La borghesia capitalistica prima con Berlusconi, ora con Monti, pretende sempre la stessa cosa: crescita economica, salvataggio dei profitti, libertà di fare affari senza restrizioni e manodopera salariata, flessibile e a costo sempre più ridotto!

La risposta proletaria non può essere che: lotta di classe unitaria, indipendente dalla borghesia a da tutti i suoi servi parlamentari e dai collaborazionisti sindacali, a difesa esclusiva degli interessi proletari!

 

(«il proletario»; N° 10; Supplemento a «il comunista» N. 122 - Dicembre 2011)

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Le due manovre che il governo Berlusconi ha già applicato quest’anno valevano complessivamente 144 miliardi di euro; la manovra attuale del governo Monti vale 30 miliardi, e ancora, per il capitalismo italiano, e per i capitalismi dei maggiori paesi europei, NON BASTA!

L’obiettivo primario delle manovre borghesi in tempi di crisi economica e finanziaria come quelli che stiamo attraversando è di salvare il capitale finanziario (dunque le banche, gfli istituti finanziari, e quindi la speculazione borsistica!); non a caso dallo scoppio della bolla immobiliare americana del 2007, al fallimento della Lehman  Brothers nel 2008, la crisi si è estesa non solo alla gran parte dei paesi del mondo, ma ha toccato profondità sconosciute da 80 anni, gettando nella crisi più nera interi paesi che i media borghesi si sono divertiti a siglare con un acronomio che assomiglia molto alla parola “porci” in inglese: PIIGS, ossia Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna. La crisi finanziaria si è rapidamente trasformata in crisi economica; il capitale ha per l’ennesima volta confermato le leggi scoperte dal marxismo: più si sviluppa, più le sue crisi di sovrapproduzione sono devastanti, gettando nella rovina masse sempre più ampie di proletari in tutto il mondo.

I borghesi hanno un modo soltanto di “uscire dalla crisi” del loro sistema economico e sociale: farla pagare soprattutto alle masse proletarie, ai senza-riserve,  a coloro che non possiedono nulla se non la forza lavoro che il capitale sfrutta nelle sue galere-fabbriche, e che quando non ne ha bisogno o le costa troppo rispetto ai profitti che deve accumulare, se ne disfa come “merce in esubero”! Naturalmente, nelle crisi economiche ci vanno di mezzo anche strati di piccola borghesia e qualche grande borghese va anch’esso in rovina, ma non c’è confronto rispetto ai milioni di proletari che vengono colpiti dalla disoccupazione, dalla miseria, dalla fame. In Italia, la terza economia europea, uno dei paesi occidentali più importanti del mondo, le persone classificate “povere” sono ufficialmente più di 6 milioni, ma sappiamo che le statistiche ufficiali nascondono molto i dati reali, perciò i poveri, ossia coloro che sopravvivono solo di carità, sono almeno il doppio. Negli Stati Uniti, il paese più ricco e potente del mondo, le statistiche raccontano che 50 milioni di americani non hanno, e non si possono permettere, la copertura sanitaria. Il capitalismo, dimostra una volta di più che più aumenta la ricchezza, da parte della minoranza capitalista, più aumenta la miseria dalla parte della stragrande maggioranza proletaria.

Lacrime e sangue, questo è il binomio che ormai circola costantemente ad indicare le manovre govermnative “per far fronte alla crisi”. Ogni manovra comporta una giro di vite ancora più stretto sulle condizioni di esistenza proletarie. Il governo Berlusconi continuava a raccontare la favoletta di una crisi che non avrebbe toccato l’Italia, quando la recessione economica batteva alla porta già due anni fa, perdendo alla fine la faccia presso i suoi degni compari del G8 quando il debito statale si elevò talmente che gli altri paesi dell’unione monetaria (la zona euro, per intenderci), soprattutto Germania e Francia già scossi per il fallimento della Grecia e per la crisi profonda degli altri paesi (il cosiddetto PIGS), non intendevano più “proteggere” l’Italia esponendola così alla speculazione internazionale più spietata. In questi casi, che fa la borghesia? Cambia governo, come è successo già in Grecia e in Spagna, col proposito di dare ai “mercati”, ossia al capitale finanziario internazionale, il segnale che oltrepassare in modo ancora più virulento i limiti della speculazione porterebbe alla rovina in parte lo stesso capitale finanziario. La ricetta per frenare la speculazione violenta è di dare alla speculazione altri obiettivi, ad esempio quelli più  connessi alla crescita economica, ossia alla ripresa della produzione. Ma per la ripresa dell’economia capitalistica non basta “mettere a posto i conti dello Stato”, bisogna far girare a pieno ritmo la produzione di profitto e per ottenere ciò la vera soluzione sta nell’estorcere quote di plusvalore molto più cospicue di prima; dunque, bisogna aumentare il tasso di sfruttamento della forza lavoro! Intanto, per fare cassa, ossia per pareggiare il debito pubblico, le manovre governative vanno a prelevare denaro sicuro dal lavoro dipendente e dai consumi attraverso l’elevazione delle tasse. Nulla di nuovo sotto il sole! Sono i proletari a pagare gli sprechi e i privilegi delle classi possidenti. Lo dicono perfino  i sindacalisti e i politicanti che si  sono nominati difensori degli interessi dei lavoratori, ma che in realtà, dopo aver per decenni tradito la causa proletaria, sono il fior fiore del collaborazionismo tricolore.

Contro questa genia di parassiti, servi del capitale e delle sue istituzioni di conservazione e di difesa, i proletari devono imboccare la vecchia strada della lotta antagonista di classe: interessi proletari contro interessi borghesi! Perché la via per l’emancipazione del proletariato passa attraverso la lotta contro ogni oppressione capitalistica, da quella economica a quella sociale, da quella politica a quella poliziesca.

I proletari devono riallacciarsi alla tradizione di classe delle vecchie generazioni, quando lottare in difesa delle proprie condizioni di vita e di lavoro significava non cedere alle lusinghe della collaborazione interclassista, non delegare ai cosiddetti professionisti della trattativa la difesa dei propri interessi; quando scioperare significava effettivamente rispondere all’oppressione e al peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro danneggiando gli interessi dei capitalisti, quando scioperare voleva dire accettare la guerra di classe che la borghesia scatena ogni giorno contro il proletariato, e utilizzare metodi e mezzi di lotta classisti, indipendenti dalle compatibilità richieste dal padronato e dai governi. Solo attraverso questa lotta i proletari hanno la speranza di difendersi efficacemente proiettandosi sul terreno risolutivo, quello politico, non per cambiare un governo, ma per rivoluzionare completamente la società, per il quale obiettivo lavora il partito di classe.

 

 

Partito comunista internazionale (il comunista)

www.pcint.org

 

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