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Tesi e testi della Sinistra comunista - Secondo dopoguerra -1945-1955

2. Tracciato d'impostazione (1946)


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Teoria, princìpi, fini, programma, tattica

 

 

Poniamo le nostre categorie in questo ordine; Teoria - Princìpi - Fini -Programma - Tattica, e mostriamo come i nostri testi di base non abbiano mai mancato di distinguerle, senza tuttavia - come non si sarebbe sognato di farlo Lenin - separarle.

La teoria o dottrina del partito tratta della storia delle società umane e del suo concatenamento. Fanno parte della teoria del partito il materialismo storico o dialettico, il determinismo storico, la dottrina della lotta tra le classi, del contrasto tra forme di proprietà e forze produttive, della serie delle forme di produzione, e negli ultimi capitoli di essa la scienza della economia capitalista e della genesi, dalla sua rottura, della società comunista. Abbiamo già visto ribaditi tutti questi punti nelle Tesi della Frazione comunista astensionista.

I princìpi del partito sono le fasi della dottrina storica che corrispondono alla lotta e alla vittoria del proletariato moderno. Ancora una volta, rimandiamo alle Tesi.

La teoria caratterizza il partito non meno dei princìpi in essa compresi. Ma Lenin ha ragione di dire che i princìpi non sono la teoria; essi ne sono soltanto la fase contemporanea. Fa parte della teoria la spiegazione classista della rivoluzione borghese, dell’abolizione della servitù feudale e della vittoria della democrazia parlamentare; ma tutto ciò non fa parte dei princìpi del comunismo. Le Tesi vi si soffermano a lungo in un paragrafo apposito.

La teoria è carne e sangue del partito non meno dei suoi princìpi. Se lo vogliamo leggere in Lenin, e attraverso lui in Marx ed Engels, possiamo scegliere il classico Che fare? del 1902. Qui Lenin si batte contro la tendenza alla “libertà di critica”, e prendiamo il paragrafo intitolato: “Engels e l’importanza della lotta teorica”. Lenin, contro i fautori della libertà di pensiero, si leva gigante in queste pagine a difendere “il dogmatismo, il dottrinarismo” derisi dai “liberi critici” che protestano per la mummificazione del partito! Non possiamo citare tutto. “La famosa libertà di critica non significa la sostituzione di una teoria con un’altra, ma significa libertà da ogni teoria coerente e ponderata, significa eclettismo e mancanza di princìpi. Ecco che ritroviamo da quando fu disonorato l’eclettismo! Ecco come, a distanza di mezzi secoli, ben si saldano gli anelli della teoria e dei princìpi! Lenin deplora che si disprezzi la teoria per vantare la pratica. Scrive per il 1902 o per oggi, 1972? “Chiunque abbia una conoscenza anche limitata del nostro movimento, non può non vedere che la grande diffusione del marxismo è stata accompagnata da un certo abbassamento del livello teorico. Molta gente, la cui preparazione teorica era infima e persino nulla, ha aderito al movimento in virtù della sua importanza pratica e dei suoi progressi pratici”. E non è questa la genia carognesca che intorno a noi si riempie la bocca di adesioni al “marxismo-leninismo”? Gli opportunisti del tempo facevano quello che fanno i superopportunisti d’oggi. Questi speculano sulla frase di Lenin che la tattica deve essere elastica; coloro rinfacciano a Lenin la nota frase di Marx; “Ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di programmi”. Noi rispondiamo a quelli che oggi citano Lenin da truffatori, come da lui abbiamo imparato. Ossia abbiamo cercato dove, quando, perché e in quale costruzione Lenin collocò le parole su cui si è costruita una così vasta e sfrontata speculazione storica. Lenin infatti scrive:

“Ripetere queste parole di Marx in quest’epoca di sbandamento teorico [quella di oggi vale venti volte quella del 1902 in Russia!] è come gridare, alla vista di un corteo funebre; cento di questi giorni! [o maestro Lenin, questi cento giorni li stiamo vedendo passare!]. D’altronde, quelle parole di Marx sono estratte dalla lettera sul programma di Gotha, in cui egli condanna categoricamente [corsivo in Lenin] l’eclettismo nella enunciazione dei princìpi. Se è davvero necessario unirsi - scriveva Marx ai capi del partito - concludere accordi al fine di raggiungere gli obiettivi pratici del movimento, ma non lasciatevi indurre a far commercio dei princìpi, non fate “concessioni” teoriche”.

E Lenin conclude;

“Questo era il pensiero di Marx, e fra noi si trova della gente che nel suo nome cerca di sminuire l’importanza della teoria!”.

Senza seguire il testo, che si riferisce al pensiero di Engels sulle tre forme della lotta proletaria - economica, politica e teorica - collegandole genialmente a Inghilterra, Francia e Germania con la celebre immagine del proletariato erede della filosofia classica tedesca, noi a nostra volta concluderemo ricordando che in Italia i rinnegati rientrarono, dopo battuto (ma non da essi) il fascismo, con la parola: la pianterete di far questioni di teoria in mezzo alle masse! (parola con cui credono d’essersi liberati per sempre della coriacea Sinistra Comunista italiana); concluderemo, a proposito della nostra esegesi dell’Estremismo, con le stesse parole: “Questo era il pensiero di Lenin, e fra noi si trova della gente che nel suo nome tenta di sminuire l’importanza della teoria!”.

Con quanto detto, resta chiarito il valore dei tre primi momenti o categorie: teoria, princìpi e fine del partito. Il “fine è la società comunista nei suoi chiari caratteri opposti a quelli delle società privatistiche passate; ed anche questo aspetto della posizione del partito è basilare ed essenziale: il nostro odierno movimento vi dedica, come vi dedicava allora, sempre sulla linea dei testi classici, un lavoro di primo piano.

Programma e tattica sono altra cosa, Lenin dice, dalla teoria, dai princìpi e dal fine. Ma naturalmente sono loro strettamente collegati nella funzione del partito. Cerchiamo di delimitare sobriamente questi due ultimi settori, perché il nostro tema è la storia dell’ultimo, la tattica.

Il richiamo nostro a Lenin, e di Lenin a Marx, ci ha ricondotti all’idea del programma. Si trattava di quello del partito tedesco, per il congresso di Gotha, e il progetto ne fu sottoposto a Marx, come ad Engels lo fu quello di Erfurt. La critica che Marx ne fece fu di una grande asprezza, e quello che a noi importa, e che Lenin ribadisce, è che essa colpiva le contraddizioni tra il programma o la “teoria” generale del partito da un lato, e quella sua parte costituita dai princìpi che reggono il trapasso alla vittoria di classe del proletariato, dall’altro.

Il programma non è la teoria ed i princìpi, ma non può contraddire la teoria e il sistema di princìpi del partito. Ad esempio la espressione di “libero stato popolare”, alla Lassalle, viene da Marx espulsa dal programma perché rinnega i princìpi e smentisce la teoria. Lo Stato di oggi è l’organo di classe della borghesia che ci opprime, e se diventa libero cresce la sua libertà di fregarci, noi proletari e comunisti. Ecco l’altezza della dialettica di Marx!

Che cos’é dunque il programma? È la prospettiva dell’azione prossima, nel senso storico e non certo pettegolo, del partito. Il programma riguarda l’azione pratica, ma è suicida se ammette una azione pratica che neghi la teoria e accetti la vittoria del nemico contro la nostra classe.

La III Internazionale fu posta di fronte ad un quesito: Il programma deve essere nazionale o internazionale, europeo almeno? A Gotha si trattava di un programma nazionale tedesco, e per quello svolto della lotta del partito tedesco. Tuttavia, per Marx, le tappe del programma “politico” non potevano stare in contrasto coi princìpi della dottrina che aveva già permeato l’avanguardia del proletariato germanico. Analogamente, in Russia nel 1902, il Che fare? di Lenin chiude col progetto di scissione del partito socialdemocratico. Poco oltre, fatta nel 1903 la scissione (gloriosamente in tempo!), il programma è quello che Lenin svolge in Due tattiche; e la formula è dittatura democratica rivoluzionaria del proletariato e dei contadini. Nel 1917 essa diverrà, come nei princìpi immutabili, dittatura del proletariato e potere dei Soviet.

In Italia, nel 1919, avevamo tra i piedi il programma socialdemocratico di Genova 1892. Si trattò di mutarlo. Solo col nuovo programma è possibile e utile la scissione: poiché “chi non accetta il programma non sta nel partito”. Il programma che demmo al partito a Livorno nel 1921 contenne punti di natura non nazionale, ma internazionale. Tale fu la rivendicazione della “sinistra”. Gli ordinovisti non lo capirono forse, ma lo appoggiarono. Male, se erano della bolsa idea di mettere nel programma le autonomie regionali, la questione meridionale e simili ideologismi senza costrutto.

Ma noi fummo in regola con l’IC, in quanto la sua 15° “condizione di ammissione” esigeva dai partiti i quali avevano conservato il loro vecchio programma socialista di elaborarne uno nuovo, e comunista, “nel senso dei deliberati dell’Internazionale” (e, se ci si obietta che ciò doveva avvenire “in modo rispondente alle condizioni particolari del paese in questione”, rispondiamo che le condizioni dell’Italia erano quelle di un perfetto paese capitalista moderno, in cui il proletariato doveva avere come unico programma la lotta per la dittatura comunista).

E siamo con questo giunti alla categoria finale; quella della tattica. Non senza aver ricordato che ottenemmo da Lenin e dal congresso la classica condizione 2 l°, secondo cui “i membri del partito che respingono per principio le condizioni e le tesi della Internazionale Comunista devono essere espulsi”. Noi, qui, a nome del partito di sempre, stigmatizziamo gente “che ne è stata espulsa” secondo le tavole, cioè secondo il dettame di Lenin e di Marx. Espulsa perché serva del capitale.

 

 

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