Gli operai, ostaggi del sistema produttivo capitalistico

(«il proletario»; N° 8; Supplemento a «il comunista» N. 116 - Giugno 2010)

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Il piano che la Fiat ha escogitato per fare dello stabilimento di Pomigliano il primo esempio di fabbrica nella quale si sperimenta una riorganizzazione completa del lavoro e dei rapporti sindacali tra padronato e operai, fa parte della visione che la borghesia dominante ha da sempre riguardo il lavoro salariato: il capitalista ci mette il capitale, le macchine, gli edifici, dirige tutti i processi di produzione e attraverso una serie di funzioni ben precise (ufficio personale, capi, contatempi, guardiani, sindacalisti collaborazionisti ecc.) e gli effetti della concorrenza tra proletari, controlla che gli operai impiegati lavorino rispondendo il più rigorosamente possibile alle direttive e alle esigenze dell’azienda; gli operai, una volta assunti a determinate condizioni salariali e di lavoro, ci devono mettere la loro forza lavoro, applicata alle macchine e ai processi produttivi predeterminati, seguendo rigorosamente le mansioni e i tempi di lavoro decisi dall’azienda e mettendoci l’abilità, l’attenzione e l’intelligenza necessarie perché il processo produttivo si sviluppi senza interruzioni. L’operaio viene pagato con un salario, una somma di denaro che in genere corrisponde al minimo necessario dei beni di prima necessità per riprodurre le sue forze ogni giorno affinché il giorno dopo sia in grado di continuare a farsi sfruttare sul posto di lavoro. Lo sfruttamente capitalistico consiste in un’operazione molto semplice, ma particolarmente nascosta e invisibile, che il capitalista attua sistematicamente in ogni giornata di lavoro dei suoi operai: il tempo di lavoro che l’operaio dà al capitalista in cambio del salario, è un tempo di lavoro che contiene una parte pagata col salario (che corrisponde appunto ai beni  necessari per la riproduzione della forza lavoro) e una parte non pagata, quindi estorta all’operaio e intascata dal capitalista. Il prodotto finale del ciclo produttivo - la merce che il capitalista trasporta al mercato per la vendita - oltre a contenere una quota parte del valore delle materie prime trasformate nella lavorazione, dei mezzi di produzione e dei costi di trasporto al mercato, contiene anche il valore del tempo di lavoro operaio usato per la produzione. Ma il valore del tempo di lavoro operaio contenuto nella merce prodotta contiene una quota di tempo di lavoro non pagata; il vero guadagno del capitalista è tutto in quella quota di tempo di lavoro non pagato all’operaio!

Più la rivoluzione tecnica ammoderna i macchinari e gli impianti e più il capitalista è in grado di ottenere la stessa quantità di prodotto con meno operai impiegati; ma da ogni singolo operaio impiegato nel processo produttivo e/o distributivo il capitalista intende estorcere una quota di tempo di lavoro non pagato sempre più alta. Come fa? In modi molto diversi usati contemporaneamente: allunga la giornata di lavoro, intensifica i ritmi di lavoro, aumenta la flessibilità di ogni singolo operaio, riduce le pause, aggiunge ore straordinarie quando il mercato “tira”, risparmia su ogni possibile costo fisso quindi tende ad abbattere i salari, i costi di manutenzione, le misure di prevenzione infortuni e di sicurezza, aumenta le mansioni per ogni singolo operaio, ecc.

La flessibilità della forza lavoro, perciò, è richiesta dal capitalista perché vuole accumulare più profitti, ma anche perché dovendo combattere la concorrenza con altre aziende sul mercato deve necessariamente abbattere i costi di produzione. Tra i costi di produzione più flessibili, guarda caso, c’è proprio la forza lavoro viva, gli operai vivi - come li chiamava Marx , contrapponendoli al lavoro morto costituito dalle macchine, dalle materie prime, dagli edifici, insomma da tutto ciò che costituisce il capitale costante. Perciò flessibilità e competitività delle merci prodotte vanno a braccetto, non c’è l’una senza l’altra. Entrare quindi nel merito della gestione del ciclo produttivo capitalistico, proponendo una gestione del processo produttivo più redditizia per l’azienda, quindi per i capitalisti padroni dell’azienda, vuol dire aiutare i capitalisti a sfruttare meglio la forza lavoro salariata, a risparmiare di più sui costi fissi, a vincere perciò la concorrenza sul mercato contro le altre aziende che si muovono esattamente con le stesse logiche, con un capitale costante da far lavorare e un capitale variabile (salari per la forza lavoro impiegata) da sfruttare al massimo. Questa politica industriale la fa il capitalista? E’ ovvio, non ci si può aspettare una cosa diversa. La fa lo Stato centrale? E’ ovvio, è l’organizzazione centralizzata degli interessi capitalistici in un dato territorio chiamato Paese difesi con le leggi e con la forza pubblica. La fa il sindacato operaio? Non è più ovvio, è la fregatura per gli operai perché l’organizzazione sindacale alla quale gli operai si iscrivono e pagano di tasca propria la quota d’iscrizione dichiara di difendere le condizioni di lavoro e di vita degli operai dagli attacchi che sistematicamente i capitalisti attuano perché vogliono intascare più profitti e perché vogliono combattere contro la concorrenza sul mercato da parte di altri capitalisti.

Gli operai, in questo modo, oltre ad essere ostaggi del capitale perché la loro vita dipende esclusivamente dallo sfruttamento della loro forza lavoro da parte dei capitalisti, sono anche ostaggi delle “proprie” organizzazioni sindacali che, al di là delle dichiarazioni parolaie, operano a favore del sistema produttivo capitalistico, a favore della continuazione e del rafforzamento dello sfruttamento capitalistico della forza lavoro operaia. La conciliazione degli interessi proletari con quelli borghesi è la politica che agevola il compito ai capitalisti di rafforzare le catene con le quali tiene il proletariato, occupato e disoccupato, avvinto alle sorti della sua economia di mercato.

Gli ostaggi si liberano spezzando le catene che li tengono prigionieri e lottando contro i guardiani della prigione!

          

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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