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Tesi e testi della Sinistra comunista - Secondo dopoguerra -1945-1955

11. Contributi alla organica ripresentazione storica della teoria rivoluzionaria marxista (1951-1952)


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• Appendice II.

 

Introduzione

Lettere tra Onorio e Alfa (1951)

- Onorio ad Alfa (6 luglio 1951)

- Alfa ad Onorio (9 luglio 1951)

- Onorio ad Alfa (23 luglio 1951)

- Alfa ad Onorio (31 luglio 1951)

 

 

Introduzione

 

Per comprendere le discussioni che sorsero nel partito tra il suo primo congresso del 1945 a Torino e il secondo congresso del 1948 a Firenze non si può non tener conto del fatto che la maggioranza dei compagni che in Italia avevano preso l'iniziativa, nel 1943, di costituire formalmente il partito sulla base del programma del PCd'I Livorno '21 e delle battaglie politiche condotte all'interno del PCd'I fino al 1926-27 e poi al suo esterno, nei gruppi esiliati in  Francia e Belgio che costituirono la Frazione di sinistra del PCd'I a Parigi nel 1928, pur spinti da uno spirito battagliero contro lo stalinismo  mai venuto meno, nemmeno durante la seconda guerra mondiale, non erano all'altezza di porre a base del ricostituito partito comunista internazionalista un effettivo bilancio dinamico della controrivoluzione che, con lo stalinismo, aveva eliminato fisicamente la vecchia guardia bolscevica falsando il marxismo come nessuna ondata storica opportunista precedente era mai riuscita a fare. Oggettivamente il programma politico del PCd'I del 1921 non dava tutte le risposte necessarie alla situazione che si era determinata con la vittoria della teoria del socialismo in un paese solo, con la seconda guerra imperialista mondiale e la vittoria delle forze imperialiste democratiche occidentali a cui si era alleata la Russia staliniana e con un proletariato mondiale caduto talmente in profondità nell'assenza di lotta classista da non aver avuto la forza – come invece avvenne in  Germania, in Russia, in Ungheria, in Francia, in Italia prima durante e dopo la prima guerra imperialista mondiale – di opporsi alla guerra sul terreno della lotta di classe. Fu anzi portato a parteciparvi su entrambi i fronti bellici sostenendo decisamente le proprie classi dominanti, nazifasciste, democratiche o nazionalcomuniste che fossero, contribuendo in questo modo alla propria ulteriore sconfitta come classe indipendente e rivoluzionaria, posponendo di decenni la possibilità di riconquistare il terreno della lotta di classe e rivoluzionaria.

I compagni italiani della Sinistra comunista potevano però contare su un passato di tenaci battaglie di classe a cui ricollegarsi e su elementi che, oltre a resistere individualmente alle pressioni fisiche, economiche, politiche, morali esercitate senza alcuna limitazione da parte borghese e stalinista, avevano conservato l'attitudine a rifarsi alla teoria marxista non adulterata per spiegare qualsiasi fenomeno sociale – attitudine che aveva distinto la corrente della Sinistra comunista d'Italia fin dalle sue origini – tanto più di fronte alle controrivoluzioni. Tra questi elementi c'era Amadeo Bordiga, ancora saldo sulle posizioni della Sinistra comunista difese fino all'ultima possibilità orale e scritta di parola, anche durante gli anni di prigione, di confino e di guerra, e che rappresentava oggettivamente il punto di riferimento principale per riprendere un'attività politica comunista rivoluzionaria che il fascismo, lo stalinismo e la democrazia vincitrice nella seconda guerra imperialista avevano spezzato. C'erano compagni che tendevano più a dare seguito alle posizioni sostenute da Trotsky (Stato russo come Stato proletario degenerato, ma non borghese, democrazia come utile alternativa al fascismo e come diga necessaria ad un suo eventuale ritorno, fronte unico politico come tattica sempre valida accompagnata da quella che fu definita come «entrismo» nei partiti stalinisti per deviare il loro orientamento sulla prospettiva rivoluzionaria, ecc.) che alla Sinistra comunista d'Italia, considerata come troppo «teoricista» e incapace di attività «politica». Si è visto poi che vergognosa fine hanno fatto i gruppi trotskisti.

Dicendo nelle Tesi caratteristiche del dicembre 1951 che la terza ondata opportunista, dal 1926 – ossia dalla teoria del «socialismo in un paese solo» che ne condensa tutte le possibili varianti – conteneva le posizioni opportuniste della prima e della seconda ondata (il revisionismo socialdemocratico e il socialsciovinismo del 1914) alle quale aggiungeva le forme di azioni di combattimento e di guerra civile, intendevamo anche dire che la lotta contro questa terza ondata opportunista non esentava le poche forze del comunismo marxista che si stavano riorganizzando dalla lotta contro il revisionismo socialdemocratico e contro il socialsciovinismo che si erano sviluppati nel partigianismo combattente e lottarmatista. La situazione di estrema depressione della lotta di classe proletaria forniva ad ogni tipo di opportunismo terreno fertile per rispuntare nelle file proletarie e, quindi, anche nelle file del partito che è un organo di battaglia che vive e agisce nella società presente e che da questa società riceve inevitabilmente colpi, attacchi, repressioni ma anche influenze politiche, tattiche e organizzative tanto da poter attaccare le tesi fondative del partito comunista rivoluzionario senza metterle in discussione direttamente, frontalmente, ma svuotandole rendendo la loro intransigenza e la loro inflessibilità un esercizio soltanto intellettuale.

Il partito, per avere la possibilità di rappresentare effettivamente la guida rivoluzionaria del proletariato internazionale e prepararsi a diventarlo nella situazione storica favorevole allo svolto rivoluzionario, non poteva esimersi da un lavoro a sua volta preventivo, preparatorio che consisteva nella restaurazione della dottrina marxista, cosa che non poteva avvenire nel giro di pochi mesi o anni. Senza teoria marxista non vi sarà mai rivoluzione comunista, lo dissero più e più volte i grandi artefici della Rivoluzione d'Ottobre. Ma lavorare alla restaurazione del marxismo dopo la devastazione subìta per opera dello stalinismo non significava ripubblicare semplicemente le tesi del PCd'I dal 1921 al 1926 e le tesi dell'Internazionale deliberate al II congresso del 1920. La teoria, dunque le sue tesi e i suoi fondamenti, vanno studiati, assimiliati, ripresi costantemente in un'opera permanente di conferma storica di fronte alle diverse situazioni che si sono presentate e si presentano, applicando il metodo marxista, cioè il materialismo storico e dialettico;  ciò significa attrezzare il partito di classe non solo con i principi della teoria e con un programma politico ad essi corrispondenti, ma con l'uso costante del metodo marxista, l'unico che dà al partito la possibilità di valutare le situazioni in tutti i loro punti di forza e di debolezza, e dare così al partito, sia nei momenti storici di grande depressione della lotta di classe, sia in quelli in cui le condizioni oggettive e soggettive sono favorevoli alla lotta di classe e alla  rivoluzione, in un dato paese o in più paesi, la possibilità di agire senza mettere a repentaglio la saldezza teorica e l'organicità organizzativa.

E' con questo obiettivo che si svolse l'opera di restaurazione della dottrina marxista a cui Bordiga e i compagni che lo affiancarono dedicarono le loro migliori forze. Coerente con la posizione che vedeva come prioritario il lavoro di restaurazione teorica su cui poi costituire il partito che doveva raggruppare forza omogenee, Bordiga non aderì mai formalmente al Partito comunista internazionalista; diede il suo contributo, d'altra parte richiesto con forza e insistenza dagli stessi compagni del partito di allora, senza chiedere nulla in cambio, senza pretendere di far parte del Comitato Centrale o del Comitato Esecutivo o di avere l'ultima parola per una specie di investitura formale. Il suo contributo si attuò fin dai primi incontri che i diversi compagni vollero avere con lui appena la situazione reale lo consentiva, e iniziò con la stesura, ai primi del 1945, insieme ad altri compagni, della Piattaforma politica del Partito, poi ripresa in una delle Tesi della Sinistra, definendo con più precisione la valutazione della situazione: Le prospettive del dopoguerra in relazione alla piattaforma del Partito,  ridimensionando il giudizio «ottimistico» della situazione contenuto nella Piattaforma. La rivista «Prometeo, Ricerche e Battaglie Marxiste», ospiterà, fin dal suo primo numero del luglio 1946, i contributi di Bordiga, a partire dal Tracciato di impostazione, e sia nella forma appunto di «Tesi della Sinistra», sia come testi, come gli Elementi dell'economia marxista, utilizzati da Bordiga al confino di Ponza nei corsi tenuti per i detenuti, e Proprietà e Capitale come riassunto del Libro I del Capitale di Marx, sia come editoriali. Non mancò il suo contributo anche al giornale del partito, battaglia comunista, che, dal 1949  iniziò ad ospitare i fili del tempo; successivamente, dal 1951, partecipò alle riunioni generali del partito, da quella di Roma dell'aprile e di Napoli del settembre dello stesso anno, fino a quella del settembre 1952, dopo la quale nel partito scoppiò la inevitabile scissione.

Già in precedenza, dopo il fallimento del congresso di Firenze del 1948, nei gruppi di compagni francesi che facevano riferimento alla Sinistra comunista d'Italia (la GCF e la FFGC), nel 1949, avvenne una scissione che vide l'uscita di molti di loro che andarono a raggiungere il gruppo trotskisteggiante della rivista «Socialisme ou Barbarie». Si trattò di uno dei tanti scossoni di cui, in questo caso, furono protagonisti i gruppi di compagni in Francia che si erano organizzati intorno ai vecchi compagni italiani della Sinistra presenti in Francia e in Belgio dai tempi dell'esilio dall'Italia fascista e rimasti i questi paesi anche dopo la fine della guerra.

Ai contributi teorici e politici di Bordiga facevano riferimento parecchi compagni assumendo con più convinzione quanto in qui testi sostenuto contro la quale linea iniziavano a formarsi posizioni più precise, soprattutto da parte di Damen e dei compagni a lui più vicini, costituendo una tendenza che evolverà poi in una vera e propria frazione che si prenderà la responsabilità di organizzare la scissione formalizzatasi nel settembre-ottobre 1952 con l'azione legale per sottrarre al partito il suo giornale «battaglia comunista» e la sua rivista "Prometeo». Le questioni su cui emergeranno i dissensi e, infine, lo scontro tra posizioni in netto contrasto tra di loro, spaziavano su diverse questioni: dall'organizzazione del partito e dei suoi criteri organizzativi (che facevano capo al cosiddetto centralismo democratico con la sua coda organizzativistica – ripresa d'altra parte dallo Statuto del PCd'I del 1922 – ma che puntava sempre e comunque a mettere programma, linea tattica e criteri organizzativi del partito nelle mani dei periodici congressi e delle loro oscillanti maggioranze) alle valutazioni delle situazioni sia in campo politico generale che in campo di attività pratica del partito, e in particolare in campo sindacale, dettando di volta in volta gli obiettivi immediati da perseguire. Metodo, questo, che aveva già abbondantemente mostrato la sua fallacia nell'esperienza della Terza Internazionale e che proprio il lavoro di restaurazione teorica del marxismo e di bilancio del corso di sviluppo del movimento comunista internazionale confermava sempre più come metodo da superare attraverso quello che già nel 1921 era stato definito come centralismo organico (1).

Ma ciò che premeva di più a Bordiga era portare le discussioni e le incomprensioni sul piano della valutazione della situazione generale che si era prodotta con la seconda guerra imperialista e il suo dopoguerra, valutazione che per i marxisti è sempre stata una questione di teoria e non di interpretazione personale. Su questa linea Bordiga insistette attraverso i «fili del tempo», i molteplici contributi teorici e storico-politici di carattere generale pubblicati su «Prometeo» (che dal 1946 continuò in ogni numero apparso fino al n. 3-4 del luglio-settembre 1952, vigilia della scissione) e, attraverso i suoi rapporti alle riunioni generali (all'epoca, per vecchia abitudine, le chiamavano interfederali) riassunti, dal 1951 al 1952,  nel Bollettino Interno citato e nel fascicolo intitolato «Sul filo del tempo» del maggio 1953. Emerse così la necessità non solo di richiamarsi al marxismo, alle tesi di Lenin e a quelle del PCd'I, ma di rimettere in piedi i concetti basilari del marxismo partendo dalle definizioni di base: che cos'è il capitalismo ?, che cosa lo distingue dal feudalismo, e dal socialismo?

La «questione russa» che, in parte, è oggetto delle lettere tra Damen (Onorio) e Bordiga (Alfa), poneva oggettivamente il problema di riannodare i concetti marxisti di base, e non solo sul piano economico, ma anche su quello storico e sociale, richiamando ovviamente il materialismo storico e dialettico. La lotta contro l'impazienza attivistica che caratterizzava il gruppo che seguì Damen non cessò con la scissione, perché questo tipo di opportunismo, ben presente nel movimento operaio da sempre, si ripresenta costantemente e perciò nel partito è doveroso non abbassare mai la guardia. I 4 numeri del nuovo giornale di partito, «il programma comunista», che copriranno i mesi di ottobre-dicembre 1952, non per nulla saranno dedicati al «filo del tempo» Dialogato con Stalin con il quale non ci si occupò solo dell'economia «russa» e della pretesa staliniana di aver avviato la costruzione del «socialismo» nella sola Russia, ma si ribadirono i concetti fondamentali dell'economia marxista validi sempre e per ogni paese.

 


 

(1) Cfr. l'articolo di Bordiga Il principio democratico, Rassegna Comunista, n. 18, 28.2.1922, ripubblicato poi nel n. 4 dei "testi del partito comunista internazionale" Partito e classe, Napoli 1972; l'argomento è stato approfondito più volte, anche in riunioni generali di partito, il cui risultato è stata la pubblicazione del Reprint "il comunista" n. 4, settembre 2008.

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Le lettere tra Onorio e Alfa

(1951)

 

Dopo l'Appello per la riorganizzazione internazionale del movimento, del 1949,in cui nei Capisaldi di orientamento vi è il punto 5): «Dichiarazione che in Russia l'economia sociale tende al capitalismo, il potere statale nulla ha più di proletario, e condanna di un appoggio in guerra allo Stato russo», Bordiga (Alfa) scriverà diversi «fili del tempo» sulla questione dello Stato, del capitalismo di Stato e sulla più potente centrale dell'imperialismo mondiale, l'America; questioni su cui interverrà Damen (Onorio), dopo due anni e mezzo, nelle sue lettere del 1951 ad Alfa di cui qui ci occupiamo. In realtà il dissenso espresso da una parte del partito e di cui si fece portavoce Damen andò a toccare praticamente tutti i punti fondamentali della dottrina marxista, dalla concezione stessa del Partito alla questione «sindacale», dalla valutazione del secondo dopoguerra alla conseguente «strategia politica» del Partito e del suo atteggiamento tattico, dalla concezione della «decadenza» del capitalismo alla concezione dell'imperialismo ecc. Come nelle abitudini di Amadeo Bordiga, le lettere tra compagni dovevano servire per evidenziare i punti teorici, programmatici, politici, tattici e organizzativi che dovevano essere ulteriormente ripresi, chiariti e trattati più a fondo allo scopo di togliere possibili interpretazioni sbagliate ed equivoche e su cui ci si impegnava a lavorare per fornire al partito documenti, punti fermi e tesi che dovevano diventare patrimonio collettivo del partito al di là e al di sopra dei loro autori. E' con questo spirito che Amadeo Bordiga rispose alle sollecitazioni e alle critiche avanzate da Damen su questioni certamente non di secondaria importanza.

I rapporti tenuti nelle riunioni successive, che si aggiunsero al cospicuo contributo orale e scritto di Amadeo Bordiga al lavoro di partito, erano intesi alla stessa maniera, e non per nulla Amadeo stesso definiva questi contributi – usciti dalla sua penna o dalla penna di qualsiasi altro compagno – come semilavorati. Ciò che Amadeo Bordiga non sopportava era l'atteggiamento saccente dei critici che amavano puntare il dito contro questa o quella tesi senza mai mettere in campo lavori teorici dello stessi tenore e sui quali sarebbe stato molto più proficua la discussione e il chiarimento.

Va tenuto presente, inoltre, che l'atteggiamento dissenziente e critico di Damen rispetto alla conduzione politica e organizzativa del partito da parte della maggioranza dei compagni che costituivano il Comitato Esecutivo e la redazione del giornale (considerati dai damenisti semplici portavoce di Amadeo Bordiga il quale, non essendo nemmeno iscritto al partito, non avrebbe dovuto «meritare» la posizione autorevole che molti compagni gli riconoscevano) lo portò nel giugno 1950 a dimettersi dal CE di cui faceva parte (lo seguirà nel dicembre dello stesso anno un altro componente dell'Esecutivo, Bottaioli che era l'intestatario della «proprietà commerciale» di «battaglia comunista», usata nel 1952 per l'azione legale al fine di spezzare la continuità organizativa e politica del partito rappresnetata appunto dal gionale e dalla rivista «Prometeo»). Ma le dimissioni di Damen non scossero il partito da cima a fondo provocando una crisi generale, come lui si aspettava. Damen e il gruppo di compagni che ne sostenevano le posizioni insistevano perché si tenesse il secondo congresso del partito, accusando la direzione del partito di «non applicare la linea politica e le decisioni uscite dal congresso di Firenze del 1948», cioè di un congresso che non seppe nemmeno mettere a fuoco i due temi principali da cui poi trarre tutte le conseguenze politiche: qual è la fase del mondo capitalista che si sta attraversando, e quali lezioni trarre dalla degenerazione rivoluzionaria. Aldilà delle vicende personali di tizio e caio, sta di fatto che a quei temi fondamentali la frazione di Damen non seppe dare risposta ineccepibile dal punto di vista marxista, e le lettere che indirizzò ad Amadeo Bordiga in quel luglio 1951 lo dimostrano.

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Onorio ad Alfa

 

6 luglio 1951

 

Ho esaminato il tuo documento redatto sulla traccia dei tuoi motivi di assalto contro certe posizioni teoriche e politiche prevalenti in alcuni gruppi internazionali provenienti quasi tutti dal trotskismo, e ti dico subito che sotto certi aspetti ho preferito allo scritto la tua esposizione orale di Roma per una maggiore acutezza di analisi e forse anche per una maggiore compiutezza.

Ti riassumo qualche mia osservazione affrettata.

Nel capoverso 5 dei capisaldi di orientamento affermi che in Russia l’economia tende al capitalismo e ne dai la ragione a pag. 8 dove scrivi che «il carattere monetario, mercantile, redditiero e titolaristico del tessuto economico russo predominante, per nulla inficiato dalle statizzazioni di grandi industrie, servizi, ecc..»; non mi pare che tu contribuisca con ciò a precisare l’idea di ,una economia sovietica a struttura di capitalismo di Stato in un mondo economico nella fase più acuta del suo sviluppo monopolistico.

La tendenza a un sempre maggior intervento dello Stato, che è caratteristica di questa fase dell’economia nei paesi industrialmente più progrediti, trova nella economia sovietica la sua manifestazione più organica, più definita e completa. Sulla generale linea di sviluppo del capitalismo monopolistico la Russia ha potuto bruciare più d’una tappa, grazie alla Rivoluzione d’ottobre che ha consentito l’accentramento più assoluto dell’economia nell’ambito dello Stato, e grazie alla controrivoluzione stalinista che si è servita di questo enorme potenziale economico così accentrato per ingigantire il potere dello Stato e dare l’avvio all’esperienza estrema del capitalismo.

Il protagonista di questa fase della storia è dunque lo Stato la cui economia riproduce i modi e i caratteri, su scala forse allargata, propri della produzione e della distribuzione capitalistiche (salario, mercato, plusvalore, accumulazione, ecc.).

Quale la nuova classe che attraverso questo Stato esercita la propria dittatura? La strapotenza dello Stato sovietico non può non aver risolto in concreto il problema d’una sua classe dirigente omogenea e forte, per la coscienza che ha del proprio essere di classe e della funzione storica che è chiamata a compiere.

Non mi pare che quanto tu scrivi in proposito sia soddisfacente e porti elementi risolutivi tra gruppi internazionali così divisi e smarriti su questo problema della definizione della nuova classe dirigente sovietica. Non è storicamente possibile che il più accentrato e ferreo esercizio del potere che la storia ricordi possa essere demandato ad una «ibrida coalizione e fluida associazione tra interessi interni di classi piccolo-borghesi, medio-borghesi, intraprenditrici dissimulate, e quelli capitalistici internazionali, ecc.».

Sempre nel capoverso 5 dei capisaldi di orientamento, al «trasporto delle forze di classe in tutti i paesi sul terreno dell’autonomia di fronte a tutti gli Stati» tu affidi il compito supremo di « infrangere il potere capitalistico nei paesi industriali più progrediti di occidente che sbarra la via alla rivoluzione ». C’è da domandarsi: proprio soltanto i paesi industriali più progrediti di occidente sbarrano la via alla rivoluzione?

Inoltre a pag. 3 sempre sullo stesso argomento scrivi: « Questo decorso confuso e sfavorevole della lotta proletaria, coincidente coll’aumento inarrestabile della industrializzazione capitalista altamente concentrata, sia come intensità nei paesi di origine che come dilagante diffusione in tutto il mondo abitato, viene a vantaggio dell’avanzata con cui la massima forza dell’imperialismo moderno, quella americana, tende, secondo la natura e la necessità di ogni grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione, di potere, ad assoggettare al suo sfruttamento e alla sua oppressione, brutalmente spezzando ostacoli territoriali e sociali, le masse dì tutto il mondo »

C’è ancora da chiedersi: proprio soltanto la massima forza dell’imperialismo moderno, quella americana, tende ad assoggettare, ecc. le masse di tutto il mondo?

In un altro passo di un altro tuo scritto recente, che non ho però sotto gli occhi, parli di una Russia pacifista di fronte ad un’America bellicista.

« Il motivo conduttore è poi sempre lo stesso; soltanto per un errore della diplomazia sovietica e per un falso calcolo dei suoi uomini politici venne applicata nell’ultima guerra quella tale strategia politica che è sboccata – lasciamo andare a quella vergognosa autoliquidazione dei relitti della grande Internazionale Comunista – (non erano già forse marci fin nelle ossa e legati anima e corpo all’imperialismo?) nel rafforzamento di un potere imperialista occidentale, che troppo tardi governo e stato maggiore russi riconoscevano più minaccioso di quello tedesco, agli stessi loro fini ormai di aperto carattere nazionale ». In una parola Mosca è vista come la centrale di una errata politica, antiproduttiva anche dal punto di vista del puro interesse nazionalistico, e non come la centrale d’un imperialismo alla pari con quello americano nel porre in funzione russa il problema del dominio del mondo.

La rivoluzione anticapitalistica del proletariato non esclude, voglio sperare, il regime sovietico e non si muove secondo i criteri di una graduatoria dei Paesi capitalistici da abbattere, ma colpisce l’avversario, quando e come può, là ove questi appare più debole; ha colpito ad es. nel 1917 il capitalismo internazionale nella Russia zarista non considerata certamente matura ai fini del socialismo in confronto all’Inghilterra, alla Germania ecc., e noi ne conosciamo bene le ragioni.

Per il resto accentuerei l’analisi critica consentita dalla constatazione che l’avversione allo stalinismo di ogni secessione parte più dalla spinta della difesa della personalità umana e della indipendenza nazionale che da una esigenza di classe e dalla preoccupazione di portare materiale vivo e operante alla ricostruzione del partito internazionale del proletariato.

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Alfa ad Onorio

 

9 luglio 1951 

 

Ho certamente gradito il contributo delle osservazioni tue all’appello internazionale da me proposto, e ti rispondo subito sulle cose principali.

Prendo prima la tua osservazione relativa alla pag. 3. Domandi: proprio soltanto l’America tende ad assoggettare etc.? – Ma tu stesso hai riportato l’inciso mio; secondo la natura e la necessità di ogni grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione e di potere.

Dunque non solo l’America, ma ogni concentramento. Dove e quali nei successivi momenti storici tali concentramenti? Qui il punto. Portiamo in conto: territorio e sue risorse, popolazione, sviluppo della macchina industriale, numero del proletariato moderno, possessi coloniali come materie prime, riserve umane, mercati, continuità storica del potere statale, esito delle guerre recenti, progresso nel concentramento mondiale delle forze sia produttive che di armamento. Ed allora possiamo concludere che nel 1905 o 6 grandi potenze erano sullo stesso fronte o quasi, nel 1914 poniamo si fronteggiavano Inghilterra e Germania; oggi? Esaminati tutti quei fattori si vede che l’America è il concentramento n. 1 nel senso, oltre tutto il resto, ed oltre la probabilità di vincere in ulteriori conflitti, che sicuramente può intervenire ovunque una rivoluzione anticapitalista vincesse. In questo senso storico dico che oggi la rivoluzione, che non può che essere internazionale, perde il tempo se non fa fuori lo stato di Washington. Ciò significa che ne siamo ancora lontani? Okei.

Veniamo poi alla solita richiesta; analisi e definizione della odierna società russa. Ti sarà noto che penso che su tale punto si può e deve dire poco e con circospezione. È una elaborazione compiuta dal movimento in un lungo periodo, un dato nuovo della storia, il primo caso di rivoluzione che si rincartoccia in sé e sparisce; io do il contributo che posso e non credo che vi sia il sommo sacerdote che aperto il Talmùd al versetto così e così risponda così e così. Naturalmente ne dissi a Roma di più e ne andrò dicendo di più in «Prometeo», a tempo. Tu paragoni due cose che stanno su diversi piani: veramente preoccupa un poco tanto difetto di comprensione in tutti, poi tutti, e non faccio caso personale, si sentono spinti e predisposti a compiti di guida. L’appello ha un valore delimitativo, in certo senso negativo (come tutte le decisive proporzioni del marxismo che sono se non proprio negative almeno «alternative”) serve a stabilire confini tra noi ed altri e tu lo dovresti chiamare «politico” con aggettivo che ti piace. Lo si legge in non molti minuti, a Roma, per varie ore, si trattarono problemi da un lato di analisi scientifica (direi ricerca, esame, analisi mi piace poco se pure è termine di moda) e poi dall’altro di prassi tattica. Per forza maggiore compiutezza e dettaglio insieme.

Vengo quindi alla Russia. Vorrei che quelli che collaborano a definire l’appello formulassero positivamente le varianti che propongono. La formula di fase monopolistica e capitalismo di Stato ti pare completa? è estremamente indeterminata. La si applica tanto al regime di Mussolini che a quello britannico odierno che a quello russo. Due vie diverse per arrivare a posizioni analoghe? Giusto, è un buon concetto di propaganda, ma per carità evitiamo le confusioni. In quello che dirò, non credere che io individui in quanto hai scritto gli errori che vado ad indicare; ma tu dovresti appunto proporre di dati argomenti una tua stesura; tu ed ogni altro che faccia osservazioni, lavoro che credo utile e che è ben diverso dal «materiale per tutta l’organizzazione» con relativi: fesso è lui, fesso è quell’altro.

Non è esatto che in una fase del capitalismo sia stata protagonista la borghesia classe e che nella attuale sia protagonista lo Stato. Classe e Stato sono cose e nozioni diverse e non possono passarsi la stecca. Anche prima vi era lo Stato e anche dopo vi è la classe. Lo Stato non è il protagonista dei fatti economici ma un derivato di essi; se non la politica sorge dall’economia ma l’economia dalla politica e dal maneggio del potere, muore la interpretazione marxista della storia (chi lo pensa lo dica chiaro!) e tornano in auge le vecchie teorie, nuovissime per i fessi, che la storia nasce dal desiderio di comando dei capi, e il desiderio di comando da quello di ricchezza (1).

Più o meno alla stessa fessata viene chi si domanda: nella prima fase i protagonisti del duello eran borghesia e proletariato, ora prendiamo la lanterna e andiamo alla ricerca del terzo… uomo. Una terza classe? non la si trova e allora si risponde: lo Stato, come se quello che cercava il terzo uomo dicesse: eccolo, è questo paio di pantaloni. Oppure si risponde: la burocrazia: ecco la nuova classe? Che diavolo vuol dire questo? Non so se tu avesti un mio scritto su questo: la burocrazia l’hanno avuta tutti i regimi di classe: essa non può essere «una classe». In linguaggio nostro la burocrazia è una delle «forme della produzione» mentre le classi sono forze di produzione, successivamente nella storia.

Conoscerai tra i miei testi (utilissimo che di essi si facciano critiche e si sollevino obiezioni) quello in cui dico che il capitalismo di Stato significa non un assoggettamento del capitale allo Stato, ma un ulteriore assoggettamento dello Stato al capitale (2).

Capitale – capitalismo – classe capitalistica o borghese – Stato capitalistico o borghese. Non facciamo pasticci. Ordine storico per ordinare le teste.

Una volta vi era già del capitale, ma non ancora il resto.

Questo capitale cominciò a concentrare forze di produzione (materie, uomini, macchine) e vi fu il capitalismo, ma lo Stato non era ancora borghese.

Poi vi fu la classe borghese, unione di tutti quelli che nel nuovo sistema produttivo capitalistico erano in alto, nello Stato in basso.

Questa classe prese il potere perché il capitalismo aveva bisogno per il suo sviluppo di forme ben diverse da quelle antiche. Si ebbe il nuovo Stato, la nuova burocrazia e via.

Marx, a prendere o lasciare, indica questo «postcapitalismo» (altra fessa parola di moda): il proletariato prende il potere e attua il socialismo.

A ciò si oppone lo Stato borghese, e la classe borghese.

Che cosa precisamente è la classe? Un insieme di persone? Detto male. È invece una «rete di interessi». Non ti è piaciuta la mia formula intreccio, incontro di interessi? Io vi vedo un saggio passo avanti mentre vedo poco nel gioco disordinato delle parole: capitale, Stato, burocrazia.

Quando le classi erano ancora caste e poi ordini coincidevano con gruppi fissi di persone (di famiglie). Dalla rivoluzione borghese, a dispetto del cardinale diritto ereditario, non è più così. Un pari di Francia non era nessuno oltre Manica. Un capitalista lo è ovunque (3).

Tutte queste elementari cose – di cui non ti descrivo come un avversario, meglio ripetertelo perché sei abbastanza angoloso – sboccano nella questione russa. Ammesso che non abbiamo dati (Marx poteva compulsare tutto il materiale del British Museum, fotografia fedele del capitalismo inglese, ma noi non possiamo stabilirci a Mosca ove troveremmo carte false) sulla definizione anagrafica della classe dominante russa, non facciamo un passo avanti colla famosa «burocrazia». Io ho già fatto molto assumendo esistere uno strato di intraprenditori senza proprietà titolare dei mezzi di produzione e forti beneficiari di profitto. Ma la burocrazia può essere anche come nei nostri paesi, uno strumento di costoro e dei loro grossi affari, come uno strumento di affari oltre frontiera.

La burocrazia governa e sbafa per sé sola? Ma che vuol dire questo? Lo Stato personalizzato in una rete di funzionari, la classe-Stato? Ohibò.

A noi, Monsieur de la Palisse. In capitalismo di Stato non vi sono che burocrati nella popolazione: anche l’operaio di officina è uno statale. Lo Stato-padrone, vecchia formula anarcoide.

Comunque in un testo come quello che volevo fare non è il caso di dire di più sull’argomento economico russo.

Ma tu mi dici: perché tutta l’artiglieria puntata verso occidente? Qualcuno può credere che in Russia la rivoluzione non si debba fare.

Accetto il rilievo: va detto qualche cosa per evitare questo grosso equivoco. Per difficile che sia il dare le leggi del processo di rivoluzione riassorbita, va detto che il processo successivo altro non può essere che la nuova rivoluzione di classe.

Mai ho detto o scritto o pensato diversamente. Ma diamo anche qui, sia pure male e con grande fretta e ad usum Onorii non «di tutta l’organizzazione» un poco di chiarimento. Hai ragione che i testi si devono fare: sotto a farli, invece che a litigare.

Né tu né io abbiamo le chiavi e le leve per scatenare la rivoluzione a Washington o a Mosca, e possiamo scegliere quale scambio dare alla storia.

La rivoluzione può cominciare dovunque, come nel 1917. Bene. Ma fu un atto di volontà o un prodotto della storia? Quali le circostanze? Regime feudale, disfatta militare, rottura tra Stato e classe borghese etc. ben noto. Ed allora dicemmo: «la rivoluzione mondiale può cominciare dovunque».

Bada che potresti essere lo stalinisteggiante proprio tu. È Stalin che dice: la rivoluzione proletaria russa nacque crebbe e vivrà qui essa sola.

La questione va quindi vista internazionalmente. Come nell’economia è internazionale quella “rete di interessi” che è il regime borghese, così in politica è internazionale la questione del potere. Nell’uno e nell’altro senso i caratteri si vanno precisando da un secolo ad oggi.

Ora il momento storico è questo: gli stalinisti impiantano tutta la propaganda sull’attacco all’America e sulla pace. Il proletariato li segue, è finora indiscutibile. Tu riconosci o almeno concedi che sia importante fare rilevare il pericolo di opporsi ad essi per considerazioni di liberalismo di persone o popoli, e non su base classista.

Si tratta non di limitarsi a tacciare di errori nel senso nazionale russo la politica stalinista, ma di far leva sull’anticlassismo della posizione: 1944: tutte le forze con l’America, scioglimento etc. – 1951 tutto contro l’America, per dire: avete tradito allora e, giustamente dici, da molto prima di allora.

È già molto audace (nella lotta contro la spietata diseducazione in cui concorrono occidente ed oriente) dire “politicamente”: fatevi indietro che l’America così non la fregate, la fregheremo noi classisti, sarà fregata solo dal proletariato mondiale su base classista autonoma anche da voi. È inutilmente bluffistico dire: prima vi mettiamo alla pari, non uno un millimetro prima dell’altro, e poi col colpo nostro vi sbirilliamo giù tutti e due colla stessa palla.

La Sinistra si deve difendere dalla sciocca accusa di non vedere la storia e biascicare tesi astratte: deve provare che sono gli altri a non aver vista la storia.

Fermo restando che dopo la fase delle liberazioni nazionali ogni alleanza è spietatamente condannata si deve porre la spiegazione del restare in piedi del capitalismo in relazione non alla scoperta di ricette come il protagonismo dello Stato nell’economia, ma ai rapporti imperiali dei più grandi apparati industriali, e alla persistenza, non invasione nel territorio, non sconfitta delle guerre, degli apparati di Stato (comitati di delega degli interessi capitalistici giusta Marx, sia o non sia lo Stato gestore di aziende e botteghe) più continui e persistenti storicamente.

Indubbiamente il concentramento di potere di Mosca è anche un ostacolo che sbarra la via alla rivoluzione e lo è non solo come capitale della corruzione proletaria ma pure come forza fisica. Va detto chiaro. Ma ha di vita solo 34 anni. Il territorio e il popolo sono miscugli di economie e tipi sociali. Giappone e Germania sono a terra. Francia e Italia hanno subìto scosse tremende. La stessa Inghilterra è in crisi grave. Ecco come vengo al chiodo America. Altri pochi anni e la polizia detta O.N.U. sarà efficiente a distanza di minuti in ogni punto del mondo.

Se possibile togliamo Baffone da Mosca e mettiamoci, per non sfottere nessuno, Alfa; Truman, che oggi ci sta pensando sopra, arriverà cinque minuti dopo.

Mi sono spiegato? Se così non è vuol dire che sto infessendo io pure. Mal di poco, per il mio convinto marxismo, a dialettica non volontarista. Ti farò anche quel papiello, non dubitare.

 


 

(1) Vedi, tra i vari scritti di Bordiga, in particolare Proprietà e Capitale, pubblicato in "Prometeo" dal n. 10 (giungo -luglio 1948) al n. 4, serie II (luglio-settembre 1952), nel corso dunque di ben 4 anni in cui Damen era anche "responsabile" della rivista. Ripubblicato dalle Edizoni Iskra, con lo stesso titolo, Firenze 1980.

(2) Cfr. Proprietà e Capitale, cit., cap. XIII. L'interventismo e il dirigismo economico come maneggio dello Stato da parte del Capitale, "Prometeo", serie II, n. 1, nov. 1950. Vedi anche il vol. Proprietà e capitale, Ed. Iskra, cit. pag. 130.

(3) A proposito di classi e ordini vedi il "filo del tempo" Danza di fantocci: dalla Coscienza alla Cultura, "il programma comunista" n. 12 del 1953.

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 Onorio ad Alfa

 

23 luglio 1951

 

Rispondo e a tono, come da tuo desiderio.

Prima constatazione, cui sono costretto, è il tono alquanto… asprigno del tuo scritto, che il contenuto e forse il modo delle mie osservazioni hanno involontariamente provocato. Nello scriverti sono partito dalla preoccupazione di tener conto del come i gruppi internazionali, cui l’indirizzo è rivolto, avrebbero reagito al nostro modo di porre, se non di risolvere, almeno di definire nei limiti delle possibilità subiettive e obiettive, i problemi del riannodamento internazionale dei gruppi rivoluzionari.

D’accordo col senso «politico» – sei contento così? – che ti ha guidato nel dar valore delimitativo, e in un certo senso negativo all’indirizzo, più adatto così a non respingere coloro che si vorrebbe accostare e possibilmente allacciare. Ma non sono d’accordo col tuo metodo di discussione, anche se cortese, che ha bisogno di crearsi a volte argomenti ora fittizi ed ora del tutto arbitrari, che esponi alla tua maniera e alla tua maniera combatti dando l’impressione che il tuo contraddittore porti la paternità effettiva o latente della loro formulazione. Segui pure il filo delle tue argomentazioni, ma tieni anche conto qualche volta, e obiettivamente, di quelle in realtà espresse da chi con te discute.

Seguo l’ordine della tua del 9 luglio. America Concentramento N. 1 ? Giusta la formulazione a patto però che sia intesa nel senso che il capitalismo internazionale, considerato nella sua realtà unitaria anche se diversamente graduata per effetto del suo sviluppo ineguale, ha nell’America il suo più grande concentramento metropolitano di capitale, di forza di produzione e di potere.

Ma a che cosa si perviene allorché traduciamo tale formulazione sul piano della tattica e della strategia politica?

Si perviene alla tua constatazione che l’America oltre tutto e oltre la probabilità di vincere in ulteriori conflitti (chi potrebbe impedirlo, dico io, e a che varrebbe?!) può sicuramente intervenire ovunque una rivoluzione anticapitalistica vincesse.

Difatti oggi avverrebbe così. E con ciò? Si dovrebbe forse per questa considerazione proclamare l’inutilità della rivoluzione in questo o in quel paese fino al giorno in cui il proletariato non fosse in grado di far fuori lo Stato di Washington?

Non scherziamo, anche se quanto scrivi va inteso storicamente.

Ripiglio il mio accenno su quest’argomento.

La rivoluzione proletaria colpisce l’antagonista di classe quando e come può, là ove questi è più debole.

È proprio necessario che io aggiunga per te che la rivoluzione, anche se scoppiasse a Roccacannuccia, è sempre un momento della rivoluzione internazionale, e ti senta perciò autorizzato a parafrasare proprio per me ciò che può aver detto Stalin?

Ciò che comunque interessa è la messa a punto della questione teorica.

Ecco come la porrei io. Secondo la dottrina uno scardinamento rivoluzionario si dovrebbe logicamente avere in quel dato concentramento di potere ecc. ecc. dello schieramento capitalistico mondiale in cui più intensa è stata l’accumulazione delle contraddizioni economiche e degli antagonismi sociali della dominazione del capitale, senza la presunzione però che questa abbia «raggiunto economicamente gli ultimi limiti obiettivi del suo sviluppo».

A questo punto, invece di porre, come fai tu, il problema, a mio avviso unilaterale e statico, dell’intervento strangolatorio della polizia dell’O.N.U. (e non perché anche quello della polizia del Cominform non meno interessata allo strangolamento?), si dovrebbe porre l’altro storicamente più vivo che fa leva sulla capacità e potenza esplosiva e di irradiazione d’una prima realizzazione rivoluzionaria in un mondo obiettivamente maturo per il socialismo. E’ il solo modo per la rivoluzione socialista di porre in concreto il problema «di far fuori» anche lo Stato di Washington; in questo senso e solo in questo senso la «rivoluzione non perde tempo». Ma lo perderebbe sicuramente, e con esso perderebbe tutte le occasioni che la crisi del capitalismo potrà offrire al proletariato, non importa in qual punto del suo schieramento, se la rivoluzione battesse il passo nell’attesa messianica e, peggio, subordinasse il compimento della sua missione su scala internazionale alla conquista del potere negli Stati Uniti.

In base all’esperienza dell’Ottobre bolscevico sappiamo che la spinta dinamica verso l’allargamento del fronte di lotta, insito ad ogni radicale vittorioso rovesciamento dei rapporti di forza, in parte effettivo, in parte potenziale, non consente di essere premisurata scientificamente. È una specie di riserva «atomica» che ogni rivoluzione porta in sé. La frattura psicologica si allarga? La rivoluzione straripa, travolge gli ostacoli con obbiettivo il mondo. Nel caso opposto la rivoluzione si batte per morire in piedi o si «rincartoccia» in sé, come tu dici, e sparisce. Ma la strada è questa e soltanto questa.

E veniamo all’analisi e definizione della odierna società russa. Avrai notato che su quest’argomento mi sono limitato a formulare e indirettamente quesiti e obiezioni. Scrivi: Non è esatto che in una fase del capitalismo sia stata protagonista la borghesia classe, e che nell’attuale sia protagonista lo Stato.

Tale inesattezza l’hai forse pescata nel mio scritto, e formulata in modo così maldestro? Non sarebbe stato più corretto e assai più utile ai fini della chiarezza che tu ti fossi obbligato a considerare anche criticamente l’importanza delle obiezioni che ho sentito di doverti fare? Ti riporto quanto ho scritto sull’argomento «economia e Stato»:

La tendenza a un sempre maggior intervento dello Stato, caratteristica di questa fase della economia nei paesi industrialmente più progrediti, trova nella economia sovietica la sua manifestazione più organica ecc. ecc.

Più oltre:

Sulla generale linea di sviluppo del capitalismo monopolistico la Russia ha potuto bruciare più d’una tappa grazie alla Rivoluzione d’ottobre che ha consentito l’accentramento più assoluto della economia nell’ambito dello Stato e grazie alla controrivoluzione stalinista che si è servita di questo enorme potenziale economico così accentrato per ingigantire il potere dello Stato e dare l’avvio alla esperienza estrema del capitalismo. Il protagonista di questa fase della storia è dunque lo Stato la cui economia (l’economia cioè dello Stato sovietico) riproduce i modi e i caratteri, su scala forse allargata, propri della produzione e della distribuzione capitalistica (salario, mercato, plusvalore, accumulazione ecc.).

Perdonami la lunghezza della citazione ma mi premeva documentarti che nessuno ha confuso e tanto meno capovolto i termini «economia e Stato» e del tutto inutile il tuo richiamo allo Stato non protagonista dei fatti economici.

Meglio sarebbe stato invece confutarmi.

Estremamente indeterminata la formula di fase monopolistica e capitalismo di Stato? Ma non è mia ed è prima d’ogni altro di Lenin il quale affermava che il capitalismo di Stato, compatibile col sistema della dittatura del proletariato, aveva come compito di fare da intermediario tra il potere sovietico e la campagna e stabilire la loro alleanza. È sempre Lenin che considerava il capitalismo di Stato come forma dominante della economia sovietica.

Questo nel 1921; nel 1925 diamo la parola a Sokolnikov, voce non sospetta per conoscenza e sincerità: il nostro commercio estero è condotto come una intrapresa di capitalismo di Stato; le nostre società di commercio interno sono ugualmente intraprese di capitalismo di Stato e la Banca di Stato è allo stesso modo una intrapresa di Stato. Egualmente il nostro sistema monetario è tutto impregnato dei princìpi dell’economia capitalistica.

E dal 1925 in poi? In «Vers le capitalisme ou vers le socialisme?» Trotskij scrive testualmente: Di fronte all’economia mondiale capitalistica lo Stato sovietico si comporta come un proprietario privato gigantesco.

Inoltre l’industria dello Stato riunita in un solo trust viene poi efficacemente definita «il trust dei trusts”. Si trattava di sapere allora, l’opuscolo citato risale al 1925, se «con lo sviluppo delle forze di produzione le tendenze capitalistiche sarebbero aumentate a scapito della tendenza socialista”. La storia ulteriore ha provato la prevalenza decisiva della tendenza basata sulla economia mercantile, che è appunto dire capitalista.

Se a questo punto la rivoluzione si rincartoccia, ciò non vuol dire che l’economia trustificata nell’ambito dello Stato, e con la quale lo Stato fa corpo, debba decentrarsi e ritornare cioè al capitalismo individuale e al suo regime di concorrenza. Gli strumenti creati dalla evoluzione tecnologica della economia nazionalizzata e che dovevano operare per una più rapida realizzazione del socialismo, sono serviti, di fatto, per operare la spinta in avanti del capitalismo.

Che cosa intendo dire con lo Stato che fa corpo con l’economia trustificata? Intendo riferirmi alla tendenza dell’imperialismo a formare lo Stato che Lenin chiama dei rentiers, lo Stato degli usurai la cui borghesia vive esportando capitali e tagliando coupons. Tale fenomeno, visibilissimo nella economia americana per il noto predominio del capitale finanziario, è comune alla stessa economia russa anche se operante nei limiti d’una più ristretta zona d’influenza.

Il mondo si divide in un piccolo gruppo di Stati usurai e una immensa massa di Stati debitori.

Stato gestore? Stato imprenditore? Stato soggetto della economia? Non si tratta di questo, ma di considerare certi fenomeni propri di questa fase della economia quali il ruolo del capitale finanziario, una delle leve di comando manovrate prevalentemente dallo Stato, la politica della sua esportazione come strumento di dominio mondiale, la organizzazione a carattere di permanenza di una parte dell’economia nella fase di economia di guerra col mantenimento di due eserciti permanenti, quello dei funzionari e l’altro dei militari, tutti fenomeni che vanno a confluire nello Stato, la sola organizzazione unitaria e potentemente accentrata, che possa e sappia risolvere le contraddizioni economiche e i contrasti sociali, in tal modo acuiti, sul piano della forza, della violenza e della guerra.

Ce n’è abbastanza, mi pare, per vedere nello Stato imperialista qualcosa di più della sua funzione di Comitato di delega degli interessi capitalistici.

E, come per ogni fenomeno del capitalismo, anche per questo la linea della interpretazione marxista va dalla economia allo Stato e non inversamente.

Che poi il capitalismo resti in piedi e permangano gli apparati di Stato storicamente più continui e persistenti, è constatazione questa aperta all’esame critico dei marxisti. Sotto chi ha filo abbastanza per tessere…

E siamo così alla classe dirigente in Russia. Io mi chiedevo e continuo a chiedermi: quale è la nuova classe in Russia che attraverso lo Stato esercita la propria dittatura? Per mio conto mi limitavo alla constatazione reale e storicamente inconfutabile che la strapotenza dello Stato sovietico non può non aver risolto in concreto il problema di una sua classe dirigente omogenea e forte per la coscienza che ha del proprio essere di classe e della funzione storica che è chiamata a compiere.

Quanto tu vai sostenendo sul ruolo della burocrazia non può che trovarmi consenziente; ma la tua formula di «ibrida coalizione e fluida associazione ecc.» esclude allo Stato attuale la esistenza d’una classe storicamente definita e si intona perfettamente con l’altra tua formula d’una economia che tende al capitalismo. Se tende al capitalismo, vuol dire che in Russia c’è una economia che non è ancora capitalismo, per cui la classe dirigente che la esprime tende essa stessa a divenire capitalista, e non è ancora capitalista.

Che l’economia contadina tenda per gran parte al capitalismo, d’accordo; ma che tenda al capitalismo l’economia trustificata nello Stato, assolutamente no. Su questa realtà economica caratteristicamente capitalistica si articola inevitabilmente la classe dirigente che le è propria.

È qui, mi pare, la chiave di volta per la interpretazione di tutto il tuo pensiero sul problema russo, da qui la minore urgenza, per te, della rivoluzione socialista in questo paese in confronto agli Stati Uniti. Giunti a questo punto non credo che i termini della nostra conversazione manchino di chiarezza, anche se siamo andati oltre la preoccupazione dell’indirizzo internazionale

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Alfa ad Onorio

 

31 luglio 1951

 

Sono a rispondere alla tua del 22-23 luglio. Accolgo la proposta di togliere di mezzo toni asprigni.

Anzitutto elimino anche l’appunto di avere esagerato le tue tesi formulandone di più esagerate ed erronee, e mi sforzerò di ritornare alle tue formulazioni e citazioni di quanto già formulato. Non è un cattivo metodo prestare al contraddittore opinioni un poco più errate, anzi è un metodo marxista utile, quando conduce a belle chiarificazioni di punti notevoli e che pure alle volte in tanto tempo elementi anche di primo piano non hanno assimilati. Mi dico sempre un modesto ripetitore e non più, ma tale metodo credo di averlo bene assimilato. Evidentemente purché la messa a punto sia buona non è molto grave aver prestato all’altro una tesi che non era proprio la sua: non ci interessa la democrazia nella polemica e non dobbiamo arrivare a punti di merito scolastici e tanto meno ad una classifica generale per vedere chi è il migliore, siamo appunto andati oltre questa robetta. Può essere utile una contestazione inventata per andare avanti; e alle volte scrivendo la formula volutamente falsa si trova la soluzione dell’equazione scoprendo una via che nel procedimento normale non vi era; e intanto non si è mandato in galera nessuno. Dunque che prima giocava la classe borghese ed ora l’ha sostituita lo Stato, non sono parole con la tua firma, comunque sono un grosso pregiudizio in circolazione più o meno cosciente, ed è utile sventrarlo, lavoro che si fa insieme e non serve al merito o alla celebrità di un autore, etc.

Ed ora alcune note. Quando io parlo di più importante centro capitalistico di potere che accorrerebbe a spegnere ogni tentativo rivoluzionario, non intendo vietare tentativi o fare una graduatoria di tentativi. Intendo soprattutto portare in prima linea che il movimento politico, che di questo centro è stato alleato in tutta la fase più decisiva del cammino alla egemonia, deve essere giudicato dai militanti operai come pur sempre controrivoluzionario, anche quando vi è in contesa politica e adopera a far gioco posizioni teoriche comuniste e classiste. Questo il punto: tentare per ora non possiamo né a Pittsburg né a Casale, dobbiamo lavorare a rettificare l’indirizzo della classe rivoluzionaria di domani o dopodomani. Perché dico verrebbe qui l’O.N.U. e non il Cominform? Prima di tutto i paesi cominformisti stanno nell’O.N.U. In secondo luogo se mi volto vedo la sagoma della Mount Olympus e non quella di una nave sovietica. Sono convintissimo che la squadraccia scenderebbe anche da quella e te ne do atto.

Adesso mi fermo sul perché vediate tutti in primo piano la definizione degli stadi di trapasso della economia in Russia da uno all’altro tipo sociale, e dopo chiarirò un equivoco a cui forse le mie parole hanno dato luogo sul “senso” delle tendenze di tale trapasso, o meglio di tale insieme di trapassi.

Non sono una sola le tre questioni: va nel senso giusta l’economia russa? fa la politica giusta il partito comunista russo e l’Internazionale? Fa la politica giusta internazionale lo Stato russo? Dico giusto per rivoluzionario e pongo le questioni generali, come si potevano porre dal 1919 ad oggi. Chiaro che oggi rispondiamo picche su tutti i tre punti. Ma non vi è la condizione che si debba rispondere o tutti e tre sì o tutti e tre no, e quindi la risposta economica non decide sulle altre due.

Spiego al solito con esempi storici.

Guerra antigiacobina dell’Inghilterra e politica di appoggio agli emigrati feudali. Quale il paese più progredito come economia borghese nel mondo? L’Inghilterra. Quale il paese in cui certo il processo capitalistico non è minacciato da involuzione feudale? Idem. Ma quale la politica dei partiti inglesi al governo rispetto alla lotta in Francia? Controrivoluzionaria, non meno di quella austriaca e russa, ove sono al potere le aristocrazie. Quale la politica estera del governo inglese? Controrivoluzionaria, tenda essa a fermare la convenzione o Napoleone.

Non abbiamo dunque risposto sì – sì – sì e neppure no – no – no. Abbiamo risposto sì – no – no.

Rivoluzione di ottobre 1917 in Russia e prime misure di comunismo magari primitivo. Lotta comunista in tutto il mondo; lotta internazionale contro i tedeschi ed intesa su tutti i fronti: tre posizioni rivoluzionarie: sì – sì – sì. Errore aver cominciata la rivoluzione europea e mondiale, poi sconfitta, nel paese poco capitalista? Lo dimostrammo cento volte: nemmeno per idea!

Ripiegamento economico sociale del 1921 e rinunzia a certe forme socialiste (il punto strettamente economico dopo). Tutti noi sinistri approvammo le giustificazioni di strategia rivoluzionaria internazionale: un passo indietro per riprendere lena: risposta: no – sì – sì. Cioè l’economia sociale interna rincula, la lotta rivoluzionaria va avanti.

Dopo la morte di Lenin, deviazioni tattiche dal 1922 poniamo al 1926, ma nessuna alleanza con nessun paese borghese del mondo, chè tutti lottano contro la Russia: noi sinistri non siamo contenti della politica di partito; nostra risposta: no – no – sì.

Ulteriore degenerazione sia nell’economia interna, sia nella politica di partito che ridiviene collaborazionista e opportunista, sia infine nella politica estera dello Stato russo con alleanze capitaliste; siamo al finale no – no – no.

Ho voluto stabilire che il sì o no sul processo economico interno non determina di per sè solo, automaticamente, le altre due risposte. L’insieme delle tre risposte dipende dall’avere inteso tutto il quadro storico internazionale, marxisticamente, dialetticamente.

Ciò toglie molta importanza al problema che vi pare – o che pare a molti – problema chiave: quale l’economia russa odierna, quale la classe nuova, etc. Non che questo problema non conti, solo che la sua soluzione non risolve tutti gli altri. Come l’economia inglese 1793 era quanto di più avanzato e la politica quanto di più reazionario, così potrebbe accadere che un paese con evoluti caratteri socialisti della economia sociale facesse una politica di partito e di guerra borghese. Qualunque sia la verità sul processo della economia russa e sulla sua vera «direzione» la politica di partito e la politica internazionale degli stalinisti sono egualmente fetenti.

Ecco perché nell’appello agli operai non mi importa tanto dire: in Russia il cittadino Borgo Capitalistoff in via tale numero tale non fa niente e si nutre di caviale e vodka e quadri di Rubens; ma: la politica di liquidare i partiti fu fetente, perché americani e inglesi facessero bene la guerra; la politica dei blocchi partigiani fu fetente.

Ed adesso al tuo punto centrale: capitalismo di Stato. Esattamente citato da Trotsky Sokolnikoff Lenin, e del resto Marx ed Engels un secolo fa: vedi Fili su Fili in cui da tempo lo provo. Ora vedremo che è il capitalismo di Stato. Ma tu vai oltre, parli di economia di Stato e di «accentramento più assoluto della economia nell’ambito dello Stato». Ora tale formula, non dico merita tanti anni di galera, ma dico lascia pensare che non sia ben visto che cosa sono marxisticamente parlando: società – produzione – economia – Stato. Ed allora io rimastico, e con ciò non voglio menomare nessuno.

Cominciamo a stabilire un altro punto essenziale. Ammettiamo la serie di tipi economici: capitalismo di libera concorrenza e aziende personali – capitalismo di trusts, monopolii – capitalismo parassitario finanziario – dirigismo di Stato nella economia – statizzazione di aziende industriali e bancarie. Prendiamo poi la serie di rapporti politici di potere: democrazia parlamentare borghese – imperialismo e totalitarismo capitalistico – potere proletario rivoluzionario – potere proletario degenerante – potere proletario degenerato e quindi capitalistico (senza terza classe, e ciò non perché le classi della società moderna siano due sole).

Orbene dico che le due serie non sono parallele; non formano una corrispondenza biunivoca, si dice in matematica. Ogni tipo della prima serie può nel tempo x e nel luogo y coincidere con ogni tipo della seconda serie.

Comincio a spiegarmi. Quanto ci è voluto per battere nella testa di democratici e libertari il nostro chiodo marxista numero uno: la dittatura? Quale l’argomento di centro? E’ non solo possibile, ma inevitabile, che dopo un’ora, un anno o un lustro dalla distruzione del potere borghese sia in piedi una cellula economica, una struttura aziendale di tipo borghese: si dice una per dire eventualmente anche tutto un sistema. Non solo quindi in tali settori della produzione vi saranno operai salariati e sfruttati ma anche un padrone che si approprierà un profitto. Ebbene ciò non toglierà che anche in tale periodo vi sia il pieno potere politico operaio; solo che la trasformazione produttiva non avrà ancora raggiunto quel settore: lo farà dopo. Intanto quel borghese è privo di diritti civili e politici, controllato per quanto tollerato ancora dagli organi della dittatura rossa. È questo? Ed è solo per questo che la dittatura si spiega e si impone? Bene. Dunque possiamo avere un proletariato e partito rivoluzionario al potere che buona tattica interna ed internazionale comunista, e nello stesso tempo una zona di economia capitalistica anche ad azienda privata.

Viceversa con un potere squisitamente borghese come ad esempio l’Inghilterra possiamo avere anche un settore industriale del tutto statizzato, ossia che non solo è passato dall’azienda personale a quella anonima, poi a quella sindacata e trustizzata, infine al tipo in cui lo Stato è proprietario ed imprenditore dell’azienda, poiché la conduce non in concessione ma in economia, come ad esempio in Italia le Manifatture Tabacchi: ogni operaio è un dipendente statale. Come dissi altre volte abbiamo anche più: veri tipi comunisti in potere capitalistico: esempio il servizio dei vigili del fuoco: quando qualcosa brucia nessuno paga per spegnerlo; se nulla brucia i pompieri sono lo stesso nutriti.

Dico tutto ciò per combattere la tesi, chiunque ne sia autore, che segna come stadi successivi: capitalismo privato, capitalismo di Stato come prima forma di socialismo inferiore, socialismo superiore o comunismo.

Il capitalismo di Stato non è un semi-socialismo, ma un capitalismo vero e proprio; anzi è lo sbocco del capitalismo secondo la teoria marxista della concentrazione, ed è la condanna della teoria liberista di un permanente regime di produzione in cui il gioco mirabile della concorrenza metta sempre di bel nuovo una fetta di capitale alla portata di tutti.

A discriminare tra capitalismo e socialismo non basta la titolarità (vedi Proprietà e Capitale) del possesso dello strumento produttivo, ma occorre considerare il fenomeno economico integrale, ossia chi dispone del prodotto e chi lo consuma.

Precapitalismo, economia dei produttori individuali: il prodotto è del lavoratore indipendente; ognuno consuma quel che ha prodotto. Ciò non toglie che prelievi di sopraprodotto e quindi sopralavoro siano fatti a danno delle moltitudini di lavoratori parcellari (talora uniti con la forza in masse ma senza la moderna divisione di momenti produttivi) da caste ordini e poteri privilegiati.

Capitalismo: lavoro associato (in Marx lavoro sociale) divisione del lavoro prodotto a disposizione del capitalista e non del lavoratore che riceve danaro e compra sul mercato quanto gli occorre a tenersi in forza. Tutta la massa di oggetti prodotti passa per la forma monetaria nel viaggio da produzione a consumo.

Socialismo inferiore. Il lavoratore riceve dalla organizzazione economica sociale unitaria una quantità fissa di prodotti che occorrono alla sua vita e non ne può avere di più. Finisce la moneta ma sussistono buoni di consumo non accumulabili né mutabili di destinazione. La tessera? Già, il socialismo inferiore è la tessera a tutti, senza impiego di danaro, e senza mercato.

Socialismo superiore e comunismo. In tutti i settori si tende ad abolire la stessa tessera e ognuno preleva quanto gli occorre. Qualcuno assisterà a cento spettacoli cinematografici di seguito? Lo può fare anche oggi. Telefonerà ai pompieri dopo aver dato fuoco alla casa? Lo fa oggi, ma allora non vi saranno assicurazioni. Comunque allora ed oggi il servizio manicomio è fatto secondo l’economia comunista pura: è gratuito ed illimitato.

 

Riepilogo:

- Precapitalismo: Economia senza danaro o con impiego complementare del danaro. Produzione parcellare.

- Capitalismo: Economia con impiego totalitario del danaro. Produzione sociale.

- Socialismo inferiore: Economia senza danaro e con tessera. Idem.

- Socialismo superiore o comunismo: Economia senza danaro né tessera. Idem.

Il capitalismo di Stato che sarebbe cretineria chiamare socialismo di Stato sta tutto sano sano nel reparto capitalismo. Tutti divenuti salariati dello Stato? Sussiste il plusvalore, lo sfruttamento, ecc. Tu questo lo dici, ed è esatto, ma le cose non basta che siano in esatti termini, devono stare nelle esatte relazioni di luogo e tempo etc.

 

Una parolina ancora su cose da me spesso dette o meglio copiate nei testi prima di venire ai processi russi.

La corresponsione del salario in danaro definisce il capitalismo. Il plusvalore non è che una conseguenza dedotta da Marx, polemicamente, dialetticamente, anche e perfino nella gratuita ipotesi di scambi ovunque e sempre liberi ed uguali. Un regime che dia ai salariati in danaro il frutto indiminuito del lavoro in danaro non può esistere (insegnato a Lassalle). Per due principali ragioni: il solo mezzo mercantile conduce alla accumulazione e sfruttamento capitalistico (M-D-M; D-M-D’ etc.); un prelievo è sempre indispensabile a fini sociali; manutenzione ammortamento miglioramento con incessante nuovo investimento di beni prodotti che divengono strumentali.

In atmosfera mercantile non vi può essere prelievo sociale senza sfruttamento di classe.

Ma il fatto è questo: il tanto di plusvalore che la minoranza capitalista pappa materialmente non è il fenomeno preponderante. È il prelievo a preteso fine sociale che diventa abnorme, sbagliato, sperequativo, distruttivo.

 

Sia dieci ore la media giornata del lavoratore nel mondo.

I capitalisti pappano mezz’ora.

Il capitalismo pappa sei ore e mezza.

Il lavoratore pappa tre ore, se va bene.

Nel capitalismo di Stato, e più in apparenza che altro, si è tolta via la mezz’ora. Roba da poco. Si sono però concentrate le condizioni per cui è tremendamente più difficile riscattare le altre sei ore diventate sette o più.

Sarebbe più socialismo legare tutti i capitalisti e mandarli a Tahiti a papparsi un’ora, e amministrare poi le altre nove ore: dopo poco basterebbe lavorare poche ore al giorno.

Dunque, in un certo senso posso dire con te che partendo da punti diversi paesi capitalisti e Russia vanno a situazioni paragonabili, come tessuto economico, in cui lo Stato accumula maneggia investe capitali che non hanno titolari privati. La concentrazione del potere facilita la capitalizzazione dei settori economici ancora precapitalistici: benissimo. Però la forza dello Stato non cessa di essere usata a fini di classe come fin dall’inizio quando teoricamente esso si disinteressava dell’economia. (Una economia borghese sorge dal libero scambio di equivalenti; ma questo non è possibile senza che una forza concreta non sia pronta a colpire chi tenta di scambiare non equivalenti nel senso giuridico borghese: dunque il fattore Stato è decisivo sempre).

Nei paesi borghesi tu richiami la descrizione di Lenin che vale fino alla vigilia della prima guerra. Bene anche qui. Torneremo sui paesi (non Stati) creditori e debitori, ossia sui capitalisti che investono all’estero, e sulla vera spiegazione del parassitismo. Nella moderna forma questo non è dei cedolisti o rentiers, ma dei brasseurs d’affaires e sempre dell’imprenditore: ma non si tratta più di imprenditore di produzione che lavorava su piccoli margini ma dell’imprenditore di grandissimi affari con scarti colossali e mutamenti personali frequentissimi etc.

Il dirigismo e capitalismo di Stato moderno a mio avviso lascia posto maggiore del passato al brigantaggio della iniziativa privata e di gruppi, nella solidarietà di classe che la borghesia ha avuto politicamente e socialmente da quando è apparsa; solidarietà sempre più mondiale, anche in guerra.

Qui una «analisi» a cui è bene lavorare. Solo che il meccanismo può essere puta caso in Siberia e il gruppo profittante nel Canadà…, via Tangeri o altra.

Processo in Russia, poi per stavolta chiudo. Comincio col notare che sotto lo Zar il capitalismo era affermato quasi solo nell’industria pesante e di guerra: il capitalismo in fondo nasce nella forma di Stato (arsenali delle monarchie assolute etc.); viene poi l’officina privata…

Sarebbe bastata la rivoluzione borghese democratica a dare un maggiore impulso allo svolgimento di tendenza capitalistica in tutti gli altri settori arretrati: contadino, patriarcale asiatico, etc. etc., artigianato commercio e simili.

Naturalmente la Rivoluzione d’Ottobre fatta soprattutto dai proletari industriali delle grandi città lancia tutta l’economia del paese in avanti ancora di più e quindi da allora almeno i nove decimi della preborghese società russa tendono al capitalismo, e non possono tendere al socialismo che per questa trafila.

Ma io ho parlato di quel decimo di economia che aveva tentato di divenire socialista e poi ha dovuto tendere al capitalismo andando all’indietro.

Ora ha finito di tendere ed è tutta capitalista? Può ammettersi, ma da quando, oltre a tendere per aspettare la rivoluzione mondiale, tende senza più aspettarla; la posizione controrivoluzionaria è acquisita anche se a Mosca… i pompieri sono gratis.

Nel 1919-20 a Leningrado e Mosca si va in tram gratis ossia non solo il lavoratore ha un ticket per andare al lavoro, ma chiunque sale non fa biglietti e non mostra tagliandi. In treno non si paga neppure, ma ci vuole il biglietto di una organizzazione sovietica. Socialismo qui inferiore.

Il lavoratore di fabbrica ha molte cose in natura tra cui il pane; che si va a prendere in campagna anche colla forza. La moneta non vale nulla: tuttavia riceve un poco di denaro e compra qualcosa ai mercati illegali.

Viene la NEP. Lenin spiega: inutile, dobbiamo legalizzare il mercato, ammettervi il contadino dopo che ci avrà data una quota di imposta, portare al mercato di provincia i prodotti industriali, pagare in danaro gli operai di fabbrica. Inutile dilungarsi: in attesa della rivoluzione mondiale ed anche nei grossi centri e per la grande industria noi liquidiamo il poco socialismo che l’economia russa consentiva e ricadiamo nel capitalismo. Non abbiamo i borghesi padroni delle fabbriche o le azioni di esse alla borsa di Londra. Che per ciò, Lenin dice, è forse questo un fattore socialista? È sempre capitalismo, ma di Stato. Se lo regge uno Stato proletario la cosa fete di più che se lo regge uno Stato borghese.

Rileggi le tue citazioni e vedrai che collimano con quanto dico. Ora da allora, sulle spalle del proletariato, si è accumulato ed investito, diffondendo industrialismo e potenziale capitalista: hai ragione. E sempre nella stessa forma: capitalismo. Di Stato, aggiungiamo? Sia pure.

Dovunque esso sia e dovunque sia la forma economica di mercato il capitale è una forza sociale. È una forza di classe. Ed ha a sua disposizione lo Stato politico. I suoi interessi divengono sempre più internazionali, anche quando la lotta agonica dei centri statali li mette in guerra. Formano una rete impersonale, hanno una propria inerzia dinamica che li muove secondo le loro leggi. Per dare in concreto l’idea della situazione presente di tali forze nell’ambito russo ho creduto di dire qualcosa che vada oltre la frase sul capitalismo di Stato, che in sé nulla ci dice.

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Con questa lettera Bordiga chiude lo scambio di lettere che Damen aveva iniziato con la sua del 6 luglio e che, però, vuole concludere la sua critica con alcune «note riassuntive» contenute in una successiva lettera del 6 ottobre 1951 indirizzata sempre a Bordiga.

L'interesse di questa lettera di Damen, a cui Bordiga non risponderà, è per noi uguale a 0,..perciò non la pubblichiamo; in essa non vi è alcuno spunto utile a chiarire ulteriori aspetti di valutazione della situazione già stati affrontati nelle risposte di Amadeo nelle due lettere precedenti.

In realtà Amadeo Bordiga tornò sul problema dell'economia russa che tende al capitalismo, riconoscendo a Damen di aver posto il problema di chiarirlo da tutti i lati, e ciò avvenne proprio nella Riunione di Napoli dell'1 settembre 1951, i cui punti, insieme al Rapporto esteso di Bordiga, abbiamo ripubblicato in questo fascicolo; il titolo del Rapporto fu poi Lezioni delle controrivoluzioni, che verrà  pubblicato dal partito in volumetto a sé stante nel maggio 1981, come n. 7 dei «testi del partito comunista internazionale». La lettera di Damen del 6 ottobre è succesiva alla sua espulsione dal Comitato Esecutivo, insieme a Stefanini, Lecci e Bottaioli, per aver pubblicato un proprio «Bollettino Interno» firmato «la Sinistra Italiana» e inviata a tutte le sezioni, ultima in ordine di tempo delle iniziative del gruppo di compagni organizzatisi intorno alle posizioni sostenute da Damen in opposizione alla linea politica assunta dal partito e in contrasto netto con la disciplina centralistica più e più volte ribadita,a parole, anche da loro. Con la riunione di Napoli e, soprattutto, con quella di Firenze dell'8-9 dicembre 1951 in cui venne presentato il testo che all'epoca fu chiamato «catechismo" col preciso intento di porlo come base indiscussa e indiscutibile per l'adesione al partito (noto poi come Tesi caratteristiche del partito), si volle porre le basi teorico-programmatiche del partito, il disaccordo con le quali metteva i compagni oggettivamente fuori del partito. Non va dimenticato che queste Tesi non erano che la ripresa più organicamente definita di quanto contenuto nel Testo (punti di Tesi) e nel Rapporto di Amadeo esposti nella Riunione di Napoli del l'1 settembre dello stesso anno e che successivamente saranno definiti col titolo, come ricordato, Lezioni delle controrivoluzioni.

Nei mesi successivi del 1952 ci furono tentativi di ogni genere per uscire dagli scontri e dalle opinioni personali, a parole anche da parte di Damen e del suo gruppo. Ma la fisima attivistica e organizzativistica che continuava a sottovalutare la necessità prioritaria di restaurare la teoria marxista e del lavoro della sua assimilazione da parte dei militanti di partito priorità determinata  dalla valutazione del tutto sballata dell'imminente scoppio della terza guerra mondiale e dell'urgenza di fare del partito un'organizzazione che dovesse recuperare rapidamente un'influenza politica determinante su un proletariato che si considerava pronto ad abbracciare la prospettiva politica della rivoluzione comunista grazie alla propaganda da parte dei compagni della Sinistra comunista «italiana» , portava il gruppo di Damen ad insistere ossessivamente al scimiottamento della democrazia borghese con l'organizzazione di un congresso che avrebbe dovuto tecnicamente derimere ogni dubbio grazie al metodo del voto per maggioranza, alla quale maggioranza la minoranza dei compagni avrebbe avuto il dovere di piegarsi disciplinatamente.

Col febbraio 1952 il gruppo di Damen prese anche l'iniziativa di stampare e diffondere un proprio giornale, con lo stesso titolo «Battaglia comunista, organo del Partito comunista internazionalista», tutto indirizzato alla preparazione del tanto agognato congresso con interventi, articoli e lettere nel più puro stile del confronto democratico delle diverse opinioni. Inevitabile, quindi, la scissione in due tronconi del partito che di fatto stava maturando da più di un anno, ma che avvenne tecnicamente quando il tribunale, a cui si era rivolto il proprietario legale della testata «battaglia comunista», decise che fosse riconsegnato alla legittima proprietà commerciale. E così fu il tribunale borghese a decidere quale «gruppo» doveva essere «riconosciuto» legalmente come «partito comunista internazionalista»! Inutile dire che i compagni che continuarono l'attività di partito secondo le tesi definite in più di sette anni di attività, non scesero sul terreno della «difesa legale» delle posizioni e del programma politico del partito; si organizzarono intorno alla nuova testata «il programma comunista» che iniziò le sue pubblicazione il 10 ottobre 1952.

Trent'anni dopo, «il programma comunista» ebbe una sorte simile a causa di una eguale iniziativa avvocatesca per cui, affrontando le conseguenze di una crisi decisiva per la sopravvivenza dell'organizzazione di partito scoppiata nell'ottobre 1982, un gruppo di vecchi compagni, abbandonata la via della lotta politica contro la vera e propria liquidazione del partito, portata avanti dal reciproco scontro tra le diverse tendenze anti-partito (dalla movimentista e contingentista alla accademico-intellettualistica), decise di rivolgersi al tribunale borghese per ottenere esattamente la stessa cosa del gruppo di Damen nel 1952: la riconsegna della testata «il programma comunista organo del partito comunista internazionale» al suo legittimo proprietario commerciale. Il partito aveva già subìto, dopo il 1952, altre crisi, come d'altra parte è inevitabile che succeda ad un'organizzazione politica che intende agire nella realtà sociale e politica della società borghese, esponendosi perciò alle possibili influenze anti-partito e controrivoluzionarie, ma la crisi del 1982-84 ebbe come risultato di mandare in mille pezzi l'organizzazione di partito; noi, inizialmente organizzati intorno alle testate «le prolétaire» e «il comunista», riprendemmo il lavoro collettivo di partito attraverso il necessario e vitale bilancio dinamico della crisi attraverso la riconquista del patrimonio teorico-politico-tattico della nostra corrente di Sinistra comunista  in una continuità anche organizzativa, risultato esclusivo della mai abbandonata lotta politica e mai affidata a sedicenti supercapi o al tribunale borghese.

Nella lotta tra le classi e nella lotta politica non è possibile per nessun organismo garantirsi contro le crisi: come scrisse Amadeo Bordiga, la «garanzia» per non cadere nell'opportunismo non sta né nell'affidare il partito ad un capo geniale, né tanto meno al confronto democratico di opinioni individuali sottoposte al voto di una mitizzata «base» da cui far sortire una maggioranza...:

 

« Per evitare quindi che il partito cada nelle crisi di opportunismo o debba necessariamente reagirvi col frazionismo non esistono regolamenti o ricette. Vi è però l'esperienza della lotta proletaria di tanti decenni che ci permette di individuare talune condizioni, la cui ricerca, la cui difesa, la cui realizzazione devono essere instancabile compito del nostro movimento. Ne indicheremo a conclusione le principali:

 « 1.  Il partito deve difendere ed affermare la massima chiarezza e continuità nella dottrina comunista quale si è venuta svolgendo nelle sue successive applicazioni agli sviluppi della storia, e non deve consentire proclamazioni di principio in contrasto anche parziale coi suoi cardini teoretici.

« 2.  Il partito deve in ogni situazione storica proclamare apertamente l'integrale contenuto del suo programma quanto alle attuazioni economiche, sociali e politiche, e soprattutto in ordine alla questione del potere, della sua conquista con la forza armata, del suo esercizio con la dittatura.

« Le dittature che degenerano nel privilegio di una ristretta cerchia di burocrati e di pretoriani sono state sempre precedute da proclamazioni ideologiche ipocritamente mascherate sotto formule di natura popolaresca a sfondo ora democratico ora nazionale, e dalla pretesa di avere dietro di sé la totalità delle masse popolari, mentre il partito rivoluzionario non esita a dichiarare l'intenzione di aggredire lo Stato e le sue istituzioni e di tenere la classe vinta sotto il peso dispotico della dittatura anche quando ammette che solo una minoranza avanzata della classe oppressa è giunta al punto di comprendere queste esigenze di lotta.

« "I comunisti - dice il Manifesto - disdegnano di nascondere i loro scopi". Coloro che vantano di raggiungerli tenendoli abilmente coperti sono soltanto i rinnegatori del comunismo.

« 3.  Il partito deve attuare uno stretto rigore di organizzazione nel senso che non accetta di ingrandirsi attraverso compromessi con gruppi o gruppetti o peggio ancora di fare mercato fra la conquista di adesioni alla base e concessioni a pretesi capi e dirigenti.

« 4.  Il partito deve lottare per una chiara comprensione storica del senso antagonista della lotta. I comunisti rivendicano l'iniziativa dell'assalto a tutto un mondo di ordinamenti e di tradizioni, sanno di costituire essi un pericolo per tutti i privilegiati, e chiamano le masse alla lotta per l'offensiva e non per la difensiva contro pretesi pericoli di perdere millantati vantaggi e progressi, conquistati nel mondo capitalistico. I comunisti non danno in affitto e prestito il loro partito per correre ai ripari nella difesa di cause non loro e di obiettivi non proletari come la libertà, la patria, la democrazia ed altre simili menzogne.

« "I proletari sanno di non aver da perdere nella lotta altro che le loro catene".

« 5.  I comunisti rinunciano a tutta quella rosa di espedienti tattici che furono invocati con la pretesa di accelerare il cristallizzarsi dell'adesione di larghi strati delle masse intorno al programma rivoluzionario. Questi espedienti sono il compromesso politico, l'alleanza con altri partiti, il fronte unico, le varie formule circa lo Stato usate come surrogato della dittatura proletaria – governo operaio e contadino, governo popolare, democrazia progressiva.

« I comunisti ravvisano storicamente una delle principali condizioni del dissolversi del movimento proletario e del regime comunista sovietico proprio nell'impiego di questi mezzi tattici, e considerano coloro che deplorano la lue opportunista del movimento staliniano e nello stesso tempo propugnano quell'armamentario tattico come nemici più pericolosi degli stalinisti medesimi». 

(da:Forza violenza dittatura nella lotta di classe, Prometeo, nn. 2 e 3 del 1946, 5 e 8 del 1947, 9 e 10 del 1948, parte finale;  ripubblicato in Partito e classe, n. 4 dei "testi del partito comunista internazionale", Napoli, aprile 1972, e riproposto in questa stessa collana col fascicolo n. 8).

 

Amadeo Bordiga risponderà per l'ultima volta a Damen, dopo aver ricevuto la sua lettera del 23 marzo 1952 quando ormai il gruppo Damen si è già reso «autonomo» dal partito uscendo con il doppione del giornale «battaglia comunista» chiarendo il contenuto dell'ultimo incontro avuto con Damen dopo la riunione di Firenze del dicembre 1951, con la quale Damen insisterà sulla necessità del Congresso per il quale, d'altra parte, stava lavorando da tempo nonostante il parere contrario di Amadeo e di una parte cospicua del partito. Un congresso, per dipiù, di cui lo stesso Damen ammetteva l'impreparazione. In realtà, in quell'incontro Bordiga cercò di spiegare per l'ennesima volta perché escludeva la via del congresso, proponendo di studiare lui stesso con altri compagni, visto che Damen si era rifiutato di farlo, «una formula di distensione», naturalmente senza andare ad intaccare il contenuto delle Tesi caratteristiche. Nella sua lettera Damen sottolineerà quanto segue:

 

« Per un partito rivoluzionario gli impegni presi ad un congresso sono tutto,mentre ciò che si tenta al di fuori del Congresso e contro di esso è manovra che per il fatto stesso di sfuggire al controllo e al giudizio dei militanti del partito è, per consuetudine ormai storica e per logica di aventi, portatrice sicura di metodi e fini di schietta marca opportunistica. E nient'altro che "manovre" sono i tuoi ounti di piattaforma che mirano a sostituirsi alle decisioni congressuali di Firenze [congresso del 1948, NdR], e rompere la compagine del partito e a frustrare ciò che il partito deciderà nel suo prossimo secondo comngresso. E questo è tutto ».

 

In un post scriptum Damen informa Amadeo che di lì a poco uscirà «Prometeo» cioè un doppione della rivista, come stava già uscendo il doppione del giornale in cui si pubblicheranno le cinque lettere che si scambiarono, compresa quella del 6 ottobre 1951 a cui Amadeo non rispose direttamente.

Quanto a Bordiga, qui di seguito la sua lettera con cui chiude definitivamente non solo il rapporto politico, ma anche quello personale con Damen.

 

« Napoli, 28 marzo 1952

« Conosci dal passato come le mie decisioni di chiusura e liquidazione sono totalitarie e irrevocabili.

« Decido quindi di farti questa ultima comunicazione che chiude e liquida la penosa faccenda da te posta in essere e a cui davvero in tanti anni la mia solida memoria non trova un precedente.

« Un solo punto del nostro ultimo incontro è quello di cui ho fatto stato: cominciai ad espporti la dimostrazione: da escludersi congresso di A., congresso di B. congresso di A+B.

« Non me la lasciasti nemmeno completare e subito affermasti che eri come convinto della impreparazione ad un congresso.

« Dissi allora che malgrado fosse difficile avrei tentato di trovare una via di distensione: ti chiesi una formola e, come confermi, non me la desti: annunziai allora che con altri compagni la avrei studiata in una riunione di cui ti dissi la data.

« Prima di tale termine cominciò la logorrea sul congresso, vero flatus voci artificiale che hai fatto centro della tua azione.

« Tutto ciò contiene gli estremi, dato che non voglio supporre di duplicità, certo di inconcludenza da parte tua. Sei caduto in uno stato di minorazione, e se fosse ancora possibile darti consigli fraterni, l'unico sarebbe quello di almeno sei mesi di vacanza accordati al tuo cervello.

« Ogni altra cosa è pettegolezzo.

« Dopo ciò, ignoro quanto tu dici per sindacare giudicare o peggio minacciare. Pubblica quello che vuoi: ti prego soltanto di non indirizzarmi più nulla, stampa o altro, e fare come se non possedessi un mio indirizzo. Dovunque e da tutti ho da imparare, e non solo da insegnare, ma nel materiale che state mettendo in circolo non vi è nessun minimo contributo: non lo guarderò oltre comunque pervenga.

« Chiudo dunque e ti saluto ». 

 

 

Partito Comunista Internazionale

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