Al lavoro come in guerra!

Proletari! Quanti morti sul lavoro ci vogliono ancora perché vi ribelliate contro un sistema che produce solo profitti per i capitalisti e morti per i proletari?

(«il comunista»; N° 179 ; Settembre-Novembre 2023)

Ritorne indice

 

 

Linea ferroviaria Torino-Milano. Stazione di Brandizzo. Notte del 30 agosto. Un treno tecnico, ovviamente senza passeggeri, in transito proprio sul binario sul quale stanno lavorando gli operai, piomba su di loro a 160 km all’ora. Un gruppo di operai, dipendenti della Sigifer, appaltatrice della manutenzione delle infrastrutture ferroviarie, stanno lavorando sulla linea per sostituire sette metri di binario. Cinque operai muoiono sul colpo, 2 sono incolumi ma ricoverati sotto shock e un dipendente delle Ferrovie, incaricato di dare il via libera ai lavori di manutenzione dopo aver ricevuto un’autorizzazione ufficiale da Rete Ferroviaria Italiana, si salva perché in quel momento era sulla banchina.

Michael Zanera, 34 anni, Kevin Laganà, 22 anni, Giuseppe Sorvillo, 43 anni, Giuseppe Saverio Lombardo, 52 anni e Giuseppe Aversa, 49 anni, non ci sono più: il treno li ha trascinati per un chilometro sui binari prima di fermarsi. I due macchinisti del treno tecnico, sotto shock, ignari assolutamente che sui binari ci fossero gli operai a lavorare, vengono ricoverati anch’essi in ospedale.

Alle 23.49 del 30 agosto passa quello che sembrava essere l’ultimo treno dopo il quale si poteva iniziare a lavorare sui binari; invece, subito dopo, arriva il treno tecnico, strumento della strage. Perché gli operai siano stati mandati sui binari senza aver ricevuto l’autorizzazione scritta da Rfi non è dato sapere; quello che è sicuro è che gli operai stavano lavorando sui binari quando la situazione non era sicura! E questa non è una situazione eccezionale, perché di morti a causa dei disastri ferroviari le cronache ne parlano da decenni!

Ennesima strage sul lavoro, ennesima dimostrazione che il lavoro in questa società è un campo di guerra continua nel quale i soldati dell’esercito del lavoro salariato ci lasciano regolarmente la pelle!

Solo negli ultimi vent’anni i morti sono stati 91, i feriti più di 230. Crevalcore, 7 gennaio 2005, due treni si scontrano a pochi metri dalla stazione di Bolognina di Crevalcore (17 morti, 15 feriti); Viareggio, 29 giugno 2009, per la rottura di un asse un treno che trasporta gpl deraglia, finisce sulle case vicino ai binari e causa un incendio devastante (32 morti, alcuni feriti); Laces-Castelbello, in Val Venosta, 12 aprile 2010, una frana cade sulla linea ferroviaria vicino a una gola (9 morti, 28 feriti); Andria-Corato, 12 luglio 2016, due treni della Ferrotramviaria si scontrano tra le stazioni di Andria e di Corato (23 morti, 50 feriti); 25 gennaio 2018, a Pioltello, alle porte di Milano, un treno regionale deraglia (3 morti, un centinaio di feriti); Ospitaletto, vicino a Lodi, 6 febbraio 2020, per uno scambio riparato male il frecciarossa deraglia e si schianta contro un edificio (2 morti, i macchinisti, e 31 feriti). E, purtroppo, di stragi sui binari ce ne saranno ancora visto che la Rfi ha aperto, nel solo 2023, ben 1.800 cantieri per le manutenzioni dei binari e delle altre infrastrutture: tutte eseguite da ditte esterne in appalto che, a loro volta, subappaltano ad altre ditte. Questo sistema fa risparmiare molto all’azienda che appalta i lavori e alle ditte appaltatrici che a loro volta subappaltano. Più si scende nella scala degli appalti, e più aumenta l’insicurezza sul lavoro. Si consideri, inoltre, che quasi tutte le ditte esterne che vincono gli appalti in ferrovia ingaggiano lavoratori che normalmente lavorano nell’edilizia; si passa quindi dai cantieri per il rifacimento delle facciate degli edifici ai cantieri sulle linee ferroviarie, che sono ad altissimo rischio anche per la presenza delle linee elettriche, senza la necessaria formazione (1).

Come dopo ogni disastro che causa morti e feriti, le autorità preposte indagheranno, cercheranno i colpevoli, somministreranno multe e condanne, mentre sindaci, parlamentari, presidenti del consiglio e presidenti della repubblica intonano la solita cantilena del dolore, della vicinanza ai familiari delle vittime e alla comunità colpita, chiedendo che le indagini trovino le cause di queste tragedie e... rimettendosi alla buona volontà degli uomini e del padreterno affinché tragedie di questo genere non succedano più.

Ma le morti sul lavoro non si fermano!

In una società che dedica tutte le sue energie vive al capitale, alla sua «salute» a prezzo di una strage continua di lavoro vivo, la «buona volontà» degli uomini non risolve, perché la «mancanza di cura per i lavoratori», come ha detto papa Francesco, è in realtà parte integrante del modo di produzione capitalistico che è il vero colpevole di tutte le tragedie in questa società.

«I lavoratori sono sacri», ha sentenziato il papa; «morire sul lavoro è un oltraggio ai valori della convivenza» ha detto Mattarella dopo aver deposto un mazzo di fiori alla stazione di Brandizzo. Ma di quale «convivenza» va parlando?, di una convivenza con la morte che bussa alla porta degli operai senza alcun preavviso? E’ una rappresentazione, senza dubbio «autorevole», dello sconcerto e dell’angoscia che ha colpito tutti: ma è solo una rappresentazione che tenta di lenire il fortissimo dolore che emerge dai cuori proletari di fronte ad ogni tragedia, nel tragico spettacolo orrendo di un massacro di lavoratori che non finisce mai e che si aggiunge ai massacri di guerra le cui cause vanno cercate esattamente nello stesso modo di produzione capitalistico e nel dominio borghese della società. Una rappresentazione che non scalfisce di un millimetro la corazza d’acciaio che veste la classe dominante borghese a difesa della società del capitale. Mentre la sceneggiata della «vicinanza» alle famiglie dei lavoratori morti si consuma offrendo alla stampa e alle tv materiale per diffondere i minuti di dolore che le autorità si sono concesse, le stesse autorità stanno vagliando e decretando una gragnuola di misure da lacrime e sangue che andranno a colpire cinicamente tutti i lavoratori e soprattutto quelli più precari, più deboli, quelli del cosiddetto «lavoro povero» dal quale Giuseppe Sorvillo, uno degli operai morti a Brandizzo, si era staccato da qualche mese per andare a lavorare alla Sigifer e per finire poi maciullato sui binari del nuovo lavoro, del lavoro migliore...

Secondo l’Osservatorio Sicurezza sul Lavoro e Ambiente Vega Engineering, ad oggi i morti sul lavoro sono 559 (più di 2 in media al giorno) di cui 430 sul posto di lavoro e 129 in itinere, a fronte di più di 300 mila infortuni sul lavoro. E lo stesso giorno in cui 5 operai venivano uccisi sui binari a Brandizzo, a Castel di Sangro, nell’Aquilano, moriva un operaio di 46 anni folgorato da un cavo di alta tensione, e un marittimo 35enne, bengalese, moriva a Senigallia dopo essere stato ustionato gravemente a causa di un’esplosione a bordo di un peschereccio (2).

 

Proletari!, quanti morti devono aggiungersi alla lista prima che vi ribelliate a queste condizioni di vita e di lavoro mortali? L’ «agitazione», ma solo degli addetti alla gestione ed esecuzione della manutenzione delle infrastrutture per le ultime 4 ore del turno notturno tra il 31 agosto e il 1° settembre e del turno giornaliero del 1° settembre che Ggil-Cisl-Uil insieme a Orsa ferrovie e Confsal hanno dichiarato è «la risposta» immediata che i sindacalisti della collaborazione di classe non potevano esimersi dal dare vista la rabbia che una tragedia del genere faceva montare tra i lavoratori; e intanto dicono di preparare uno sciopero di 8 ore per lunedì 4 settembre a livello nazionale. Lo stesso 4 settembre scenderanno in sciopero, ma solo nella regione Piemonte, anche gli edili di Cgil-Cisl-Uil «contro questa catena di stragi sul lavoro» che vede il settore edile tra i settori con il maggior numero di vittime sul lavoro.

La USB, da parte sua, appena informata della tragedia, ha indetto uno sciopero immediato di 24 ore. E mentre i treni dell’Alta Velocità hanno continuato a viaggiare regolarmente su tutte le tratte, i treni sulla linea convenzionale Torino-Milano hanno ripreso a funzionare regolarmente già dalle 18 del 31 agosto.

Che cosa chiedono i sindacati ufficiali? Naturalmente maggiore formazione per gli operai, maggiori misure di sicurezza, commissioni di controllo, meno subappalti, mentre l’USB chiede che venga introdotto il reato di omicidio ferroviario, come è stato fatto per l’omicidio stradale... Insomma nel pieno delle leggi che ogni democrazia – se funzionasse come promette sulla carta – avrebbe dovuto istituire e fatto rispettare da decenni. Il fatto è che la democrazia borghese, soprattutto nei paesi imperialisti, perciò votati a spremere il lavoro vivo operaio fino all’ultima goccia per ingigantire il proprio dominio e la propria potenza concorrenziale rispetto ai paesi imperialisti concorrenti, è sempre disposta a promettere e a mettere per iscritto misure protettive della vita umana, ma nella realtà, essendo la voce del capitale monopolistico e dello Stato borghese, non ha altra funzione che illudere il proletariato sulla possibilità di piegare il capitale e i capitalisti a suon di proteste pacifiche, manifestazioni non violente, petizioni, raccolte di firme, referendum e leggi che il parlamento dovrebbe emanare per... fermare le stragi, per prendersi cura dei lavoratori, per impedire gli infortuni e le stragi minacciando i «colpevoli», che la magistratura è chiamata a perseguire, di dure condanne...

Non è mai successo che questi mezzi della pratica pacifista e collaborazionista abbiano portato un reale beneficio ai lavoratori salariati; caso mai li hanno piegati sempre più agli interessi borghesi, abituandoli a considerarsi come parte degli interessi «proletari».

La forza che il capitale, il suo Stato e le autorità economiche, politiche, sociali adottano per far funzionare il sistema economico secondo la legge del valore e del profitto, può essere combattuta soltanto con altrettanta forza. Alla forza di classe della borghesia è necessario opporre una forza di classe proletaria. E questa forza non nasce da organizzazioni votate alla collaborazione di classe, in pratica vendute al capitale. Questa forza nasce per mezzo della lotta classista, indipendente dagli interessi economici e politici della borghesia, di una lotta che combatte in difesa esclusiva degli interessi, e quindi della vita, dei proletari, in qualsiasi settore lavorino, di qualsiasi età o genere siano e a qualsiasi nazionalità appartengano. I proletari, per sopravvivere, sono obbligati a lavorare sotto il comando dei capitalisti e alle condizioni che i capitalisti e i loro portavoce politici, sindacali, culturali, religiosi, dettano a seconda dei periodi di espansione o di crisi economica. I proletari, in pratica, sono alla mercé del capitale e, quindi, dei rapporti di produzione e di proprietà borghesi.

Ma la vera sopravvivenza proletaria sta nella sopravvivenza della classe proletaria, nella lotta che unisce i proletari contro lo stesso nemico di classe, che si può presentare sotto le vesti molto diverse che il sistema democratico gli permette di indossare in nome di una «libertà» che è fondamentalmente la libertà di sfruttare, di gettare nella miseria e di uccidere proletari sul lavoro o in guerra; proletari che hanno la sola «colpa» di essere nati proletari, senza riserve, proprietari soltanto della propria forza lavoro ma obbligati a venderla per un tozzo di pane o a chiedere l’elemosina perché non c’è mai lavoro per tutti!

Il vero e grande progresso umano sta nel vivere in una società in cui non vi sia più oppressione, sfruttamento dell’uomo sull’uomo, miseria che colpisce la maggioranza degli esseri umani contro ricchezza e privilegi che rendono agevole la vita di una minoranza.  Una società dove il lavoro vivo, il lavoro produttivo riguarda tutti gli esseri umani alla stessa stregua del divertimento, della gioia di vivere, dello studio e della conoscenza, grazie a una nuova organizzazione sociale in cui sarà necessario lavorare una o due ore al giorno per la società, producendo e distribuendo solo beni effettivamente necessari alla vita sociale, quindi non inutili e tanto meno nocivi. Una società che non si presenterà miracolosamente grazie a una sorta di sviluppo automatico e magico, ma a cui si arriverà grazie a una lotta durissima e prolungata nel tempo contro tutti gli ostacoli che si frappongono alla reale vita sociale dell’umanità. Una lotta che i proletari, in realtà, hanno già iniziato molti anni fa, già nell’Ottocento e per la quale hanno dato alcune prove che la storia ha fissato in modo incontrovertibile: dal 1848 europeo al 1871 della Comune di Parigi, dal 1917 dell’Ottobre russo e rosso al 1927 cinese. Che questa lotta, definita da Marx ed Engels come lotta per il comunismo, lotta per la società di specie, finora non abbia avuto successo a livello mondiale è materialisticamente spiegabile. Per uscire dalla società divisa in classi, come è la società capitalistica, uscire da uno sviluppo ineguale nei diversi paesi del mondo e dalle diseguaglianze sociali sempre più profonde, ci vuole una forza sociale, una forza di classe che finora, storicamente, non si è ancora espressa completamente. Ma le stesse contraddizioni, gli stessi e sempre più forti contrasti tra capitali e tra Stati borghesi che ne difendono la conservazione, proiettano inevitabilmente gli antagonismi di classe tra borghesia e proletariato a livelli sempre più acuti, sempre più internazionali.

Saranno le condizioni di vita e di lavoro diventate insopportabili – come sta succedendo alle masse di immigrati che stanno invadendo la civilissima, opulenta e criminale Europa – che metteranno in movimento oggettivamente anche le masse proletarie d’Europa, richiamandole alle sue lontane e gloriose tradizioni classiste e rivoluzionarie.

E’ su questa via che le masse proletarie, per la gran parte senza una coscienza precisa ma con una forza potenziale senza eguali, si muoveranno, si organizzeranno, si batteranno; è su questa via, sulla via di una reale emancipazione da un’esistenza precaria e sofferente, che le masse proletarie ritroveranno il coraggio di affrontare la classe dominante borghese come il loro vero nemico, e si ricollegheranno con un ponte nel tempo ai proletari del 1848, del 1871, del 1917, del 1927, quando quelle lontane lotte hanno scavato il solco da riscoprire e riportare alla luce.

Perché i milioni di vittime sul lavoro e nei campi di guerra che il capitalismo e le classi borghesi dominanti hanno continuato ad accumulare nei duecento anni di storia capitalistica non siano morte invano, i proletari di oggi e di domani devono ritrovare la loro spinta di classe, la loro volontà di non piegarsi più ai diktat del capitale e delle borghesie che ne difendono la sopravvivenza.

E’ la lotta classista, attuata con mezzi e metodi di classe, cioè non dipendenti dalla borghesia e dai suoi sgherri politici e sindacali, la via da imboccare. «Al lavoro come in guerra», l’abbiamo gridato più volte, va inteso come un grido di battaglia, non come una triste constatazione della realtà capitalistica. E’ necessario combattere la tristezza per i morti e la rassegnazione per non avere oggi la forza di reagire in modo potente, tanto potente quanto lo è la morte sul lavoro o sotto le bombe in una guerra che porta vantaggi soltanto ai capitalisti, perché quei morti non rimangano semplicemente delle croci piantate in terra e nei cuori!

 


 

(1) Cfr. la Repubblica, 1.9.2023

(2) Cfr. il fatto quotidiano, 1.9.2923. 

 

1 settembre 2023

 

 

Partito Comunista Internazionale

Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program

www.pcint.org

 

Top

Ritorne indice