Editions Programme - Edizioni Il Comunista - Ediciones Programa - Program Editions - Edice program
Tesi e testi della Sinistra comunista - Secondo dopoguerra -1945-1955
11. Contributi alla organica ripresentazione storica della teoria rivoluzionaria marxista (1951-1952)
Ritorno indice - Ritorno al catalogo delle pubblicazioni
• Appendice I.
Introduzione
Negli anni seguiti alla seconda guerra imperialista mondiale e del suo dopoguerra, i compagni della Sinistra comunista «d'Italia» che non si erano piegati allo stalinismo, molti dei quali vissero l'esperienza delle battaglie politiche della Frazione del PCd'I all'estero (in particolare in Francia e in Belgio), altri la prigione, il confino, la miseria nell'Italia fascista, ritrovarono dal 1945 in poi le condizioni politiche e sociali elementari per riprendere un'attività politica riallacciandosi agli anni gloriosi della rivoluzione d'Ottobre e del Partito comunista d'Italia dei primi anni in cui la degenerazione democratica e nazionalcomunista non l'aveva ancora distrutto. In quegli anni – come già durante la guerra «partigiana» – nonostante le inevitabili incertezze e incapacità nel tirare un chiaro e solido bilancio della controrivoluzione, quei compagni rappresentarono l'unica forza fisica a livello internazionale, seppur estremamente minoritaria, in grado di costituire il materiale umano atto a dedicarsi alla vitale restaurazione della dottrina marxista e, sulla sua base, alla ricostituzione del partito comunista rivoluzionario che lo stalinismo aveva distrutto. Come in tutte le fasi storiche di depressione della lotta di classe del proletariato, ma nelle quali i semi della teoria rivoluzionaria – per ragioni storiche legate al determinismo materialistico e dialettico – non scompaiono del tutto, i fatti stessi inerenti allo sviluppo delle forze produttive, e alle crisi che questo sviluppo in ambito capitalistico genera costantemente, costituiscono un grado di fertilità sufficiente perché, prima o poi, i semi della teoria rivoluzionaria riprendano vitalità facendo riemergere, in condizioni sociali e ambientali non assolutamente negative, la possibilità che determinati elementi, che non sono stati irrimediabilmente danneggiati dalle malattie opportuniste, forniscano la materia prima per la rinascita di quell'embrione che darà vita nuovamente, in situazione oggettivamente favorevole alla rivoluzione, al partito comunista rivoluzionario.
La corrente della Sinistra comunista d'Italia ha dimostrato, in più di cent'anni, di rappresentare la più coerente difesa della piena validità storica della teoria marxista, in perfetta continuità con quanto già il bolscevismo di Lenin aveva rappresentato nella lotta per la restaurazione della dottrina marxista che subì l'attacco delle tesi opportuniste legate al riformismo gradualista e al socialdemocratismo, giunte poi allo sfacelo generale della II Internazionale e del suo socialsciovinismo stile 1914.
Il secondo dopoguerra, dal punto di vista delle potenzialità rivoluzionarie del proletariato, non aveva nulla di simile al primo dopoguerra. La sconfitta della rivoluzione era stata particolarmente profonda, la degenerazione del partito bolscevico e dell'Internazionale Comunista egualmente devastante; non solo la controrivoluzione borghese aveva vinto, con l'aiuto decisivo dello stalinismo e della falsificazione generalizzata del marxismo, ma la nuova ondata opportunista si caratterizzò per aver abbracciato come sua ulteriore identità la lotta armata e la guerra civile a favore della conservazione capitalistica e borghese, costituendo in questo modo un ulteriore elemento di confusione e di falsificazione della teoria rivoluzionaria marxista. Inoltre, come era già successo nella prima guerra imperialista mondiale con l'Inghilterra (il maggior centro capitalistico mondiale, mai invaso ma vincitore nella guerra), successe anche nella seconda e, in questo caso, abbinandosi agli Stati Uniti d'America, a loro volta mai invasi e dimostratisi il più potente centro imperialistico del mondo. Se il proletariato, prima, durante e dopo la prima guerra imperialista mondiale aveva il compito di svolgere la propria rivoluzione di classe a livello internazionale, pur partendo dalla rivoluzione e dalla conquista del potere politico in un paese solo, mantenendolo anche per anni al fine di propagare la rivoluzione negli altri paesi, con la seconda guerra imperialista mondiale e a fronte della vittoria delle potenze imperialiste occidentali d'Europa e d'America, a cui collaborò strettamente la Russia stalinista, il proletariato rivoluzionario si è trovato nella condizione storica di dover consegnare il proprio futuro di classe e rivoluzionario, molto più direttamente e prioritariamente, alla rivoluzione nei paesi imperialisti maggiori, in special modo alla rivoluzione nell'America del Nord.
I proletari, per le condizioni sociali che li definiscono, sono dei senza riserve; la forza lavoro di cui sono proprietari, non ha alcun valore se non la comprano i capitalisti, non ha alcun valore se a fronte del suo sfruttamento non riceve in cambio un salario con cui poter acquistare al mercato i prodotti che servono per vivere. Senza riserve significa soprattutto senza cibo, senza vestiti, senza un riparo, insomma senza prodotti da consumare: la forza lavoro proletaria produce tutto, non è proprietaria di niente. Nella società capitalista non ha nulla da difendere, ma, rappresentando la reale forza di produzione senza lo sfruttamento della quale nessun capitalista, nessun imprenditore, nessun borghese potrebbe continuare a far parte della classe dominante, costituisce la forza vitale per lo stesso capitalismo. Per diventare forza vitale anticapitalistica, per diventare vettore esclusivamente della produzione sociale e del consumo sociale senza dipendere dallo scambio di mercato, la classe del proletariato deve rovesciare completamente i rapporti di produzione e di proprietà esistenti: di più, deve eliminarli del tutto dall'organizzazione sociale. La rivoluzione del proletariato ha per compito storico esattamente questo: la società di specie, senza denaro, senza mercato, senza valori di scambio, senza alcun tipo di oppressione, in un ambiente in cui le esigenze di vita della specie umana sono le uniche a condizionare la vita sociale, le uniche a dover essere affrontate con razionalità e intelligenza, le uniche a mettere la società umana nelle condizioni di avere con la natura un rapporto organico, armonioso e nello stesso tempo rispettoso conoscendo la sua forza straordinaria.
Per giungere a questo risultato, il proletariato, oggi più di ieri, ha di fronte a sé non tanto e non solo il teatro nazionale, ma quello internazionale. Le sue condizioni sociali lo definiscono come classe internazionale, e solo internazionalmente potrà perseguire gli obiettivi storici della sua completa emancipazione dal capitalismo. Lo sviluppo stesso del capitalismo, sebbene abbia continuato nel suo procedere ineguale, marcando sempre più la differenza tra i paesi supersviluppati in cui domina il parassitismo e la politica imperialista e i paesi superarretrati in cui domina il caos sociale, la miseria e la fame per le grandi masse, ha inevitabilmente diffuso la condizione proletaria su alcuni miliardi di persone che un tempo sopravvivevano di agricoltura primitiva e con qualche animale addomesticato. E' la condizione internazionale di senza riserve che fa dei proletari una classe internazionale e che deve fronteggiare l'antagonista classe borghese dovendo fare i conti non solo con le classi dominanti a livello nazionale, ma con la potenza di classe e la solidarietà internazionale della borghesia che può contare sulla potenza economica, finanziaria, politica e militare dei grandi Stati imperialisti non meno pronti di farsi la guerra per spartirsi il mondo di quanto non sia pronti a combattere – intervenendo in modo sempre più preventivo e in qualsiasi parte del mondo – contro i movimenti proletari mossi alla conquista della propria indipendenza classista e contro l'organo rivoluzionario per eccellenza, il partito di classe, senza il quale nessun movimento proletario, nessuna lotta sul terreno rivoluzionario potranno mai avere ragione delle classi borghesi e dei loro Stati.
Perciò i compagni, riuniti nel secondo dopoguerra nell'organizzazione che si chiamò partito comunista internazionalista e che iniziarono, sotto la guida di Amadeo Bordiga, il tenace lavoro di restaurazione della dottrina marxista, si posero il problema di come raggiungere a livello internazionale i comunisti che, per non aver gettato la spugna e per non essere passati dalla parte del nemico, erano rimasti isolati e del tutto scollegati.
L'Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento, che pubblichiamo nelle pagine seguenti, fu scritto in lingua francese nel 1949 quando lo stesso Amadeo Bordiga, che contribuiva con i suoi elaborati e le sue Tesi pubblicati nel «Prometeo» fin dal suo primo numero del luglio 1946, lavorava insieme ad un piccolo gruppo di vecchi compagni della Sinistra del PCd'I al ricollegamento con il marxismo originario attraverso scritti, lettere e rapporti alle riunioni. Il 1949 è l'anno in cui Amadeo Bordiga iniziò anche a scrivere gli ormai noti «fili del tempo» con cui intendeva combattere le storture e le deviazioni opportuniste mettendo a confronto quelle dell'Ieri riformista e socialdemocratico con quelle dell'Oggi stalinista-togliattiano.
Il partito comunista internazionalista, nel suo congresso di Firenze del 1948 (al quale Amadeo Bordiga non partecipò, come non partecipò al primo suo congresso di Torino del 1945, non avendo cambiato opinione circa il fatto che il partito non si sarebbe dovuto costituire senza aver ricostituito prima le basi teoriche e programmatiche che era, per l'appunto, il lungo e difficile lavoro a cui i militanti comunisti dovevano dedicare prioritariamente le loro energie), nonostante l'estrema confusione in cui le varie posizioni venivano esposte, dimostrando una disomogeneità sconcertante, passò sorprendentemente ad adottare come suo programma il Programma politico del Partito redatto collettivamente dal gruppo di compagni che, in quegli anni, lavorarava abitualmente con Bordiga, annullando in parte quel che il P. C. Internazionalista affermava nel suo Statuto, approvato al suo I Congresso del 1945, per il quale le righe di premessa affermavano: «Il presente statuto, che è la riproduzione aggiornata dello Statuto votato dal II Congresso Nazionale del P.C. d'I. nel 1922, è valido fino al prossimo Congresso del Partito». L'articolo 1 di quello Statuto affermava che il P.C. Internazionalista si costituiva sulla base dell'adesione al programma formulato dal Congresso di Livorno del gennaio 1921. Per l'allora gruppo dirigente del partito, per ricostituire il partito di classe era sufficiente rifarsi direttamente alla Statuto e al Programma del PCd'Italia del 1921, rimandando di congresso in congresso il problema del bilancio dinamico della controrivoluzione e il lavoro di restaurazione teorica del marxismo, come se la situazione del mondo capitalistico e del movimento operaio dopo la seconda guerra mondiale fosse sostanzialmente quella del primo dopoguerra mondiale.
Il vero Programma del partito comunista internazionalista e, successivamente, internazionale, in realtà è formato da due parti: la prima parte, costituita da 7 punti, riprende sinteticamente quanto espresso nel programma di Livorno '21 – in perfetta continuità con esso – mentre una seconda parte, dal punto 8 al punto 11, è stata necessariamente dedicata a definire la posizione del partito di fronte alla situazione internazionale uscita dalla seconda guerra imperialista mondiale, situazione che si mostrava, a scorno dei compagni che espressero la tendenza attivista, del tutto diversa da quella del primo dopoguerra. Il lettore attento potrà constatare come questi ultimi quattro punti del Programma politico del Partito riprendono sinteticamente quanto contenuto nel Tracciato di impostazione del 1946 e quanto verrà ribadito nelle successive Tesi caratteristiche del partito del 1951, in una continuità teorico-programmatica che andava inevitabilmente a scontrarsi con la fregola attivista e organizzativista della tendenza che con Damen spaccherà il partito tra il 1951 e il 1952.
Tornando all'Appello va evidenziato come il suo contenuto espone – come scrivemmo nella Premessa al volumetto Lezioni delle controrivoluzioni (1) in appendice del quale fu pubblicato questo Appello – «le posizioni essenziali sulla cui base era possibile concepire un raggruppamento internazionale di gruppi richiamantisi al marxismo rivoluzionario e disposti ad accogliere e a far proprie le dure lezioni di lunghi decenni di degenerazione del movimento comunista mondiale prima, di precipizio nella controrivoluzione staliniana poi – lezioni che né il trotskismo, né, a maggior ragione, le mille varietà di spontaneismo e immediatismo hanno saputo (se mai lo potevano) trarre». Qui si fa riferimento ancora alla possibilità che «gruppi» di comunisti che si richiamavano al marxismo rivoluzionario fossero in grado di far proprie le lezioni delle controrivoluzioni in quanto «gruppi», più o meno organizzati, e quindi fossero pronti ad unirsi alle forze del partito, mentre, sulla base del bilancio dinamico più approfondito di tutta l'esperienza storica del corso controrivoluzionario, il partito giungerà ad escludere categoricamente che si potesse aderire al partito se non come singoli compagni, evitando in questo modo di cadere nell'attitudine radicatasi nell'I.C., attraverso la tattica del «fronte unico politico», di ingrossare le file del partito con la fusione di gruppi già organizzati, espediente combattuto dalla Sinistra comunista d'Italia fin dai dibattiti che dal III congresso dell'I.C. portarono al suo IV Congresso in cui la tattica del «fronte unico politico» fu deliberata a grande maggioranza.
«Da allora –- continua la Premessa citata – il panorama di quei "gruppi secessionisti" (secessionisti dai partiti comunisti ufficiali, NdR) si è enormemente variegato: i "nodi" cruciali del nostro dissenso dalle loro posizioni, e del possibile incontro di proletari animati da un sano istinto di classe e da un autentico spirito rivoluzionario con le nostre, sono rimasti fondamentalmente i medesimi».
A settatacinque anni di distanza non abbiamo cambiato nulla del contenuto programmatico e politico di questo Appello. La situazione generale è certamente cambiata, nel senso che molte delle posizioni che allora sembravano insufficienti, confuse, bisognose di seri chiarimenti sul piano teorico e programmatico generale verso il quale i gruppi che le sostenevano apparivano interessati, in realtà si sono definite, nella stragrande maggioranza, come posizioni votate all'opportunismo facendone parte integrante sebbene con «identità» relativamente diverse le une dalle altre. Oggi, come d'altra parte già negli anni successivi al 1950, e soprattutto negli anni Sessanta, molti gruppi, inizialmente alla ricerca di chiarezza politica e di bilancio della controrivoluzione, presero la via o dell'idealismo come «Socialisme ou Barbarie», o dell'immediatismo, dell'attivismo, dell'operaismo come molti altri, trotskisti compresi, dimostrando nei fatti che soltanto il nostro lavoro, paziente e tenace nel riconquistare prima di tutto le basi teoriche fondamentali del marxismo, aveva la possibilità di costituire un punto di riferimento marxista, e perciò proletario e rivoluzionario, per tutti quegli elementi che l'istinto di classe spingeva a porre se stessi «al servizio della futura rivoluzione proletaria e comunista», e non, al contrario, servirsi di frasi e concetti «marxisti» per proporsi come i nuovi «rivoluzionari», gli «aggiornatori» del marxismo, gli «innovatori» in grado di pescare nel marxismo ciò che secondo loro poteva essere ancora «utile» per le loro individuali, professorali e intellettualistiche elucubrazioni, scartando tutto quel che appariva loro desueto, vecchio, superato... come il partito centralista e antidemocratico, la dittatura del proletariato esercitata dal partito, ma sostenendo la teoria del capitalismo che si esaurisce nella sua inevitabile decadenza, ol'azione del partito tra le masse proletarie esclusivamente indirizzata alla lotta politica negando la fase in cui il partito agisce nelle lotte proletarie di difesa economica ecc.
Arriverà anche l'epoca dei figli dello stalinismo (maoisti, guevaristi, lottarmatisti ecc.), degli innovatori del Sessantotto, degli appassionati della guerriglia contadina, degli ultimatisti e di coloro che danno la rivoluzione armata e violenta come improponibile di fronte allo strapotere della borghesia imperialista proponendo rimaneggiate formule di democrazia «diretta», «proletaria» elezionista e parlamentare.
Contro tutto ciò il nostro partito, pur scosso periodicamente da defezioni e crisi, ha continuato a lottare rifacendosi costantemente alle basi teoriche restaurate nel primo quindicennio finita al seconda guerra mondiale, approfondendo anche il tema più specificamente dell'organizzazione di partito a metà degli anni Sessanta. In tutto questo lungo periodo non si perse mai di vista la grande questione della struttura economica e sociale della Russia, vero problema sul quale convergevano tutte le questioni fondamentali della teoria marxista da restaurare e di cui, nelle Riunioni di Roma e di Napoli del 1951 di cui si occupa questo fascicolo, si posero le basi per il loro svolgimento più ampio che passò attraverso il Dialogato con Stalin, il Dialogato coi Morti sul XX congresso del PCUS e, soprattutto, la lunga trattazione che prese il titolo di Struttura economica e sociale della Russa d'oggi.
(1) Cfr. Lezioni delle controrivoluzioni, vol. n. 7 dei «testi del partito comunista internazionale», Milano 1981, in appendice del quale sono pubblicati sia l'Appello che due «fili del tempo» che si riallacciano direttamente alle «Lezioni», anticipandone o sviluppandone ulteriormente alcuni fra i temi di maggior rilievo.
* * *
Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento
(Opuscolo ciclostilato, originalmente in francese, 1949)
Sinopsi
Premessa:
Lunga e grave crisi contemporanea del movimento proletario. Primi sintomi di reazione contro lo stalinismo.
Invito:
Riorganizzazione internazionale di genuine, autonome, omogenee forze rivoluzionarie.
Capisaldi di orientamento:
1. Rifiuto di ogni confusione con posizioni antibarbare, antiterroristiche, antidittatoriali.
2. Rottura, come con le tradizioni del socialpatriottismo 1914-18, con quelle delle alleanze staliniste con stati capitalistici nella guerra 1939-45, e della politica dei paralleli movimenti e blocchi partigiani di liberazione nazionale.
3. Condanna del pacifismo come prospettiva e metodo di agitazione e di ogni federalismo mondiale tra gli Stati.
4. Condanna della doppia strategia che pretende conciliare fini rivoluzionari e di classe con agitazioni e rivendicazioni frontuniste, democratiche, popolari.
5. Dichiarazione che in Russia l’economia sociale tende al capitalismo, il potere statale nulla ha più di proletario, e condanna di un appoggio in guerra allo Stato russo.
6. Trasporto della forza di classe in tutti i paesi sul terreno dell’autonomia di fronte a tutti gli Stati, con lo scopo supremo di infrangere il potere capitalistico nei paesi industriali più progrediti di Occidente, che sbarra la via alla rivoluzione.
* * *
Appello
La crisi paurosa del movimento proletario
Il movimento organizzato delle classi lavoratrici in tutti i paesi del mondo è oggi praticamente dominato da due forze, espressioni entrambe di gravi e lunghi processi disgregatori e disfattisti.
Una è quella del tradizionale socialismo democratico, che programmaticamente afferma la collaborazione sociale e politica, il pacifismo di classe; limita la difesa degli interessi operai nel quadro costituzionale; per principio nega l’impiego della violenza e la dittatura proletaria, sostituendovi una graduale evoluzione dall’economia privata verso il socialismo.
L’altra forza dominante è quella dei partiti legati al governo che ha il potere in Russia. Essi lo proclamano potere operaio di classe; affermano che l’azione di tale potere statale, come quella propria, è coerente e conseguente al comunismo rivoluzionario secondo Marx e Lenin; secondo la grande storica vittoria dell’Ottobre russo.
Questa seconda forza del movimento proletario dice di non respingere per principio i metodi dell’insurrezione, della dittatura, del terrorismo, ma al tempo stesso sostiene che convenga adoperare, nei paesi capitalistici, non solo i metodi di azione, ma anche le rivendicazioni e i postulati di propaganda, che possono essere comuni a classi non proletarie e abbienti, come la pacifica convivenza dei ceti sociali di opposto interesse nei limiti delle istituzioni, la democrazia elettiva e parlamentare, il benessere del popolo e della nazione, l’avvenire e il destino della patria.
Condizione per l’applicazione di una tale politica, identica a quella della socialdemocrazia, sarebbe lo stato di pace tra i governi dei paesi borghesi e il governo russo - sarebbe il riconoscimento da parte dei lavoratori di tutto il mondo che la salvezza di tale potere è la garanzia del loro avvenire di classe contro lo sfruttamento capitalista, la premessa e la promessa del socialismo nel mondo - e nello stesso tempo sarebbe il riconoscimento, e da parte dei lavoratori e da parte dei borghesi, che un tale potere può convivere in permanenti normali e pacifiche relazioni con le potenze capitalistiche, in una indefinita prospettiva. Questo miraggio si definisce con la vecchia e bassa formula borghese e democratica di “non intervento nella politica interna degli altri paesi” e con la nuova ancora più insulsa di “emulazione” tra capitalismo e socialismo.
La stridente contraddizione di queste posizioni storiche ogni tanto determina reazioni tra le file della classe operaia e sono finora reazioni invero limitate e incerte, ma indubbiamente si andranno accentuando.
L’incessante, abile, organizzata e bene attrezzata propaganda che, a seconda degli ambienti sociali in cui lavora, gioca sulla artata confusione e inversione tra obiettivi prossimi e lontani, tra espedienti strategici e posizioni di principio, basta sempre meno a coprire quei controsensi e quegli inganni.
Convincere i capitalisti che il regime russo può bene essere lasciato vivere senza che li attacchi sul piano militare o fomenti nei loro paesi la rivolta sociale, non può avere altro senso che quello di convincerli che non si tratta di un regime proletario e anticapitalista, e del rendere palese una tale verità.
Convincere i lavoratori che si può desistere, nei paesi borghesi, dal concentrare gli sforzi sulla preparazione insurrezionale e dal disturbare l’interna macchina economica amministrativa e politica nazionale, può condurre ad ampi reclutamenti negli strati che danno alla socialdemocrazia i normali seguaci, ma non ha effetto sugli operai più avanzati, se non per la prospettiva che una guerra generale di Stati e di eserciti conduca alla conquista del potere di classe, che Marx e Lenin affidavano alla guerra civile. Scoppiata che fosse una tale guerra, da qualunque parte iniziata, gli stalinisti promettono a quei gruppi operai avanzati l’esperimento di tutte le azioni interne illegali e disfattiste, suffragando la vana promessa col facile motivo “partigianistico” che le forze insorte conterebbero non solo su se stesse ma sul parallelo agire di un perfetto apparato militare moderno.
In quanto poi all’altra massa dei loro seguaci, evidente enorme maggioranza, tratta da lavoratori non rivoluzionariamente formati, da artigiani, da piccoli proprietari rurali, da piccoli e medi borghesi del commercio e dell’industria, da impiegati e funzionari, da intellettuali e professionisti (strati cui rivolgono incessanti richiami, offrendo poi perfino unioni nazionali non solo a tutti i ceti ricchi, ma anche a quei partiti borghesi che essi stessi chiamano reazionari e di destra), gli stalinisti promettono l’avvento di pace interna e universale, di tolleranza democratica verso qualunque partito, organizzazione e confessione, di progresso economico senza urti e senza spoliazione di abbienti, di benessere parallelo per tutte le categorie sociali; essi sempre meno possono giustificare il ferreo sistema totalitario e di polizia vigente in Russia e nei paesi da questa controllati, l’irriducibile monopartitismo politico laddove hanno essi la forza statale.
Questo processo degenerativo del movimento del proletariato, come ha superato in profondità quello dell’opportunismo revisionista sciovinista della Seconda Internazionale, così lo supererà in durata. L’inizio di questo moderno opportunismo si può porre al più tardi al 1928; quello della Seconda Internazionale ebbe come ciclo culminante il decennio 1912-1922, con origini e sviluppi più estesi.
I primi sintomi di una reazione allo stalinismo
Negli ultimi tempi si vanno presentando come manifestazioni di insofferenza dell’opportunismo stalinista il dissentire di militanti e di gruppi che appaiono sulla scena politica di vari paesi proclamando di voler tornare sul terreno della dottrina di Marx e di Lenin, delle tesi rivoluzionarie proprie della Terza Internazionale alla sua fondazione, e denunziando il tradimento di tali principi consumato fino in fondo dagli stalinisti.
Tuttavia molte di queste secessioni non possono essere accolte come utili risultati dello schieramento di avanguardie sia pure poco numerose del proletariato su posizioni veramente di classe. Molti di questi gruppi, per la loro insufficiente preparazione teorica, per la loro origine, per la stessa natura della critica che svolgono all’azione passata e attuale degli stalinisti, si rivelano come influenzati più o meno indirettamente dalle manovre politiche emananti dalle potenze imperialiste occidentali, dalla loro potente ipocrita propaganda di umanitarismo e liberalismo.
I tentativi del genere sono più pericolosi in quanto trovino seguito in militanti ingenui, che in quanto eventualmente rispondano ad opera subdola di agenti segreti. Ma la fondamentale responsabilità storica per l’una e l’altra possibilità di successo del disfattismo controrivoluzionario va totalmente addossata all’opportunismo stalinista, al suo accreditamento su scala larghissima di ogni ideologia e postulato borghese, e al suo esasperato lavoro per cancellare da tutte le forme del movimento operaio le risorse di autonomia, indipendenza, autodifesa classista, che sempre Marx e Lenin posero al primo posto.
Questo decorso confuso e sfavorevole della lotta proletaria, coincidente coll’aumento inarrestabile dell’industrializzazione capitalistica altamente concentrata, sia come intensità nei paesi di origine che come dilagante diffusione in tutto il mondo abitato, viene a vantaggio della avanzata con cui la massima forza dell’imperialismo moderno, quella americana, tende, secondo la natura e la necessità di ogni grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione, e di potere, ad assoggettare al suo sfruttamento e alla sua oppressione, brutalmente spezzando ostacoli territoriali e sociali, le masse di tutto il mondo.
Nella stessa misura in cui sono andati passando da una lotta per fini internazionali ad una lotta per determinati fini nazionali del centro statale e militare russo, gli stalinisti si vanno riducendo sempre più impotenti all’una e all’altra, e complici dell’imperialismo di Occidente, come già lo sono stati dichiaratamente nell’alleanza di guerra.
Coerenti alla posizione marxista che ha sempre visto il primo nemico nei grandi poteri dei paesi super-industriali e super-coloniali del mondo, contro i quali solo la rivoluzione proletaria internazionale ha probabilità di vittoria, i comunisti della sinistra italiana rivolgono oggi un appello ai gruppi operai rivoluzionari in tutti i paesi, perché, riprendendo un lungo e difficile cammino, compiano un grande sforzo al fine di concentrarsi internazionalmente su stretta base di classe, denunciando e respingendo ogni gruppo influenzato sia pure parzialmente e indirettamente dalle suggestioni e dal conformismo filisteo delle propagande che infestano il mondo, emanando dalle forze statali, militari, di polizia, oggi ovunque costituite.
Il riordinamento di un’avanguardia internazionale non può avvenire che con assoluta omogeneità di vedute e di orientamento, e il partito comunista internazionalista propone ai compagni di tutti i paesi i seguenti capisaldi:
La rivendicazione delle armi della rivoluzione: violenza, dittatura, terrore
1. Per i marxisti rivoluzionari di sinistra non sono per se stessi elementi decisivi di condanna dello stalinismo, come di altro regime, le notizie, anche se controllabili e controllate, di atti di sopraffazione, di violenza o di crudeltà a danno di individui o di gruppi.
Le manifestazioni di costrizione anche spietata sono una sovrastruttura inseparabile da ogni società basata sulla divisione in classi. Il marxismo nacque dall’esclusione dei pretesi “valori” di una civiltà comune alle classi in lotta o delle pretese regole di “buon gioco” comune ai contendenti, per disciplinare le forme con cui devono derubarsi e ammazzarsi. Legale o illegale, ogni depredamento come ogni offesa alla “persona umana” od ogni “genocidio”, non si affrontano incriminando la responsabilità individuale di materiali esecutori o mandanti, ma lottando per la rivoluzionaria eversione di ogni divisione in classi. E sarebbe il più imbecille dei movimenti rivoluzionari, soprattutto nell’attuale fase del divenire sempre più atroce, efferato e supermilitarista del capitalismo, quello che si ponesse condizioni e limiti di gentilezza formale nei metodi di azione.
Rottura piena con la tradizione di alleanze di guerra, fronti partigiani e nazionali liberatori
2. L’irrevocabile condanna dello stalinismo sorge appunto dall’avere rinnegato questi capisaldi fondamentali del comunismo in quanto gettò tutte le forze che lo seguivano nella guerra fratricida schierante i proletari in due campi imperialisti, avvalorando in pieno la ignominiosa propaganda del gruppo con cui statalmente si alleava. Questo gruppo, in nulla dell’altro migliore, mascherava le sue storiche brame di rapina, palesi da decenni alla critica marxista e leninista, proprio sostenendo che lo distinguesse dall’avversario il rispetto dei metodi “civili” di guerra, pretendendo che avrebbe dal suo lato bombardato, atomizzato, invaso e finalmente impiccato dopo raffinate agonie, non per difendere i propri interessi, ma per restaurare gli offesi valori morali della civiltà e libertà umana.
Il leninismo era stata la risposta all’asservimento proletario al medesimo tremendo inganno, che nel 1914 vide i traditori dell’Internazionale proclamare l’alleanza patriottica contro il fantasma della “barbarie” teutonica o di quella zarista.
Ma il medesimo inganno fu a base dell’adesione alla guerra degli imperialisti occidentali contro la nuova “barbarie” nazista o fascista, e lo stesso tradimento fu il contenuto dell’alleanza tra Stato russo e Stati capitalistici, esperita in primo tempo con gli stessi nazisti, e di quella tra partiti operai e partiti borghesi nel sostenere la guerra.
Inganno e tradimento storicamente acquisiti, oggi che i russi denunziano gli americani come aggressori e fascisti, e i secondi dicono dei primi lo stesso, ammettendo che se avessero potuto adoperare a massacrare l’Europa la bomba atomica, non ancora pronta nel 1941, avrebbero fatto a meno di adoperare allo stesso scopo le armate in cui erano coscritti i lavoratori di Russia.
Il marxismo bene indagò e indaga l’origine di ogni conflitto tra Stati, gruppi e frazioni della borghesia, in lotta incessante, e ne trae le storiche deduzioni e previsioni. Ma è rinnegato il marxismo ogni qualvolta si oppone una ala civile a una barbara del mondo capitalistico; essendo sempre deterministicamente possibile che abbia effetti e sviluppi più utili al proletariato la vittoria di quella delle parti in lotta che attacca, aggredisce o usa metodi più aspri di lotta.
Barbarie era lo stato primitivo umano da cui le comunità dovevano uscire per l’indispensabile sviluppo della tecnica produttiva, ma l’uomo pagò questo trapasso con le infinite infamie delle civiltà di classe e le sofferenze dello sfruttamento schiavistico, terriero, industriale.
E’ quindi direttrice di base per il rinnovato movimento internazionale rivoluzionario la condanna allo stesso titolo di ogni tradizione collegata tanto alla politica socialsciovinista 1914-1918, quanto a quella 1940-1945 di alleanza di guerra, di fronti popolari, di resistenze partigiane, di liberazione nazionale.
Negazione storica del difesismo, del pacifismo e del federalismo tra gli Stati
3. Caposaldo della posizione marxista dinnanzi all’ulteriore prospettiva di guerra è quella leninista, secondo il quale dall’epoca della Comune (1871) le guerre delle grandi potenze sono imperialiste, essendo chiuso il periodo storico delle guerre e insurrezioni di sistemazione nazionale nei paesi borghesi; ed è quindi tradimento della causa del proletariato ogni alleanza di classe in caso e a fini di guerra, ogni sospensione, per motivo di guerra, dell’opposizione, della pressione di classe.
E per Lenin le rivolte coloniali delle masse di colore contro l’imperialismo, e i moti nazionali nei paesi arretrati, hanno portata rivoluzionaria nell’attuale epoca capitalistica avanzata, a condizione che nelle metropoli mai la lotta di classe sia sospesa, mai deviata dal suo collegamento internazionale, qualunque politica estera faccia lo Stato, ossia il vero nemico interno della classe operaia di ogni paese.
In questa concezione, e tanto più dopo la formidabile conferma data dalla guerra mondiale numero due alle tante esplicite previsioni delle tesi e delle risoluzioni della Terza Internazionale al tempo della morte di Lenin, il periodo delle guerre imperialiste non può essere chiuso che dalla caduta del capitalismo.
Il partito proletario rivoluzionario deve dunque negare ogni possibilità di regolazione pacifista dei conflitti imperiali, e combattere aspramente l’inganno contenuto in qualunque proposta di federazioni, leghe e associazioni tra gli Stati, che dovrebbe avere il potere di impedire i conflitti, possedendo una forza internazionale armata per reprimere chi li provoca.
Conformemente ai princìpi di Marx e di Lenin, che, pur cogliendo tutta la ricca complessità dei rapporti storici tra guerre e rivoluzioni, condannano come insidia idealistica e borghese ogni distinzione capziosa tra aggressione e difesa nella guerra tra gli Stati, i proletari rivoluzionari vedono in tutti gli istituti superstatali internazionali solo una risorsa e una forza per la conservazione del capitalismo; nei loro corpi armati una polizia di classe e una guardia controrivoluzionaria.
Caratteristica dunque dei comunisti internazionalisti è il respingere senza riserve tutta l’equivoca propaganda basata sull’apologia del pacifismo e sull’insulsa formula della condanna e delle sanzioni contro l’aggressore.
CONDANNA DI PROGRAMMI SOCIALI COMUNI E DI FRONTI POLITICI CON LE CLASSI NON SALARIATE
4. E’ tradizione dell’opposizione di sinistra di molti gruppi, sia italiani che degli altri paesi, e risale ai primi errori nella tattica della Terza Internazionale or son trent’anni, il respingere la falsa posizione dei problemi di agitazione, assai male qualificata come metodo bolscevico.
Soprattutto da quando l’eliminazione di ogni istituto e potere feudale è un fatto compiuto e irrevocabile, non è possibile lavorare nella direzione del finale urto armato tra proletariato e borghesia, dell’instaurazione del potere operaio e della dittatura rossa in tutti i paesi, del terrore politico e dell’espropriazione economica applicata alle classi privilegiate di ogni nazione, e nello stesso tempo sottacere per dati periodi e in date situazioni tale aperto programma, proprio del comunismo e di lui solo.
E’ illusione conquistare le masse più rapidamente sostituendo a quei postulati di classe consegne di agitazione ad effetto popolare, come è illusione disfattista la vantata garanzia che i capi della manovra non vi credono soggettivamente; nel migliore dei casi questo è puro non-senso.
Ogni volta che il contenuto centrale (protestato sempre come passeggero) della manovra politica è stato il fronte unitario con partiti opportunisti, le rivendicazioni di democrazia, di pace, di un popolarismo aclassista, peggio, di una solidarietà nazionale e patriottica di classe, non si è trattato di elevare abili scenari e miraggi, caduti i quali in un momento culminante sarebbero apparse in campo aperto più numerose falangi di soldati della rivoluzione, pronte a piombare anche sui transitori alleati di ieri, avendo indebolito il fronte nemico.
All’opposto, è sempre accaduto che masse, militanti, capi sono divenuti impotenti all’azione di classe; e organizzazioni e inquadramenti progressivamente disarmati e addomesticati si sono resi adatti per la loro preparazione ideologica e funzionale ad agire come strumenti della borghesia dominante, e come i migliori tra questi.
Questo storico risultato non si fonda ormai solo sulla critica dottrinale, ma sorge da una terribile esperienza storica di trent’anni di fallimenti degli sforzi rivoluzionari, pagati a carissimo prezzo.
Il partito rivoluzionario non tenterà mai, dunque, una maggiore conquista di successo quantitativo tra le masse impiegando rivendicazioni suscettibili di essere fatte proprie da classi non proletarie e socialmente ibride.
Questo criterio distintivo di base non è contro le rivendicazioni immediate e particolari che si appoggiano sul piano economico del concreto antagonismo di interessi tra salariati e imprenditori, ma è contro rivendicazioni aclassiste e interclassiste, soprattutto nel campo generale della politica di un paese e di tutti i paesi.
Questo criterio, da cui si trasse la critica del fronte unico politico proletario, della parola del governo operaio, dei fronti popolari, dei fronti democratici stabilisce il limite tra il movimento a cui tendiamo e quello che si dice trotzkista della IV Internazionale, come con tutte le versioni affini che in forme nuove rinnovano la parola d’ordine della degenerazione revisionista: il fine è nulla, il movimento è tutto; e inseguono agitazioni superficiali prive di contenuto.
PROCLAMAZIONE DEL CARATTERE CAPITALISTA NELLA STRUTTURA SOCIALE RUSSA
5. Gli svolgimenti dell’economia, dell’amministrazione e della legislazione da quasi trent’anni, non meno della clamorosa repressione e sterminio del nucleo rivoluzionario bolscevico (che ha duramente pagata la colpa di lasciar trasformare il ferreo partito di avanguardia comunista in una pletorica massa amorfa, passiva e incapace di controllo del proprio ingranaggio di direzione e di esecuzione) danno la prova storica che la rivoluzione operaia può soccombere, oltre che in una sanguinosa guerra civile come a Parigi nel 1871, anche per una via di progressiva degenerazione.
Il carattere monetario, mercantile, redditiero e titolaristico del tessuto economico russo predominante, per nulla inficiato dalle statizzazioni di grandi industrie e servizi analoghi a quelli di molti grandi paesi di puro capitalismo, ci pone in presenza non di uno Stato operaio minacciato di degenerazione e in corso di degenerazione, bensì di uno Stato già degenerato, in cui il proletariato non ha più il potere; lo ha in sua vece ormai un’ibrida coalizione e fluida associazione tra interessi interni di classi piccolo-borghesi, medio-borghesi intraprenditrici dissimulate, e quelli capitalistici internazionali; convergenza solo apparentemente ostacolata da una cortina confinaria poliziesca e commerciale.
CONCLUSIONE
Sconfessione di ogni appoggio al militarismo imperiale russo. Aperto disfattismo contro quello americano. Di conseguenza una guerra che esteriormente sembri arrestare (come sembrano farlo tutte le guerre) un simile processo di intesa tra i ceti privilegiati dei vari paesi sull’amministrazione del mondo non sarà la guerra rivoluzionaria nel senso di Lenin per la protezione e la diffusione del potere proletario nel mondo.
Una simile eventualità storica, che non è l’odierna, mai comporterebbe la giustificazione del blocco militare e politico in un qualunque paese, e ciò anzitutto perché gli Stati rivoluzionari, se tali, non potranno avere alleati nel campo borghese (come fu evidente nel periodo finale della Prima Guerra Mondiale). In una tale ipotesi un forte partito internazionale comunista sarebbe condotto a distribuire nel tempo gli attacchi ai poteri borghesi da parte delle sue sezioni procurando di arrestare le spedizioni militari “punitive” avanzanti sul paese rivoluzionario, ottenendo che i lavoratori armati e mobilitati a un tale scopo capovolgessero le armi.
In ogni grado di meno avanzato sviluppo, di minore potenziale combattente, a più forte ragione ogni movimento rivoluzionario manterrà ovunque e senza riserve lo schieramento antiborghese e antistatale.
I comunisti sanno che in un sol modo si fermerà la spedizione punitiva antiproletaria del capitalismo: con la sua distruzione. E si perverrà a distruggerlo solo tenendo ovunque l’avanguardia di classe sul piede di guerra contro di lui.
Il disarmo anche transitorio, sia esso ideologico, organizzativo e materiale, dello schieramento di classe è sempre e ovunque tradimento. Nessuna facoltà di praticarlo potrà spettare alla centrale del movimento comunista, per affermata che sia la disciplina che le rimette la scelta dei momenti o dei movimenti di azione sul fronte di tutto il partito. Ogni partito e ogni gruppo che un tale disarmo attuano, soprattutto in quanto si chiamano operai comunisti o socialisti, sono il primo nemico da combattere e abbattere, perché è proprio la loro esistenza e la loro funzione che ritarda la catastrofe del regime borghese, antiveduta da Marx e da Engels, sicuramente attesa da tutti i rivoluzionari marxisti.
L’opposta strategia politica che nell’ultima guerra applicarono i relitti della grande Internazionale Comunista, giunta fino alla vergognosa autoliquidazione, perché i governi occidentali “non fossero disturbati nello sforzo bellico”, non è sboccata che nel rafforzamento di un potere imperialista occidentale, che troppo tardi governo e stato maggiore russo riconoscono più minaccioso di quello tedesco, agli stessi loro fini ormai di aperto carattere nazionale.
Mentre non meno vuoto e sinistro appare il nuovo ricorso all’accusa di barbarie e di fascismo, del resto con uguale improntitudine ricambiata dal fronte del “mondo libero”, i lavoratori rivoluzionari di avanguardia devono mirare a ritessere le loro file per un combattimento che non attenda munizioni dagli opposti militarismi costituiti di oggi, augurando che la crisi e la catastrofe invano attese da centocinquant’anni penetrino nel cuore degli Stati del massimo potenziale industriale: guardia nera del mondo che nessuno ha finora saputo far vacillare.
Partito Comunista Internazionale
Il comunista - le prolétaire - el proletario - proletarian - programme communiste - el programa comunista - Communist Program
www.pcint.org
Top - Ritorno indice - Ritorno al catalogo delle pubblicazioni