcomuniste/staliniste – ma radicate nelle nuove istituzioni politiche democratiche che, però, ereditavano dalle corporazioni fasciste sia la struttura istituzionale/statale, sia la politica della collaborazione di classe. Nei paesi dove la democrazia imperialista si era sviluppata senza dover passare attraverso la fase fascista, le organizzazioni sindacali del proletariato si sviluppavano senza soluzione di continuità nei sindacati collaborazionisti tipici del fascismo (come ad es. l’AFL americana e le Trade Unions inglesi). Sul piano politico, i partiti che si rifacevano al proletariato – socialisti e socialdemocratici – diventavano apertamente i puntelli del nuovo ordine capitalistico nelle forme della democrazia, abbandonando completamente anche dal punto di vista propagandistico gli accenni alla rivoluzione e alla lotta contro la classe dominante borghese, mentre i partiti sedicenti comunisti ormai completamente stalinizzati, mantenevano viva la propaganda “anticapitalistica” solo nel senso di “anti-americano” e “pro-russo”, equiparando, nel secondo dopoguerra, il riformismo più deciso (tipo le “riforme di struttura”) alla rivoluzione.

Il parlamentarismo è stato in questo modo ridestato ideologicamente a nuova vita e ogni forma di compromesso opportunistico era concessa perché avrebbe contribuito a far evolvere gradualmente la società capitalistica in società “socialista”, come la teoria delle “vie nazionali al socialismo” pretendeva. 

Le forze dell’opportunismo tradizionale hanno ancora un importante ruolo nella conservazione sociale e nella difesa degli interessi capitalistici sia locali e nazionali che internazionali, e la dimostrazione sta nel fatto che il proletariato è ancora influenzato pesantemente da esse. Lo sviluppo dei contrasti interimperialistici e delle contraddizioni della società borghese costituisce terreno fertile anche per “nuove” tendenze opportuniste che, in corrispondenza con il crescere delle lotte operaie e della loro tendenziale evoluzione sul terreno classista, si occuperanno – non importa se coscientemente o incoscientemente – di influenzare gli strati proletari che le stesse spinte materiali alla lotta e le esperienze accumulate nelle lotte spingeranno sul terreno dell’aperto scontro con la borghesia dominante e, quindi, sul terreno classista e rivoluzionario. D’altra parte, che cosa è stata la socialdemocrazia tedesca dei Noske e degli Scheidemann, se non il braccio esecutore del massacro dei comunisti rivoluzionari a partire da Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht, Leo Joghisces, deviando il magnifico proletariato tedesco dal terreno della lotta rivoluzionaria a quello della legalità borghese, della democrazia borghese, anticamera del nazismo, che sarà la versione più organizzata, strutturata e decisa della controrivoluzione borghese imperialista. Che cosa è stato lo stalinismo se non il braccio esecutore della controrivoluzione borghese che doveva sconfiggere e seppellire la magnifica vittoria rivoluzionaria del proletariato russo e che, a differenza del fascismo e del nazismo, ha dovuto attaccare, falsificandola pezzo a pezzo, la teoria marxista inventandosi la teoria del “socialismo in un solo paese”, e distruggere l’ostacolo più grande che si ergeva sul suo cammino, il partito bolscevico di Lenin e l’Internazionale Comunista nel suo difficile sviluppo verso la costituzione di un vero e monolitico Partito comunista mondiale. E che cosa sono state tutte le più diverse tendenze, come il massimalismo italiano, il trotskismo, il maoismo, il guevarismo per non parlare delle successive come il sessantottismo, il brigatismo, l’autonomismo, se non varianti degenerate e degenerative che trovavano le loro radici storiche nei ceppi originali del socialismo borghese e piccoloborghese già staffilati da Marx ed Engels nel Manifesto del 1848, e da Lenin nella lotta contro il menscevismo e, successivamente, contro il socialsciovinismo?

Il proletariato a che punto è?

Come abbiamo più volte affermato nella nostra stampa e nelle riunioni generali, il proletariato dei paesi imperialisti è ancora succube delle ideologie democratiche e delle rivendicazioni opportunistiche attraverso le quali crede di poter ottenere dei miglioramenti delle condizioni di esistenza di cui sente l’urgenza. Tali ideologie e tali rivendicazioni resistono nel tempo nonostante l’evidente logoramento dei partiti che pretendevano di rappresentare gli interessi proletari – “socialisti” e “comunisti” – e nonostante l’evidente fallimento delle organizzazioni sindacali rispetto alla reale difesa degli interessi immediati proletari sul piano del lavoro e della vita quotidiana. Non dobbiamo dimenticare che il proletariato di questi paesi è stato accalappiato dalle rispettive borghesie attraverso la politica degli ammortizzatori sociali – base materiale della collaborazione di classe – con i quali sono stati tacitati i bisogni più immediati dei proletari a più livelli. Ammortizzatori che scattavano quando la loro situazione diventava precaria (licenziamenti, disoccupazione, infortuni, periodi di malattia ecc.), quando cambiavano lavoro andando in altre aziende o quando, per età raggiunta, terminava il loro periodo di vita lavorativa (liquidazione, pensione), o quando l’azienda in cui lavoravano incontrava difficoltà di mercato e doveva diminuire la produzione in attesa di riprenderla in un periodo successivo (cassa integrazione), ma senza licenziare parte della propria forza lavoro. Tutto questo non poteva essere gestito che attraverso il sistema della collaborazione interclassista per la quale dovevano figurare istituzioni apposite e riconosciute dallo Stato e dal padronato. Quel che il fascismo aveva ideato e messo in pratica attraverso la collaborazione di classe (con le corporazioni), veniva così ereditato dalla democrazia post-fascista nelle forme non più obbligatorie per legge, ma organizzate secondo i criteri tipici della democrazia: “libertà” di organizzazione, di riunione, di stampa, di manifestazione, di sciopero ecc., e con una magistratura che acquisiva tutta una serie di leggi, votate e promulgate dal parlamento democratico, utili alla definizione di quelle libertà e soprattutto dei limiti entro i quali quelle libertà potevano essere esercitate. 

La grande differenza tra la democrazia liberale che precede il periodo storico in cui si impone l’imperialismo – e quindi il fascismo – e la democrazia post-fascista sta nel fatto che tutto l’impianto del cosiddetto Stato di diritto, del riconoscimento dei diritti stabiliti per legge e della possibilità di far valere i diritti attraverso il nuovo ordinamento giuridico della repubblica democratica, è sempre più un castello formale che maschera la reale concentrazione e centralizzazione politica borghese al punto da concordare, tra le diverse fazioni borghesi, le grandi decisioni economiche, finanziarie, politiche e sociali fuori dal parlamento per poi “dibatterle” in parlamento. Ciò serve allo scopo di far credere che le decisioni prese siano il frutto della democrazia parlamentare, nella quale tutti i partiti presenti in parlamento possono dire la propria e partecipare, a parole, anche opponendosi, alla gestione borghese della cosa pubblica.

L’illusione democratica sta essenzialmente nel formalismo parlamentare e, naturalmente, nel sistema elettorale attraverso il quale la popolazione che ha diritto al voto è “libera” di scegliere i propri rappresentanti nel parlamento. Si consuma in questo modo quel che i marxisti hanno sempre sostenuto: il parlamento non è che un mulino di parole che lasciano il tempo che trovano e il sistema elettorale non è altro che il sistema attraverso il quale i proletari vengono chiamati a eleggere ogni x numero di anni coloro che hanno il compito di mantenerli nelle condizioni di schiavi salariati, nelle condizioni di classi subalterne e sfruttate. D’altra parte, le stesse leggi che regolano la vita parlamentare consentono al governo – che dovrebbe governare secondo ciò che il parlamento decide – di applicare misure e politiche al di fuori delle votazioni del parlamento, o nella forma del decreto (che vale un certo numero di mesi, ma poi deve essere confermato da un voto parlamentare) o con leggi di emergenza.

In ogni caso, è sempre più evidente anche alle larghe masse proletarie che la democrazia parlamentare non risponde alla soddisfazione dei loro bisogni; e una loro reazione a questo andazzo la si rileva nel calo costante della partecipazione alle elezioni, sia di carattere nazionale sia di carattere locale. E’ una reazione che, di per sé, non comporta alcuna iniziativa alternativa, ma è un segnale che la borghesia può interpretare come un retrocedere delle masse proletarie (anche se non definitivo) dall’interesse politico, lasciando in questo modo campo più libero ai partiti che si contendono i posti al governo; o come una rinuncia generale delle masse proletarie a lottare sul terreno politico, rendendole perciò meno permeabili all'influenzate di organizzazioni rivoluzionarie. In entrambi i casi la borghesia riscuote una vittoria politica. Quel che la parte più acuta della borghesia teme, in realtà, è che l’aumentato disagio delle masse proletarie le possa spingere sul terreno della lotta classista, ossia della lotta che esce dal controllo delle organizzazioni sindacali e politiche della collaborazione di classe e che si organizzi, non episodicamente, in modo indipendente e sul terreno effettivamente classista, cioè sul terreno di scontro aperto tra gli interessi borghesi e gli interessi apertamente classisti del proletariato. Non si spiegherebbe altrimenti come mai le borghesie, soprattutto dei paesi di più vecchio imperialismo, si danno tanto da fare per ingabbiare i propri proletariati in una fittissima rete di organizzazioni e associazioni democratiche su tutti i piani: economico, politico, sindacale, culturale, sportivo, del tempo libero, del volontariato, religioso e perfino paramilitare. Tutte queste iniziative vengono promosse sia su sollecitazione statale o comunque delle istituzioni pubbliche, sia su sollecitazione dei capitali privati.

Naturalmente, la “libertà” di organizzazione, di riunione, di stampa, di manifestazione ecc. è una libertà che per i proletari, soprattutto se indirizzata al di fuori dei canoni stabiliti dalle leggi e dagli interessi borghesi, è molto condizionata sia in termini economici che in termini sociali. Basti pensare ai mille passaggi burocratici  e ai costi che è costretta un’organizzazione anche solo politica o culturale per esistere e per mantenere in vita la propria attività; non parliamo poi di un’associazione di tipo sindacale che voglia organizzarsi al di fuori dei sindacati ufficiali, quanto a riconoscimento legale da parte del padronato, privato o pubblico che sia. E’ evidente che, anche per un piccolo passo da parte proletaria nella direzione dell’indipendenza organizzativa, si rende necessaria una lotta non episodica, e una tenuta nel tempo, caratteristiche della lotta classista che il proletariato dovrà riconquistare superando i decenni in cui le organizzazioni collaborazioniste hanno distrutto anche solo il ricordo dell’associazionismo proletario.

Ebbene, di tutti questi aspetti delle prospettive nelle quali noi inseriamo la nostra attività, abbiamo parlato con i giovani simpatizzanti di Trento, fin dall’inizio dei nostri contatti e aldilà dei temi principali definiti per i diversi incontri, tale è la loro sete di conoscere quali sono le risposte che il partito è in grado di dare alle più diverse questioni e quale è il comportamento del partito di fronte a elementi – come loro – che si avvicinano ad un’organizzazione che si presenta come il partito comunista internazionale, come l’unico partito al mondo coerente col marxismo e capace di tirare tutte le lezioni dalla storia affinché le prossime rivoluzioni proletarie e comuniste siano decisive.

L’aspetto particolarmente interessante del modo in cui questi giovani sono giunti a prendere contatto con noi è dato dal fatto, come dicevamo, che non hanno atteso che fossimo noi a mettere a confronto i contenuti del nostro giornale (il comunista) con quello di altri giornali (il programma comunista e battaglia comunista) che rivendicano il collegamento con la corrente della Sinistra comunista d’Italia; l’hanno fatto per conto loro e sulla base di quel confronto hanno deciso di prendere contatto con noi. La loro sete di approfondimento teorico li ha spinti ad approfondire temi fondamentali attraverso testi di partito, a cominciare dal Dialogato con Stalin, e poi Proprietà e capitale, Fattori di razza e nazione ecc., e diversi nostri Reprint. E’ utile ricordare che il loro approccio al marxismo è avvenuto col Manifesto del 1848 e attraverso la lettura dell’Antidühring di Engels che commentavano in loro incontri periodici e nei quali si sono imbattuti sulle caratteristiche specifiche del socialismo scientifico grazie alle quali trovavano gli argomenti per contrastare quanto sostenevano gli stalinisti con i quali le grandi discussioni riguardavano la pretesa di un socialismo dalle caratteristiche specificamente mercantili e, perciò, capitalistiche.

E’ la prima volta dopo tanti anni che dei giovani studenti si avvicinano in questo modo al partito non perché il partito sia presente nella loro città con una sua attività di sezione, ma attraverso la lettura del giornale, rintracciato in internet, e sulla base di un lavoro di studio del marxismo già messo da loro in atto, cercando un’organizzazione politica che mostrasse coerenza con quanto appreso dal marxismo. Naturalmente, il grande mezzo di comunicazione rappresentato dal web, che le classi dominanti borghesi utilizzano per velocizzare i loro affari, aumentare la circolazione del denaro e delle informazioni utili agli affari, ma anche per massificare e massimizzare la propaganda della conservazione sociale e della collaborazione di classe, è un mezzo – come è stato ed è per la stampa, la radio, la televisione – che potenzialmente facilita la lettura delle diverse testate politiche e la diffusione anche di tutte le notizie sulle lotte operaie e sulle azioni di repressione degli Stati che normalmente i poteri dominanti nascondono o falsificano. Come la grande industria è stata il volano del grande sviluppo del capitalismo, ed anche del grande sviluppo del proletariato, così l’aumento dei mezzi di comunicazione e il loro sviluppo tecnologico, oltre a facilitare enormemente i rapporti mercantili tra aziende e i rapporti politici e militari tra gli Stati, mette in collegamento – come afferma il Manifesto di Marx-Engels fin dal 1848 – gli operai delle differenti località, contribuendo alla loro unione se usati ai fini della lotta di classe, o alla loro concorrenza e divisione se usati allo scopo di mantenerli sottomessi al giogo del lavoro salariato, cosa che normalmente fanno i borghesi e i loro tirapiedi opportunisti.

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

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