INNSE: salvi i 49 posti di lavoro!

Solo con la lotta, la tenacia, la resistenza quotidiana alla pressione capitalistica e con la solidarietà nella lotta, gli operai possono ottenere un risultato!

(«il proletario»; N° 5; Supplemento a «il comunista» N. 113 - Settembre 2009)

 

 

PROLETARI,

 

Dal maggio 2008 ad oggi sono passati  15 mesi: in questo lungo periodo di latitanza del padrone della Innse, di molteplici promesse da provincia e regione, di pourparler dei sindacati ufficiali, di continui tentativi di spezzare la resistenza degli operai in lotta messi in mobilità e pronti ad essere sacrificati al dio profitto – alla pari di centinaia di migliaia di fratelli di classe in ogni paese del mondo! –  i 49 operai della Innse non hanno mai mollato, hanno continuato a lottare per non perdere il posto di lavoro!

Da maggio a settembre 2008 essi hanno continuato a lavorare all’interno della fabbrica, occupandola, nonostante il padrone li avesse messi in mobilità e fosse prossimo a licenziarli. A settembre la magistratura invia la polizia a sgomberare la fabbrica dagli occupanti: la proprietà privata, per i borghesi, è sacra!

Gli operai non se ne vanno e costruiscono un presidio permanente al di fuori dei cancelli, per impedire che il padrone smantelli i macchinari e svuoti completamente la fabbrica. In quei macchinari gli operai vedono la possibilità di continuare a lavorare e a prendere un salario per vivere: la vita, per gli operai, è sacra!

I mesi passano inesorabili, gli operai Innse continuano a presidiare e a vigilare affinché il padrone non faccia portar via i macchinari; ricevono solidarietà dagli operai delle fabbriche vicine, i sindacati continuano la loro misera opera di burocrati appesi alle decisioni – che non arriveranno mai a risolvere il problema del posto di lavoro alla Innse – delle istituzioni che hanno “promesso”… ma non mantengono. Arriva il 2 agosto, arrivano i reparti di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa (!!!), e disperdono il presidio operaio, facendo entrare in fabbrica operai specializzati a smontare i macchinari. Ma gli operai Innse non ci stanno, e 4 di loro con un sindacalista riescono a penetrare nella fabbrica, salgono su un carro ponte alto 10 metri e dichiarano di non scendere se non dopo aver avuto assicurazione che tutti e 49 posti di lavoro sono salvi e che la fabbrica ricomincerà a produrre; c’è chi minaccia di buttarsi giù se le forze dell’ordine tenteranno di farli scendere.

Come d’incanto si fanno avanti più imprese di Milano, di Torino, di Brescia, che si dicono interessate a comprare la Insse, il cui padrone in realtà aveva già venduto una parte dei macchinari e era indebitato fortemente con l’immobiliare proprietaria del terreno su cui è situata la fabbrica, terreno dal valore notevole vista la sua edificabilità e l’approssimarsi dell’Expo 2015.

Nel frattempo il capo della Cgil, Epifani, non ha altre idee se non quella di rivolgersi a Berlusconi per chiedergli di interessarsi della Innse: bella trovata davvero! Nei 15 mesi di lotta degli operai Innse non vi è stata praticamente alcuna azione sindacale, né forte né debole, di sostegno e solidarietà con gli operai Innse e con gli operai di tutte le altre fabbriche a rischio di chiusura, ma solo chiacchiere! Mentre i 49 della Innse continuavano con determinazione, pazienza e voglia di non mollare, a non farsi sacrificare per le speculazioni dei padroni, combattendo anche contro la demoralizzazione, la stanchezza, il timore di non vedere alcuna via d’uscita se non la miseria di una vita da disoccupati. L’orgoglio di lavoratori che solo con il loro lavoro e  la loro capacità professionale sanno manovrare giganteschi e complessi macchinari, li ha egualmente sostenuti nel resistere nel tempo e a sperare che qualche altro padrone, meno avido e incompetente, si facesse avanti per sfruttare la loro capacità professionale, la loro forza-lavoro.

 

PROLETARI,

 

Gli operai Insse non avevano alcuna velleità di trasformarsi essi stessi in gestori e imprenditori della Innse: essi cercavano un altro padrone, “serio”, ossia un padrone che valorizzasse la loro professionalità messa a frutto per decine d’anni e che poteva ancora essere sfruttata con vantaggio per il nuovo padrone. Gli operai Innse hanno lottato per non essere gettati sul lastrico e cadere nella miseria di una vita stentata; hanno lottato in realtà contando soprattutto sulle proprie forze, modestissime perché, rimasti in 49 dopo che un loro compagno nel luglio scorso è morto per lo stress provocato da una lotta estenuante e isolata, non rappresentavano una massa di cui avrebbero dovuto parlare tutti i media e con cui avrebbero dovuto fare i conti tutte le istituzioni oltre che il padrone. Essi hanno lottato non solo per un posto di lavoro, ma per quel posto di lavoro, perché la loro specializzazione era adatta per quelle lavorazioni e perché ordinazioni e commesse ce n’erano ancora.

Oggi possono dire di aver raggiunto un risultato positivo: il nuovo padrone, Camozzi, ha dichiarato, e firmato un accordo, di riassumerli tutti, a partire dal 1 settembre, e rimetterà in funzione la fabbrica, sfruttando a dovere la loro capacità professionale, il loro attaccamento al quella fabbrica, contando – ne siamo certi – sulla loro disponibilità ad accettare condizioni di lavoro magari più dure ma in cambio del posto di lavoro salvato!

E’ questa una vittoria, come stanno dicendo un po’ tutti?

Sì, è una vittoria, ma gli stessi operai Innse sanno che è molto condizionata e molto limitata.

Ha vinto la determinazione, la resistenza nel tempo, l’unità fra tutti i 49 operai, la loro reciproca solidarietà, l’orgoglio di lavoratori che non sono disposti a buttar via anni e anni di lavoro a causa delle speculazioni di un  avido e volgare imprenditorucolo da strapazzo. Ha vinto la lotta vera, che richiede sacrificio, fatica, rinunce ma che rigenera la forza di continuare perché nessuno si distacca, nessuno lancia la spugna, nessuno abbandona! Ha vinto la lotta alla quale hanno partecipato non solo gli operai della Innse, ma le loro famiglie sostenendoli, rincuorandoli, dando loro un motivo in più per continuare a lottare come soltanto i proletari sanno fare.

Ha perso la tattica sindacale che fa dipendere tutto dai pourparler con le istituzioni, dagli incontri tra prefetto, provincia, regione, associazioni di imprenditori, ma che non si assume mai la responsabilità di una lotta vera che mobiliti altre forze, altre fabbriche, altre categorie in sostegno di una lotta che oggi è della Innse, domani è della CIM, o della Siltal, o della Fiat e di cento altre fabbriche dove i padroni scaricano sugli operai tutto il peso della loro crisi economica.

Ha perso anche la tattica delle manovre provocatrici, che spesso vengono utilizzate senza o con  poliziotti in tenuta antisommossa proprio per far fare passi falsi, per avere pretesti più consistenti per spezzare l’unità operaia nella lotta.

Il limite sta però nell’obiettivo: quel posto di lavoro, obiettivo che nello stesso tempo ha anche svolto il ruolo di unificatore dando una forte motivazione alla stessa lotta. Da settembre in poi gli operai Innse verificheranno se le promesse del nuovo padrone saranno tutte mantenute, e se la “soluzione” del loro problema specifico di mantenere il posto di lavoro fino alla pensione non sia alla fine controproducente per le lotte avvenire magari degli altri operai del gruppo Camozzi, o di altri operai metalmeccanici che potrebbero chiedere la loro solidarietà.

Il vero risultato della lotta operaia è la solidarietà che la lotta vivifica e fortifica, ed è questo il risultato più prezioso perché servirà sempre, in ogni lotta e nel tempo, ed è quello che gli operai sperimentano praticamente, fisicamente in tutte le situazioni di difficoltà, di scontro col padrone e con le istituzioni. E’ più facile, in un certo senso, attirare solidarietà – magari solo temporanea – rispetto agli interventi violenti della polizia che non rispetto alle manovre, più o meno combinate o convergenti di sindacati collaborazionisti e istituzioni. Gli operai, infatti, devono imparare non soltanto a lottare insieme, a solidarizzare perché solo sulle loro forze possono veramente contare; devono imparare a difendersi dalle false solidarietà proposte da bottegai o preti che vedono in loro o dei clienti paganti o delle anime pronte a rassegnarsi alla condizione che “dio” ha riservato per loro; e devono imparare a difendersi dalle illusioni che il collaborazionismo sindacale e politico diffonde a piene mani, l’illusione di poter vincere soprattutto “negoziando” e cercando nuovi padroni, l’illusione di poter risolvere il problema del salario solo attraverso il posto di lavoro e, quindi, di accettare la disoccupazione o il licenziamento come una sconfitta personale, una sconfitta operaia, mentre il vero obiettivo dovrebbe essere il salario, che ci sia o meno il posto di lavoro!

 

PROLETARI,

 

Che la lotta degli operai Innse insegni agli altri operai che la cosa più importante è la solidarietà operaia nella lotta!

Che la lotta degli operai Innse insegni agli altri operai, come gli scioperi ad oltranza all’Atm o le lotte alla Fiat di Pomigliano o Melfi, che l’obiettivo del posto di lavoro è un obiettivo decisivo, all’immediato, ma che deve essere inteso come un primo obiettivo della lotta, mentre il vero obiettivo della lotta immediata operaia deve essere il salario, che i padroni privati o pubblico diano o meno un posto di lavoro!

La lotta degli operai Innse oggi costituisce un esempio, e viene e verrà seguito anche da altri operai in lotta. Ma non si può pensare di vincere sempre salendo su un carro ponte, su una gru o su un ponteggio. Nello scontro di classe – perché la lotta operaia contro i padroni è scontro di classe – si adottano molte tattiche, molti mezzi, ma l’importante è che non si perda mai di vista l’obiettivo, non solo quello più immediato, come hanno fatto gli operai della Innse, ma anche quello più lontano: la lotta per un salario decoroso per tutti i proletari di ogni età, sesso, nazionalità, “clandestini” o legali che siano!

  

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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