Nella continuità del lavoro collettivo di partito guidato dalla bussola marxista nella preparazione del partito comunista rivoluzionario di domani

(Rapporti alla riunione generale di Milano del 16-17 dicembre 2023)

(«il comunista»; N° 180 ; Dicembre 2023 - Febbraio 2024)

Ritorne indice

 

 

La riunione generale che si è svolta a Milanoil 16-17 dicembre scorsi, è stata segnata purtroppo da alcune asenze dovute a problemi di influenza e a sospensione di voli aerei. Ha comunque visto la partecipazione dei compagni di Francia, Svizzera e Italia. E' stata fruttuosamente partecipata fornendo ai compagni ulteriori materiali per continuare la complessa attività di partito.  

Il rapporto iniziale è stato dedicato ad un riassunto sulla Guerra di Spagna dedicato in particolar modo all'Insurrezione del 1934 e ai primi interventi del POUM, in collegamento con il rapporto della riunione precedente. Si è tenuto poi il rapporto sul Corso dell'economia mondiale mettendo in risalto sia l'andamento della produzione industriale nei maggiori paesi imperialisti, sia l'andamento dell'inflazione negli stessi paesi, sottolineando come, nonostante le riprese economiche registrate subito dopo la fine della pandemia, le economie maggiori subiscono comunque un rallentamento tendendo verso la recessione e, per conseguenza, aumentando il peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse proletarie tanto da prevedere crescenti tensioni sociali non solo nei paesi della "periferia" dell'imperialismo ma anche nei paesi imperialisti (come nell'ultimo periodo si è già riscontrato in Gran Bretagna, in Francia, negli Stati Uniti).D'altra parte la prolungata guerra tra Russia e Ucraina, alla quale partecipano gli altri paesi imperialisti sia d'Occidente che d'Oriente, sostenendo in un modo o nell'altro i due belligeranti, se da un lato consente una rivitalizzazione dell'economia di guerra, dall'altro accentua i fattori di scontro tra i grandi poli imperialistici concorrenti, cosa che accresce le ragioni non solo economiche ma anche politiche che preparano le condizioni di una terza guerra mondiale. Nel terzo rapporto ci si è occupati delle differenze che esistono tra la nostra organizzazione di partito e le altre formazioni che rivendicano le stesse origini nella Sinistra comunista d'Italia e che si presentano anche con lo stesso nome di partito. Il quadro,  dal 1952 in poi, si è molto complicato, a causa dell'emergere ciclicamente all'interno del partito di deviazioni ora di segno attivistico e indifferentista, ora di segno attendista; deviazioni non certo inaspettate per un partito che si è basato sul bilancio della controrivoluzione e della degenerazione dell'I. C. e dei partiti membri, ma che hanno, alla fine,messo alle corde un'organizzazione che non si era preparata in modo efficace sia dal punto di vista teorico-politico, sia dal punto di vista tattico-organizzativo, alla prolungata situazione di depressione del proletariato e, quindi, alla prolungata assenza della ripresa della lotta di classe. Abbiamo iniziato col riassumere i punti caratteristici del gruppo di Damen che nel 1951-52 ha determinato la scissione nel partito e che, in un certo senso, possiamo definire la madre di tutte le scissioni successive; si continuerà prendendo in esame le posizioni degli altri diversi gruppi che sbandierano l'eredità del patrimonio teorico e politico della Sinistra comunista che in realtà - come il marxismo - non è proprietà di nessuno, ma rispetto al quale va dimostrata coerenza e intransigente difesa. Tale lavoro ha per finalità la compilazione di un opuscolo nel quale sintetizzare le nostre posizioni rispetto alle posizioni di tutti gli altri. Una disamina dell'andamento  del sito di partito chiudeva il ciclo dei rapporti della riunione.

 

 

Sul filo del tempo della corrente della Sinistra comunista d’Italia

Cosa ci differenzia dai gruppi politici che proclamano di esserne eredi

 

 

Diamo qui di seguito il resoconto esteso del Rapporto tenuto all’ultima riunione generale col quale definire i punti fondamentali su cui ci distinguiamo da ogni altro gruppo politico che rivendica le stesse origini a cui noi siamo strettamente collegati: la corrente della Sinistra comunista d’Italia. Come più volte ribadito, preferiamo di gran lunga parlare di Sinistra comunista d’Italia, e non “italiana”, non solo per una coerenza politica e formale con la fondazione dei partiti comunisti aderenti all’Internazionale Comunista di Lenin, ma perché la nostra corrente aveva, ed ha, le sue radici non in un’esperienza specifica della lotta politica con particolari segni distintivi generati dal fatto di essere italiana, ma perché affonda le sue radici nel marxismo che, proprio perché è la teoria del comunismo rivoluzionario, non ha caratteristiche nazionali, ma internazionali. Abbiamo iniziato perciò col trattare le posizioni del “Partito comunista-battaglia comunista” che si presentò, alla sua costituzione formale, come la rinata organizzazione della corrente della Sinistra comunista “italiana” in partito dopo il ventennio fascista e la seconda guerra imperialista mondiale. Naturalmente, avendo già trattato in linea generale questo tema in diverse riunioni generali precedenti e nel nostro primo volume [presente nel sito www.pcint.org] Il Partito Comunista Internazionale nel solco delle battaglie di classe della Sinistra Comunista e nel tormentato cammino della formazione del partito di classe (2010)], rimandiamo gli interessati a rileggere i capitoli ad esso dedicato. Qui vogliamo riassumere, iniziando dal gruppo di “Battaglia comunista” che si costituì nel 1943 come Partito Comunista Internazionalista richiamandosi alla fondazione del PCd’I e alle sue tesi (di Roma 1922 e di Lione 1926), alcuni temi specifici che riguardano la questione “russa”, la questione “sindacale”, la questione “nazionale e coloniale” e la concezione del partito che li contiene tutti. Sulla stessa traccia, continueremo la nostra critica agli altri gruppi politici.

 

Le posizioni di “battaglia comunista”

 

I lettori sanno che nel “Partito comunista internazionalista-battaglia comunista”, in seguito ad un incessante lavoro di restaurazione teorica e politica del marxismo e di bilancio delle rivoluzioni e delle controrivoluzioni, svolto dal 1945 in avanti dai compagni della Sinistra comunista d’Italia che non avevano ceduto allo stalinismo, e che vide in Amadeo Bordiga il suo perno nevralgico, sorsero inevitabilmente dissensi e divergenze che portarono alla scissione del 1952. Da allora in poi, l’attività del partito attraverso la testata “il programma comunista” (che fino al 1964 continuerà a chiamarsi Partito comunista internazionalista, e dal 1965 Partito comunista internazionale perché effettivamente l’organizzazione si era sviluppata in diversi paesi oltre l’Italia), di carattere soprattutto teorico-politico, ma mai negandosi l’attività a contatto con la classe operaia sul terreno della difesa immediata degli interessi proletari, sia all’interno del maggiore sindacato operaio (la CGIL), sia al suo esterno, andò incontro ad altre situazioni critiche che produssero distacchi e scissioni fino alla crisi esplosiva del 1982-84 che mandò il partito in mille pezzi. In questo specifico lavoro cercheremo di sintetizzare, senza semplificare troppo proprio per evitare facili equivoci e inesattezze, la nostra battaglia politica in difesa di una continuità teorico-politica e organizzativa, fuori da una omogeneità prodotta a suon di discussioni e compromessi, fuori dal mito di una democrazia “proletaria” o addirittura “comunista”, fuori da ogni elitarismo personale o di gruppo. Dopo che il gruppo scissionista si impossessò con azione legale del giornale “battaglia comunista” e della rivista “Prometeo”, “il programma comunista” fu affiancato, nel 1953, da un fascicolo intitolato “Sul filo del tempo” che aveva l’ambizione di diventare la rivista del partito (ma restò l’unico numero) in cui vennero raccolte le sintesi dei punti e delle tesi che avevano caratterizzato il lavoro di restaurazione teorico-politica iniziato con “Prometeo” e con “battaglia comunista” e che trovarono una regolare sistemazione attraverso le riunioni di partito del 1951-1952. Il lavoro di restaurazione teorica e politica continuò nelle riunioni generali del partito, venendo pubblicato regolarmente nel “programma comunista” e, in tempi successivi, a partire dal 1957, nella rivista in lingua francese “Programme communiste” che divenne la rivista teorica del partito.

Nel fascicolo “Sul filo del tempo”, una “Avvertenza al lettore” forniva sinteticamente il lavoro svolto fino a quel momento di «riscontro e ripresentazione, dopo la seconda guerra mondiale, del programma comunista» nelle riunioni di studio e di lavoro cui accennavamo sopra; essa veniva accompagnata da una Nota, sempre rivolta ai lettori, che diceva: «Nel seguire la continuità degli apporti del nostro lavoro, [i lettori] non si fermino ai mutamenti di titoli di periodici, dovuti ad episodi di una sfera inferiore. E’ facile distinguere nella loro inscindibile organicità i contributi nostri. Come è proprio del mondo borghese che ogni merce segua la sua etichetta di fabbrica e ogni idea la firma dell’autore, ogni partito si definisca col nome del capo, così è chiaro che siamo nel nostro campo proletario quando la trattazione si occupa di rapporti obiettivi della realtà e non si sofferma mai su sciocchi contraddittori tra pareri personali, su lodi e biasimi, in cui il giudizio è spostato dal contenuto alla buona o cattiva fama dell’espositore; quando non si incontrino nella trattazione vani e quasi sempre ingiustamente sproporzionati matches tra pesi massimi o minimi che siano. Un lavoro come il nostro riuscirà a condizione di essere duro e penoso, non facilitato dalla borghese tecnica pubblicitaria dalla vile tendenza ad ammirare e adulare uomini». Purtroppo “episodi di una sfera inferiore”, di cui parla questa Nota, se ne sono verificati ancora nella storia del nostro partito, non ultimo il ricorso al tribunale borghese da parte del “proprietario commerciale” della testata “il programma comunista” nel 1983.

Entriamo quindi nel merito dell’esposizione tenuta nella riunione generale.

 

 “Battaglia comunista” si è limitata a proclamare – come descritto nei loro scarni punti caratteristici validi fino alla costituzione della Tendenza comunista internazionalista (TCI) di cui “b.c.” è cofondatrice – una “lotta” riassunta nei loro quattro “contro” e tre “per” che qui di seguito elenchiamo:

a) «Contro il modo di produzione capitalistico, basato sullo sfruttamento del lavoro salariato, sull’anarchia del mercato, la divisione in classi della società e generatore di disoccupazione, fame e guerre».

b) «Contro tutti i partiti parlamentari, che da destra o da sinistra, nel nome osceno dell’interesse nazionale, difendono compatti il regime borghese. E anche chi afferma di rappresentare i lavoratori lo fa per riuscire a mantenere la rabbia di classe entro i binari istituzionali». 

c) «Contro le falsificazioni storiche e le degenerazioni teoriche dei principi marxisti, dallo stalinismo al maoismo, dal consiliarismo al trotzkismo fino a tutte le revisioni possibili del socialismo scientifico».

d) «Contro la logica sindacale che, proprio perché contrattualistica si fonda sulla continuità della divisione in classi della società e dello sfruttamento del lavoro salariato».

e) «Per la conquista rivoluzionaria internazionale ed esclusiva del potere politico da parte dei proletari, cioè di chi ha da vendere soltanto la propria forza lavoro in cambio di un salario».

f) «Per socializzare le industrie e i servizi e pianificare dal basso la produzione della ricchezza collettiva sulla base dei bisogni reali. Ciò permetterà di soddisfare i bisogni materiali di tutti e nessuno sarà più costretto dalle necessità di sopravvivenza a svolgere per tutta la vita un lavoro ripetitivo e di sola fatica».

g) «Per costruire il partito che guiderà la rivoluzione e organizzarlo secondo il principio del centralismo democratico: potere decisionale alla comunità dei militanti – accomunati dalla adesione al programma rivoluzionario – che si centralizzano in organi collegiali esecutivi».

Questi punti sintetizzano il “programma politico” del “partito comunista internazionalista-battaglia comunista”, cosa che questo gruppo illustrerà più a fondo in un opuscolo del dicembre 2001 intitolato “Chi siamo, da dove veniamo, cosa vogliamo” sul contenuto del quale abbiamo svolto la nostra critica nel primo volume della nostra “Breve storia del PC Internazionale”.

I primi tre “Contro”, una volta dato “all’anarchia del mercato” il senso torbido di disordine di cui gli sfruttatori approfittano per opprimere la libera iniziativa individuale dei “produttori”, possono essere sottoscritti perfino dagli anarchici, mentre il quarto “Contro”, che riguarda la “logica sindacale”, discende da un proudhonismo riveduto e corretto per il quale ogni lotta operaia organizzata attraverso associazioni economiche – che “b.c.” sintetizza nei “sindacati” – è da escludere e da combattere perché tali organizzazioni sono state trasformate dalle classi dominanti in organizzazioni a sostegno della “divisione in classi della società e dello sfruttamento del lavoro salariato”. Proudhon era contrario alla lotta per gli aumenti di salario perché tali aumenti avrebbero continuato a confermare il regime salariale che invece va superato; i “battaglini” sono contrari alla lotta operaia organizzata dai sindacati per gli aumenti di salario – e quindi, per estensione, per ogni altra rivendicazione sul terreno immediato – perché la forma sindacale, storicamente, non si è dimostrata essere il trampolino di lancio della lotta politica rivoluzionaria del proletariato alla quale, invece, dovranno pensare soltanto i “consigli” o i “soviet”, sposando in questo modo anche la visione ordinovista della lotta proletaria e rivoluzionaria. I successivi tre “Per” dovrebbero idealmente riguardare gli obiettivi storici della classe proletaria; i primi due possono essere sottoscritti tranquillamente da ogni anarchico, da ogni immediatista, da ogni operaista, da ogni anti-partito, dato che alla conquista rivoluzionaria del potere e al suo esercizio nella trasformazione economica della società ci deve pensare esclusivamente il proletariato, “dal basso” come è detto al punto due, mentre il terzo “Per” è in netta contraddizione con i punti precedenti poiché si proclama di voler “costruire il partito che guiderà la rivoluzione” [in pratica, come il macchinista di un treno che ha il compito di guidarlo su uno dei binari già esistenti e in una direzione, tra le tante, che è stata definita, democraticamente, dai passeggeri], un’organizzazione che può essere o non essere richiesta dai proletari e per la quale ci si preoccupa soltanto di come organizzarla tecnicamente, un “partito” formato da militanti che aderiscono ad un programma rivoluzionario che non è definito una volta per tutte e vincolante, ma tutto da definire e che hanno il compito di stabilire, di volta in volta, applicando il metodo dei congressi e del voto di maggioranza che il centralismo democratico prevede.

Per “b.c.” il partito di classe non è il partito previsto da Marx e da Engels, ossia un partito formale che si basa in modo vincolante sul partito storico invariante (sulla teoria marxista), non è il partito di Lenin e nemmeno quello rivendicato da Trotzky nel “Terrorismo e comunismo”: è un’organizzazione politica sideralmente lontana da quella rivendicata dal Partito comunista d’Italia e dalle Tesi di Roma e di Lione della Sinistra comunista; è un’organizzazione politica che tra il 1945 e il 1949 discute – e non poteva essere diversamente data la situazione di profonda controrivoluzione e di stravolgimento completo del patrimonio internazionale del comunismo rivoluzionario – intorno ai documenti presentati al convegno di Torino del 1945 denominati, il primo, Piattaforma politica del Partito (scritta, tra l’inverno 1944 e la primavera del 1945, interamente da Bordiga sebbene non iscritto) – che verrà accettata – e, il secondo, Schema di programma del partito Comunista Internazionalista, scritto dal Comitato Centrale del PCInt.sta che in diverse sue parti ha valutazioni diverse dalla Piattaforma – la cui discussione verrà rimandata al Congresso di Firenze del 1948. E’ indiscutibile che l’attività di Amadeo si indirizzerà sia nella restaurazione della dottrina marxista, sia nell’orientamento ideologico e politico più fermo possibile delle forze che si erano raggruppate nel PCInt.sta. Una parte non indifferente di compagni dell’epoca – nonostante Amadeo non intendesse iscriversi al PCInt.sta – ne sollecitavano la collaborazione teorica e politica, e la definizione della linea politica da seguire, tanto da sollecitargli la redazione di scritti, come appunto la Piattaforma politica, aprendo poi le pagine della rivista “Prometeo” fin dal suo primo numero del luglio 1946 ai suoi contributi, a partire dal Tracciato d’impostazione, dalle Tesi della Sinistra e da numerosi altri testi coi quali fu data un’impronta stabile, certa e coerente col marxismo, all’attività del partito.

Sulla Piattaforma politica del partito va doverosamente ricordata la nota fatta nella sua ripubblicazione (in “Per l’organica sistemazione dei principi comunisti”, n. 6 dei testi del partito comunista internazionale, Ivrea, settembre 1973) in cui si legge: «Una breve nota di commento si rende indispensabile per collocarla nella sua giusta prospettiva storica ed eliminare malintesi che questo o quel punto potrebbe far nascere in un lettore disattento o sprovveduto. Essa fu redatta ai primi del 1945, poco prima delle definitiva conclusione del secondo massacro imperialistico e quindi anche della ricongiunzione delle forze sparse della Sinistra al sud e al nord, quando ancora si poteva ritenere che l’apertura del ciclo postbellico all’insegna della travolgente vittoria delle democrazie non escludesse un margine di ripresa autonoma dell’azione proletaria di classe, per enormemente ristretto che tale margine fosse in confronto al 1918-1920. (...) Il testo del 1945 non poteva non riflettere, sia pure marginalmente, la natura non del tutto omogenea dei tronconi da poco ricongiuntisi della Sinistra, uno almeno dei quali, al Nord, si muoveva nell’ottica già accennata di una meccanica ripetizione degli eventi dell’altro dopoguerra e quindi anche delle tattiche allora esperite pur nel quadro di una concezione rigorosamente antidemocratica, cosicché, per esempio, nella questione elettorale e parlamentare oscillava fra un prudente agnosticismo sulle eventualità di azione tattica del partito ed una netta propensione per la ripresa della formula del “parlamentarismo rivoluzionario”. Ciò spiega l’inserimento nel paragrafo 17 dell’inciso (assente nella versione originaria): “Quale che possa essere la tattica del partito di partecipazione alla sola campagna elettorale con propaganda orale e scritta; di presentazione di candidature, di intervento nell’assemblea...” – inciso che, letto a distanza di 23 anni, stona non solo con l’esplicita riaffermazione dell’astensionismo su basi marxiste negli anni successivi al 1951, ma con la stessa impostazione di fondo della Piattaforma e delle sue Tesi illustrative (1), in cui ricorre insistente la proclamazione che “il fascismo è il moderno contenuto del regime borghese” e che gli istituti democratici hanno ormai perduto e non potranno mai più riassumere una specifica funzione che non sia quella di nascondere agli occhi dei proletari la definitiva e per noi illacrimata liquidazione anche dell’ultimo brandello di “dialettica interna” e di relativa indipendenza degli organi legislativi nel modus operandi dell’amministrazione della “cosa pubblica”. Per noi oggi quell’inciso deve quindi essere considerato nullo e inesistente» (alle pp. IX-X-XI del volumetto citato). Nella premessa allo scritto successivo, intitolato Le prospettive del dopoguerra in relazione alla Piattaforma politica del Partito (“Prometeo” n. 3, ottobre 1946), si sottolinea la continuità di questo scritto (redatto verso la fine del 1945) con la Piattaforma, che ha «lo scopo di dare la valutazione degli ulteriori eventi e di stabilire le linee dell’azione del partito nei vari probabili sviluppi che le situazioni degli anni avvenire potranno presentare. Dopo la piattaforma di guerra, è una direttiva per l’azione nel periodo di “pace” borghese. Carattere del tutto centrale e distintivo del nostro indirizzo , contrapposto in una lotta di decenni a quelli di tutti gli opportunisti e disertori della lotta di classe, è quello di stabilire in linee chiarissime le direttive di azione del partito dinanzi alle prevedibili svolte più impressionanti della vita storica del mondo capitalistico che noi combattiamo. Deve essere totalmente escluso per il partito, e, se questo è all’altezza del suo compito, anche per la classe che esso impersona, che allo scoppio di eventi anche grandissimi e di cataclismi storici, centri dirigenti e gruppi organizzati abbiano a scoprire che il travolgere degli eventi indichi la scelta di vie e l’accettazione di parole di azione in contrasto con quelle del movimento saldamente stabilite e seguite. Tale è la condizione perché un movimento rivoluzionario possa non solo risorgere ma evitare di sommergersi nelle crisi come quelle del socialnazionalismo del 1914 e del nazionalcomunismo imposto da Mosca nella fase storica della seconda guerra».

Oggi, di fronte ad una situazione internazionale in cui i fattori di crisi generale aumentano e si incamminano sempre più verso il cataclisma storico di una terza guerra mondiale, possiamo riprendere la validità di queste parole incentrate nella direttiva per l’azione del partito nel lungo periodo di “pace” borghese, pace che sappiamo non essere se non una tregua tra una guerra generale e la successiva guerra generale e che non esclude azioni di guerra in cui le diverse potenze imperialistiche si confrontano non direttamente e su tutti i fronti, ma indirettamente nelle diverse “zone di tempesta”.

 

Facciamo un passo indietro.

Il Partito comunista internazionalista è stato fondato nell’inverno 1942/1943 a Milano, richiamandosi al programma del PCd’I del 1921, al suo Statuto, alle Tesi di Roma del 1922 e alle Tesi di Lione della Sinistra del 1926, basandosi sulla critica della degenerazione dell’Internazionale Comunista e della teoria della “costruzione del socialismo in un solo paese”, sulla lotta contro entrambi i fronti bellici, sulla lotta contro il fascismo e l’antifascismo “democratico”, rompendo nettamente con la democrazia, il riformismo, il centrismo e il collaborazionismo coi partiti e col potere della borghesia, rivendicando la presa violenta del potere, l’esercizio della dittatura proletaria da parte del partito di classe e sostenendo che la vittoria rivoluzionaria potrà essere ottenuta solo alla scala internazionale. In un documento del marzo 1945 (Che cos’è e che cosa vuole il Partito Comunista Internazionalista, scritto con ogni probabilità da Damen e Maffi che facevano parte del Comitato Centrale) si difende la lotta della Sinistra comunista “italiana” in un percorso considerato continuo tra gli anni della formazione della corrente che porterà alla costituzione del PCd’I a Livorno nel gennaio 1921, gli anni della direzione del PCd’I da parte della Sinistra, gli anni della lotta della Sinistra – dopo la sua sostituzione da parte dell’I.C. nella direzione del PCd’I – contro le sbandate dell’I.C. su punti fondamentali del programma comunista che essa aveva fissato nel 1919-1920, e contro la degenerazione che porterà alla rottura del 1926, gli anni della difesa degli stessi principi da parte dei compagni della Sinistra esiliati in altri Stati e organizzatisi nella Frazione del PCd’I all’estero (1927-28), fino alla seconda guerra imperialista mondiale quando ci fu la rottura anche formale tra questi compagni e i partiti centristi di cui facevano ancora formalmente parte per costituirsi in un partito indipendente che chiamarono “partito comunista internazionalista”: internazionalista per differenziarsi nettamente dai partiti stalinisti votati al nazionalcomunismo. In questo documento vi è la rivendicazione che anche la Frazione di sinistra del PCd’I all’estero è parte integrante della rivendicata continuità ideologica e organizzativa della corrente di Sinistra comunista. Una continuità ideologica e organizzativa che, in realtà, non andava rivendicata perché, come si rileva dagli stessi documenti del PCInt.sta dell’epoca, come quello sopra citato ed altri, le posizioni espresse erano basate su di una valutazione sbagliata della situazione prodotta dalla guerra.

Era comunque sentita la necessità di fare un bilancio generale della controrivoluzione staliniana, oltre che della rivoluzione bolscevica, e sarà Amadeo Bordiga che porrà, fin dai primi incontri coi vecchi compagni della Sinistra del sud Italia, e poi con quelli del nord, la necessità prioritaria della restaurazione della dottrina marxista alla quale dedicherà la maggior parte delle sue forze, ponendosi non come “capo” del PCInt.sta – come volevano i vecchi compagni del ’21 – ma come un compagno (perdipiù non iscritto a questo e a nessun’altro partito) che avrebbe collaborato strettamente con loro su questo terreno. Amadeo si rendeva conto che le uniche forze su cui si sarebbe potuto ricostituire il movimento comunista rivoluzionario erano i compagni della Sinistra del ’21 che avevano resistito a tutte le sbandate più gravi dell’I.C. e del PCd’I e che avevano ancora la ferma volontà di non abbandonare la lotta per la rivoluzione proletaria secondo le prospettive che erano state fissate dalla corrente di Sinistra, prima, all’interno del PSI e, poi, nella costituzione del PCd’I in perfetto accordo con l’I.C., e ribadite con forza nelle Tesi di Roma e di Lione. Ma dal 1926 in avanti la vittoria dello stalinismo non significò soltanto vittoria del centrismo sulle forze rivoluzionarie sane, significò anche la distruzione attraverso una puntuale e capillare falsificazione della dottrina marxista da tutti i punti di vista, quindi non solo dal punto di vista tattico o organizzativo. Si trattava, perciò, di rifare quel che fece Lenin ai primi del Novecento rispetto alla restaurazione del marxismo contro non solo il riformismo classico bernsteiniano e la socialdemocrazia kautskiana, ma anche contro una terza ondata opportunistica (che per semplificare chiamiamo staliniana) che inglobò nella sua ideologia e nella sua pratica la lotta armata del proletariato che servì a giustificare la partecipazione dei proletariati e dello Stato russo, falsamente chiamato “socialista”, alla guerra imperialista mondiale nel blocco delle potenze “democratiche” opposte alle potenze “fasciste”. Un lavoro di restaurazione del marxismo, ma in una situazione storica completamente sfavorevole alla lotta indipendente della classe proletaria e, tanto più, alla lotta rivoluzionaria, a differenza della situazione in cui Lenin svolse la sua opera di restaurazione  nel primo quindicennio del Novecento.

Ecco perché non era sufficiente, nella situazione del mondo capitalistico dopo la seconda guerra mondiale, che la ricostituzione del partito di classe si basasse sul vecchio programma del PCd’I del 1921 – che teneva conto di una situazione che la rivoluzione vittoriosa dell’Ottobre ’17, la fondazione dell’I.C. e le straordinarie potenzialità rivoluzionarie mondiali che la situazione creata dalla prima guerra imperialista mondiale aveva fatto emergere con prepotenza –, come non si poteva dare per scontato, data l’influenza imperante dello stalinismo sulle grandi masse proletarie del mondo e l’assenza a livello mondiale di gruppi di comunisti saldamente ancorati alla dottrina marxista, e ad essa conseguenti (nemmeno il movimento che si rifaceva a Trotsky fu all’altezza di questo compito), che il marxismo poteva essere restaurato semplicemente rivendicandone i principi: bisognava riprendere in mano l’abc della dottrina marxista, riconquistare il grande patrimonio rivoluzionario del marxismo con un lungo lavoro di studio e, contemporaneamente, mettere mano al bilancio di tutto quel che era successo nella fase storica che dal glorioso Ottobre 1917 aveva portato all’abisso della controrivoluzione.

Dopo un’attività mantenuta grazie ai collegamenti clandestini nella parte del Nord Italia, e ai collegamenti tra vecchi compagni del 1921 nel Sud che approfittavano della “liberazione” del suo territorio grazie all’avanzata delle truppe anglo-americane dopo lo sbarco in Sicilia, si stabilirono contatti diretti con Bordiga, sia durante la sua permanenza a Roma (1944), sia al suo rientro a Napoli (1945). Dalle riunioni tra i rappresentanti del Partito Comunista Internazionalista (Maffi, Damen) e membri della Frazione di Sinistra dei Comunisti e Socialisti italiani (formata da Otello Terzani a Roma nella seconda metà del 1944), riunioni alle quali partecipava anche Amadeo, emergeva con forza l’esigenza della restaurazione della dottrina marxista; nello stesso tempo, Amadeo non poteva non tener conto del fatto che il “partito” era stato comunque fondato proprio dal gruppo di compagni con il quale era potenzialmente possibile avviare un lavoro collettivo sia sul piano della restaurazione dottrinaria sia sul piano dell’organizzazione dei comunisti marxisti in partito. Questo lavoro non poteva essere svolto se non come un lavoro “a carattere di partito” perché la finalità era duplice: restaurare il marxismo autentico e ricostituire il partito di classe, cioè riconquistare il partito storico sulla base del quale costituire il partito formale. Questo lavoro si dimostrerà non solo arduo e pieno di ostacoli ideologici e pratici, ma anche bisognoso di tempi lunghi. Il fatto che il partito formale avesse anticipato il lavoro di restaurazione del partito storico dimostrerà nell’arco di sei-sette anni (fino al 1951-1952) una debolezza di fondo che porterà i fautori della frettolosa organizzazione del partito a ricadere nel pantano dell’attivismo e dell’immediatismo, dunque fuori dal solco del marxismo.

Nel dicembre 1945, come risultato di diverse riunioni fra di loro, le organizzazioni del nord e del sud Italia (il PCInt.sta e la Frazione di sinistra dei comunisti e socialisti italiani) si fondono decidendo lo scioglimento di questa Frazione e mantenendo come organizzazione nazionale il nome di Partito Comunista Internazionalista, i cui unici organi saranno il giornale “battaglia comunista” (dal 27 giugno 1945) e la rivista “Prometeo” (dal luglio 1946). Il PCInt.sta decide di basarsi d’ora in poi sulla Piattaforma politica che questa organizzazione chiese ad Amadeo di scrivere e con la quale si tentava di superare le distorsioni più vistose che il movimento aveva espresso dalla sua costituzione formale nel 1943. Come detto sopra, il lavoro di omogeneizzare le diverse forze che si erano raggruppate nel PCInt.sta sarà lungo e tormentato; riemergeranno le tendenze democratoidi sia a livello organizzativo sia a livello tattico-politico, e si irrobustiranno le tendenze attiviste generate dalla sbagliata valutazione della situazione del secondo dopoguerra come fosse una ripetizione della situazione (quella sì favorevole alla lotta rivoluzionaria) creatasi nel primo dopoguerra e per la quale i compagni di queste tendenze spingeranno perché l’attività del partito prendesse decisamente l’aspetto di un’attività pratica a tutto campo volta a influenzare politicamente le grandi masse proletarie considerate oggettivamente pronte alla lotta rivoluzionaria. Non mancarono certo le discussioni sulla teoria che le diverse valutazioni della situazione mondiale generavano, aumentando di fatto una tensione interna che si svilupperà soprattutto nel biennio 1951-1952.

 

Le grandi questioni riguardavano:

1) la valutazione dell’economia in Russia [sulla definizione dell’economia capitalistica che si era instaurata in Russia: capitalismo di Stato (Damen), o industrialismo di Stato (Bordiga)]; su questo tema si è svolta una serrata polemica tra Damen e Bordiga, che Damen rese nota pubblicando in un numero speciale di “Prometeo”, dopo la scissione dell’ottobre 1952 le cinque lettere che i due si scambiarono nel 1951. In sostanza, la polemica sulla valutazione dell’economia russa vedeva, da un lato, la posizione di Bordiga che sosteneva che in Russia – quando la rivoluzione proletaria e comunista in Europa si stava allontanando sempre più e il potere comunista in Russia, in campo economico, doveva necessariamente tornare a rivitalizzare l’economia privata in agricoltura e, in parte, nell’industria attraverso il mercato –, l’economia tendeva al capitalismo (e non più al socialismo) e che la statizzazione di aziende industriali e bancarie corrispondeva al dirigismo di Stato, all’industrialismo di Stato. Damen, al contrario, parlava di economia di Stato, di “accentramento più assoluto dell’economia nell’ambito dello Stato” come se lo Stato fosse il protagonista dei fatti economici. Bordiga sottolineerà che lo Stato – cioè il potere politico – è un derivato dei fatti economici, non il protagonista. Come dire: nasce prima il modo di produzione capitalistico all’interno della società feudale retta e difesa dallo Stato dell’aristocrazia feudale e solo ad un certo grado dello sviluppo del modo di produzione capitalistico la classe che lo rappresenta – la classe borghese – si pone sul terreno rivoluzionario per abbattere lo Stato dell’aristocrazia feudale e sostituirlo con lo Stato borghese, ossia con un potere politico che spazza via tutti gli impedimenti politici e sociali allo sviluppo del capitalismo già in atto. La politica, ribadisce Bordiga, sorge dall’economia, non il contrario. Quanto alla formula del “capitalismo di Stato”, usata da Lenin per ribadire l’intervento dello Stato (ossia una delle “forme della produzione”, in questo caso controllata dal partito politico rivoluzionario del proletariato che rappresenta la classe del proletariato, ossia una delle forze di produzione nel processo rivoluzionario dell’economia arretrata della Russia) al fine di sviluppare capitalismo in tutti gli ambiti economici arretrati (economia naturale, parcellare – soprattutto in agricoltura – e piccolo commercio) e rendere lo sviluppo economico russo più controllabile dal potere politico proletario e più maturo per la sua successiva trasformazione da capitalismo a socialismo nel quadro della rivoluzione internazionale vittoriosa. D’altra parte, la formula marxista del “capitalismo di Stato” non è l’assoggettamento del capitale allo Stato, ma un ulteriore assoggettamento dello Stato al capitale. Deduzione: «il capitalismo di Stato non è un semi-socialismo, ma un capitalismo vero e proprio; anzi è lo sbocco del capitalismo secondo la teoria marxista della concentrazione, ed è la condanna della teoria liberista di un permanente regime di produzione in cui il gioco mirabile della concorrenza metta sempre di bel nuovo una fetta di capitale alla portata di tutti. A discriminare tra capitalismo e socialismo non basta la titolarità (vedi “Proprietà e Capitale”) del possesso dello strumento produttivo, ma occorre considerare il fenomeno economico integrale, ossia chi dispone del prodotto e chi lo consuma» (lettera di Bordiga a Damen, 31.7.1951). Come conciliare l’assoggettamento dello Stato al capitale (appunto, nel “capitalismo di Stato”) con lo Stato proletario instaurato con la vittoria rivoluzionaria e del quale il potere politico comunista vuole spezzare l’assoggettamento al capitale? Lo Stato proletario – che è tale solo se diretto dal partito comunista rivoluzionario – ha il compito di intervenire nei rapporti economici e sociali con misure che tendono a frantumare la forza del capitale sui rapporti di produzione e sociali per avviare la trasformazione dell’economia dal capitalismo al socialismo. Il quadro dell’intervento non è mai solo nazionale, ma internazionale, ed è appunto dalla forza del movimento rivoluzionario internazionale che dipendono il volume delle misure anticapitalistiche e la velocità di trasformazione attuata nel paese, o nei pasi, in cui la rivoluzione comunista ha vinto, e la loro tenuta nel tempo rispetto al progredire della rivoluzione a livello internazionale. Il passaggio dal capitalismo al socialismo (per Marx ed Engels, “socialismo inferiore”), detto in sintesi, è il salto dalla forma monetaria (il mezzo mercantile) che regola il passaggio dalla produzione al consumo, alla tessera a tutti, al famoso “buono” – che corrisponde ad una quantità fissa di prodotti che servono alla vita di ogni lavoratore – non accumulabile né mutabile di destinazione, quindi l’assenza dell’impiego di denaro e del mercato. Il periodo storico che corrisponde a questo passaggio è quello della dittatura proletaria esercitata dal partito di classe internazionale, periodo storico non breve e nel quale la guerra di classe tra la borghesia internazionale e il proletariato internazionale decide le sorti della vittoria rivoluzionaria nel paese, o nei paesi, in cui la rivoluzione proletaria è giunta ad instaurare la dittatura di classe; periodo storico nel quale vi sono delle avanzate e dei ripiegamenti, dei successi e delle sconfitte, e in cui le misure anticapitalistiche prese in campo economico possono subire dei rallentamenti o, addirittura, dei ripiegamenti. Ciò non toglie che la prospettiva generale della rivoluzione proletaria e i compiti che il partito di classe ha assunto direttamente e quelli che ha affidato allo Stato proletario, rimangano organicamente in essere nello sforzo di attuarli con la maggiore efficacia ed ampiezza possibile. Il partito, nel suo vasto e profondo lavoro di restaurazione del marxismo e di bilancio dinamico della rivoluzione e della controrivoluzione, ha dimostrato che nella Russia rivoluzionaria, in assenza della vittoria rivoluzionaria in Europa occidentale, il partito di Lenin, per mantenere il potere politico nelle mani della classe proletaria, ha dovuto ripiegare su misure mercantili anche laddove alcune misure erano già state varate nella direzione del socialismo (i lavoratori avevano il tram gratis a Leningrado e Mosca, avevano molte cose in natura tra cui il pane, la moneta non valeva nulla ecc.). La situazione si presentava così: in attesa della rivoluzione mondiale, la Russia rivoluzionaria vara la NEP (Nuova Politica Economica), legalizza il mercato; il contadino – una volta consegnata una quota di imposta allo Stato – può portare al mercato il surplus dei suoi prodotti, e la stessa cosa avviene per i prodotti industriali, e si torna a pagare in denaro gli operai di fabbrica, ma non ci sono borghesi padroni delle fabbriche e nemmeno azioni di esse alla borsa di Londra, il commercio estero è esclusivamente controllato dallo Stato, e così la banca, i trasporti ecc. E’ sempre capitalismo, afferma Bordiga, ma “di Stato”, nel senso che lo Stato proletario mantiene il controllo politico dell’economia russa sebbene non la possa trasformare in economia che tenda al socialismo, con tutte le conseguenze potenzialmente negative e controrivoluzionarie che questo ripiegamento contiene, ma di cui i bolscevichi erano pienamente coscienti; non si poteva certo sostituire la mancata rivoluzione proletaria nei paesi capitalisti avanzati – e quindi il mancato aiuto indispensabile dal punto di vista economico di economie avanzate – con la sola gestione politica dello strumento Stato. Gli eventi successivi, legati soprattutto all’opera devastante dell’opportunismo socialdemocratico e centrista, o massimalista che dir si voglia, che ostacoleranno e devieranno il movimento proletario dal terreno della lotta classista e rivoluzionaria al terreno nazionalborghese, impediranno al potere bolscevico di resistere, come orgogliosamente sostenuto da Lenin (i famosi vent’anni di buoni rapporti coi contadini richiamati nello Schema dell’opuscolo “Sull’imposta in natura”, 1921) e da Trotsky (la resistenza del potere proletario e comunista anche per cinquant’anni, sbattuti in faccia a Stalin nel 1926) nell’ambito di uno sforzo prolungato del movimento comunista internazionale nel ridestare le masse proletarie sul terreno della lotta di classe e rivoluzionaria rispetto alle occasioni che lo stesso sviluppo delle crisi capitalistiche e borghesi avrebbe riproposto (come nel caso della Cina 1925-27), per cedere poi definitivamente alla controrivoluzione.

La “questione russa” divenne, di fatto, la questione generale del programma politico del partito di classe. Tutte le questioni su cui emersero le divergenze fra la tendenza Damen e il gruppo di compagni che sostennero le posizioni espresse da Bordiga, presero l’avvio dall’errata concezione del capitalismo nella fase imperialista del suo sviluppo. Non per caso, nella polemica diretta con Damen, Bordiga ricorderà che «classe e Stato sono cose e nozioni diverse e non possono passarsi la stecca. Anche prima vi era lo Stato e anche dopo vi è la classe»; rimettendo nella giusta serie l’ordine storico, «una volta vi era già del capitale, ma non ancora il resto. Questo capitale cominciò a concentrare forze di produzione (materia, uomini, macchine) e vi fu il capitalismo, ma lo Stato non era ancora borghese. Poi vi fu la classe borghese, unione di tutti quelli che nel nuovo sistema produttivo capitalistico erano in alto, nello Stato in basso. Questa classe prese il potere perché il capitalismo aveva bisogno per il suo sviluppo di forme ben diverse da quelle antiche. Si ebbe il nuovo Stato, la nuova burocrazia e via. Marx ,a prendere o lasciare, indica questo “post-capitalismo”(altra fessa parola di moda): il proletariato prende il potere e attua il socialismo. A ciò si oppone lo Stato borghese, e la classe borghese» (lettera di Bordiga del 9.7.1951). Ma per classe che cosa si deve intendere? «Un insieme di persone? Detto male. E’ invece una “rete di interessi” (...) Quando le classi erano ancora caste e poi ordini coincidevano con gruppi fissi di persone (di famiglie). Dalla rivoluzione borghese, a dispetto del cardinale diritto ereditario, non è più così. Un pari di Francia non era nessuno oltre Manica. Un capitalista lo è ovunque» (ibidem).

La “questione russa”, in realtà, per i comunisti rivoluzionari è questione internazionale; non per niente Bordiga si batté finché gli fu permesso anche contro Stalin perché la questione “russa” fosse affrontata dall’Internazionale, quindi da tutti i partiti membri e non soltanto dal partito russo all’interno dei suoi congressi “nazionali”. E’ un dato oggettivo e storico che la rivoluzione possa cominciare dovunque, come nel 1917. Ma la domanda centrale è: «fu un atto di volontà o un prodotto della storia? Quali le circostanze? Regime feudale, disfatta militare, rottura fra Stato e classe borghese ecc., ben noto. E allora dicemmo: “la rivoluzione mondiale può cominciare dovunque” (...) la questione va quindi vista internazionalmente. Come nell’economia è internazionale quella “rete di interessi” che è il regime borghese, così in politica è internazionale la questione del potere» (ibidem).

Nel riassunto della loro piattaforma politica pubblicato da “b.c.” in ultima pagina del suo giornale, sia nel precedente IBPR, sia nella successiva TCI (“Unisciti a noi! Sostieni Battaglia Comunista!”), nello spiegare perché si chiamano internazionalisti, sottolineano il fatto di essere «visceralmente avversari dello stalinismo, in tutte le sue varianti, troppo a lungo scambiato per comunismo», sostengono quanto segue: «quando la proprietà delle industrie, delle catene di distribuzione, delle terre ecc. da privata diventa statale, lasciando, nella sostanza, intatti i rapporti tipici del capitalismo e i suoi elementi costitutivi (merce, denaro, salario, profitto, confini ecc.), non si realizza il comunismo ma una forma particolare di capitalismo: il capitalismo di Stato». Da questa posizione traggono questa conclusione: «Furono l’accerchiamento economico dell’Unione Sovietica da parte del mondo capitalista e la mancata rivoluzione in Occidente a determinare, dopo il 1917, la trasformazione della rivoluzione nel suo contrario, in quel blocco imperialista che sarebbe crollato solo settant’anni dopo».

E’ una forzatura dire che il capitalismo di Stato corrisponde al cambio di proprietà da privata a statale delle industrie ecc., poiché di per sé lo Stato, se diventa titolare della proprietà delle industrie, della distribuzione, della terra ecc., non per questo automaticamente eleva lo sviluppo economico capitalistico del paese in cui è intervenuto in questo modo. Come dice Bordiga, il capitalismo di Stato non significa che lo Stato assoggetti il capitale (come la descrizione di questa posizione lascia trasparire), ma è il contrario, è il capitale che assoggetta lo Stato. Dirà di più, nei tempi più antichi, nell’industria delle imbarcazioni, lo Stato svolgeva la stessa funzione pur non essendo il rappresentante della rete di interessi borghesi. Quanto alla trasformazione della rivoluzione d’Ottobre 1917 “nel suo contrario”, dati l’accerchiamento economico dell’URSS e la mancata rivoluzione in Occidente, anche qui c’è una bella confusione! Delle due l’una, o la rivoluzione d’Ottobre è stata una rivoluzione socialista – soltanto dal punto di vista politico – e perciò la sua vittoria ha permesso l’instaurazione del potere politico che va sotto la denominazione di dittatura del proletariato esercitata unicamente dal partito comunista (vedi Lenin, Trotsky, Bordiga), e i suoi compiti economici consistevano soprattutto nello sviluppare in Russia, necessariamente, per nove decimi economia capitalistica controllata politicamente dallo Stato proletario – quindi dal partito comunista –, mentre per un decimo l’intervento politico dello Stato operaio nell’economia tendeva verso il socialismo (trasporti gratuiti, salario non in denaro, unica banca nazionale controllata dallo Stato operaio, controllo dittatoriale del commercio estero, divieto di qualsiasi organizzazione politica, economica, sociale borghese ecc.); oppure la rivoluzione d’Ottobre non era socialista, ma borghese, fatta dal proletariato, ma al solo scopo di portare la classe borghese al potere per diffondere e sviluppare l’economia capitalistica che lo zarismo vincolava in forme precapitalistiche e che con la partecipazione alla guerra imperialista mondiale avrebbe reso la Russia ancor più dipendente dal capitalismo occidentale impedendo un prorompente sviluppo del capitalismo nazionale russo. Se c’è stata una trasformazione, questa ha riguardato non la rivoluzione d’Ottobre, ma il partito bolscevico, ossia la forza politica che dirigeva la dittatura proletaria in un ambiente economico e sociale in parte ancora precapitalistico e a capitalismo arretratissimo. I fattori materiali e politici sfavorevoli alla rivoluzione comunista nell’Occidente capitalistico avanzato hanno pesato sulla tenuta politica e sulla durata del potere comunista in una Russia troppo arretrata economicamente e attaccata da ogni parte dalle forze delle borghesie imperialiste affiancate dall’opera incessante delle forze opportuniste socialdemocratiche e massimaliste, e ciò ha dapprima incrinato, poi indebolito e, infine, fatto degenerare il potere politico rappresentato dal partito bolscevico, intaccando, inevitabilmente, anche la guida della rivoluzione mondiale che avrebbe dovuto essere assicurata dall’Internazionale Comunista, come dalle tesi dei suoi primi due congressi. La rivoluzione d’Ottobre è stata una rivoluzione innanzitutto politica – come d’altra parte qualsiasi rivoluzione proletaria che avesse vinto, e che vincerà, in paesi a capitalismo avanzato – ed ha sostenuto e vinto militarmente una guerra civile scatenata dalle forze reazionarie russe interne e dalle forze imperialiste esterne, ma in assenza dell’apporto indispensabile della rivoluzione proletaria nell’Europa occidentale vittoriosa, almeno in uno dei grandi paesi capitalisti (ad esempio la Germania, nella quale il proletariato aveva dimostrato dal 1915, in piena guerra imperialista, fino al 1923, la sua generosa spinta rivoluzionaria, ma privo di un partito comunista all’altezza dei compiti rivoluzionari come lo fu il partito bolscevico per la Russia), da quando nell’Internazionale Comunista iniziarono e continuarono i cedimenti politici – dal fronte unico politico al governo operaio e contadino ecc. – il suo destino era in un certo senso segnato: l’unica “trasformazione” che avrebbe potuto avere era di non rimanere il primo e unico bastione della rivoluzione internazionale confinato in Russia, diffondendosi nell’Europa occidentale, e perciò nel mondo. La rivoluzione d’Ottobre è stata, alla fine, vinta dalla combinazione di diversi fattori controrivoluzionari tra i quali quelli decisivi sono stati proprio i fattori politici legati all’immaturità del movimento comunista nell’Occidente capitalistico e all’ancora forte presa dell’opportunismo sui partiti proletari dell’epoca; fattori politici ai quali si sono imposti i fattori economici specifici della Russia arretrata con cui necessariamente il potere proletario bolscevico dovette fare i conti senza poter contare sull’apporto economico delle economie sviluppate dell’Occidente una volta controllate dal potere proletario e comunista vittorioso in Occidente. Il movimento proletario e comunista che vinse nella rivoluzione d’Ottobre, attaccato dal cancro dell’opportunismo internazionale socialdemocratico e massimalista, consumava irrimediabilmente gli anticorpi che aveva prodotto nella lunga e combattuta vita del partito bolscevico di Lenin e, in assenza di una dose massiccia di anticorpi che avrebbe dovuto fornire il movimento comunista dell’Occidente, nel partito bolscevico di Lenin si diffuse lo stesso tumore, a tal punto da aprirlo ad una degenerazione devastante contro la quale soltanto pochissime forze politiche interne tentarono di opporsi (a cominciare da Trotsky), ma furono travolte anch’esse, e pochissime forze politiche comuniste occidentali, tra le quali l’unica che mostrò, in tutto il corso storico dalla prima guerra imperialista mondiale alla rivoluzione d’Ottobre e al periodo successivo caratterizzato dall’esistenza e dall’azione dell’Internazionale Comunista, una coerenza e una intransigenza dottrinaria paragonabile a quelle di Lenin fu la Sinistra comunista d’Italia; ma il peso politico che, all’interno dell’I.C., aveva allora la Sinistra comunista d’Italia non era paragonabile non solo a quello del partito bolscevico di Lenin, ma nemmeno a quello dei partiti comunisti di due paesi imperialisti europei decisivi, Germania e Francia, la cui debolezza teorica congenita sarà una delle cause del mancato supporto teorico-politico all’I.C. e allo stesso partito bolscevico. La rivoluzione d’Ottobre, cioè la rivoluzione socialista iniziata in Russia, è stata così sepolta e infine cancellata, e con lei la rivoluzione proletaria a livello internazionale. La rivoluzione proletaria e socialista non può trasformarsi in controrivoluzione; perché la controrivoluzione vinca questa deve uccidere la rivoluzione, quindi la sua guida, il suo partito, e sostituirsi ad essa. Non la uccise nei tre anni della guerra civile, dal 1918 al 1921, la uccise avvelenando il suo partito politico iniettando in esso una serie continua di politiche, concetti, indicazioni opportuniste e degeneranti stravolgendo progressivamente l’impianto teorico e politico fondamentale che ne aveva caratterizzato la vita e che gli aveva permesso di dirigere, e vincere, la prima rivoluzione comunista al mondo. A salvare il partito bolscevico e l’Internazionale Comunista da quella degenerazione non bastarono le battaglie di classe portate avanti con grande decisione dalla Sinistra comunista d’Italia, sia prima della fondazione del Partito comunista d’Italia, sia durante la sua direzione, sia dopo che fu sostituita da una direzione più prona alle decisioni di un’I.C. che stava già cedendo politicamente a tattiche opportuniste e fino alla completa abiura di tutte le tesi fondamentali marxiste che avevano fatto da solida base alla costituzione dell’I.C. stessa. La teoria della “costruzione del socialismo in un solo paese” coronava la completa degenerazione del partito bolscevico e dell’I.C. e la loro uccisione, e non bastò a salvarli dalla completa degenerazione nemmeno la magnifica, ma tardiva, difesa del marxismo contro Stalin e Bucharin e la loro teoria del socialismo in un solo paese, nel 1926, da parte di Trotsky, di Zinoviev, di Kamenev; essi avevano troppe corresponsabilità nelle precedenti tattiche opportuniste imposte all’Internazionale e ai partiti membri per risultare politicamente credibili e per farsi forti di una coerenza nel tempo e nelle più diverse situazioni che non potevano rivendicare. Nonostante la disfatta del movimento comunista internazionale, i compagni della Sinistra comunista d’Italia, pur subendo la dispersione, l’esilio e la disorganizzazione dovuta all’azione combinata del fascismo e dello stalinismo, riuscirono comunque a resistere allo tsunami stalinista e a tenere alto l’onore della Sinistra comunista d’Italia, difendendo le tesi e le battaglie di classe che l’avevano caratterizzata negli anni Venti, ma la devastazione non solo fisica e organizzativa, ma anche politica e teorica, provocata dalla controrivoluzione staliniana aveva determinato oggettivamente una generale contaminazione opportunista e deviante anche sul piano teorico, rendendo necessario sia lo svolgimento completo del corso controrivoluzionario, sia la necessaria restaurazione della teoria marxista, unica base vitale della ricostituzione anche del programma e del partito comunista rivoluzionario che quel programma doveva esprimere.

Ecco dunque la grande importanza delle discussioni che avvennero, finita la guerra imperialista e “antifascista”, all’interno dei gruppi di compagni della Sinistra comunista che si riunirono per riprendere la militanza comunista come attività di partito. Ed ecco perché diamo importanza alle questioni che furono al centro dei dissensi e delle scissioni che avvennero nel partito dalla sua fondazione nel 1943 in poi.

 

(continua al prossimo numero)

 


 

(1) Le Tesi illustrative qui citate sono le prime due Tesi della Sinistra comunista, sempre pubblicate nella rivista “Prometeo” n. 1 e n. 2, intitolate: La Russia Sovietica dalla rivoluzione ad oggi, e La classe dominante italiana ed il suo Stato nazionale, scritte sempre da Amadeo Bordiga e ripubblicate insieme a tutte le successive Tesi della Sinistra nel volumetto n. 6, “Per l’organica sistemazione dei principi comunisti”.

 

(aggiornamento del 26 marzo 2024)

 

 

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