Guerra in Palestina

Posta in gioco imperialista e prospettiva proletaria

(«il comunista»; N° 179 ; Settembre-Novembre 2023)

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Lo spettacolare e sanguinoso attacco dei combattenti di Hamas con il massacro di centinaia di civili e la cattura di centinaia di ostaggi israeliani e la terribile risposta dello Stato ebraico stanno scuotendo l’intero Medio Oriente.

Colpito duramente nella sua aura di invulnerabilità, Israele vuole dimostrare agli Stati della regione, con il consenso degli imperialismi occidentali, che non può essere sfidato impunemente.

La prima vittima è la popolazione di Gaza, sottoposta a massicci bombardamenti e a un blocco volto a privarla di cibo, acqua, elettricità e beni di prima necessità (secondo le parole del ministro della Difesa israeliano) e spinta ad abbandonare il nord del territorio: migliaia di morti e feriti, decine di migliaia di senzatetto, centinaia di migliaia di sfollati; ma anche la popolazione dei Territori occupati della Cisgiordania è vittima della violenza dell’esercito e dei coloni israeliani che espellono i palestinesi dai loro villaggi, provocando decine di morti.

Mettendo da parte il sogno dei partiti colonialisti di estrema destra (ancora rappresentati nel governo) di annettere la Cisgiordania ed espellere tutti i palestinesi, resta il fatto che il clima politico in Israele è quello di approfittare della guerra per risolvere, seppur non definitivamente, il «problema» palestinese (cioè ogni resistenza alla colonizzazione), almeno per colpire duramente i palestinesi di Gaza e Cisgiordania, Hezbollah in Libano e perfino l’Iran che finanzia e arma le varie milizie del cosiddetto «asse della resistenza islamica». Sembra che, secondo la stampa internazionale, quest’ultima possibilità sia stata esclusa, ma la risposta di Israele avrà conseguenze significative a livello regionale. Secondo alcune dichiarazioni di funzionari israeliani, uno degli obiettivi di questa risposta, oltre a distruggere le istituzioni e le strutture «governative» di Hamas, sarebbe quello di ridurre la Striscia di Gaza per costituire una «zona cuscinetto», una «terra di nessuno», cosa che comporterebbe lo spostamento di circa un milione di abitanti in Egitto.

Ma il governo del Cairo è assolutamente contrario a un simile afflusso di rifugiati nel suo territorio, non solo per i problemi economici che ciò causerebbe nella situazione di crisi che attraversa il paese, ma anche per i rischi politici e sociali posti da una massa di popolazione martoriata e desiderosa di vendetta su Israele. Questo è il motivo per cui (d’accordo con le autorità israeliane) ha rifiutato finora di far uscire chiunque da Gaza attraverso il valico da lui controllato, mentre alcuni camion di aiuti umanitari sono stati finalmente autorizzati a entrare.

Gli altri Stati della regione temono che una risposta israeliana troppo prolungata e troppo sanguinosa porti a reazioni incontrollabili tra le loro popolazioni. Per il momento le imponenti manifestazioni che hanno avuto luogo in questi Paesi sono servite come diversivo al malcontento sociale, ma l’esempio egiziano suona come un monito; per la prima volta dal colpo di Stato, il governo di Al Sisi aveva non solo autorizzato una giornata di manifestazione a sostegno dei palestinesi, ma l’aveva addirittura organizzata: molti manifestanti ne avevano approfittato per condannare il regime.

 

La posta in gioco imperialista

 

Gli imperialismi occidentali hanno sostenuto senza esitazione e continuano a sostenere i bombardamenti israeliani su Gaza che, al momento in cui scriviamo, hanno causato più di 7.000 morti, per la maggior parte civili (1). Non appena Hamas ha attaccato, gli Stati Uniti hanno inviato armi e munizioni all’esercito israeliano, seguite da un’imponente flottiglia da guerra con due portaerei (che hanno già bombardato elementi «filo-iraniani» in Siria). Hanno anche inviato militari di alto rango, con esperienza di guerra urbana in Iraq, per consigliare i loro omologhi israeliani ecc.

I leader europei, a turno, si sono precipitati in Israele per assicurare allo Stato ebraico il loro indefettibile sostegno. Il presidente francese Macron ha fatto lo stesso; ma ha voluto anche recarsi in Cisgiordania per sostenere Mahmoud Abbas, il presidente di una «Autorità palestinese» completamente screditata per la sua corruzione e i suoi compromessi con Israele, per cercare di resuscitare la prospettiva della creazione di un mini-Stato palestinese e per fingere di chiedere il rispetto del «diritto internazionale». Il fatto che la Francia, l’Italia, la Germania e grandissima parte dei paesi occidentali non abbiano mai denunciato le flagranti violazioni di questo «diritto» e i «crimini di guerra» commessi da Israele dimostra quanto valgano questi gesti diplomatici e, più in generale, tutti questi discorsi: il diritto internazionale, in realtà, non è che il diritto del più forte.

Se si nutrono ancora dei dubbi al riguardo, basterà ricordare che in termini di crimini di guerra non solo la Francia vanta un record sanguinoso, in particolare durante le guerre coloniali e post-coloniali, dal Vietnam al Camerun, dall’Algeria al Ruanda ecc., ma anche l’Italia che col suo imperialismo straccione, volendo mettersi alla pari con le potenze franco-britanniche, fu protagonista di orrendi massacri in Libia e in Etiopia utilizzando per la prima volta al mondo i gas contro la popolazione civile, cose da far impallidire le atrocità attuali. E le «condoglianze» che Macron ha presentato ad Abbas per le vittime palestinesi, dopo aver approvato le rappresaglie militari israeliane, sono particolarmente ripugnanti... E non è meno ripugnante la posizione del governo italiano che, sostenendo a spada tratta il «diritto» di Israele di «difendersi» dagli attacchi subiti, si richiama ad un «diritto internazionale» nei confronti della popolazione civile palestinese che nessuno Stato borghese ha mai rispettato; basta pensare al «diritto internazionale» della popolazione migrante che fugge da guerre e miseria via terra e via mare e che, se non muore mentre tenta di raggiungere i paesi della civilissima Italia ed Europa, viene rinchiusa in campi di concentramento o rispedita nei paesi da cui sono partiti…

L’attuale guerra in Palestina è nata sul terreno dell’oppressione nazionale dei palestinesi, e se l’obiettivo dichiarato è quello di schiacciare Hamas, l’obiettivo più profondo è quello di schiacciare le popolazioni in modo tale da far loro dimenticare qualunque velleità di rivolta (2) e far sì che accettino senza battere ciglio il regime che verrà loro imposto (3): gli innumerevoli morti e feriti causati dai bombardamenti e dal blocco non sono vittime «collaterali»; sono il risultato voluto di questo obiettivo.

Ma la guerra si inserisce anche nel quadro dei cambiamenti dei rapporti interimperialistici in Medio Oriente e nel mondo. Gli Stati Uniti, sempre più preoccupati per la potenza in ascesa della Cina, hanno iniziato a «ruotare” verso l’Asia fin dall’era Obama, mentre varie potenze mediorientali si stanno rafforzando sempre più.

Il cosiddetto «Accordo di Abramo» avviato dall’amministrazione Trump e portato avanti da Biden mirava a stabilire accordi separati di pace e cooperazione tra Israele e alcuni Stati arabi (Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco), lasciando da parte la questione palestinese, ormai considerata senza reale importanza e quindi lasciata a discrezione del governo israeliano (4). Erano in corso negoziati separati con l’Arabia Saudita – tradizionale protetto degli Stati Uniti e grande potenza petrolifera – affinché seguisse ciò che stava succedendo nell’area, mentre la Turchia si avvicinava irresistibilmente a Israele (progetto comune di gasdotto ecc.). Una delle conseguenze più importanti di questi accordi già firmati o in preparazione è stato il crescente isolamento dell’Iran, quando, con sorpresa generale, l’Iran e l’Arabia Saudita hanno firmato lo scorso marzo un accordo sotto l’egida della Cina per la normalizzazione delle loro relazioni!

Ora, la guerra in Palestina sancisce il completo fallimento della strategia americana di Abraham: essa mette in difficoltà i paesi che hanno firmato questi accordi, rinvia a tempo indeterminato la firma dell’Arabia Saudita, spinge l’Egitto a opporsi agli Stati Uniti, costringe la Turchia a fare marcia indietro, a interrompere la sua collaborazione economica con Israele e a denunciare i suoi «alleati» occidentali...

Di fronte a questo disastro, l’imperialismo americano e, dietro di lui, gli imperialismi europei non hanno altra scelta che rafforzare lo Stato israeliano, unico pilastro solido dell’influenza occidentale nella regione: Israele ha il diritto di difendersi, significa in realtà: l’imperialismo occidentale ha il diritto di difendersi!

 

Per la ripresa della lotta di classe rivoluzionaria

 

Sottoposte agli attuali terribili bombardamenti e attacchi di terra, sottoposte da sempre a un’oppressione nazionale che aggrava lo sfruttamento capitalista inflitto dalla borghesia israeliana e araba, e che è sostenuta dagli imperialismi occidentali, le masse proletarie palestinesi non possono contare sull’appoggio degli Stati borghesi della regione: i paesi arabi hanno dimostrato per decenni che il destino di quelle masse li lascia indifferenti e, nei casi sempre più rari in cui hanno accennato alle loro sofferenze, è stato per distrarre un malcontento sociale o per promuovere i propri interessi statali. Esattamente lo stesso accade per quanto riguarda la dittatura iraniana che si propone come paladina della causa palestinese per segnare dei punti contro l’avversario israeliano o la Turchia di Erdogan (dopo la sua recente svolta). D’altra parte non possono contare su Hamas, organizzazione islamica reazionaria che reprime i movimenti sociali a Gaza. Hamas è stato in grado di organizzare l’attacco del 7 ottobre, di infliggere perdite ai soldati israeliani e di massacrare donne e bambini civili, ma non sarà mai in grado di sconfiggere militarmente Israele; fa quindi appello al sostegno degli Stati arabi e musulmani – sostegno che non arriverà mai, come abbiamo visto. Ha dichiarato pubblicamente di essere pronto a fare la pace con Israele, se questo  si ritirasse dai territori che ha occupato, e a fondarvi uno Stato islamico: questo mini Stato sarebbe solo una galera per i proletari e le masse palestinesi.

In definitiva, la fine dell’oppressione nazionale, di tutti i massacri e di tutti gli abusi subiti dai palestinesi non potrà essere che il risultato di un completo sconvolgimento dell’ordine borghese e imperialista nella regione; in altre parole, della rivoluzione proletaria anticapitalista che rovesci tutti gli Stati borghesi e instauri sulle loro rovine la dittatura internazionale del proletariato.

Questo compito non può essere opera dei soli proletari palestinesi; implica l’azione unitaria dei proletari di tutte le nazioni, compresi i proletari ebrei di Israele. Ciò implica che questi proletari rompano i legami che li uniscono alla loro borghesia e al loro Stato in nome della nazione o della religione per mettere in primo piano la solidarietà proletaria internazionale: questo non avverrà automaticamente né da un giorno all’altro; saranno necessari forti scossoni causati dalle crisi del capitalismo; ci vorranno l’esempio concreto e gli effetti della ripresa della lotta di classe rivoluzionaria nelle cittadelle del capitalismo mondiale; ci vorrà l’azione delle minoranze proletarie d’avanguardia per la costituzione del partito di classe, comunista, internazionalista e internazionale. Compito arduo ma che rappresenta l’unica prospettiva proletaria non illusoria.

 

- Solidarietà di classe con i proletari  e le masse palestinesi!

- Per la ripresa della lotta di classe rivoluzionaria!

- Per la rivoluzione comunista internazionale!

 


 

(1) Per rispondere alle accuse israeliane e americane di falsificare le cifre, le autorità di Gaza hanno pubblicato l’identità di oltre 5.000 persone morte.

(2) Il presidente israeliano Isaac Herzog, ex presidente del Partito Laburista (di “sinistra”), che si diceva favorevole al dialogo con i palestinesi, il 14/10 ha dichiarato, parlando di Gaza: “Là è un’intera nazione ad essere responsabile. Questa retorica secondo cui i civili non sono consapevoli, non sono coinvolti non è vera, non è assolutamente vera”. Cfr. Le Monde, 28/10/23. Quindi sono tutti terroristi, tutti colpevoli, che meritano la punizione collettiva inflitta da Israele...

(3) Sembra che attualmente i piani israeliani prevedano che Gaza venga amministrata dall’Autorità Palestinese dopo un periodo di transizione sotto il controllo da parte di militari provenienti da paesi arabi amici di Israele.

(4) Gli accordi prevedevano che Israele si impegnasse a non annettere nuovi territori. Netanyahu ha dichiarato successivamente che questo impegno era solo provvisorio e di fatto la colonizzazione non si è mai fermata.

 

 29 ottobre 2023

 

 

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