Il capitalismo si arma sempre di più.

Va combattuto con la guerra di classe!

(«il comunista»; N° 180 ; Dicembre 2023 - Febbraio 2024)

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Come sempre, l’industria degli armamenti fa affari d’oro sulla pelle delle migliaia di morti nelle guerre che gli Stati imperialisti non smettono mai di provocare.

Inutile dire che gli Stati Uniti d’America sono i primi grandi esportatori di armi, in particolare verso i paesi europei e verso Israele. Nel 2023 le esportazioni di equipaggiamenti militari americani, rispetto al 2022, sono cresciute del 16%, per un totale di 238,4 miliardi di dollari. Con lo sviluppo dell’imperialismo capitalistico le dotazioni militari sono diventate un punto centrale della politica estera di ogni Stato, sia negli acquisti che nelle vendite.

Le armi statunitensi privilegiano soprattutto Germania e Polonia. La Germania, sebbene conti su una delle industrie d’armi più forti al mondo - la Rheinmetall (che ha visto aumentare le proprie quotazioni in Borsa negli ultimi due anni 2022-23 del 244%) è una delle principali fabbriche di cannoni, carri armati e bombe - ha firmato contratti con gli USA per gli elicotteri CH-47F Chinook (8,5 mld di dollari) e per i missili aria-aria a medio raggio AIM-120C-8 (3 mld di dollari). La Polonia ha firmato un accordo con gli USA per 30 mld di dollari (elicotteri AH-64E Apache; sistema missilistico di artiglieria di alta mobilità a lungo raggio - che Kiev sta usando per colpire in territorio russo -; sistemi di comando integrati per la difesa aerea e missilistica; carri armati M1A1 Abrams). E poi ci sono la Repubblica Ceca (aerei F-35 e munizioni per 5,6 mld di dollari); la Bulgaria (velivoli Stryker per 1,5 mld di dollari); la Norvegia (elicotteri multi-missione MH-60R, per 1 mld di dollari) e così via per gli altri paesi europei membri della Nato.

Per quel che riguarda l’Ucraina, la Casa Bianca, dall’inizio della guerra russo-ucraina, ha già sostenuto militarmente Kiev con 44,2 mld di dollari e sta discutendo un nuovo pacchetto di 60 mld di dollari che prevede forniture militari non solo all’Ucraina, ma, in occasione della nuova guerra in Medio Oriente, anche ad Israele.

Nel quinquennio 2017-2021 gli USA rappresentavano il 38,6% delle esportazioni globali di armamenti e il loro mercato era costituito da 100 paesi; a cominciare dall’’Arabia Saudita, seguita poi da Kuwait, Qatar, Australia, Giappone, Corea del Sud, Paesi Bassi, Norvegia, Regno Unito ecc. Al secondo posto si è posizionata la Russia, col 18,6% della quota globale; con la guerra in Ucraina ha dovuto registrare un certo calo, anche per esigenze interne, ma i suoi mercati di sbocco più importanti rimangono India, Cina, Egitto e Algeria. Al terzo posto c’è la Francia col 10,7% di quota globale: i primi mercati di sbocco sono Kuwait e Qatar, e poi India ed Egitto. Segue poi la Cina - che ha superato di pochissimo la Germania - col 4,6% dell’export globale; il suo mercato principale è il Pakistan, seguito da Nigeria, Bangladesh, Myanmar, Tanzania, Gibuti. Viene poi la Germania, col 4,5% dell’export globale. I tedeschi esportano soprattutto sottomarini in Asia e Oceania, ma il primo cliente è l’Egitto. Anche per l’Italia, sesto esportatore mondiale di armi, il mercato principale è l’Egitto, seguito da Qatar, Turchia, Kuwait e Turkmenistan. Segue il Regno Unito, con il 2,9 % di quota globale, e anch’esso vende soprattutto in Medio Oriente, Arabia Saudita e Qatar e poi India. Col 2,8% della quota globale troviamo la Corea del Sud, i cui principali mercati di sbocco sono le Filippine e poi l’India, l’Indonesia, la Norvegia e la Nuova Zelanda. La Spagna occupa il nono posto nella graduatoria dell’export mondiale di armi, col 2,5% di quota e i suoi mercati principali sono Australia, Belgio e Stati Uniti. Israele chiude la top ten dei fabbricanti mondiali di massacri, col 2,4% di quota globale: i suoi mercati principali sono rappresentati dall’India e dagli Stati Uniti.

I primi cinque esportatori mondiali di armi coprono il 76% del mercato mondiale, avendo incassato una media annua di 85 mld di dollari negli ultimi 4 anni. Nello stesso periodo, i conflitti armati hanno causato la morte di decine di migliaia di civili, 90 milioni di sfollati nel mondo e hanno portato alla fame estrema 117 milioni di persone in 19 paesi.

Naturalmente non si può parlare di armamenti tenendo fuori le armi atomiche. Secondo le ultime stime della Federation of American Scientists (Fas, organizzazione non profit americana nata nel 1945), nel 2022 il totale di testate nucleari a disposizione degli eserciti sarebbero 9.440, di cui la metà circa sono negli arsenali russi (4.477); seguono gli Stati Uniti (3.708) e poi Europa, Francia (290) e Regno Unito (180); in Medio Oriente, svetta, per ora, soltanto Israele (90), ma si sa che l’Iran non è molto distante dall’obiettivo di disporre anch’esso di armi atomiche, mentre in Asia sono quattro le potenze atomiche: Cina (350), Pakistan (165), India (160) e Corea del Nord (20). Rispetto alla situazione che si presentava tra gli anni Sessanta e gli Ottanta del secolo scorso, non c’è paragone: la sola Urss di testate nucleari ne aveva più di 40mila e gli Stati Uniti oltre 31mila. L’avanzamento delle tecnologie militari riguardanti la fabbricazione, il trasporto, la messa a dimora delle armi nucleari, i sistemi di risposta missilistica automatica ecc. - giungendo a quelle che vennero chiamate “armi nucleari tattiche”, delle quali si poteva controllare, in una certa misura, l’effetto della devastazione causata - permetteva di avere a disposizione meno armi ma più utilizzabili ed efficaci, passando in questo modo - dopo gli effetti riscontrati nei bombardamenti di Hiroshima e Nagasaki - dalla loro funzione quasi esclusivamente di deterrenza alla funzione più pratica e tattica.

D’altra parte, la tecnologia militare ha raggiunto livelli di massacro potenziale anche in assenza di bombe atomiche: basti pensare alle bombe chimiche, a quelle al fosforo usate dagli americani in Iraq, alle bombe incendiarie o a quelle a grappolo usate da americani e britannici in Bosnia, Kosovo e Serbia (e anche nell’attuale guerra in Ucraina), ai proiettili all’uranio impoverito per i quali non solo i civili e i soldati “nemici” si sono ammalati e sono morti, ma anche i “nostri” inviati laggiù in “missione di pace”: infatti, l’ultima indagine dell’Osservatorio Militare (cfr. Uranio impoverito: colpa di stato, balcanicaucaso.org, 6.5.2019) riportava questi dati: militari morti 366, malati 7.500; nessun riconoscimento e risarcimento da parte dello Stato italiano se non per alcuni e dopo molti procedimenti giudiziari.

Le borghesie di ogni paese, e soprattutto le borghesie imperialiste, usano la propaganda dell’orrore per atterrire gli eserciti nemici e le popolazioni coinvolte nelle loro guerre, ed usano la propaganda del terrorismo nucleare al fine di piegare soprattutto i proletari del proprio paese e dei paesi “nemici” alle esigenze sempre più “vitali” del capitalismo patrio per le quali diventa sempre più “necessario” investire miliardi su miliardi per ammodernare le proprie forze armate, per rinforzarle e renderle sempre più efficienti non solo in tecniche militari ma anche nelle attrezzature e negli armamenti. La guerra guerreggiata non è più un’eccezione, è presente costantemente, fa parte della vita quotidiana delle popolazioni coinvolte direttamente e indirettamente, che lo vogliano o no. Il capitalismo è guerra: guerra di concorrenza, guerra dell’informazione, guerra economica, guerra finanziaria, guerra monetaria, guerra guerreggiata. Le contraddizioni del sistema economico e sociale capitalistico, nel suo sviluppo storico, sono destinate ad ingigantirsi, ad essere sempre meno prevedibili, ad accumularsi in quantità e in qualità, spezzando continuamente i temporanei equilibri con cui la politica borghese, in ogni paese, tenta di mettere al riparo il proprio “fortino” economico/sociale dalle conseguenze più disastrose di quelle contraddizioni, ma è come il cane che si morde la coda, gira continuamente intorno a se stesso senza trovare soluzione; soluzione che, in realtà, non può venire nemmeno dall’esterno perché anche quando appare una forza esterna che spezza questa girandola non porta una soluzione definitiva alle cause che hanno determinato quelle contraddizioni e le inevitabili conseguenze, ma porta ulteriori fattori di squilibrio, di crisi.

Una vera forza esterna al capitalismo, in grado di opporsi frontalmente alle conseguenze del suo modo di produzione, alle sue contraddizioni, alle sue guerre, in realtà non c’è: non esiste una forza sopranaturale, un dio o un potere alieno che compare improvvisamente dal più lontano universo. Le contraddizioni del capitalismo non sono create al di fuori del suo sistema economico e sociale, sono tutte interne al capitalismo. Perciò non possono essere risolte da forze esterne che non esistono: possono e devono essere risolte da forze reali, materiali, esistenti all’interno del capitalismo stesso, che non sono altro che le forze produttive che il capitalismo stesso ha creato e sviluppato in una società in cui due potenti classi sociali si fronteggiano: la classe borghese, ancor oggi dominante in tutto il mondo, e la classe del proletariato, dei lavoratori salariati, dallo sfruttamento economico e sociale dei quali la classe borghese trae il suo dominio. Un dominio che rimane incontrastato fino a quando - come è avvenuto nei secoli passati - le stesse contraddizioni della società presente, premendo con forza incontenibile sulle forme economiche, sociali e politiche che la borghesia tenta spasmodicamente di rafforzare dopo ogni crisi, incrineranno la struttura d’acciaio dentro la quale la borghesia tiene prigioniere le forze produttive del mondo intero.

Allora, come in una tremenda eruzione vulcanica, le forze vive della società, le forze produttive rappresentate dal proletariato, saranno spinte ad aprirsi un varco nella struttura d’acciaio borghese: più le contraddizioni sociali si saranno accumulate, e più la forza eruttiva del proletariato spezzerà potentemente ogni sbarramento con cui la classe borghese tenterà di ostacolare e fermare la marea rossa rivoluzionaria. Sì, rivoluzionaria, perché la stessa forza produttiva che la borghesia ha creato espropriandola di qualsiasi riserva, di qualsiasi proprietà, di qualsiasi diritto, di qualsiasi libertà, per poterla sfruttare come forza lavoro salariata fino alla morte, sarà la forza sociale che trasformerà la guerra di concorrenza, la guerra d’informazione, la guerra economica, la guerra finanziaria, la guerra monetaria, la guerra guerreggiata al solo scopo di opprimere nazioni e popoli, in guerra di classe, in una guerra che non avrà più lo scopo di far prevalere alcune potenze imperialistiche sul resto del mondo, non avrà più lo scopo di ridare vita - dopo aver distrutto mezzo mondo - al capitalismo perché ricominci un nuovo periodo di tormento per i miliardi di proletari che abitano il pianeta, ma quello di rivoluzionare da cima a fondo la società presente in modo che la necessità di vivere non sia più l’altra faccia dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma la libertà di vivere in una società positiva e armoniosa.

E allora non ci sarà nessuna bomba atomica che potrà fermare il movimento vulcanico del proletariato mondiale: nella guerra di classe si morirà, certamente, inevitabilmente, ma perché la specie umana goda pienamente della vita e non per condannarla a morire continuamente.

 


 

I dati sono ricavati da: Il Sole 24 Ore, 31.1.2024; https://www.repubblica.it/solidarieta/diritti-umani/ 2023/ 05/ 24/ news/guerre_85_ miliardi_di_ dollari_allanno_ nelle_ casse_di_ 5_  paesi_ esportatori_ di_ armi_ mentre_ 9mila_  persone_ al_giorno_muoiono_d-401572136/

 

 

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