Quando gli emigranti  erano gli «sporchi italiani»!

(«il proletario»; N° 6; Supplemento a «il comunista» N. 114 - Gennaio 2010)

 

 

Alcune testimonianze di come venivano giudicati i migranti italiani non solo a cavallo del 1800-1900, ma perfino nel 1973 attraversdo le parole del presidente americano Richard Nixon, tratte da una corrispondenza pubblicata nel sito www.Primocanale.it di Genova. Erano i tempi in cui l’Italia non “esportava” solo mafia, ma soprattutto braccia da sfruttare che migravano dai paesi originari per gli stessi motivi che hanno spinto e spingono negli ultimi decenni albanesi, rumeni, moldavi, marocchini, egiziani, tunisini, senegalesi, ghanesi, nigeriani, cingalesi, pakistani a tagliare le loro radici a causa di fame, miseria, malattie, disperazione, guerre.

Da tempo, completamente ubriacati da un effimero benessere e intossicati da una propaganda meschinamente basata sul più triviale individualismo e complesso di superiorità, sopraffatti dalla mentalità piccoloborghese e bottegaia che guarda solo il proprio piccolo interesse privato e il proprio orticello, molti operai italiani oggi si sono dimenticati che soltanto due o tre generazioni fa erano per l’appunto i proletari italiani ad essere trattati come bestie, come schiavi, come rifiuti umani utili solo come  forza lavoro brutalmente spremuta fino all’ultima goccia di sudore e sangue.

I proletari italiani hanno un passato di lotta e di tradizione classista che non può essere per sempre sotterrato, anche se le forze del collaborazionismo interclassista e dell’opportunismo spicciolo lavorano da decenni alacremente a questo risultato. Quando ci si abbassa ad essere braccio dell’oppressione razziale e della discriminazione nei confronti dei proletari di altri paesi più poveri e deboli del nostro, ci si taglia la possibilità di riguadagnare la dignità e la forza sociale che solo i veri produttori di ricchezza hanno, i lavoratori salariati per l’appunto. I capitalisti, i borghesi di ogni strato, i piccolo borghesi, i servitori del capitale, hanno tutto l’interesse che i proletari italiani si aggrappino ad illusori sentimenti di superiorità legati ad una italianità supposta come «razza superiore», come rappresentante di una «civiltà superiore». I proletari italiani che oggi non si ribellano al modo in cui vengono trattati i loro fratelli di classe africani, dell’est europeo o del medio e dell’estremo oriente, esprimono una oggettiva complicità con le classi borghesi e piccolo borghesi che usano la sfrenata concorrenza tra proletari italiani e proletari immigrati allo scopo di spremere da tutti il massimo di plusvalore possibile.

I proletari italiani devono rendersi conto che tacendo, rimanendo indifferenti, voltando la testa dall’altra parte, se non addirittura compiacendosi del trattamento schiavistico riservato ai proletari immigrati, non danneggiano soltanto la vita quotidiana dei migranti, ma danneggiano la propria stessa vita perché lasciano sempre più spazio agli attacchi dei capitalisti alle proprie condizioni di lavoro e di vita e alla baldanza antioperaia che frange sempre meno timorose di piccola borghesia, impaurita dalla propettiva di cadere nella rovina e nella miseria, esprimono con il razzismo, con le fucilate, con le ronde, con le vessazioni quotidiane oggi verso i proletari immigrati, come ieri verso gli ebrei e domani contro gli stessi proletari italiani.

Ma leggiamo queste perle di livore antiproletario:

 

«Il quartiere di Spalen a Basilea è diventato negli ultimi anni una vera colonia di operai transalpini. La sera soprattutto queste strade hanno un vero profumo di terrore transalpino. Gli abitanti si intasano, cucinano e mangiano pressoché in comune in una saletta rivoltante. Ma quello che è più grave è che alcuni gruppi di italiani si assembrano in certi posti dove intralciano la circolazione e  occasionalmente danno vita a risse che spesso finiscono a coltellate».

(Da “La Suisse”, Ginevra, 17 agosto 1898).

 

«Si suppone che l’Italiano sia un grande criminale. È un grande criminale. L’Italia è prima in Europa con i suoi crimini violenti. (…) Il criminale italiano è una persona tesa, eccitabile, è di temperamento agitato quando è sobrio e ubriaco furioso dopo un paio di bicchieri. Quando è ubriaco arriva lo stiletto. (…) Di regola, i criminali italiani non sono ladri o rapinatori - sono accoltellatori e assassini».

(Dal “New York Times”, 14 maggio 1909).

 

«Generalmente sono di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano anche perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Si costruiscono baracche di legno e alluminio nelle periferie delle città dove vivono, vicini gli uni agli altri. Quando riescono ad avvicinarsi al centro affittano a caro prezzo appartamenti fatiscenti. Si presentano di solito in due e cercano una stanza con uso di cucina. Dopo pochi giorni diventano quattro, sei, dieci. Tra loro parlano lingue a noi incomprensibili, probabilmente antichi dialetti. Molti bambini vengono utilizzati per chiedere l’elemosina ma sovente davanti alle chiese donne vestite di scuro e uomini quasi sempre anziani invocano pietà, con toni lamentosi o petulanti. Fanno molti figli che faticano a mantenere e sono assai uniti fra di loro. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano non solo perché poco attraenti e selvatici ma perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati dopo agguati in strade periferiche quando le donne tornano dal lavoro».

(Da una relazione dell’Ispettorato per l’immigrazione del Congresso degli Usa, ottobre 1912).

 

«Non sono, ecco, non sono come noi. La differenza sta nell’odore diverso, nell’aspetto diverso, nel modo di agire diverso. Dopotutto non si possono rimproverare. Oh, no. Non si può. Non hanno mai avuto quello che abbiamo avuto noi. Il guaio è…. che non ne riesci a trovare uno che sia onesto».

(Richard Nixon, presidente degli Stati Uniti d’America, 1973).

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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